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Stupefacenti: per quantitativo si intende l'intero e non la parte destinata al singolo concorrente


Stupefacenti: per quantitativo si intende l'intero e non la parte destinata al singolo concorrente

Con la sentenza n.7898 del 7 febbraio 2023, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso presentato da un imputato condannato per il delitto ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4.

La difesa contestava la decisione della Corte di Appello nella parte in cui non aveva riconosciuto all'imputato il più mite trattamento sanzionatorio previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

In particolare, il difensore dell'imputato sosteneva che l'acquisto della sostanza stupefacente era avvenuto per solo uso personale, risultando dalle dichiarazioni rese dagli altri coimputati nel corso dell'istruzione dibattimentale, che la sostanza rinvenuta era "stata divisa per tre".

Pertanto, ad avviso della difesa, l'individuazione del quantitativo andava effettuata tenendo conto solo della parte di sostanza stupefacente destinata all'imputato (e non di quella complessiva).

La Suprema Corte ha ritenuto infondato il motivo ed ha chiarito che in caso di detenzione congiunta di un certo quantitativo di sostanza stupefacente, ciascuno deve rispondere della detenzione dell'intero e non soltanto della parte a lui destinata di tale quantitativo, essendo tutti concorrenti, ex art. 110 c.p., nell'unico reato.


Cassazione penale sez. III, 07/02/2023, (ud. 07/02/2023, dep. 23/02/2023), n.7898

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza del 14 marzo 2022 la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della condanna inflitta a M.A. il 7 luglio 2021 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Patti, per il delitto ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4, commesso in concorso con C.G. e S.O. in (Omissis), ha rideterminato la pena inflitta in 1 anno e 4 mesi di reclusione e Euro 4.000,00 di multa, confermando nel resto le statuizioni della sentenza di primo grado fra cui la sospensione condizionale della pena.


Il ricorrente è stato condannato per due condotte; la prima concerne 155 grammi di hashish, appena ricevuti da un corriere nell'abitazione di C.G., in cui era presente il ricorrente insieme a S.O. (materialmente ricevuti da quest'ultimo che firmò il pacco per la ricezione; la seconda la detenzione di 147,5 grammi di hashish, suddivisi in 6 pezzi, e di 16,1 grammi di hashish, già confezionati, rinvenuti, invece, in una parete attrezzata del soggiorno dell'abitazione di C.G..


2. Avverso tale sentenza il difensore dell'imputato ha proposto cinque motivi di ricorso.


2.1. Con il primo motivo si deduce la mancanza della motivazione sulla riconducibilità all'imputato di tutti i fatti ascritti nel capo di imputazione ed in particolare della detenzione della sostanza stupefacente rinvenuta nella parete attrezzata sarebbe contraddittoria. La Corte di appello, pur in assenza di prova sulla responsabilità per tale detenzione, avrebbe affermato di dubitare del coinvolgimento del ricorrente in detta detenzione e non si sarebbe, in concreto, pronunciata; invece, avrebbe dovuto dichiarare l'estraneità del ricorrente nella detenzione dell'hashish rinvenuto dietro la parete attrezzata.


2.2. Con il secondo motivo si deduce la mancanza della motivazione sul motivo di appello con cui si contestò la corretta applicazione dei criteri di valutazione dell'attendibilità intrinseca ed estrinseca dei concorrenti nel reato, ex art. 192 c.p.p., comma 3.


La Corte territoriale non avrebbe neanche effettuato la valutazione dell'attendibilità dei dichiaranti, anche ricercando riscontri oggettivi, né motivato perché tali dichiarazioni siano caratterizzate da indipendenza e specificità e siano idonee a provare la responsabilità del ricorrente; avrebbe ritenuto esistenti delle discordanze nelle dichiarazioni ma si sarebbe limitata ad affermare - al fine di superare la presunzione d'inattendibilità ex art. 192 c.p.p., comma 3, - che le dichiarazioni contro il ricorrente proverrebbero "da parte di amici che, in quanto tali, non avrebbero alcun motivo di incolparlo falsamente".


