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L'associazione finalizzata al narcotraffico: Gli elementi costitutivi delineati dalla giurisprudenza

Secondo la giurisprudenza i dati sintomatici dell'associazione finalizzata al narcotraffico vanno individuati nell'esistenza di un accordo, anche solo di fatto, tra tre o più persone, connotato dalla cd. affectio societatis, in forza del quale tutti gli aderenti sono portati ad operare nel traffico degli stupefacenti, nella piena consapevolezza che le attività proprie ed altrui ricevano vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscano all'attuazione del programma criminale: ciò che ha rilevanza non è un accordo consacrato in atti di costituzione, iniziazione o in altre manifestazioni di formale adesione, ma l'esistenza, di fatto, della struttura prevista dalla legge, in cui si innesta il contributo apportato dal singolo nella prospettiva del perseguimento dello scopo comune (cfr., ex plurimis, Cass., sez. VI, n. 8046/1995; Cass., sez. I, n. 3133/1998).

La condotta punibile a titolo di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti non può ridursi ad un semplice accordo delle volontà, ma deve consistere in un quid pluris, che si sostanzia nella predisposizione di mezzi concretamente finalizzati alla commissione di delitti e in un contributo effettivo da parte dei singoli per il raggiungimento dello scopo illecito poichè solo nel momento in cui diviene operativa e permanente la struttura organizzativa si realizza la situazione antigiuridica che caratterizza il reato associativo, che rappresenta una minaccia grave per l'ordinamento, tanto da giustificare le singole incriminazioni con sanzioni penali più incisive. L'elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato, infatti, non solo nel carattere dell'accordo criminoso, avente ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti, e nella permanenza del vincolo associativo tra i partecipanti, che devono assicurare la propria disponibilità duratura ed indefinita nel tempo al perseguimento del programma criminoso del sodalizio, ma anche nell'esistenza di una organizzazione che consenta la realizzazione concreta dello stesso programma criminoso (Cass., sez. VI, 24 aprile 2018, n. 18055).


Secondo una pacifica linea interpretativa tracciata dalla Suprema Corte con riguardo all'identificazione del vincolo associativo, la condotta partecipativa si perfeziona con la conclusione di un accordo tra il singolo ed il gruppo, in forza del quale il primo si pone "a disposizione" del secondo, per una serie non predeterminata (nel numero) di contributi all'attività dell'associazione criminale, ed il secondo, attraverso la volontà e l'atteggiamento dei componenti o del ceto dirigente, riconosce il primo come risorsa strutturalmente acquisita (Cass., sez. VI, 16 aprile 2014, n. 37646).


Infatti, la forma libera del reato di partecipazione all'associazione criminosa (Cass., sez. V, 18 gennaio 2005 n. 17380, Sorce; Cass., sez. II, 17 gennaio 1997 n. 4976, Accardo; Cass., sez. I, 17 dicembre 1993 n. 2897, Di Brisco; Cass., sez. VI, 16 gennaio 1991 n. 403, Marin ed altri), compresa quella dedita al traffico di stupefacenti, ne comporta la configurabilità anche quando la condotta si esprime mediante la deduzione nell'accordo di un rapporto per sua natura sinallagmatico, giacché la contrapposizione tra i soggetti, tipica di questo schema contrattuale, resta superata e assorbita nel rapporto associativo per l'interesse preminente dei protagonisti dello scambio alla stabilità del rapporto, che assicura la certezza del contraente sia all'associazione, che trova nell'accordo la garanzia della disponibilità dell'acquirente della sostanza stupefacente commerciata, sia all'acquirente, che deriva dal rapporto associativo la certezza della fornitura. In conseguenza dell'accordo i singoli atti di acquisto divengono altrettanti reati-fine dell'associazione, laddove, in assenza dell'accordo, essi rimangono singole illecite operazioni di natura sinallagmatica (Cass., sez. VI, 2 luglio 2003, n. 36785, Risicato; Cass., sez. VI, 7 aprile 2003, n. 23798, Marrone; Cass., sez. VI, 18 marzo 2003, n. 17348, Salerno; Cass., sez. VI, 4 marzo 2002, n. 11389, Esposito; Cass., sez. V, 5 novembre 1997, n. 11899, Saletta; Cass., sez. VI, 19 novembre 2007, n. 1174, Stabile).


