La massima
L'elemento soggettivo del reato di calunnia non può consistere nel dolo eventuale, in quanto la formula normativa taluno che egli sa innocente richiede la consapevolezza certa dell'innocenza dell'incolpato (Cassazione penale , sez. VI , 14/12/2016 , n. 4112).
Fonte: Ced Cassazione Penale
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La sentenza integrale
Cassazione penale , sez. VI , 14/12/2016 , n. 4112
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d'appello di Trento ha confermato la sentenza del Tribunale del capoluogo trentino, che ha condannato M.D. alle pene di legge in relazione ai reati di cui agli artt. 659 e 337 c.p., art. 81c.p., comma 2, artt. 612 e 594c.p., art. 61 c.p., n. 10 e art. 368 cod. pen., commessi nel (OMISSIS).
2. M.D. ricorre avverso il provvedimento, a mezzo dei difensori di fiducia Avv.ti Giovanni Polonioli e Silvia Maria Cinquemani, e ne chiede l'annullamento per i seguenti motivi:
2.1. violazione di legge penale per difetto dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato di cui all'art. 337 cod. pen., in considerazione del fatto che le contestate aggressioni, anche verbali, agli agenti non hanno ostacolato nè impedito un atto d'ufficio in fase di svolgimento, essendo state commesse dall'imputata in un momento in cui essi, da un lato, avevano già terminato l'atto d'ufficio ed erano in procinto di uscire dall'abitazione, dall'altro lato, prima che essi ponessero in essere qualsiasi azione finalizzata a riportare la calma nello stabile;
2.2. violazione di legge penale per carenza dell'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 368 cod. pen. e vizio di motivazione, dal momento che, fermo il ricorso alla forza da parte degli agenti, è plausibile che la M. abbia percepito di avere subito atti lesivi della propria incolumità da parte degli operanti;
2.3. violazione di legge penale per carenza dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato di cui all'art. 612 cod. pen. e vizio di motivazione, in ragione del fatto che l'imputata non intendeva minacciare gli agenti, ma soltanto tutelare i propri diritti lesi dalla condotta ritenuta ingiusta da essi serbata;
2.4. vizio di motivazione e violazione di legge processuale in relazione all'art. 125 c.p.p., comma 3, art. 192 c.p.p. e art. 546 c.p.p., comma 1, per avere la Corte ritenuto legittima la liquidazione in termini eguali del danno alle quattro parti civili, sebbene due di esse siano rimasti in posizione defilata e non siano, pertanto, state attinte dalle contestate ingiurie e minacce.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato con esclusivo riguardo alla censura concernente l'imputazione di calunnia, mentre è destituito di fondamento, e va pertanto rigettato, con riguardo alle ulteriori deduzioni.
2. In via del tutto preliminare, deve essere rilevato come, in virtù del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 1 la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 594 cod. pen. sia stata abrogata e trasformata in un illecito con sanzione pecuniaria civile.
Ne discende che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio su tale capo perchè l'ingiuria non è più prevista dalla legge come reato.
3. Sono destituiti di fondamento il primo ed il terzo motivo, con i quali la ricorrente ha dedotto la violazione di legge in relazione alla ritenuta integrazione dei reati di resistenza a pubblico ufficiale e di minaccia.
3.1. Oltre a riprodurre in termini sostanzialmente speculari le censure già dedotte in appello, la ricorrente non si confronta con le convincenti risposte date al riguardo dalla Corte. Ed invero, dopo avere accuratamente ricostruito i fatti - anche alla luce delle dichiarazioni rese dal vicino di casa Me.Da. in coerenza con quanto riferito dai verbalizzanti e senza smentita della teste C.G. -, il Collegio del gravame ha specificamente argomentato, con considerazioni scevre da illogicità manifesta, come l'aggressione dell'imputata avvenne nel corso del compimento di atti d'ufficio (l'uno diretto ad individuare la fonte dei rumori molesti ed a farli cessare, l'altro diretto ad interrompere la condotta illecita della ricorrente allorchè prendeva a calci la porta del vicino di casa) e con piena volontà e consapevolezza (v. pagine 9 e seguenti della sentenza). Il che rende non revocabile in dubbio l'integrazione del delitto di cui all'art. 337 cod. pen..
3.2. Analoghe considerazioni valgono per il terzo motivo di ricorso, là dove la Corte territoriale ha bene argomentato come non ricorrano, nella specie, i presupposti oggettivi per affermare che, in danno dell'imputata, sia stato consumato un atto arbitrario tale da scriminare le contestate minacce e da offrire giustificazione alla condotta illecita, avendo anzi i poliziotti agito al fine di riportare la calma nello stabile che la stessa ricorrente aveva disturbato e continuava a disturbare con il proprio comportamento molesto (v. pagine 14 e 15).