La Corte di appello non avrebbe indagato né sull'assenza della finalità di calunnia, né sull'utilità del coinvolgimento del ricorrente per i coimputati che hanno così beneficiato di una minore gravità del fatto e della pena, definendo il processo ex art. 444 c.p.p..


2.3. Con il terzo motivo si deduce ex art. 606 c.p.p., lett. b), la violazione dell'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4; la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere mendaci le dichiarazioni rese dai due concorrenti, o quanto meno non credibili, non genuine e non disinteressate e divergenti ed assolvere il ricorrente. La stessa Corte di appello le avrebbe ritenute "discordanti" e contraddittorie.


Come già indicato nel motivo precedente, la Corte territoriale non avrebbe valutato che le dichiarazioni accusatorie sarebbero state rese solo per ottenere il più mite trattamento sanzionatorio di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, suddividendo per un ulteriore concorrente il quantitativo di sostanza stupefacente rinvenuto.


Tale tesi sarebbe confermata da riscontri oggettivi, che sarebbero stati ignorati dalla Corte di appello: la somma di Euro 180,00 detenuta dal ricorrente al momento dei fatti sarebbe sintomatica di un acquisto di droga per il solo uso personale, in quanto non sufficiente quale corrispettivo di un terzo dello stupefacente acquistato dalla Spagna, il cui costo sarebbe compreso tra Euro 1.300,00 e Euro 1.500,00, secondo le dichiarazioni rese dai coimputati; unico in grado di procedere all'acquisto sarebbe C.G., banchiere ed esperto nell'utilizzo di bitcoin; dai tabulati telefonici non risulterebbe che M.A. si sia recato a (Omissis), luogo di dimora di C.G., tra il gennaio e la metà del marzo 2021; C.G. avrebbe mentito, sostenendo che i tre concorrenti avrebbe assunto cocaina, mentre l'analisi clinica del capello del ricorrente avrebbe smentito l'assunzione di detta sostanza stupefacente.


2.4. Con il quarto motivo si deduce il vizio ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), con riferimento all'art. 192 c.p.p., commi 1 e 2.


Non sarebbero sostenute da riscontri oggettivi le circostanze valorizzate dalla Corte territoriale: i dati evidenziati nella sentenza - la non casuale presenza del ricorrente nel luogo ed al momento della consegna della sostanza stupefacente, il legame fiduciario tra i concorrenti, dimostrato dalla consegna delle chiavi della propria abitazione da parte di C.G. agli altri due uomini - sarebbero congetturali.


L'imputato si sarebbe trovato in casa di C.G. perché suo cugino S.O. lo avrebbe pregato di accompagnarlo perché, dopo, avrebbero dovuto pranzare fuori; S.O., inoltre, non avrebbe la patente. Le chiavi dell'abitazione sarebbero state affidate unicamente ad S.O. e non anche al ricorrente.


2.5. Con il quinto motivo, infine, si deduce la violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5; la Corte di appello erroneamente non avrebbe riconosciuto l'ipotesi della lieve entità.


Se sono attendibili le dichiarazioni del correo C.G., la Corte di appello avrebbe dovuto trarne la conseguenza che sarebbe riconducibile al ricorrente unicamente la droga acquistata dalla Spagna, non anche quella rinvenuta nella casa del concorrente, e che a ciascuno dei compartecipi, all'esito della distribuzione, sarebbe spettato unicamente il minor quantitativo di gr. 50 di hashish, a titolo di scorta personale in vista della "chiusura covid".


Al ricorrente, dunque, la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare il più mite regime sanzionatorio, anche in considerazione del fatto che le complesse modalità di acquisto della sostanza stupefacente, a mezzo di moneta virtuale, sarebbero da attribuire interamente a C.G..


Anche a voler ritenere che il ricorrente avesse concorso nella detenzione della sostanza stupefacente rinvenuta nell'abitazione di C.G., il mero quantum di sostanza stupefacente non sarebbe sufficiente ad escludere l'ipotesi D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 5.