La fisionomia del reato non richiede che sia indeterminato l'oggetto delle prestazioni promesse, né che sia indeterminata la durata del rapporto, bastando che il contributo concordato non consista in una serie specifica e predefinita di singole condotte. Di contro, la reiterazione, anche serrata, di condotte illecite, che non dipenda da una pattuizione preliminare, e richieda dunque di volta in volta una deliberazione concorsuale tra l'agente ed i componenti del gruppo, resta priva di rilievo sul piano associativo (Cass., sez. 6, 3 dicembre 2013 - depositata 2014 - n. 7387, Rv. 258796).


Naturalmente, la conclusione di un patto con le caratteristiche sopra indicate segna la consumazione del reato associativo ed avvia la permanenza della condotta punibile. L'eventuale interruzione della medesima, per scelta di risoluzione dell'accordo da parte di uno o di tutti i contraenti, o per effetto di altre circostanze, non incide sulla rilevanza del delitto ormai consumato. Non esiste quindi, neppure dal punto di vista delle prove logiche desumibili dalle comuni regole di esperienza, una durata minima della condotta associativa: ciò che conta non è la protrazione nel tempo dei suoi effetti, ma la qualità del vincolo instaurato, con una risoluzione contestuale, ovvero attraverso comportamenti informali e progressivamente consolidati.


È dunque sufficiente, al fine della concretizzazione di tale particolare fattispecie criminosa, una struttura associativa che fornisca un supporto stabile e sicuro per le singole deliberazioni criminose e che consenta al sodalizio di operare validamente per un apprezzabile lasso di tempo, con la sussistenza contemporanea, altresì, di una effettiva ripartizione dei compiti tra i vari associati in relazione al programmato assetto criminoso da realizzare, con apporto di un apprezzabile contributo - stabile e non meramente episodico - di ciascuno degli associati (Cass, sez. VI, 12 maggio 1995, Mauriello; Cass., sez. I, 31 maggio 1995, Barchiesi; Cass., sez. VI, 8 maggio 1995, Valente; Cass., sez. V, 18 giugno 1997, Agreste; Cass., sez. VI, 21 gennaio 1997, Lipari). Detta forma organizzativa ben può essere dedotta dalla predisposizione di mezzi, anche semplici ed elementari, per il perseguimento del fine comune; mezzi che possono identificarsi, oltre che nel necessario apporto umano, in quelle forme di "copertura" necessarie per agevolare il traffico di droga (Cass., sez. VI, 7 marzo 1997, Ferraro; Cass., sez. V, 25 giugno 1997, Paone; Cass., sez. V, 22 ottobre 1997, Mauro, alla cui stregua: è sufficiente anche un'organizzazione minimale che consenta di rendere più efficiente la rete di mercato e più estesa la diffusione della droga).


Non è però necessaria ai fini dell'art. 74 dpr n. 309/1990, accanto alla specialità dei reati-fine, l'esistenza di una articolata e complessa organizzazione dotata di disponibilità finanziarie e strumentali per attuare un esteso commercio di stupefacenti, essendo sufficiente anche la semplice ed elementare predisposizione di mezzi, forniti pur occasionalmente da uno o più degli associati o compartecipi, sempre che gli stessi siano in concreto idonei a realizzare con i crismi della stabilità e permanenza temporali quel programma delinquenziale per cui il vincolo associativo è sorto (Cass., sez. VI, 24 aprile 1986 n. 11761, Arcamone, rv. 174138; Cass., sez. V, 5 novembre 1997 n. 11899, Saletta, rv. 209646; Cass., sez. VI, 6 novembre 2006 n. 41717, Geraci, rv. 235589). Deve convenirsi, allora, che non si frappongono ostacoli di natura giuridica o interpretativa perché si ritenga la ravvisabilità di una associazione criminosa dedita al narcotraffico, senza che la stessa - per il raggiungimento dei suoi illeciti fini (compravendite di sostanze stupefacenti) - debba assumere i connotati di una struttura gerarchica o piramidale con specifici ruoli direttivi di taluno dei consociati ovvero debba soggiacere ad una effettiva o dissimulata eterodirezione, quando si tratti di un piccolo sodalizio "collegato" (se non altro per assicurarsi stabili e consistenti forniture di droga da destinare alla rivendita) ad altri sodalizi delinquenziali operanti nel settore del traffico di stupefacenti (Cass., sez. I, 25 marzo 2003 n. 17027, Faci, rv. 224808).


