1. La massima
Con la sentenza in argomento, sulla differenza tra bancarotta documentale semplice e documentale, la Corte ha affermato:
a) che alle diverse configurazioni del dolo nelle due ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale non corrisponde una sostanziale diversificazione nell'onere probatorio per l'accusa, perché è pur sempre necessario escludere in entrambi i casi la rilevanza di un atteggiamento psicologico di mera superficialità dell'imprenditore fallito;
b) che anche in relazione alla bancarotta documentale correlata alle modalità di tenuta delle scritture contabili, l'affermazione di responsabilità non può derivare dalla mera constatazione dello stato delle scritture contabili, da cui si faccia derivare la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, ma, al contrario, è necessario, con metodo inferenziale, chiarire dalle modalità della condotta contestata la ragione e gli elementi sulla base dei quali l'imputato abbia avuto coscienza e volontà di realizzare l'oggettiva impossibilità di ricostruire il patrimonio o il movimento degli affari e non, invece, di trascurare semplicemente la regolare tenuta delle scritture, senza valutare le conseguenze di tale condotta, considerato che, in tal caso, viene integrato l'atteggiamento psicologico del diverso e meno grave reato di bancarotta semplice, di cui all'art. 217, comma 2, L. Fall.;
c) che non comporta alcun'automatismo l'approdo ermeneutico formatosi con riguardo all'amministratore che rivesta tale ruolo solo formalmente, secondo cui il prestanome degli effettivi gestori della società fallita risulta senza alcun dubbio il destinatario dell'obbligo relativo alla regolare tenuta e conservazione dei libri contabili, sancito dall'art. 2392 c.c., non essendo egli esonerato dal dovere di vigilanza sull'operato di soggetti terzi, eventualmente delegati, ai sensi dell'art. 40, comma 2, c.p.;
d) che, infatti, non può affermarsi la responsabilità dolosa per condotte incriminate dalla legge fallimentare sulla base della mera carica ricoperta e dell'integrazione dell'elemento materiale del reato, come osservato anche da Cass., Sez. 5, n. 44666 del 4/11/2021, L.Po., che ha ribadito la necessità di dimostrare l'effettiva e concreta consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di procurare un ingiusto profitto a taluno, pena il travolgimento del principio costituzionale della personalità della responsabilità penale;
e) che, in altri termini, pur non essendo necessario che l'amministratore formale si sia rappresentato ed abbia voluto gli specifici interventi da altri realizzati nella contabilità, è, nondimeno, necessario che l'abdicazione dagli obblighi da cui è gravato sia accompagnata dalla rappresentazione della significativa possibilità che i soggetti a cui ha consentito di gestire la società alterino fraudolentemente la contabilità, impedendo o rendendo più difficile agli organi fallimentari la ricostruzione del patrimonio e del volume d'affari della fallita, oppure la sottraggano agli organi fallimentari o la omettano in danno dei creditori o per un ingiusto profitto e, ciò nonostante, decida di non esercitare i suoi poteri-doveri di vigilanza e controllo per evitare che ciò accada;
f) che, pertanto, il giudice deve fornire adeguata motivazione circa la possibilità, non soltanto astratta e presunta, ma reale, della conoscenza, da parte del prestanome, dello stato delle scritture ovvero della loro preordinata omessa tenuta, in guisa tale da cagionare l'effetto di impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi di dolo specifico, di procurare un danno al ceto creditorio o un ingiusto profitto a taluno.
2. La sentenza integrale
Corte appello Napoli sez. III, 11/01/2024, (ud. 13/11/2021, dep. 11/01/2024), n.14250
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. In data 23.3.2021, il Tribunale di Napoli, in composizione collegiale, ha emesso sentenza con la quale - all'esito di giudizio ordinario - ha ritenuto D'A.Ni. responsabile del solo delitto di bancarotta fraudolenta documentale a lui ascritti e, ritenute sussistenti le circostanze attenuanti generiche, l'ha condannato alla pena di anni due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e alle pene accessorie dell'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e dell'incapacità a esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per tutta la durata della pena, concedendogli il beneficio della sospensione condizionale della pena.
1.1. Il primo Giudice, in particolare, ha accertato quanto segue.
La (...) operava nel settore delle costruzioni, lavorazioni e vendita, all'ingrosso e al dettaglio, di imballaggi, contenitori in legno e altro materiale, e D'A.Ni. al momento della dichiarazioni di fallimento era rappresentante legale della stessa. Il Giudice di primo grado, nello specifico, ha evidenziato che, per quanto concerne la bancarotta fraudolenta patrimoniale, vi fossero solidi elementi per ritenere che la gestione effettiva della società, le scelte produttive e soprattutto quella di cessare l'attività fossero imputabili unicamente al padre dell'imputato, D'A.Ro., nelle more deceduto, e, relativamente alla bancarotta fraudolenta documentale, che tale condotta fosse sicuramente attribuibile anche all'appellante, il quale non provvedeva alla consegna delle scritture contabili.