2.6. Sono stati presentati motivi nuovi con cui si deduce la violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.


Ad integrazione di quanto già dedotto con il quinto motivo, si richiama la più recente giurisprudenza, secondo cui ai fini dell'integrazione della norma dovrebbe valutarsi complessivamente il fatto di reato, nonché i mezzi, le modalità e le circostanze dell'azione.


Il Giudice dell'udienza preliminare, invece, valorizzando la mera valutazione del dato ponderale della sostanza stupefacente, riferita al numero di dosi singole ricavabili dal quantitativo totale di droga, avrebbe escluso l'ipotesi D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 5, nonostante la modica quantità di hashish detenuta, secondo le dichiarazioni dei correi, da ciascuno di essi singolarmente, pari a gr. 51,6, un terzo dei complessivi gr. 155. La Corte di appello avrebbe erroneamente condiviso tale valutazione, contraria ai più recenti approdi della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in base a dati statistici, la misura ponderale non potrebbe costituire l'unico elemento per riconoscere o escludere l'ipotesi D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 5.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è infondato.


1.1. Dal dispositivo, dall'incipit della motivazione a pag. 5 - in cui si afferma che "Non si dubita della concorrente responsabilità di M.A. nel reato contestato, il quale partecipava attivamente all'illecita attività, acquistando e detenendo, unitamente agli atri due giovani, sostanza stupefacente al fine di cederla a terzi" - e da quanto riportato a pag. 6, ultimo capoverso della sentenza - in cui si indica che il motivo accolto è quello sulla pena - risulta che la Corte di appello ha inteso confermare la penale responsabilità dell'imputato dichiarata in primo grado sia per la sostanza stupefacente ricevuta dal corriere che per quella rinvenuta nella parete attrezzata dell'abitazione di C.G., accogliendo solo l'unico motivo di appello relativo al trattamento sanzionatorio.


1.2. La frase riportata a pagina 6 a cui fa riferimento il ricorrente è un artificio retorico per affermare che - seppur si volessero sollevare dubbi sulla sussistenza della penale responsabilità del ricorrente in ordine alla sostanza stupefacente rinvenuta nella parete attrezzata dell'abitazione - già la sola responsabilità per la detenzione dell'hashish ricevuto dal corriere consente di escludere l'applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.


2. Il secondo ed il terzo motivo riguardano la valutazione delle dichiarazioni dei coimputati e possono essere analizzati congiuntamente.


2.1. Il terzo motivo, con cui si deduce il vizio di violazione dell'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, ex art. 606 c.p.p., lett. b), è manifestamente infondato.


Oltre all'erroneo richiamo al vizio di violazione di legge sostanziale, va ricordato che la violazione dell'art. 192 c.p.p., comma 3, non può essere dedotta né quale violazione di legge ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), né ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), non essendo prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, pertanto può essere fatta valere soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della stessa norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame (Sez. 6, n. 4119 del 30/04/2019, dep. 2020, Romeo Gestioni S.p.A., Rv. 278196-02).


2.2. Il secondo motivo è infondato in quanto la responsabilità dell'imputato, è stata dichiarata sulla valutazione complessiva delle circostanze di fatto in cui è avvenuta la consegna della sostanza stupefacente ed il ritrovamento della sostanza stupefacente, sull'analisi della condotta del ricorrente e delle sue affermazioni, e non sulle dichiarazioni dei coimputati, riportate sinteticamente nella parte in cui la Corte di appello ha riepilogato la decisione del Giudice dell'udienza preliminare.


Pertanto, l'omessa valutazione dell'attendibilità dei coimputati e del relativo di appello, non assume alcuna rilevanza ai fini della correttezza della motivazione sulla responsabilità del ricorrente sulla sostanza stupefacente ricevuta dal corriere.


2.3. Il vizio di mancanza della motivazione per l'omessa risposta al motivo di appello sulla valutazione dell'attendibilità dei coimputati, che hanno reso dichiarazioni a carico del ricorrente, non sussiste perché il motivo non è decisivo, in quanto la sentenza si fonda su altri elementi di prova, estranei alle dichiarazioni.


