1. L'imputato in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12 o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b), può essere sempre sentito come testimone quando nei suoi confronti è stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444.
2. L'imputato in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b), può essere sentito come testimone, inoltre, nel caso previsto dall'articolo 64, comma 3, lettera c).
3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 il testimone è assistito da un difensore. In mancanza di difensore di fiducia è designato un difensore di ufficio.
4. Nel caso previsto dal comma 1 il testimone non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione. Nel caso previsto dal comma 2 il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei suoi confronti.
5. In ogni caso le dichiarazioni rese dai soggetti di cui al presente articolo non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese nel procedimento a suo carico, nel procedimento di revisione della sentenza di condanna ed in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto dei procedimenti e delle sentenze suddette.
6. Alle dichiarazioni rese dalle persone che assumono l'ufficio di testimone ai sensi del presente articolo si applica la disposizione di cui all'articolo 192, comma 3.
L’art. 197-bis c.p.p., introdotto con la l. 1 marzo 2001, n. 63, rappresenta una risposta normativa al mutato quadro costituzionale derivante dalla riforma dell’art. 111 Cost. Esso codifica la figura del testimone assistito, ossia dell’imputato che, cessata o limitata la propria esposizione penale, può essere escusso su fatti altrui, garantendo un equilibrio tra:
diritto al silenzio e protezione del dichiarante (art. 24 e 27 Cost.),
esigenze probatorie dell’accusa,
rispetto del contraddittorio.
Il legislatore ha inteso delimitare l'ambito della testimonianza, assicurando che l’imputato non venga mai forzato a rendere dichiarazioni autoincriminanti, pur potendo assumere un ruolo attivo nella ricostruzione dei fatti.
L’art. 197-bis individua due ipotesi principali:
Comma 1 – Testimonianza post sentenza irrevocabile: il soggetto può testimoniare in piena regola, con obbligo di verità, ma con facoltà di tacere sui fatti per cui è stato condannato o ha patteggiato, se non ha mai ammesso responsabilità.
Comma 2 – Testimonianza con avvertimento ex art. 64: l’imputato di reato collegato o connesso può testimoniare anche prima della sentenza irrevocabile, a patto che riceva formale avviso che le sue dichiarazioni potrebbero essere utilizzate, e che rinunci espressamente al diritto al silenzio.
Questa seconda categoria è cruciale nei processi complessi, dove si ricerca la verità attraverso dichiarazioni reciproche tra imputati.
La previsione dell’obbligo di assistenza del difensore è stata in parte corretta dalla Corte costituzionale con due sentenze fondamentali:
Sent. n. 381/2006: ha escluso l’obbligo di difesa per i soggetti già assolti con sentenza irrevocabile “per non aver commesso il fatto”;
Sent. n. 21/2017: ha esteso la medesima esclusione anche agli assolti “perché il fatto non sussiste”.
La ratio è evidente: chi è stato dichiarato estraneo al fatto non può più temere un coinvolgimento penale, pertanto non necessita della protezione rafforzata della difesa tecnica.
La norma prevede due ipotesi in cui non vi è obbligo di deporre:
se il soggetto è stato condannato o ha patteggiato e, nel relativo processo, ha negato o è rimasto in silenzio;
se è ancora pendente un procedimento per i fatti oggetto dell’esame.
La previsione rispecchia il principio di non autoincriminazione e costituisce una declinazione del diritto di difesa.
Le dichiarazioni rese ai sensi dell’art. 197-bis non possono mai essere utilizzate contro il dichiarante, nemmeno:
nel suo processo penale,
in un eventuale giudizio di revisione,
in procedimenti civili o amministrativi legati ai medesimi fatti.
Si tratta di una barriera invalicabile a tutela della libertà di dichiarare senza timore di ritorsioni processuali: una garanzia assoluta di neutralità probatoria.
Le dichiarazioni rese dai testimoni assistiti richiedono sempre riscontri esterni, in base all’art. 192, comma 3 c.p.p. Tuttavia, come chiarito dalla Corte Costituzionale, questa regola non si applica se il testimone è stato irrevocabilmente assolto con formula piena, poiché il suo disinteresse rispetto all’esito del processo ne garantisce l’equidistanza.
Secondo Cass. I, n. 29624/2022, il giudice può valorizzare la credibilità del teste assistito, ma non può mai fondare una condanna esclusivamente sulle sue parole.
L’assunzione dell’ufficio di testimone comporta l’obbligo di dire la verità. La falsa testimonianza è configurabile anche nei confronti del testimone assistito (Cass. VI, n. 9760/2020), con tutte le conseguenze sanzionatorie, salvo che sussistano scriminanti come quella dell’art. 384 c.p.
Va però distinta l’ipotesi in cui il soggetto non poteva essere obbligato a deporre: in tal caso, la violazione della verità non è punibile.
Secondo Cass. S.U., n. 27620/2016, la testimonianza del teste assistito rientra tra le prove che, se decisive, devono essere rinnovate in secondo grado, nel rispetto del principio di immediatezza e oralità, specialmente quando la sentenza di primo grado venga riformata.