3.3. D'altra parte, secondo il consolidato insegnamento di questa Suprema Corte in materia di atti arbitrari del pubblico ufficiale, l'art. 393-bis cod. pen. (che ha sostituito il D.Lgs.Lgt. n. 288 del 1944, art. 4) non prevede una circostanza di esclusione della pena ricadente sotto la disciplina dell'art. 59 cod. pen., ma dispone l'esclusione della tutela nei confronti del pubblico ufficiale che se ne dimostri indegno: essa pertanto trova applicazione solo in rapporto ad atti che obbiettivamente e non soltanto nell'opinione dell'agente, concretino una condotta arbitraria (Sez. 6, n. 46743 del 06/11/2013, Ezzamouri, Rv. 257513). Ancora si è affermato che, in tema di reazione ad atti arbitrari del pubblico ufficiale, è da ritenere che, perchè un atto di un pubblico ufficiale possa considerarsi arbitrario, non è sufficiente una sua eventuale illegittimità ma occorre che l'atto, per il contenuto o per la forma, ecceda dai poteri del pubblico ufficiale e sia privo di un'accettabile giustificazione (Sez. 5, n. 4666 del 03/03/1992, P.M. in proc. Pahor, Rv. 189861).
Eccesso di potere e mancanza di un'accettabile giustificazione che, secondo la ricostruzione in fatto operata dai decidenti di merito, non sono rinvenibili nella specie.
4. Coglie invece nel segno il secondo motivo di ricorso, col quale la ricorrente ha eccepito la violazione di legge penale ed il vizio di motivazione in ordine all'elemento soggettivo del reato di calunnia.
4.1. Occorre premettere come l'elemento soggettivo del reato di calunnia si atteggi in termini di dolo generico e postuli la consapevolezza da parte del denunciante dell'innocenza del calunniato, che è coscienza della lesività in concreto del fatto attribuito all'imputato (Sez. 6, n. 448 del 05/12/2002 - dep. 2003, Greco, Rv. 223321). Ai fini dell'integrazione dell'elemento psicologico non assume alcun rilievo la forma del dolo eventuale, in quanto la formula normativa "taluno che egli sa innocente" risulta particolarmente pregnante e indicativa della consapevolezza certa dell'innocenza dell'incolpato (Sez. 6, n. 2750 del 16/12/2008 - dep. 2009, Aragona, Rv. 242424).
La prova dell'elemento soggettivo può desumersi dalle concrete circostanze e modalità esecutive dell'azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volontà di un'accusa mendace nell'ambito di una piena rappresentazione del fatto attribuito all'incolpato (da ultimo, Sez. 6, n. 10289 del 22/01/2014, Lombardi Rv. 259336).
La consapevolezza del denunciante circa l'innocenza dell'accusato deve essere esclusa qualora sospetti, congetture o supposizioni di illiceità del fatto denunciato siano ragionevoli, ossia fondati su elementi di fatto tali da ingenerare dubbi condivisibili da parte del cittadino comune che si trovi nella medesima situazione di conoscenza (Sez. 6, n. 46205 del 06/11/2009, P.C. in proc. Demattè, Rv. 245541) ovvero quando la supposta illiceità del fatto denunciato sia ragionevolmente fondata su elementi oggettivi, connotati da un riconoscibile margine di serietà e tali da ingenerare concretamente la presenza di condivisibili dubbi da parte di una persona di normale cultura e capacità di discernimento, che si trovi nella medesima situazione di conoscenza (Sez. 6, n. 29117 del 15/06/2012, Valenti, Rv. 253254).
4.2. Di tali coordinate ermeneutiche non ha fatto buon governo la Corte territoriale, là dove, dopo avere dato atto della prospettazione difensiva secondo la quale l'imputata si era determinata a sporgere denuncia nei confronti dei quattro poliziotti essendo "convinta di essere stata vittima di una condotta abusiva ed ingiustificatamente violenta", non ha verificato se, dalla narrazione dei fatti come delineati nelle due denunce-querela sporte dalla M., emergano elementi di fatto che possano indurre a ritenere che ella possa avere avuto la ragionevole convinzione - quale cittadino comune - di essere stata vittima di un atto arbitrario da parte dei poliziotti (segnatamente di "una condotta abusiva, ingiustificatamente violenta o quanto meno colposamente eccessiva rispetto al necessario"). Elementi tali da escludere la cosciente volontà di un'accusa mendace e dunque l'integrazione del reato, giusta la non punibilità del delitto a titolo di dolo eventuale.
