Diffamazione: la critica politica è lecita anche senza verità oggettiva, se sorretta da una convinzione ragionevole (Cass. Pen. n. 29859/25)
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Diffamazione: la critica politica è lecita anche senza verità oggettiva, se sorretta da una convinzione ragionevole (Cass. Pen. n. 29859/25)

Diffamazione: la critica politica è lecita anche senza verità oggettiva, se sorretta da una convinzione ragionevole (Cass. Pen. n. 29859/25)

Indice:

1. Premessa

La sentenza in commento (Cass. pen., sez. V, 15 luglio 2025, n. 29859, Pres. Miccoli, Rel. Pilla) interviene su un tema classico ma sempre attuale: i limiti del diritto di critica politica e il suo rapporto con il reato di diffamazione ex art. 595 c.p. L’occasione nasce da un contenzioso che vede protagonista un cittadino accusato di aver diffamato il Sindaco di un Comune attraverso lettere ed e-mail in cui denunciava presunte irregolarità amministrative.


2. I fatti e la vicenda processuale

La vicenda prende avvio davanti al Tribunale di Monza, che con sentenza del 20 dicembre 2023 aveva ritenuto l’imputato responsabile del reato di diffamazione aggravata a mezzo stampa ai sensi dell’art. 595, comma 3, c.p., condannandolo alla pena di giustizia e al risarcimento in favore del Sindaco di un Comune della provincia di Milano.

Secondo i giudici di primo grado, le lettere e l’e-mail inviate dall’imputato contenevano accuse infamanti rivolte non soltanto al primo cittadino ma anche all’amministrazione comunale nel suo complesso.

La Corte di appello di Milano, investita del gravame, con sentenza del 3 marzo 2025 ha in parte riformato la decisione, eliminando la circostanza aggravante legata al mezzo della stampa e riducendo, di conseguenza, sia la pena che l’ammontare del risarcimento liquidato in favore della persona offesa. Ciò nondimeno, il giudizio di colpevolezza è stato confermato, mantenendo fermo il nucleo dell’imputazione.

Avverso tale pronuncia, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore di fiducia.

Le censure hanno toccato vari profili:

  • in primo luogo, l’erronea esclusione della scriminante dell’esercizio del diritto di critica politica, anche nella sua forma putativa, ai sensi dell’art. 51 c.p.;

  • in secondo luogo, la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p., sul presupposto che le modalità della condotta e l’assenza di un danno effettivo la rendessero sostanzialmente irrilevante sul piano penale;

  • infine, la sproporzione della pena inflitta e l’erronea liquidazione del danno, fondata – secondo la difesa – su parametri tabellari non coerenti con la qualificazione giuridica residua del fatto.


3. Il nodo giuridico: diffamazione e diritto di critica politica

Il cuore della controversia non risiede tanto nell’accertamento materiale della condotta – l’invio di lettere e comunicazioni elettroniche con accuse rivolte al Sindaco e all’amministrazione comunale – quanto nella qualificazione giuridica della stessa alla luce della scriminante dell’esercizio del diritto di critica politica.

Si tratta di un terreno da sempre problematico, in cui il diritto all’onore e alla reputazione (art. 2 Cost.) si trova in tensione con la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.), specialmente quando le espressioni critiche sono indirizzate a soggetti che ricoprono cariche pubbliche.

In tale ambito, la giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che la critica politica gode di una particolare ampiezza di tutela, costituendo strumento essenziale per il controllo democratico dell’operato degli amministratori.

Tuttavia, essa non è illimitata: affinché possa assumere efficacia scriminante, occorre che siano rispettati alcuni requisiti imprescindibili, individuati nei canoni della verità (anche putativa), della continenza espressiva e della pertinenza rispetto a un interesse pubblico.

Proprio il tema della “verità putativa” rappresenta il fulcro del giudizio in esame.

La difesa ha infatti sostenuto che l’imputato avesse maturato le proprie accuse sulla base di elementi concreti, consistenti in anomalie procedurali effettivamente riscontrate e denunciate anche in sede consiliare dalla minoranza.

Di conseguenza, pur in assenza di un accertamento giudiziario delle irregolarità, egli avrebbe agito nella ragionevole convinzione della loro sussistenza, configurando così l’ipotesi di errore scusabile che l’art. 51 c.p. consente di ricondurre all’esimente.

La Corte di appello, dal canto suo, aveva liquidato tali argomentazioni, ritenendo mancante un “nucleo di verità” nelle affermazioni del ricorrente e valorizzando, a sostegno, le dichiarazioni di alcuni testimoni che avevano escluso anomalie nel procedimento amministrativo.