2.4. Gli argomenti adoperati dal ricorrente per ritenere l'inattendibilità dei coimputati - l'aver reso dichiarazioni per mitigare la propria posizione ed ottenere una pena più lieve - sono irrilevanti ai fini della valutazione ex art. 192 c.p.p., comma 3.


Si è affermato, in tema di valutazione delle dichiarazioni accusatorie rese da cosiddetto collaborante, che è del tutto inconferente la considerazione che costui, essendo normalmente autore di reati di una certa gravità, miri alla fruizione di misure premiali in funzione della collaborazione prestata, dovendo invece farsi riferimento, ai fini della verifica della sua attendibilità soggettiva, ad altri parametri, quali la spontaneità delle dichiarazioni, la persistenza nelle medesime, la puntualità specifica nella descrizione dei vari fatti; elementi, questi, in presenza dei quali resta irrilevante anche il motivo (nella specie costituito dal disappunto per l'esito di un processo), per il quale il collaborante si è indotto a formulare le sue accuse (Sez. 1, n. 2100 del 06/05/1994, Siciliano, Rv. 198079 - 01).


2.5. Inoltre, secondo quanto riportato nella sentenza impugnata, i coimputati non hanno accusato il ricorrente di aver commesso un reato ma di aver acquistato, insieme a loro, un quantitativo di sostanza stupefacente in vista della futura ripartizione e destinazione al consumo esclusivo dei medesimi ed attraverso una partecipazione di tutti alla predisposizione dei mezzi finanziari occorrenti.


Le dichiarazioni coinvolgevano il ricorrente nell'acquisto per uso di gruppo finalizzato all'uso esclusivamente personale: ciò esclude in radice la tesi difensiva della volontà calunniatoria.


2.6. E' manifestamente infondato il motivo nella parte in cui si sostiene che le dichiarazioni sarebbero state effettuate per "dividere per tre" la sostanza stupefacente ed ottenere così l'applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, perché le condotte poste in essere dai coimputati - l'uno ha provveduto al materiale acquisto della sostanza stupefacente attraverso una procedura complessa, l'altro ha ricevuto il pacco - concernono l'intero quantitativo della sostanza stupefacente e concretizzano condotte sia tipiche che agevolatrici della condotta tipica altrui, con conseguente responsabilità ex art. 110 c.p..


Cfr. Sez. 4, n. 10071 del 13/07/1994, Tayk, Rv. 200150-01, per cui, in caso detenzione congiunta di un certo quantitativo di sostanza stupefacente, ciascuno deve rispondere della detenzione dell'intero e non soltanto della parte a lui destinata di tale quantitativo, essendo tutti concorrenti, ex art. 110 c.p., nell'unico reato.


2.7. Il ricorrente, poi, afferma che la somma di 180 Euro rinvenuta sulla persona del ricorrente sarebbe "sintomatica di un acquisto di droga a solo uso personale". La ricostruzione alternativa della difesa è del tutto ipotetica perché non si fonda sulle dichiarazioni dell'imputato che, anzi, ha escluso di essersi recato presso i coimputati per l'acquisto della sostanza stupefacente.


Per la giurisprudenza, ai fini della formazione del libero convincimento del giudice, sussiste un effettivo contrasto fra opposte versioni, oggetto di valutazione da parte del giudice anche al fine di verificarne l'attendibilità, solo nel caso in cui sia l'imputato personalmente ad aver fornito la contrastante versione dei fatti, non essendo sufficiente invece, come nel caso in esame, una mera prospettazione da parte del suo difensore (Sez. 3, n. 20884 del 22/11/2016, dep. 2017, A., Rv. 270123-01).


3. Il quarto motivo, con cui il ricorrente ha dedotto il vizio ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), con riferimento all'art. 192 c.p.p., commi 1 e 2, è inammissibile ex art. 606 c.p.p., comma 3: anche in tal caso, il motivo di ricorso è erroneamente formulato.


