Responsabilità medica penale

Con la sentenza n. 30051/22, la Quarta Sezione della Suprema Corte ha affermato che in tema di colpa medica, lo specialista chiamato ad effettuare un esame diagnostico invasivo, prescritto dal medico di medicina generale, che comporti un ineliminabile quoziente di rischio per il paziente, deve preliminarmente procedere all'inquadramento anamnestico e clinico del paziente ed alla valutazione dell'adeguatezza dell'esame richiesto rispetto alle patologie sospettate, alle condizioni fisiche ed alla sintomatologia lamentata, nonché agli esiti di eventuali esami già svolti. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure l'affermazione di responsabilità del chirurgo endoscopista, per la morte della paziente, conseguente ad intervento di endoscopia intestinale, eseguito, su prescrizione del medico curante, su soggetto ultranovantenne con sintomatologia aspecifica di dolore continuo all'emiaddome destro, senza valutare la possibilità di un alternativo approfondimento diagnostico con metodiche meno invasive, più proporzionate al caso specifico e prive di rischi, quali ecografia addominale, tomografia computerizzata, risonanza magnetica, colon-tomografia, ricerca del sangue occulto nelle feci).
Di seguito si riporta il testo integrale della sentenza sopra richiamata.
Cassazione penale , sez. IV , 07/07/2022 , n. 30051
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Venezia, pronunciando sul gravame nel merito proposto dall'odierno ricorrente M.V., con sentenza del 12/10/2020 confermava la sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Rovigo che, in data 6/2/2019, all'esito di giudizio abbreviato, lo aveva condannato, operata la riduzione per il rito prescelto, alla pena -condizionalmente sospesa e con la non menzione - di otto mesi di reclusione in quanto riconosciutolo colpevole del reato p. e p. dall'art. 589 c.p. perché, in qualità di medico in servizio presso il Reparto di Chirurgia della Casa di Cura "(OMISSIS) di (OMISSIS), che in data 28/3/2017 eseguiva nei confronti della signora N.M., l'esame di colon-scopia con finalità diagnostica, a seguito della manifestazione di "dolore continuo emiaddome destro" per colpa generica consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, nonché per colpa specifica consistita nell'eseguire una colonscopia diagnostica non indicata secondo le linee guida, né proporzionata alla specificità del caso, tenuto conto della sintomatologia aspecifica lamentata (una persistente emiaddo-minalgia destra), dell'età avanzata della paziente (90 anni), delle comorbilità e dell'assenza di significative alterazioni cliniche (quali calo ponderale, anemia fer-ropriva, modificazioni dell'alvo, sanguinamenti gastroenterici, ecc.), omettendo di effettuare un preliminare approfondimento diagnostico mediante metodiche meno invasive, più proporzionate e prive di rischi (ricerca del sangue occulto nelle feci, ecografia, tomografia, computerizzata, risonanza magnetica, colontomografia), omettendo altresì di eseguire una adeguata preparazione intestinale al fine di non inficiare l'esame diagnostico, fondato sull'attenta visualizzazione della parete intestinale di cui si devono cogliere le eventuali micro e macro lesioni, e proseguendo l'indagine endoscopica anche dopo avere rilevato la presenza - immediatamente apprezzabile nella fase iniziale di introduzione dello strumento - di "scadentissima toilette intestinale" (per la presenza di materiale fecale), quale circostanza che rendeva prevedibile e concreta la difficoltà nella progressione dello strumento endoscopica e che rendeva necessario re-inviare l'indagine (qualora ritenuta opportuna) solo alì esito di adeguata "toilette", omettendo infine di adottare, dopo aver scelto di proseguire l'indagine, le maggiori cautele che si rendevano necessarie nelle fasi di manovra dell'endoscopio flessibile, determinando una lacerazione della parete-colica - in una sede priva di alterazioni anatomo-patologiche, di condizioni di fragilità ovvero di aree di minor resistenza parietale - per trauma provocato dall'errata manovra dell'endoscopio, cagionava la morte della predetta per "insufficienza multi organo, quale evento terminale di una rapida evoluzione di shock settico conseguente a "perforazione sigmoidea iatrogena" e conseguente "peritonite stercoracea diffusa" in soggetto "grande anziano", affetto da quadro di co-morbilità pluripatologica (corretto, invece, risulta essere stato l'approccio terapeutico - fondato sul posizionamento di sondino nasogastrico, terapia infusionale e somministrazione di ossigeno - dei Curanti dell'O.C. di (OMISSIS), dove alle ore 14.10 del 28.3.2017 la signora N. veniva trasferita d'urgenza e dove decedeva alle ore 22.35 dello stesso giorno). In (OMISSIS).
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, M.V., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
Con un primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata, sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, quanto alla ritenuta sussistenza del nesso causale, alla carenza del giudizio esplicativo, alla mancata effettuazione del giudizio di probabilità logico, al travisamento delle prove concernenti la potenzialità salvifica del concreto atto terapeutico.