Sotto il profilo teL.G.logico, inoltre, il particolare allarme sociale derivante in capo alla collettività dalla struttura associativa dedita al narcotraffico giustifica la previsione di una figura giuridica autonoma rispetto alla mera associazione per delinquere disciplinata dall'art. 416 c.p.: la figura di cui all'art. 74 dpr n. 309/1990 appare, infatti, contrassegnata, sul piano delle finalità repressive perseguite dall'ordinamento, dal pericolo per l'ordine pubblico per il cui concretizzarsi la legge non richiede, a differenza di quanto accade per l'accordo connotante il reato meramente plurisoggettivo, che i delitti per la commissione dei quali la societas sceleris è stata costituita vengano effettivamente realizzati (Cass., sez. VI, n. 9320/1995).


Sotto altro aspetto, nemmeno è ostativo al riconoscimento dello status di associato, il fatto che l'associato sia eventualmente detenuto anche quasi ininterrottamente, essendo pacifico, per giurisprudenza consolidata, che la restrizione intramuraria non determina la dissociazione dal vincolo associativo, giacché è notorio come, anche in costanza di detenzione, gli associati, con ordini scritti od orali o notizie inviate per il tramite dei colloqui con parenti o visitatori, continuino a partecipare alla vita associativa esterna e ad acquisire proseliti, con riti di affiliazione celebrati proprio intra moenia.


Circa la prova della commissione del delitto de quo, l'orientamento giurisprudenziale consolidato ritiene che la stessa vada desunta da una serie di episodi che, per quanto singolarmente non significativi, se complessivamente considerati, inducono a ritenere sussistente in concreto uno stabile vincolo associativo diretto alla realizzazione di una serie indeterminata di reati che connotano la fattispecie. Si tratta, in sostanza, di attribuire rilevanza a dei comportamenti concludenti dai quali sia possibile evincere che le singole intese dirette alla consumazione dei vari reati in materia di stupefacenti, indicati dal comma 1 dell'art. 74, costituiscono l'espressione di un più vasto piano delittuoso per perseguire il quale è stato creato il sodalizio. Stando alla casistica giurisprudenziale, tali facta concludentia possono consistere: nella predisposizione di forme organizzative, anche elementari, che attribuiscano ad ogni partecipante un ruolo, anche variabile; nell'esistenza di una rete di contatti continui tra gli spacciatori, mediante i quali si stabilisca, se del caso, anche una divisione territoriale delle aree di competenza; nell'effettuazione di continui viaggi per il rifornimento della sostanza stupefacente; nella disponibilità di basi logistiche e di mezzi materiali necessari per le operazioni delittuose (come, ad es., dei veicoli utilizzabili dai diversi sodali); nell'esistenza di una cassa comune e di specifiche forme di suddivisione dei proventi; nella sistematicità e serialità delle trattative all'interno del ciclo commerciale della droga; nel contenuto economico oltremodo rilevante delle transazioni; nella commissione di reati rientranti nel progetto delinquenziale e nelle loro specifiche modalità esecutive.


Deriva, dunque, che, onde ritenere realizzato il delitto-base punito dall'art. 74 d.p.r.n. 309/1990, da un lato, non occorre necessariamente accertare la commissione dei singoli reati-scopo (Cass., sez. VI, 21 gennaio 1997, n. 3277) e, dall'altro, la prova dell'attuazione di una o più delle condotte incriminate dalle norme richiamate dal comma 1 di tale articolo non può portare a considerare sussistente il delitto de quo, occorrendo la concreta dimostrazione dell'accordo criminoso e della struttura organizzativa. Tuttavia, l'eventuale commissione dei reati fine, oltre a poter agevolare la prova del delitto associativo, corrobora l'idea che, nella specie, si sia al cospetto di un'organizzazione avente un piano concreto di attività ed una risoluzione ben definita, ricorrendo, al contrario, una mera attività preparatoria, inidonea persino a costituire quel minimo richiesto dall'art. 56 c.p. per la punibilità del tentativo. In merito alla commissione del singolo reato scopo, poi, giova precisare che l'orientamento consolidato della Suprema Corte considera il delitto perfezionato in virtù della sola formazione del consenso sulla quantità e qualità della sostanza e sul prezzo, senza che occorra la concreta traditio della cosa o il pagamento del corrispettivo (Cass., sez. IV, n. 44183/2013).