2. L'appellante, a mezzo del proprio difensore, ha proposto rituale atto di appello avverso la suddetta sentenza chiedendo i seguenti provvedimenti:
2.1. assoluzione dello stesso anche dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Il difensore, nello specifico, ha sostenuto che, nel caso di specie, titolari e gestori effettivi della società erano D'A.Ro. e D'A.Ge., rispettivamente padre e zio dell'imputato come dichiarato da tutti i testi escussi; che non era emersa l'effettiva disponibilità da parte dello stesso dei libri e delle scritture contabili, proprio in ragione della sua completa estraneità alla vita societaria, come dichiarato da tutti i testi escussi; che all'epoca depositario effettivo delle scritture contabili della società era (...), come dichiarato dal teste (...) della Guardia di Finanza, nei confronti del quale non è stato svolto alcun accertamento;
che l'attività della società cessava nel 2005-2006; e che l'imputato, nel corso del suo interrogatorio innanzi al curatore, riferiva tutto quanto era a sua conoscenza.
2.2. riqualificazione del reato di bancarotta documentale fraudolenta in quello di bancarotta documentale semplice, dal momento che si era trattato di un mero atteggiamento colposo da parte dell'amministratore di diritto;
2.3. concessione della circostanza attenuante di cui all'art. 114 c.p., per la minima partecipazione e il minimo contributo apportato e rideterminazione del trattamento sanzionatorio in termini prossimi al minimo edittale, tenuto conto dell'incensuratezza dell'appellante, dell'atteggiamento mostrato nel corso del processo e prima perché irreprensibile e volto alla più totale collaborazione nei rapporti con la curatela.
3. Nel giudizio di appello, all'udienza odierna, dopo la relazione della dr.ssa (...), le parti hanno illustrato le proprie conclusioni e il Collegio, all'esito della deliberazione in camera di consiglio, ha pronunciato e pubblicato la presente sentenza, mediante lettura del dispositivo, riservando in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione della presente sentenza, in considerazione del carico del proprio ruolo.
4. Venendo ai motivi di appello, questa Corte territoriale ritiene che gli stessi siano in parte fondati, per le considerazioni esposte di seguito.
4.1. Incominciando dai motivi di appello con i quali si chiede l'assoluzione dell'appellante dal reato di bancarotta fraudolenta documentale o, in via subordinata, la riqualificazione del reato di bancarotta documentale fraudolenta in quello di bancarotta documentale semplice, va, sin da subito, osservato che è fondato tale secondo motivo di appello.
In punto di fatto, va ricordato che il curatore ha dato atto di non aver potuto acquisire alcun documento contabile dal D'A.
Ciò posto, questa Corte non può che rilevare che risulta provata l'omessa tenuta delle scritture contabili.
Tale condotta, però, ad avviso della Corte, integra l'ipotesi meno grave di cui all'art. 217 L. Fall.
Va, sotto tale ultimo profilo, ricordato che la giurisprudenza della Suprema Corte, anche, di recente (cfr. Cass., Sez. 5, n. 15743 del 18/2/2023, Gualandri), ha ribadito:
a) che alle diverse configurazioni del dolo nelle due ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale non corrisponde una sostanziale diversificazione nell'onere probatorio per l'accusa, perché è pur sempre necessario escludere in entrambi i casi la rilevanza di un atteggiamento psicologico di mera superficialità dell'imprenditore fallito; b) che anche in relazione alla bancarotta documentale correlata alle modalità di tenuta delle scritture contabili, l'affermazione di responsabilità non può derivare dalla mera constatazione dello stato delle scritture contabili, da cui si faccia derivare la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, ma, al contrario, è necessario, con metodo inferenziale, chiarire dalle modalità della condotta contestata la ragione e gli elementi sulla base dei quali l'imputato abbia avuto coscienza e volontà di realizzare l'oggettiva impossibilità di ricostruire il patrimonio o il movimento degli affari e non, invece, di trascurare semplicemente la regolare tenuta delle scritture, senza valutare le conseguenze di tale condotta, considerato che, in tal caso, viene integrato l'atteggiamento psicologico del diverso e meno grave reato di bancarotta semplice, di cui all'art. 217, comma 2, L. Fall.; c) che non comporta alcun'automatismo l'approdo ermeneutico formatosi con riguardo all'amministratore che rivesta tale ruolo solo formalmente, secondo cui il prestanome degli effettivi gestori della società fallita risulta senza alcun dubbio il destinatario dell'obbligo relativo alla regolare tenuta e conservazione dei libri contabili, sancito dall'art. 2392 c.c., non essendo egli esonerato dal dovere di vigilanza sull'operato di soggetti terzi, eventualmente delegati, ai sensi dell'art. 40, comma 2, c.p.; d) che, infatti, non può affermarsi la responsabilità dolosa per condotte incriminate dalla legge fallimentare sulla base della mera carica ricoperta e dell'integrazione dell'elemento materiale del reato, come osservato anche