3.1. Non è consentito il motivo di ricorso che deduca la violazione dell'art. 192 c.p.p. per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, al di fuori dei limiti specificamente fissati dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-04).


3.2. Il motivo è anche inammissibile per il difetto del requisito della specificità estrinseca, in quanto non si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato, e ne dà una lettura parziale.


3.2.1. La Corte di appello ha risposto alle argomentazioni difensive, riportate nel terzo e quarto motivo, sull'assenza di responsabilità.


Si è evidenziato che se l'acquisto di droga avesse riguardato soltanto C.G. e S.O., non vi sarebbe stata ragione da parte dei coimputati di mettere al corrente il ricorrente della consegna di hashish; quest'ultimo avrebbe dovuto recarsi direttamente al ristorante in cui avrebbe dovuto pranzare.


Inverosimile è stato ritenuto l'argomento secondo cui il ricorrente avrebbe percorso centinaia di chilometri solo per pranzare con degli amici, per giunta giungendo due ore prima dell'appuntamento nella città di destinazione, recandosi a casa di C.G., nel frattempo assente per lavoro.


Priva di rilievo è stata considerata l'assenza di movimenti di denaro tracciabili, in quanto verosimilmente il trasferimento è avvenuto in contanti.


Neutra è stata, infine, ritenuta la circostanza per cui i tabulati telefonici del ricorrente avrebbero evidenziato che lo stesso non si sarebbe più recato a (Omissis), in quanto la Corte di appello ha evidenziato come il ricorrente si rapportasse direttamente con S.O. e, per mezzo di questi, con C.G..


3.2.2. Il ricorrente, mediante il motivo con cui si deduce la violazione di legge, sollecita, invero, la Corte ad una rivalutazione del materiale probatorio non consentita in questa sede di legittimità.


Si reiterano argomenti fattuali già smentiti dalla Corte territoriale con congrua motivazione, quali la rilevanza dei tabulati telefonici del ricorrente, ovvero manifestamente infondati, come la congettura circa l'interesse dei coimputati al coinvolgimento del M. per ottenere un più mite trattamento sanzionatorio.


4. Il quinto motivo, cui si deduce la violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, è manifestamente infondato.


4.1. L'accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 27407601).


Per valutare se il fatto sia di lieve entità il giudice deve, infatti, prendere in esame tutti gli elementi indicati nella norma: quelli concernenti l'azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa) e quelli che si riferiscono all'oggetto materiale del reato (quali le caratteristiche qualitative e quantitative della sostanza stupefacente).


L'ipotesi lieve di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, può essere esclusa anche in mancanza del sequestro della sostanza stupefacente, qualora si pervenga per via indiretta, sulla base di elementi di prova certi, alla individuazione di un significativo dato ponderale (Sez. 6, n. 46607 del 01/12/2021, Abbruzzese, Rv. 282391-01).


4.2. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha escluso l'applicabilità del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, proprio in base alla valutazione complessiva degli elementi di prova. Si è evidenziato, correttamente, l'elevato dato ponderale della sostanza stupefacente congiuntamente detenuta, pari a 155 grammi; in numero delle dosi singole ricavabili, oltre duemila. Si sono ritenute incompatibili con un giudizio di lieve offensività del fatto la circostanza che la sostanza stupefacente fosse stata importata dall'estero, nonché le complesse modalità con cui i concorrenti avevano proceduto all'acquisto della sostanza stupefacente, tramite applicazioni di messaggistica istantanea e transazioni informatiche non tracciabili in bitcoin.


Dunque, la motivazione è corretta in diritto ed immune da vizi logici.


4.3. L'inammissibilità del quinto motivo di ricorso comporta l'inammissibilità, a norma dell'art. 585 c.p.p., comma 4, del motivo nuovo addotto dalla difesa del ricorrente ad integrazione dello stesso e in larga parte riproduttivo di quest'ultimo (Sez. 5, n. 8439 del 24/01/2020, L., Rv. 278387-01).


5. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato.


Ai sensi dell'art. 616 c.p.p. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2023.


Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2023

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