Ciò posto, appare corretto desumere la sussistenza di una solida piattaforma probatoria relativa al reato di cui all'art. 74 d.p.r. n. 309/1990 anche dagli elementi relativi ai singoli reati-fine posti in essere da ciascuno degli imputati. Infatti, la Suprema Corte non ha mancato di ricordare che in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, nonostante l'autonomia del reato-mezzo, che può sussistere anche nel caso in cui il programma non sia attuato, quando vengono commessi delitti rientranti nel programma, "il giudice può legittimamente argomentare dalla loro commissione e dalle specifiche modalità esecutive per valutare la prova dell'associazione a delinquere" (in termini: Cass., sez. VI, 8 maggio 1995, Valente).


In definitiva, dunque, per giurisprudenza costante e consolidata, l'associazione finalizzata al narcotraffico è desumibile in via indiretta, da facta concludentia come la continuità e l'intensità dei rapporti tra i soggetti, l'interdipendenza delle rispettive condotte, la predisposizione di capitali e mezzi e la stessa efficienza dell'organizzazione, i delitti programmati ed effettivamente realizzati, le loro modalità esecutive, il contesto dell'azione, ecc. (cfr., ex plurimis, Cass., sez. VI, 24 settembre 1999, Tinnirello, ove si individuano tali indici rivelatori).


In altri termini, anche comportamenti reiterati (costituenti reati-fine) assumono il valore di un importante elemento indiziario da cui ricavare, per facta concludentia, la sussistenza del gruppo associativo (sulla possibilità di inferire l'esistenza del reato associativo dall'esame delle singole condotte o reati-fine: Cass., sez. V, 11 febbraio 2000, n. 1631, Bonavota, Rv. 216263; Cass., sez. VI, 21 luglio 1997, n. 1525, Pappalardo, Rv. 209105). Elemento che si aggiunge alla pluralità di persone coinvolte, alla divisione dei ruoli - fidi collaboratori del capo, fornitori, soggetti dediti agli approvvigionamenti, depositari delle sostanze, rete di distributori e spacciatori - la stretta sintonia degli agenti", nonché il più che sufficiente lasso di tempo monitorato.


Al riguardo va infatti osservato che se è vero che è configurabile l'ipotesi della partecipazione a una associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti anche nei confronti di colui che opera come acquirente stabilmente disponibile a ricevere le sostanze trattate dal sodalizio, dato che in tal modo è possibile che egli faciliti lo svolgimento dell'intera attività criminale e assicuri la concreta realizzazione del programma delittuoso garantendo il conseguimento del profitto (Cass., sez. VI, 8 maggio 2006, Esposito; Cass., sez. V, 5 novembre q997, Saletta), purtuttavia occorre che in tale condotta sia rinvenibile il paradigma oggettivo e soggettivo del reato associativo, e cioè che l'attività dell'acquirente sia posta in essere avvalendosi continuativamente delle risorse dell'organizzazione con la coscienza e volontà di farne parte e di contribuire al suo mantenimento, non potendosi automaticamente desumere tali caratteri da una serie di operazioni, ancorchè frequenti, di compravendita di sostanze stupefacenti tra le stesse persone (Cass., sez. VI, 7 aprile 2003, , Marrone). Ne consegue che l'utilizzazione di una struttura associativa finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, già organizzata e autonomamente funzionante, da parte di un soggetto che operi per suo conto e con propri mezzi, al solo fine dell'acquisto di partite di simili sostanze, non può di per sè configurare a carico del medesimo l'ipotesi di partecipazione all'associazione di cui all'art. 74 d.p.r. n. 309/1990 (Cass., sez. VI, 22 marzo 1996, Battistelli; Cass., sez. V, 17 marzo 1997, Beraj).