L’art. 197-bis c.p.p. segna un punto di equilibrio tra l’esigenza di valorizzare le dichiarazioni provenienti da soggetti “ibridi” (non più imputati ma non ancora testimoni ordinari) e la tutela della persona da ogni rischio di autoincriminazione. Il suo impianto, arricchito da interventi costituzionali, garantisce una prova dichiarativa credibile ma protetta, in un sistema che mira a coniugare efficienza e garanzie.
Le massime della Cassazione
Cassazione penale , sez. V , 16/12/2022 , n. 11998
È manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 24, 111 Cost. , la questione di legittimità costituzionale dell' art. 64, commi 3, lett. c) e 3-bis, c.p.p. nella parte in cui non prevedono che l'integrata inutilizzabilità patologica comminata da dette disposizioni si rifletta sulle dichiarazioni successivamente rese dal medesimo soggetto, ormai definitivamente assolto, nella veste di testimone. (In motivazione, la Corte ha precisato che la Corte costituzionale, dichiarando con le sentenze n. 381 del 2006 e n. 21 del 2017 l'illegittimità costituzionale dell' art. 197-bis, commi 3 e 6 c.p.p. nella parte in cui si prevede l'assistenza di un difensore e l'applicazione dell' art. 192, comma 3, c.p.p. anche per le dichiarazioni rese dalle persone, indicate al comma 1 del medesimo art. 197-bis , nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, ha inteso equiparare tale posizione processuale a quella del teste comune, sottraendola alla disciplina prevista per il dichiarante ancora sub iudice o già condannato con sentenza irrevocabile).
Cassazione penale , sez. I , 16/06/2022 , n. 29624
In tema di dichiarazioni del teste assistito, l'obbligo di dire la verità gravante sullo stesso accresce il grado di affidabilità della fonte e può essere valorizzato dal giudice nella valutazione dei riscontri esterni, consentendo di ritenere sufficienti riscontri di peso comparativamente minore rispetto a quelli richiesti nel caso di valutazione delle dichiarazioni rese dall'imputato in procedimento connesso ai sensi dell' art. 210 c.p.p.
Cassazione penale , sez. VI , 07/07/2021 , n. 34562
Non sussiste incompatibilità ad assumere l'ufficio di testimone per la persona già indagata, la cui posizione sia stata definita con provvedimento di archiviazione, in quanto la disciplina limitativa della capacità di testimoniare prevista dagli artt. 197, comma 1, lett. a) e b) , 197-bis, e 210 cod. proc. pen. si applica solo all'imputato, al quale è equiparata la persona indagata, nonché al soggetto già imputato, salvo che sia stato irrevocabilmente prosciolto per non aver commesso il fatto. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto non necessaria l'acquisizione di elementi di riscontro ai sensi dell' art. 192, comma 3, c.p.p. che suffragassero le dichiarazioni testimoniali di un coindagato nei cui confronti era stata disposta l'archiviazione, in applicazione della causa di esclusione della punibilità prevista dall' art. 323-ter c.p. ).
Cassazione penale , sez. III , 30/06/2021 , n. 36331
Le dichiarazioni rese in sede di esame ai sensi dell' art. 210, c.p.p. da persona imputata in procedimento connesso ex art. 12, comma 1, lett. a), c.p.p. , ed ivi legittimamente acquisite in forza del combinato disposto di cui agli artt. 511-bis e 238, commi 1 e 2-bis, c.p.p. , sono utilizzabili nei suoi confronti, non essendo, in tal caso, analogicamente applicabile il divieto sancito dall' art. 197-bis, comma 5, c.p.p. , espressamente riferibile al solo esame di persona imputata in procedimento connesso ex art. 12, comma 1, lett. c), c.p.p. o di un reato collegato ex art. art. 371, comma 2, lett. b), c.p.p.
Cassazione penale , sez. V , 25/06/2021 , n. 39498
In tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, prescindendo da indici formali quali l'eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, sicché il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità.
Cassazione penale , sez. II , 11/02/2021 , n. 7816
Sono inutilizzabili le dichiarazioni acquisite nel corso del giudizio abbreviato da soggetto indagato di reato collegato o connesso senza le garanzie previste dall'art. 197-bis cod. pen. (Fattispecie di tentata rapina aggravata e lesioni ai danni di una guardia giurata, a sua volta indagata per lesioni ai danni del ricorrente).
Cassazione penale , sez. I , 15/01/2020 , n. 12305
Le dichiarazioni etero-accusatorie contenute in un memoriale proveniente dal coimputato sono acquisibili come documenti, ai sensi dell' art. 234 c.p.p. , nel processo a carico di altro coimputato, ma il loro contenuto non è in alcun modo utilizzabile a fini probatori, né direttamente né nel caso in cui il propalante, escusso come testimone assistito ai sensi dell' art. 197-bis c.p.p. , confermi quanto riportato nel memoriale, corrispondendo una tale conferma ad un'inammissibile utilizzazione diretta delle notizie ricavabili dal memoriale stesso. (In motivazione la Corte ha specificato che le accuse contro il coimputato possono essere vagliate unicamente alla luce delle dichiarazioni dibattimentali, senza che il memoriale – pur valutabile ai fini del giudizio sulla credibilità del propalante – possa a sua volta essere considerato quale riscontro, in quanto proveniente dalla medesima fonte e dunque non esterno).