D'altronde, il dubbio sulla reale intenzionalità delle false accuse mosse agli operanti risulta plausibile sulla scorta delle stesse emergenze processuali delineate nelle sentenze di merito, là dove i Giudici della cognizione, per un verso, hanno dato conto del fatto che - secondo la narrazione della denunciante - gli agenti avevano alluso alla condizione di extracomunitaria dell'imputata ed all'attività di prostituzione da ella svolta ed, alla sua conseguente reazione verbale offensiva ("vaffanculo"), avevano usato violenza ai suoi danni (spingendola contro la parete dell'ascensore, dandole una ginocchiata all'inguine, facendola accasciare sulle ginocchia e poi afferrandola per i capelli). Per altro verso, hanno rilevato che, al momento dei fatti l'imputata versava in stato di ebbrezza; che la teste oculare C. ha dichiarato di avere visto l'imputata a terra nell'ascensore ed un agente che le stava "sopra"; che la teste Ca.Li.Fl. ha riferito di avere appreso da C.G. che la M. era stata picchiata dai poliziotti cui aveva risposto male (v. pagine 8 e 12 e 13 della sentenza); che, nei referti medici stilati dal Pronto Soccorso dell'ospedale in data 14 (OMISSIS), sono stati diagnosticati, nel primo, uno "stato di agitazione psicomotoria, dolore alla spalla dx e polso dx", nel secondo una "contusione al polso sinistro, del rachide dorsale e del primo dito della destra. Riferita contusione dei genitali esterni in presenza di metro raggia di modesta entità" e che, nel referto della visita ginecologica, è stata attestata la "dolenzia" ai genitali esterni (v. pagine 11 e 12).
Si tratta invero di circostanze - almeno in linea teorica - suscettibili di offrire un riscontro al dedotto convincimento della M. in merito all'arbitrarietà dell'attività compiuta dalle forze dell'ordine in proprio danno, dovendo darsi per acclarato - secondo la ricostruzione storico fattuale della vicenda delineata nelle sentenza di primo e di secondo grado - che, nel frangente, gli agenti fecero ricorso alla forza per vincere la reazione violenta opposta dalla ricorrente all'atto legittimo del proprio ufficio, reazione violenta che la M. può avere percepito quale arbitrariamente lesiva della propria incolumità personale.
4.3. Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere annullata sul capo concernente la calunnia. In sede di giudizio di rinvio la Corte d'appello dovrà verificare se, sulla scorta delle risultanze obbiettive degli atti processuali, possa ritenersi provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che M.D., allorchè denunciava di essere stata vittima di un atto arbitrario da parte dei poliziotti, segnatamente di "una condotta abusiva, ingiustificatamente violenta o quanto meno colposamente eccessiva rispetto al necessario", fosse pienamente cosciente dell'innocenza degli accusati ed abbia pertanto voluto intenzionalmente muovere nei loro confronti un'accusa mendace.
5. E' inammissibile per carenza d'interesse l'ultimo motivo, con il quale la ricorrente ha eccepito il vizio di motivazione e la violazione di legge processuale in relazione alla liquidazione del danno in termini eguali ai poliziotti persone offese costituiti parti civili. Ed invero, in tema di impugnazioni è inammissibile, per carenza d'interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado, che non abbia preso in considerazione un motivo di appello, che risulti ab origine inammissibile per manifesta infondatezza, in quanto l'eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014 - dep. 2015, Bianchetti, Rv. 263157).
5.1. Nel caso di specie, la Corte d'appello ha effettivamente omesso di affrontare in modo espresso l'omologa doglianza mossa in appello e, nondimeno, si tratta di questione dedotta - anche ab origine - in termini così generici da risultare inammissibile. La ricorrente non ha invero spiegato in modo specifico le ragioni per le quali le minacce e la violenza fisica attuate dalla ricorrente contro gli operanti allo scopo di opporsi al loro legittimo atto d'ufficio abbiamo leso taluni degli operanti in termini più gravi degli altri, sì da giustificare la liquidazione non eguale del danno - di natura essenzialmente morale - loro cagionato dall'agire della ricorrente.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al delitto di cui all'art. 594 cod. pen. perchè non è più previsto dalla legge come reato; annulla altresì la sentenza impugnata in ordine al reato di calunnia e rinvia ad altra sezione della Corte d'Appello di Trento per nuovo giudizio sul punto e per la rideterminazione della pena. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2017