Per altro verso, non è affatto necessaria la prova della conoscenza, da parte dei singoli associati, di ogni aspetto dell'organizzazione criminale, o di un numero minimo dei suoi componenti, poiché - ferma restando ovviamente la necessità dell'interlocuzione con colui o coloro che possono esprimere la volontà del gruppo - è sufficiente la consapevolezza di avere prestato la propria adesione ad un patto criminale cui è sottesa una struttura organizzata (Cass., sez. VI, 16 febbraio 2012, n. 11733, Rv. 252232); così come, la partecipazione all'associazione criminosa non richiede la precisa conoscenza e, tanto meno, la deliberazione di tutte le attività che rientrano nel suo programma, di per sé indeterminato, essendo sufficiente la consapevolezza del partecipe della natura illecita di tali attività.


Egli infatti è responsabile dell'attività associativa che svolge e dei reati-fine alla cui deliberazione concorre, per cui, allorché l'associazione sia dedita al traffico di stupefacenti, il partecipe-acquirente stabile risponde del contributo dato in tale qualità alla vita e all'azione dell'associazione criminale, non occorrendo che egli concorra anche all'attività di importazione delle sostanze stupefacenti acquistate (Cass., sez. VI, 28 settembre 2007 n. 37115, P.M. in proc. Vicorito e altri; Cass., sez. VI, 15 novembre 2007 n. 3194, P.M. in proc. Saltalamacchia).


Da questa ricostruzione del modello associativo derivano ulteriori, pacifiche, indicazioni della giurisprudenza, secondo le quali, ad esempio, per la consumazione del reato non è necessaria la realizzazione effettiva dei contributi promessi, anche se, il più delle volte, la stabilità del vincolo è desunta proprio ed anche dalle condotte attuative (da ultimo, tra le molte, Cass., sez. IV, 28 gennaio 2014, n. 8092, Rv. 259129).


Al riguardo, invero, deve osservarsi che se è un dato pacifico che l'elemento oggettivo del reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti prescinde dal numero di volte in cui il singolo partecipante ha personalmente provveduto allo spaccio, per cui anche il coinvolgimento in un solo episodio di cessione di droga non è incompatibile con l'affermata partecipazione dell'agente all'organizzazione (Cass., sez. IV, 4 dicembre 2008, n. 45128, Rv. 241927), è pur vero che occorre un'adeguata motivazione sulla condotta di partecipazione dell'imputato al reato associativo e sul ruolo da lui stabilmente svolto all'interno dell'organizzazione (Cass., sez. VI, 13 febbraio 2008, n. 6867, Rv. 239670; Cass., sez. V, 22 ottobre 1997, n. 9457, Rv. 209073), tenendo conto del fatto che la partecipazione al reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti va desunta da una serie di condotte significative che, complessivamente valutate, denotino l'organico inserimento in una struttura criminosa (Cass., sez. VI, 21 agosto 2012, n. 32803).


Il vincolo associativo, infatti, può essere ravvisato quando l'attività del c.d. "grossista" sia realizzata avvalendosi consapevolmente delle risorse dell'organizzazione, e con la coscienza di farne parte, ma deve escludersi che possa essere desunto automaticamente da una serie di operazioni, anche frequenti, di compravendita delle sostanze illecite concluse tra le stesse persone, in quanto è necessario che gli acquirenti agiscano con la volontà e consapevolezza di operare in qualità di aderenti ad una organizzazione criminale e nell'interesse della stessa (Cass., sez. VI, 29 maggio 2003, n. 23798, Rv. 225682; Cass., sez. VI, 26 novembre 2008, n. 44102), dovendo siffatte condotte, per le loro connotazioni, essere in grado di atT.S.re, al di là di ogni ragionevole dubbio e secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico della persona, funzionale all'associazione e alle sue dinamiche operative e di crescita criminale (Cass., sez. VI, 26 novembre 2008, n. 44102, Rv. 242397).