Proprio tale impostazione è stata censurata in sede di legittimità, poiché non avrebbe adeguatamente considerato le risultanze provenienti da altra fonte testimoniale – quella della consigliera di minoranza – né avrebbe tenuto conto del fatto che l’esercizio del diritto di critica non richiede necessariamente un supporto giudiziario formale, essendo sufficiente una convinzione ragionevole, fondata su elementi oggettivi.


4. La decisione della Cassazione

La Suprema Corte, accogliendo il primo motivo di ricorso, ha annullato la sentenza della Corte d’appello di Milano, rinviando per un nuovo esame limitatamente al profilo della scriminante.

Secondo i giudici di legittimità, la motivazione della decisione impugnata era gravemente lacunosa:

  • da un lato, non teneva in adeguata considerazione il contributo dichiarativo della consigliera di minoranza, la quale aveva confermato di aver sollevato in consiglio comunale le medesime questioni avanzate dall’imputato;

  • dall’altro, riduceva la portata della critica a un attacco personale, trascurando che le comunicazioni contestate si inserivano in un contesto istituzionale, con finalità di stimolo e sollecitazione verso la pubblica amministrazione.

Per la Corte di cassazione, dunque, il tema non è la verità giudiziariamente accertata delle accuse, ma la possibilità che l’imputato abbia agito nella ragionevole e giustificata convinzione della loro fondatezza.

In questo senso, l’art. 51 c.p. consente di riconoscere efficacia scriminante anche alla critica putativa, a condizione che l’errore sia scusabile e non il frutto di arbitrarie supposizioni.

L’accoglimento del primo motivo ha comportato l’assorbimento delle ulteriori censure difensive, che pure investivano la particolare tenuità del fatto, la misura della pena e la liquidazione del danno. Resta così aperta la questione centrale: se le comunicazioni inviate dall’imputato possano essere ricondotte a un esercizio legittimo, ancorché putativo, del diritto di critica politica.


5. Considerazioni conclusive

L’idea sottesa alla pronuncia è che la democrazia non possa fare a meno di una dialettica aspra, talvolta polemica, purché sorretta da un nucleo di verità o da una convinzione soggettiva ragionevole.

Non si tratta di un approdo scontato: il bilanciamento con il diritto all’onore resta delicato, e il rischio di un uso strumentale della critica per fini denigratori non è trascurabile.

Tuttavia, la Corte ribadisce un principio di civiltà giuridica: non ogni accusa infondata deve tradursi automaticamente in responsabilità penale, se l’autore ha agito confidando, con basi ragionevoli, nella veridicità dei fatti denunciati.

Ciò implica una rilettura del reato di diffamazione che tenga conto della sua funzione residuale, evitando di trasformarlo in un freno alla libertà di espressione politica.

L’orientamento appare, inoltre, in linea con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che da tempo attribuisce al discorso politico una protezione rafforzata, anche quando le espressioni assumono toni duri o sferzanti (Lingens c. Austria, 1986; Oberschlick c. Austria, 1991).

La decisione in commento, dunque, non si limita a censurare un deficit motivazionale, ma riafferma una prospettiva più ampia: la libertà di critica politica, pur non illimitata, rappresenta un presidio fondamentale del sistema democratico e, come tale, deve essere protetta anche sul terreno penalistico, attraverso un’interpretazione non restrittiva delle cause di giustificazione.


6. La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 3 marzo 2025 la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Monza del 20 dicembre 2023 in composizione monocratica, ha, confermando nel resto, escluso la circostanza aggravante di cui all’art. 595 comma 3 cod. pen. con rideterminazione della pena e riduzione dell’importo liquidato a titolo di risarcimento danni nei confronti di Motta Giorgio Francesco, il quale era stato condannato in primo grado alla pena di giustizia oltre statuizioni civili: - per il reato di cui all’art. 595 comma terzo cod. pen. per avere inviato al Sindaco del Comune di Ronco Briantino e ad altri enti pubblici e ai cittadini del Comune due lettere ed una e-mail con le quali accusava il Sindaco e l’amministrazione comunale di sistematiche violazioni di norme, irregolarità e comportamenti omissivi o reticenti in relazione alla mancata approvazione della proposta planivolumetrica dell’area Donizetti.