Si lamenta, in particolare, la violazione dell'art. 40 c.p. l'erronea applicazione dei criteri di valutazione della prova di cui all'art. 192 c.p.p. e del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio di cui all'art. 533 c.p.p., la violazione del principio in dubio pro reo, la mancata valutazione della carenza/insufficienza/contraddittorietà della prova.
In premessa il ricorrente afferma che la sentenza impugnata sarebbe ingiusta ed errata, sotto molteplici profili, perché: a. sarebbe macroscopicamente appiattita sulla relazione dei consulente tecnico del PM, al pari della sentenza di primo grado, avendo inoltre omesso qualsiasi valida valutazionejconfutazione su quanto emerso in occasione dell'esame dell'imputato all'udienza del 6/2/2019, nonché sulle difese tecnico-scientifiche - oltre che su quelle giuridiche, conseguenti svolte nell'interesse del M., di segno radicalmente opposto; b. sarebbe vistosamente viziata da un inammissibile approccio ex post e basata su criteri interpretativi sostanzialmente civilistici, nell'ottica del "più probabile che non", violando le regole vigenti in materia di accertamento della responsabilità penale, come precisate dalla giurisprudenza, in particolare sul punto del nesso di causa; c. per giungere a siffatte conclusioni, la Corte del merito avrebbe travisato completamente il contenuto del referto operatorio redatto dal M. il 28 marzo 2017.
Per il ricorrente sarebbe inficiata l'intera motivazione, ictu oculi carente, illogica e contraddittoria, sul punto - decisivo - della (in)sussistenza del pur necessario nesso causale, oltre che della condotta omissiva colposa.
La sentenza impugnata risulterebbe solo apparentemente motivata, essendo inammissibilmente appiattita sulla consulenza tecnica operata per conto del Pubblico Ministero - al pari della sentenza di primo grado, che aveva ignorato ogni deduzione tecnica difensiva, laddove ci si duole che quella d'appello le abbia analizzate, solo per rigettarle contro ogni logica, scientifica e/o giuridica, limitandosi a negarne la fondatezza.
Per il ricorrente la consulenza della pubblica accusa e, quindi, le sentenze impugnate, a quella totalmente adesiva, sconterebbero un vistoso pregiudizio, derivante dal fatto che i consulenti provengono dalla sanità pubblica, ove il fenomeno - deteriore - della "medicina difensiva" è notoriamente endemico. E queste "radici culturali" avrebbero pesantemente condizionato anche la "scelta di campo" operata dai giudici.
Si legge in ricorso che della medicina difensiva - fenomeno censurato dalla letteratura scientifica - si rinviene nella letteratura statunitense la migliore e più diffusa definizione: "La medicina difensiva si verifica quando i medici ordinano test, procedure e visite, oppure evitano pazienti o procedure ad alto rischio, principalmente (ma non necessariamente) per ridurre la loro esposizione ad un giudizio di responsabilità per malpractice. Quando i medici prescrivono extra test o procedure per ridurre la loro esposizione ad un giudizio di responsabilità per malpractice, essi praticano una medicina difensiva positiva. Quando essi evitano certi pazienti o procedure, essi praticano una medicina difensiva negativa" (OTA, Office of Technology assessment, USA Congress).
Per il ricorrente, dalla sentenza impugnata trasparirebbe un pregiudizio nei confronti del medico endoscopista, la cui prima colpa sarebbe stata individuata nell'avere accettato il rischio di effettuare una colonscopia su di una paziente novantenne, con intervento sostanzialmente ambulatoriale, all'interno di una clinica privata: come se quest'intervento, eseguito in una struttura ospedaliera pubblica, non avesse le stesse criticità potenziali e non generasse il medesimo codice intervento, ai fini del rimborso da parte del servizio sanitario nazionale, avendo quindi il medesimo costo per la collettività,..
Ci si duole che la sentenza d'appello sia caratterizzata da un'impostazione "antagonistica", nel senso che sono state analizzate le singole censure dei motivi d'appello, per negarne la fondatezza, ribadendo integralmente quanto dedotto dai consulenti del Pubblico Ministero e recepito acriticamente dal primo giudice, ovvero che il M. aveva proceduto ad eseguire la colonscopia senza seguire le norme di prudenza, che avrebbero consigliato di ricorrere, previamente, ad esami meno invasivi e comunque di astenersi dall'eseguire l'esame e rinviarlo, una volta accertata una inadeguata preparazione intestinale. Questa, in sostanza, si ritiene essere la sintesi della motivazione di condanna, che per il ricorrente risponderebbe esattamente ai dettami della cd. medicina difensiva, tanto nella sua connotazione positiva (effettuazione di altri esami, ecc.), quanto in quella negativa (astensione dal procedere).