Inoltre, per poter sussumere la fattispecie concreta all'interno delle incriminazioni associative di cui all'art. 74 d.p.r. n. 309/1990, occorre fugare ogni dubbio sul discrimen tra tali delitti necessariamente plurisoggettivi propri ed il mero concorso eventuale ai sensi dell'art. 110 c.p. nella commissione di una pluralità di reati di produzione, traffico e detenzione illeciti di stupefacenti, ovvero di commercializzazione illegale di precursori di droghe, magari avvinti dal nesso della continuazione ai sensi del capoverso dell'art. 81 c.p.. Notevole è, infatti, la differenza sotto il profilo sanzionatorio, atteso che il legislatore ha ritenuto la semplice esistenza di un'associazione, avente pur sempre un fine criminoso, idonea a suscitare un'apprezzabile pericolo per la salute, l'ordine e la sicurezza pubblici, tale da determinare un giudizio di disapprovazione a prescindere dalla commissione dei reati scopo.


Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass., sez. VI , 21 gennaio 1997 n. 3277; Cass., sez. V, 5 novembre 1997, n. 11899; Cass., sez. VI, 13 dicembre 2000, n. 10781), il criterio distintivo è rappresentato dal carattere dell'accordo criminoso che sorregge le attività dei concorrenti necessari od eventuali. In particolare, nel delitto associativo occorre una struttura organizzativa, sia pure rudimentale, imperniata attorno ad un pactum sceleris avente ad oggetto la consumazione di una serie indeterminata di reati, in guisa che gli associati restino vincolati al di là e a prescindere dal perfezionamento dei singoli reati fine. In questo caso, gli atti di detenzione o commercio posti in essere dai singoli costituiscono elementi meramente accidentali della partecipazione al sodalizio, il quale già presenta una vitalità operativa ex se. Nel concorso eventuale ex art. 110 c.p., invece, l'accordo presenta il connotato dell'occasionalità, essendo strumentale al compimento unicamente di uno o più reati determinati, la cui realizzazione, indispensabile, almeno sotto la forma di un tentativo punibile, onde escludere l'applicazione dell'art. 115 c.p., comporta la rottura del legame criminogeno tra i concorrenti. Qui, da un lato, il contributo dei correi è affetto da un carattere meramente episodico e, dall'altro, l'eventuale reiterazione delle condotte illecite necessiterà, di volta in volta, un'apposita deliberazione tra l'agente ed i collaboratori.


Alla luce di ciò, allora, non è scorretto sostenere che la partita venga giocata prevalentemente in ordine all'elemento soggettivo. Invero, come visto in precedenza, il delitto associativo base previsto e punito dall'art. 74 d.p.r. n. 309/1990 richiede in capo al concorrente necessario la coscienza e volontà di partecipare e contribuire effettivamente alla stabilità e permanenza della struttura organizzativa, nonché alla realizzazione dei reati-fine programmati.


Il singolo intende porsi stabilmente a disposizione del gruppo criminoso, conoscendo e servendosi dei suoi profili essenziali, mentre quest'ultimo, a sua volta, riconosce il primo come intraneo, sfruttandolo (Cass., sez. I, 27 gennaio 2010, n. 6312).


Nel concorso eventuale, invece, il correo non assume un ruolo funzionale alle dinamiche operative di un ente precostituito (Cass., sez. VI, 7 aprile 2011, n. 16563), né reca un concreto ausilio all'attuazione di un manifesto delinquenziale perseguito da una struttura stabile di soggetti e mezzi, bensì contribuisce alla realizzazione di uno o più delitti ben individuati, ragion per cui la responsabilità penale non può andare oltre gli stessi.


Giova, infine, sottolineare che, poiché le fattispecie delittuose dell'art. 74 d.p.r. n. 309/1990 non richiedono che gli associati agiscano per perseguire i medesimi motivi, interessi od utilità personali, non può optarsi per la qualificazione di un concorso eventuale ex art. 110 c.p. per il solo fatto che i singoli mirino, con le loro condotte criminose, a soddisfare scopi differenti, come nel caso di ripetute operazioni economiche tra il fornitore dello stupefacente e l'acquirente che lo riceve per immetterlo al consumo (Cass., sez. V, n. 11899/1997).