2. Avverso tale decisione l’imputato ha proposto ricorso, attraverso il difensore di fiducia, deducendo i motivi enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Con il primo e il secondo motivo di ricorso sono stati dedotti violazione di legge e vizio di motivazione relativamente al diritto di critica, avendo la sentenza impugnata escluso la configurabilità della scriminante di cui all’art. 51 cod. pen.; nonché relativamente all’elemento oggettivo del reato. La Corte territoriale ha omesso di valutare il requisito della verità putativa che sussiste allorquando l’accusatore sia fermamente convinto della veridicità dei fatti che afferma. Nel caso di specie siffatte supposizioni erano confortate da alcune evidenti anomalie procedurali, come ammesso dallo stesso Sindaco persona offesa. Inoltre, il contenuto delle lettere ha sempre rispettato la continenza espressiva e sussisteva un interesse pubblico alla notizia. Sulle specifiche censure la motivazione impugnata appare per alcuni versi illogica e per altri apparente. Non vi è inoltre la prova che le lettere e la e-mail siano state effettivamente ricevute da soggetti diversi dai destinatari delle offese, così come risulta mancante la portata offensiva delle dichiarazioni dell’imputato che avevano ad oggetto sempre fatti specifici e documentalmente provati. 2.2 Con il terzo motivo di ricorso è stata dedotta violazione di legge in relazione alla mancata concessione della condizione di non punibilità per la particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis cod. pen. La difesa rileva come l’effettiva gravità della condotta del ricorrente sia minima, tenuto conto tanto delle modalità in cui è stata posta in essere, quanto dell’assenza di danno in capo ai soggetti coinvolti, configurandosi dunque i due “indici requisiti” richiesti al fine di considerare il fatto particolarmente tenue e, conseguentemente, non punibile.

2.3. Con il quarto motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla determinazione del trattamento sanzionatorio. La pena base è stata individuata in misura ben superiore al limite edittale senza una effettiva motivazione, così come manca la motivazione quanto alla determinazione dell’aumento a seguito del riconoscimento della continuazione interna.

2.4. Con il quinto motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla determinazione della liquidazione del danno. La Corte, pur avendo escluso la circostanza aggravante di cui all’art. 595 comma terzo cod. pen., ha poi utilizzato le tabelle del Tribunale di Milano per la liquidazione del danno della diffamazione commessa a mezzo stampa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni di seguito esposte. 1. Il primo motivo di ricorso è fondato. 1.1. Al riguardo, occorre premettere che costituisce legittimo esercizio del diritto di critica politica la diffusione, con mezzo di pubblicità, di giudizi negativi circa condotte biasimevoli poste in essere da amministratori pubblici, purché la critica prenda spunto da una notizia vera, si connoti di pubblico interesse e non trascenda in un attacco personale (Sez. 5, n. 4530 del 10/11/2022, dep.2023, Alloro, Rv. 283964). Nel caso in esame, con riferimento al requisito della veridicità della notizia, la sentenza impugnata ha escluso la presenza di un nucleo di verità, richiamando le pronunce relative al contenzioso civile tra i fratelli Motta e Zorzetto (v. p. 3 della sentenza impugnata), nonché le dichiarazioni rese dai testimoni escussi. In particolare, gli ex sindaci Colombo e Ronchi hanno riferito che l’iter di approvazione del progetto si era interrotto a causa della mancata produzione, da parte dell’imputato, della documentazione richiesta. Altri testimoni — Lonati, Bonalumi, Motta e Penati — hanno escluso l’esistenza di irregolarità nel procedimento amministrativo in corso (v. p. 5 della sentenza impugnata). 1.2. La Corte territoriale, tuttavia, omette di confrontarsi con le dichiarazioni rese dalla testimone Susanna Bonalumi, capogruppo consiliare di minoranza della lista “Idea per Ronco”, la quale ha riferito di essere stata contattata dall’imputato nel corso dell’anno 2011 in relazione alla mancata approvazione del piano planivolumetrico dell’Area Donizetti. La stessa ha dichiarato di essersi attivata in merito alla questione sollevata dal sig. Motta, il quale lamentava gravi irregolarità da parte dell’amministrazione comunale, e di averne promosso la discussione in sede consiliare. All’esito della seduta, il gruppo consiliare da lei rappresentato aveva formalmente richiesto al Sindaco di poter accedere agli atti relativi alla pratica, istanza alla quale non era stato dato alcun seguito. Tali dichiarazioni testimoniali, già riportate nella sentenza di primo grado, erano state oggetto di uno specifico motivo di appello, sul quale la sentenza impugnata non ha fornito alcuna motivazione. La pronuncia di primo grado, nel tentativo di ridimensionare la valenza probatoria di tale contributo dichiarativo, si era limitata a evidenziare che il verbale della delibera consiliare era stato trasmesso alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Monza, senza che ne fosse scaturita alcuna attività investigativa; circostanza, tuttavia, del tutto irrilevante ai fini della valutazione della scriminante di cui all’art. 51 cod. pen., atteso che l’esercizio del diritto di critica non presuppone necessariamente l’avvio di un procedimento penale, ma può fondarsi su una convinzione ragionevole e giustificata circa la veridicità dei fatti denunciati, anche in assenza di riscontri giudiziari. 1.3. Ad avviso del Collegio, la sentenza impugnata non ha adeguatamente scrutinato il rilievo, già articolato in sede di appello, concernente la possibile configurabilità della scriminante dell’esercizio del diritto di critica, anche nella sua forma putativa, ai sensi dell’art. 51 cod. pen. Come è noto, la disposizione in esame, espressione del principio di non punibilità per chi agisca in conformità a un diritto riconosciuto dall’ordinamento, costituisce una causa di giustificazione che opera quando la condotta dell’agente si colloca nell’ambito di un diritto soggettivo, purché esercitato nei limiti oggettivi e soggettivi previsti dalla legge. In dottrina, si è evidenziato come l’art. 51 cod. pen. rappresenti una clausola generale di liceità, che consente di escludere l’antigiuridicità del fatto quando esso sia espressione di un diritto sostanziale, anche se esercitato in forma putativa, purché l’errore sia scusabile. La giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che il diritto di critica — quale manifestazione della libertà di pensiero garantita dall’art. 21 Cost. — può assumere efficacia scriminante quando sia esercitato nel rispetto dei limiti della verità (anche putativa), della continenza espressiva e della pertinenza rispetto a un interesse pubblico o socialmente rilevante. In particolare, è stato chiarito che l’esimente putativa dell’art. 51 cod. pen. è configurabile anche in assenza di una verità processualmente accertata, qualora il soggetto agente operi nella ragionevole e giustificabile convinzione della veridicità

