Secondo la giurisprudenza i dati sintomatici dell'associazione finalizzata al narcotraffico vanno individuati nell'esistenza di un accordo, anche solo di fatto, tra tre o più persone, connotato dalla cd. affectio societatis, in forza del quale tutti gli aderenti sono portati ad operare nel traffico degli stupefacenti, nella piena consapevolezza che le attività proprie ed altrui ricevano vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscano all'attuazione del programma criminale: ciò che ha rilevanza non è un accordo consacrato in atti di costituzione, iniziazione o in altre manifestazioni di formale adesione, ma l'esistenza, di fatto, della struttura prevista dalla legge, in cui si innesta il contributo apportato dal singolo nella prospettiva del perseguimento dello scopo comune (cfr., ex plurimis, Cass., sez. VI, n. 8046/1995; Cass., sez. I, n. 3133/1998).

La condotta punibile a titolo di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti non può ridursi ad un semplice accordo delle volontà, ma deve consistere in un quid pluris, che si sostanzia nella predisposizione di mezzi concretamente finalizzati alla commissione di delitti e in un contributo effettivo da parte dei singoli per il raggiungimento dello scopo illecito poichè solo nel momento in cui diviene operativa e permanente la struttura organizzativa si realizza la situazione antigiuridica che caratterizza il reato associativo, che rappresenta una minaccia grave per l'ordinamento, tanto da giustificare le singole incriminazioni con sanzioni penali più incisive. L'elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato, infatti, non solo nel carattere dell'accordo criminoso, avente ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti, e nella permanenza del vincolo associativo tra i partecipanti, che devono assicurare la propria disponibilità duratura ed indefinita nel tempo al perseguimento del programma criminoso del sodalizio, ma anche nell'esistenza di una organizzazione che consenta la realizzazione concreta dello stesso programma criminoso (Cass., sez. VI, 24 aprile 2018, n. 18055).
Secondo una pacifica linea interpretativa tracciata dalla Suprema Corte con riguardo all'identificazione del vincolo associativo, la condotta partecipativa si perfeziona con la conclusione di un accordo tra il singolo ed il gruppo, in forza del quale il primo si pone "a disposizione" del secondo, per una serie non predeterminata (nel numero) di contributi all'attività dell'associazione criminale, ed il secondo, attraverso la volontà e l'atteggiamento dei componenti o del ceto dirigente, riconosce il primo come risorsa strutturalmente acquisita (Cass., sez. VI, 16 aprile 2014, n. 37646).
Infatti, la forma libera del reato di partecipazione all'associazione criminosa (Cass., sez. V, 18 gennaio 2005 n. 17380, Sorce; Cass., sez. II, 17 gennaio 1997 n. 4976, Accardo; Cass., sez. I, 17 dicembre 1993 n. 2897, Di Brisco; Cass., sez. VI, 16 gennaio 1991 n. 403, Marin ed altri), compresa quella dedita al traffico di stupefacenti, ne comporta la configurabilità anche quando la condotta si esprime mediante la deduzione nell'accordo di un rapporto per sua natura sinallagmatico, giacché la contrapposizione tra i soggetti, tipica di questo schema contrattuale, resta superata e assorbita nel rapporto associativo per l'interesse preminente dei protagonisti dello scambio alla stabilità del rapporto, che assicura la certezza del contraente sia all'associazione, che trova nell'accordo la garanzia della disponibilità dell'acquirente della sostanza stupefacente commerciata, sia all'acquirente, che deriva dal rapporto associativo la certezza della fornitura. In conseguenza dell'accordo i singoli atti di acquisto divengono altrettanti reati-fine dell'associazione, laddove, in assenza dell'accordo, essi rimangono singole illecite operazioni di natura sinallagmatica (Cass., sez. VI, 2 luglio 2003, n. 36785, Risicato; Cass., sez. VI, 7 aprile 2003, n. 23798, Marrone; Cass., sez. VI, 18 marzo 2003, n. 17348, Salerno; Cass., sez. VI, 4 marzo 2002, n. 11389, Esposito; Cass., sez. V, 5 novembre 1997, n. 11899, Saletta; Cass., sez. VI, 19 novembre 2007, n. 1174, Stabile).