Sicché, l'elemento aggiuntivo e distintivo del reato associativo rispetto alla contigua fattispecie del concorso di persone nel reato continuato (di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti) risiede nel carattere dell'accordo criminoso che contempla la commissione di una serie non previamente determinata di delitti, con permanenza del vincolo associativo tra i partecipanti che, anche al di fuori dell'effettiva commissione dei singoli reati programmati, assicurano la propria disponibilità duratura e indefinita nel tempo al perseguimento del programma criminoso proprio del sodalizio (Cass., sez. V, 4 ottobre 2004, n. 42635, Collodo ed altri, rv. 229906).


Ai fini della configurabilità di un'associazione finalizzata al narcotraffico, è dunque necessario: --a) che almeno tre persone siano tra loro vincolate da un patto associativo (sorto anche in modo informale e non contestuale) avente ad oggetto un programma criminoso nel settore degli stupefacenti, da realizzare attraverso il coordinamento degli apporti personali; --b) che il sodalizio abbia a disposizione, con sufficiente stabilità, risorse umane e materiali adeguate per una credibile attuazione del programma associativo; --c) che ciascun associato, sia a conoscenza, quanto meno, dei tratti essenziali del sodalizio, e si metta stabilmente a disposizione di quest'ultimo (Cass., sez. VI, 17 febbraio 2014, n. 7387, Pompei, rv. 258796).


Sotto altro aspetto, la Corte di Cassazione riconosce pacificamente la configurabilità di un concorso formale tra il delitto di cui all'art. 416 bis c.p. e quello di cui all'art. 74 dpr n. 309/1990 (Cass., sez. VI, 29 ottobre 2015, n. 563, Viscido, in C.E.D. Cass., n. 265762; Cass., sez. VI, 30 ottobre 2013, n. 46301, P.M. in proc. Corso, in C.E.D. Cass., n. 258163; Cass., sez. I, 21 gennaio 2010, n. 17702, Di Lauro, in C.E.D. Cass., n. 247059; Cass., Sez. U., 25 settembre 2008, n. 1149, Magistris; Cass., sez. IV, 29 gennaio 2008, n. 12349, Angioletti;Cass., sez. II, 16 marzo 2005, n. 21956, Laraspata, in C.E.D. Cass., n. 231972; Cass., sez. I, 20 dicembre 2004, n. 2612, P.M. in proc. Tomasi, in C.E.D. Cass., n. 230450; Cass., sez. V, 29 novembre 1999, n. 5791, Aparo, in C.E.D. Cass., n. 215257).


E ciò sulla base di due fondamentali ragioni. La prima è che ci si trova di fronte a due disposizioni che, da un punto di vista strutturale, si trovano in un rapporto di specialità reciproca, circostanza che, secondo il costante orientamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte, esclude l'applicabilità dell'art. 15 del codice penale e, quindi, la prevalenza di una delle due disposizioni sull'altra (da ultimo, sul punto, si è pronunciata Cass., Sez. U., 23 febbraio 2017, n. 20664, Stalla).


Trattasi del resto di considerazione ineccepibile se si procede ad un confronto logico-strutturale tra le due norme. Non può in effetti non riconoscersi al riguardo come il reato di cui all'art. 416 bis c.p. contenga l'elemento specializzante del metodo mafioso rispetto all'associazione prevista dall'art. 74 del d.p.r. 309/1990, mentre quest'ultima disposizione preveda, rispetto alla prima, quello relativo alla particolare natura (chiusa) dei reati-fine del sodalizio criminale, che devono essere necessariamente quelli previsti dallo stesso Testo Unico sugli stupefacenti.


La seconda argomentazione fa invece leva sulla parziale diversità delle oggettività giuridiche delle due disposizioni, essendo nel primo caso tutelato l'ordine pubblico messo in pericolo dalle situazioni di assoggettamento e omertà derivanti dalla forza di intimidazione dell'organizzazione criminale mafiosa, mentre nel caso dell'associazione fi-nalizzata al traffico di stupefacenti accanto a siffatto bene - comune a tutte le fattispecie associative - a rilevare è altresì la protezione della salute individuale e collettiva, minacciata dalla diffusione di droghe e sostanze psicotrope.