da Cass., Sez. 5, n. 44666 del 4/11/2021, L.Po., che ha ribadito la necessità di dimostrare l'effettiva e concreta consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di procurare un ingiusto profitto a taluno, pena il travolgimento del principio costituzionale della personalità della responsabilità penale; e) che, in altri termini, pur non essendo necessario che l'amministratore formale si sia rappresentato ed abbia voluto gli specifici interventi da altri realizzati nella contabilità, è, nondimeno, necessario che l'abdicazione dagli obblighi da cui è gravato sia accompagnata dalla rappresentazione della significativa possibilità che i soggetti a cui ha consentito di gestire la società alterino fraudolentemente la contabilità, impedendo o rendendo più difficile agli organi fallimentari la ricostruzione del patrimonio e del volume d'affari della fallita, oppure la sottraggano agli organi fallimentari o la omettano in danno dei creditori o per un ingiusto profitto e, ciò nonostante, decida di non esercitare i suoi poteri-doveri di vigilanza e controllo per evitare che ciò accada; f) che, pertanto, il giudice deve fornire adeguata motivazione circa la possibilità, non soltanto astratta e presunta, ma reale, della conoscenza, da parte del prestanome, dello stato delle scritture ovvero della loro preordinata omessa tenuta, in guisa tale da cagionare l'effetto di impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi di dolo specifico, di procurare un danno al ceto creditorio o un ingiusto profitto a taluno. Tanto chiarito, nel caso di specie, per le considerazioni svolte in precedenza, non vi è dubbio che ricorra l'ipotesi di omessa tenuta delle scritture contabili. Non sono, però, emersi indici rilevatori dell'elemento soggettivo richiesto per configurare l'ipotesi fraudolenta, tenuto conto dell'assoluzione dell'imputato dall'accusa di bancarotta distratti va, per mancata consapevolezza dei disegni degli amministratori effettivi nelle more deceduti, della considerazione che il cenno alle intrinseche modalità attuative contenuto nella sentenza impugnata è del tutto assertivo e dell'ulteriore considerazione che l'omessa tenuta dei libri contabili, che rappresenta semplicemente un evento fenomenico dal cui verificarsi dipende l'integrazione dell'elemento oggettivo del reato, non risulta nella fattispecie concreta in esame accompagnata da circostanze di fatto ulteriori, in grado di illuminare la ratio del menzionato evento, alla luce della finalità di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto ovvero di recare pregiudizio ai creditori, tenuto anche conto che è emerso, di contro, che l'attività sociale è cessata nel 2006 e, quindi, per gran parte del periodo interessato dalle omissioni contabili, non vi è alcuna prova dello svolgimento di attività sociale, in particolare contratti o fatture riferibili al triennio precedente alla declaratoria di fallimento.
E, quindi, non si comprende come le inadempienze contabili dell'imputato possano essere state dettate dall'intenzione di attentare alle prerogative del ceto creditorio e della trasparenza del mercato, atteso che la situazione economica e patrimoniale della società appare essersi arrestata.
Sembra, pertanto, preferibile, per tutto quanto sinora argomentato, inquadrare la condotta tenuta dal D'A. in quella di bancarotta semplice ex art. 217, comma 2, L. Fall., in cui l'elemento soggettivo può essere indifferentemente costituito dal dolo o dalla colpa, ravvisabili quando l'agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili.
Così riqualificate la fattispecie di reato qui in esame, tuttavia, se ne deve riscontrare l'estinzione per intervenuta prescrizione.
Risulta decorso, infatti, il termine cosiddetto "massimo", pari, secondo quanto evincibile dal tenore degli artt. 157 e seguenti c.p. nella nuova formulazione, ad anni sette e mesi sei: infatti, considerato che l'illecito si consumava alla data di emissione della sentenza dichiarativa del fallimento risalente al 31.10.2013, pur tenendo conto delle sospensioni della prescrizione dal 17.4.2017 al 31.10.2017 per l'adesione dei difensori dell'imputato all'astensione dalle udienze proclamata dall'associazione di categoria e dal 17.3.2020 all'11.5.2020 per l'emergenza Covid, il relativo termine risulta comunque decorso.
Alla luce di quanto sinora esposto, non ricorrendo i presupposti per un'assoluzione nel merito, s'impone la declaratoria di estinzione del reato in contestazione, così come riqualificato, per intervenuta prescrizione. Restano, quindi, assorbiti gli ulteriori motivi di gravame.
P.Q.M.
Letto l'art. 605 c.p.p., in riforma della sentenza del Tribunale di Napoli emessa in data 23.3.2021 nei confronti di D'A.Ni. ed appellata dallo stesso, previa riqualificazione dei fatti ascritti allo stesso in quelli di cui all'art. 216 L. Fall., dichiara non doversi procedere nei confronti dello stesso in ordine al reato ascrittogli perché estinto per intervenuta prescrizione.
Indica in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione.
Così deciso in Napoli il 13 novembre 2021.
Depositata in Cancelleria l'11 gennaio 2024.