La fisionomia del reato non richiede che sia indeterminato l'oggetto delle prestazioni promesse, né che sia indeterminata la durata del rapporto, bastando che il contributo concordato non consista in una serie specifica e predefinita di singole condotte. Di contro, la reiterazione, anche serrata, di condotte illecite, che non dipenda da una pattuizione preliminare, e richieda dunque di volta in volta una deliberazione concorsuale tra l'agente ed i componenti del gruppo, resta priva di rilievo sul piano associativo (Cass., sez. 6, 3 dicembre 2013 - depositata 2014 - n. 7387, Rv. 258796).
Naturalmente, la conclusione di un patto con le caratteristiche sopra indicate segna la consumazione del reato associativo ed avvia la permanenza della condotta punibile. L'eventuale interruzione della medesima, per scelta di risoluzione dell'accordo da parte di uno o di tutti i contraenti, o per effetto di altre circostanze, non incide sulla rilevanza del delitto ormai consumato. Non esiste quindi, neppure dal punto di vista delle prove logiche desumibili dalle comuni regole di esperienza, una durata minima della condotta associativa: ciò che conta non è la protrazione nel tempo dei suoi effetti, ma la qualità del vincolo instaurato, con una risoluzione contestuale, ovvero attraverso comportamenti informali e progressivamente consolidati.
È dunque sufficiente, al fine della concretizzazione di tale particolare fattispecie criminosa, una struttura associativa che fornisca un supporto stabile e sicuro per le singole deliberazioni criminose e che consenta al sodalizio di operare validamente per un apprezzabile lasso di tempo, con la sussistenza contemporanea, altresì, di una effettiva ripartizione dei compiti tra i vari associati in relazione al programmato assetto criminoso da realizzare, con apporto di un apprezzabile contributo - stabile e non meramente episodico - di ciascuno degli associati (Cass, sez. VI, 12 maggio 1995, Mauriello; Cass., sez. I, 31 maggio 1995, Barchiesi; Cass., sez. VI, 8 maggio 1995, Valente; Cass., sez. V, 18 giugno 1997, Agreste; Cass., sez. VI, 21 gennaio 1997, Lipari). Detta forma organizzativa ben può essere dedotta dalla predisposizione di mezzi, anche semplici ed elementari, per il perseguimento del fine comune; mezzi che possono identificarsi, oltre che nel necessario apporto umano, in quelle forme di "copertura" necessarie per agevolare il traffico di droga (Cass., sez. VI, 7 marzo 1997, Ferraro; Cass., sez. V, 25 giugno 1997, Paone; Cass., sez. V, 22 ottobre 1997, Mauro, alla cui stregua: è sufficiente anche un'organizzazione minimale che consenta di rendere più efficiente la rete di mercato e più estesa la diffusione della droga).
Non è però necessaria ai fini dell'art. 74 dpr n. 309/1990, accanto alla specialità dei reati-fine, l'esistenza di una articolata e complessa organizzazione dotata di disponibilità finanziarie e strumentali per attuare un esteso commercio di stupefacenti, essendo sufficiente anche la semplice ed elementare predisposizione di mezzi, forniti pur occasionalmente da uno o più degli associati o compartecipi, sempre che gli stessi siano in concreto idonei a realizzare con i crismi della stabilità e permanenza temporali quel programma delinquenziale per cui il vincolo associativo è sorto (Cass., sez. VI, 24 aprile 1986 n. 11761, Arcamone, rv. 174138; Cass., sez. V, 5 novembre 1997 n. 11899, Saletta, rv. 209646; Cass., sez. VI, 6 novembre 2006 n. 41717, Geraci, rv. 235589). Deve convenirsi, allora, che non si frappongono ostacoli di natura giuridica o interpretativa perché si ritenga la ravvisabilità di una associazione criminosa dedita al narcotraffico, senza che la stessa - per il raggiungimento dei suoi illeciti fini (compravendite di sostanze stupefacenti) - debba assumere i connotati di una struttura gerarchica o piramidale con specifici ruoli direttivi di taluno dei consociati ovvero debba soggiacere ad una effettiva o dissimulata eterodirezione, quando si tratti di un piccolo sodalizio "collegato" (se non altro per assicurarsi stabili e consistenti forniture di droga da destinare alla rivendita) ad altri sodalizi delinquenziali operanti nel settore del traffico di stupefacenti (Cass., sez. I, 25 marzo 2003 n. 17027, Faci, rv. 224808).