Sicché la giurisprudenza di legittimità, se riconosce senza incertezze la possibilità del concorso tra associazione dedita al narcotraffico di cui all'art. 74 D.P.R. n. 309/1990 e l'associazione di cui all'art. 416 bis c.p., valorizzando la parziale diversità dei beni giuridici protetti, in un caso l'ordine pubblico e nell'altro anche la salute individuale e collettiva (Cass., Sez. U., 25 settembre 2009 - depositata 2009 - n. 1149, rv. 241883; più di recente Cass., sez. VI,30 ottobre 2013, n. 46301 , Corso, rv. 258163; Cass., sez. VI, 27 agosto 2014, n. 36198), ha più volte precisato che ricorre esclusivamente l'associazione di cui all'art. 74 D.P.R. n. 309/1990 se il sodalizio nasce e si sviluppa solo allo scopo di operare nel settore degli stupefacenti (Cass., sez. U. n. 1149/2013, Corso) e che non è sufficiente al fine di poter ravvisare anche un'associazione ex art. 416 bis c.p., il semplice utilizzo del metodo mafioso che prescinde dall'esistenza di un'associazione siffatta e si risolve nel ricorso ad azioni caratterizzate da violenza o minaccia che richiamino alla mente e alla sensibilità del soggetto passivo la forza intimidatrice tipicamente mafiosa del vincolo associativo (Cass., sez. II, 25 marzo 2015, n. 16053, rv.263525).


A ben guardare, l'elemento che vale a caratterizzare l'associazione di tipo mafioso rispetto all'associazione dedita al narcotraffico, in presenza del quale può semmai configurarsi il concorso, non è tanto il fine di commettere altri reati, quanto il profilo programmatico dell'utilizzo del metodo, che nell'associazione di cui all'art. 416 bis c.p. ha una portata non limitata al narcotraffico ma si proietta essenzialmente sull'imposizione di una sfera di dominio, nella quale si inserisce la commissione di delitti, l'acquisizione della gestione di attività economiche, di concessioni, appalti e servizi pubblici, la realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti, l'impedimento o l'ostacolo del libero esercizio del voto, il procacciamento del voto in consultazioni elettorali.


Tale sfera di dominio non deve necessariamente risolversi nel controllo di una determinata area territoriale (Cass., sez. VI, 10 aprile 2015, n. 24535, rv. 264126): tuttavia essa assume il massimo rilievo quando il significato egemonico si proietta su un ambito territoriale.


È dunque la prospettiva egemonica che delinea l'ulteriore connotazione di un'associazione non semplicemente dedita al narcotraffico, prospettiva nella quale i reati programmaticamente considerati assumono il valore di segmenti rivolti al conseguimento e alla conservazione di una posizione dominante, riconoscibile in un determinato contesto.


Una struttura associativa può dunque integrare l'ipotesi di reato di cui all'art. 74 D.P.R. n. 309/1990 allorché il programma operativo contempli reati inerenti al narcotraffico, ma può integrare anche il delitto di cui all'art. 416 bis c.p. allorché la struttura si prefigga di assumere in un determinato contesto una posizione dominante e riconoscibile, propiziata dal metodo mafioso, in modo da potersi assicurare tramite azioni illecite vantaggi rientranti tra quelli inclusi nella fattispecie legale.


Nel delineare poi i requisiti (oggettivi e soggettivi) di partecipazione a entrambe le associazioni in questione, peraltro, la Cassazione ha offerto ulteriori spunti. In alcune decisioni, ad esempio, si afferma che laddove un soggetto inserito in un de-terminato contesto criminale si occupi esclusivamente del traffico di sostanze stupefacenti, affinché egli risponda non solo dell'illecito associativo di cui all'art. 74 del T.U. in materia di stupefacenti, ma anche del reato di associazione di stampo mafioso, è sufficiente la mera consapevolezza che il traffico di sostanze psicotrope è gestito dall'associazione mafiosa, in quanto ciò contribuirebbe causalmente alla realizzazione di una delle finalità tipiche del predetto sodalizio (Cass., sez. II, 22 maggio 2012, n. 36692, Abbrescia, in C.E.D. Cass., n. 253892; in senso conforme si veda anche Cass., sez. VI, 23 ottobre 2009, n. 4651).

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