dei fatti oggetto di censura, purché tale convinzione sia fondata su elementi

oggettivi e non frutto di arbitraria supposizione (Sez. 5, n. 21145 del

18/04/2019, Olivieri, Rv. 275554; Sez. 5, n. 4530 del 10/11/2022,

dep.2023, Alloro, Rv. 283964).

Ai fini dell’efficacia scriminante, è altresì necessario che la critica non si

traduca in un attacco personale, ma si mantenga entro i limiti della continenza, e

che il fatto oggetto di censura sia obiettivamente vero nei suoi elementi essenziali,

ovvero ritenuto tale per errore scusabile (Sez. 5, n. 11199 del

11/08/1998, Mattana, Rv. 212131; Sez. 5, n. 24431 del 14/03/2017, P.M. in proc.

De Luca, Rv. 270084).

Nel caso di specie, le comunicazioni inviate dall’imputato — consistenti in

lettere e una e-mail indirizzate a diverse autorità pubbliche — risultano articolate,

circostanziate e corredate da documentazione allegata.

Le espressioni ritenute diffamatorie non appaiono gratuite bensì necessarie e

funzionali alla costruzione del giudizio critico, inserendosi in un contesto di

legittima sollecitazione istituzionale, finalizzata alla rappresentazione di presunte

irregolarità amministrative e alla richiesta di chiarimenti da parte della pubblica

amministrazione, che — secondo quanto dedotto — non aveva fornito riscontro.

In tale contesto – riconducibile a una legittima sollecitazione istituzionale –

risulta particolarmente rilevante la lettera del 14 luglio 2017, nella quale

l’imputato, dopo aver ripercorso l’attività della consigliera comunale Bonalumi e

richiamato le osservazioni critiche espresse dal consulente del Comune, Resnati,

ha ribadito le irregolarità da lui ritenute sussistenti, chiedendo al Sindaco una

risposta che confuti le affermazioni ritenute infondate “con preciso riferimento ai

fatti, ai documenti e alle norme cui gli amministratori dichiarano di volersi

attenere.”

A ciò si aggiunge il contributo dichiarativo del consigliere di minoranza, il quale

ha riferito che il proprio gruppo consiliare si era fatto carico di portare

all’attenzione del consiglio comunale la questione sollevata dal Motta, concernente

presunti abusi e omissioni da parte dell’amministrazione comunale.

Ne consegue che le modalità con cui l’imputato ha manifestato le proprie

doglianze, unitamente al contenuto delle dichiarazioni testimoniali, impongono un

ulteriore approfondimento da parte del giudice di merito, volto a verificare la

sussistenza della scriminante di cui all’art. 51 cod. pen., anche nella sua forma

putativa, non essendo stata fornita alcuna motivazione sul punto da parte della

Corte territoriale.

La sentenza impugnata va quindi annullata, con rinvio ad altra Sezione della

Corte di appello di Milano per nuovo esame, limitatamente al profilo indicato. 3. L’accoglimento del primo motivo comporta il consequenziale e logico

assorbimento dei motivi ulteriori proposti.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Così deciso in Roma il 15 luglio 2025


 
 
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