Sotto il profilo teL.G.logico, inoltre, il particolare allarme sociale derivante in capo alla collettività dalla struttura associativa dedita al narcotraffico giustifica la previsione di una figura giuridica autonoma rispetto alla mera associazione per delinquere disciplinata dall'art. 416 c.p.: la figura di cui all'art. 74 dpr n. 309/1990 appare, infatti, contrassegnata, sul piano delle finalità repressive perseguite dall'ordinamento, dal pericolo per l'ordine pubblico per il cui concretizzarsi la legge non richiede, a differenza di quanto accade per l'accordo connotante il reato meramente plurisoggettivo, che i delitti per la commissione dei quali la societas sceleris è stata costituita vengano effettivamente realizzati (Cass., sez. VI, n. 9320/1995).
Sotto altro aspetto, nemmeno è ostativo al riconoscimento dello status di associato, il fatto che l'associato sia eventualmente detenuto anche quasi ininterrottamente, essendo pacifico, per giurisprudenza consolidata, che la restrizione intramuraria non determina la dissociazione dal vincolo associativo, giacché è notorio come, anche in costanza di detenzione, gli associati, con ordini scritti od orali o notizie inviate per il tramite dei colloqui con parenti o visitatori, continuino a partecipare alla vita associativa esterna e ad acquisire proseliti, con riti di affiliazione celebrati proprio intra moenia.
Circa la prova della commissione del delitto de quo, l'orientamento giurisprudenziale consolidato ritiene che la stessa vada desunta da una serie di episodi che, per quanto singolarmente non significativi, se complessivamente considerati, inducono a ritenere sussistente in concreto uno stabile vincolo associativo diretto alla realizzazione di una serie indeterminata di reati che connotano la fattispecie. Si tratta, in sostanza, di attribuire rilevanza a dei comportamenti concludenti dai quali sia possibile evincere che le singole intese dirette alla consumazione dei vari reati in materia di stupefacenti, indicati dal comma 1 dell'art. 74, costituiscono l'espressione di un più vasto piano delittuoso per perseguire il quale è stato creato il sodalizio. Stando alla casistica giurisprudenziale, tali facta concludentia possono consistere: nella predisposizione di forme organizzative, anche elementari, che attribuiscano ad ogni partecipante un ruolo, anche variabile; nell'esistenza di una rete di contatti continui tra gli spacciatori, mediante i quali si stabilisca, se del caso, anche una divisione territoriale delle aree di competenza; nell'effettuazione di continui viaggi per il rifornimento della sostanza stupefacente; nella disponibilità di basi logistiche e di mezzi materiali necessari per le operazioni delittuose (come, ad es., dei veicoli utilizzabili dai diversi sodali); nell'esistenza di una cassa comune e di specifiche forme di suddivisione dei proventi; nella sistematicità e serialità delle trattative all'interno del ciclo commerciale della droga; nel contenuto economico oltremodo rilevante delle transazioni; nella commissione di reati rientranti nel progetto delinquenziale e nelle loro specifiche modalità esecutive.
Deriva, dunque, che, onde ritenere realizzato il delitto-base punito dall'art. 74 d.p.r.n. 309/1990, da un lato, non occorre necessariamente accertare la commissione dei singoli reati-scopo (Cass., sez. VI, 21 gennaio 1997, n. 3277) e, dall'altro, la prova dell'attuazione di una o più dell