Errori manovre
Il caso di studio riguarda una sentenza della corte di cassazione pronunciata in un procedimento penale a carico di un dirigente medico per il reato di omicidio colposo.
In particolare, al medico veniva contestato di avere eseguito nei confronti di una paziente una colonscopia diagnostica in assenza di una effettiva urgenza addominale e di avere procurato alla stessa nel corso dell'intervento una lacerazione sigmoidea iatrogena, nonostante la controindicazione nota all'operatore di una diffusa situazione aderenziale.
Veniva, inoltre, addebitato al sanitario di non essersi avveduto del danno provocato sì da ritardarne in modo significativo la diagnosi clinica.
All'esito dell'udienza preliminare, il GUP pronunciava sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. nei confronti del medico, escludendo ogni profilo di responsabilità penale a suo carico.
Avverso tale sentenza, il Procuratore generale di Milano proponeva ricorso per cassazione.
Analizziamo nel dettaglio la decisione della corte di cassazione.
Autorità giudiziaria: Quarta Sezione della Corte di Cassazione |
Reato contestato: Omicidio colposo ex art. 589 c.p. per manovra errata |
Imputato: Dirigente medico |
Esito: Ricorso rigettato (confermata sentenza di non luogo a procedere) - sentenza n.28216/09 (ud. 10/06/2009, dep. 09/07/2009) |
Indice:
5. Decisione
1. Il capo di imputazione
Il Procuratore generale di Milano propone ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il GIP presso il Tribunale di Voghera dichiarava ex art. 425 c.p.p. non luogo a procedere perchè il fatto non costituisce reato nei confronti di C.E. per il delitto di omicidio colposo in danno di M.P.
Il sanitario era stato chiamato a rispondere del reato in questione in qualità di dirigente medico presso l'Ospedale civile di (OMISSIS) ove la paziente sopra indicata, di anni ottantadue, era stata ricoverata e dallo stesso sottoposta, previa acquisizione di consenso informato, ad intervento di colonscopia, all'esito del quale, a distanza di una settimana, era deceduta per arresto cardiocircolatorio, innescato dalle conseguenze di una perforazione intestinale.
In particolare, dopo lo svolgimento di consulenze medico legali e l'espletamento di sommarie informazioni testimoniali, era stato addebitato al sanitario di avere eseguito la colonscopia diagnostica in assenza di una effettiva urgenza addominale e nonostante la controindicazione nota all'operatore di una diffusa situazione aderenziale e di avere procurato nel corso dell'intervento una lacerazione sigmoidea iatrogena e di non essersi avveduto del danno provocato sì da ritardarne in modo significativo la diagnosi clinica.
2. La sentenza di non luogo a procedere pronunciata nei confronti del medico
Il GUP, in conformità alle conclusioni dei periti, riteneva di dover escludere la colpa del sanitario con riferimento alla scelta di eseguire la colonscopia, ritenuto l'accertamento diagnostico più accurato per individuare un carcinoma colo - rettale, la cui sintomatologia si era manifestata nella paziente nei giorni precedenti l'intervento.
Sempre coerentemente alle conclusioni dei periti il giudicante riteneva non comprovata una errata manovra dell'operatore, sul rilievo che la perforazione intestinale in caso di colonscopie è complicanza presente in tutti gli studi di letteratura scientifica ed è universalmente accertato che possa non dipendere da errori dell'operatore.
Quanto al profilo di colpa, addebitato dai periti al Dott. C. (non essersi avveduto dell'avvenuta lacerazione del sigma,nonostante la notevole entità della stessa, pari a 3 cm), il giudicante, aderendo a quanto affermato dai periti in sede di chiarimenti, ha ritenuto di escludere la sussistenza del nesso di causalità tra il comportamento negligente del sanitario ed il decesso della paziente, sul rilievo che nel caso in esame non vi erano elementi per accertare se un intervento maggiormente tempestivo avrebbe potuto evitare il decesso della paziente, il cui quadro clinico e la situazione cardiologica, unita all'età, non aveva tollerato l'infezione prodotta dalla perforazione digestiva.
3. I motivi del ricorso del Procuratore generale:
Il ricorrente articola due motivi, strettamente connessi.
3.1 Il GUP non ha tenuto conto dell'età del paziente e delle aderenze addominali
Con il primo lamenta la manifesta illogicità della motivazione laddove il giudicante aveva operato un esame frazionato e non unitario della vicenda omettendo di considerare con riferimento alla prevedibilità dell'evento, l'elevata probabilità nel caso concreto di conseguenze lacerative dalla colonscopia, tenuto conto dell'età della persona offesa e della indiscussa presenza di aderenze addominali.
3.2 Il decesso è riconducile all'errata manovra del medico
Con il secondo motivo si duole dell'erronea applicazione dell'art. 425 c.p.p., comma 3, nella fattispecie in esame in cui era stata accertata in maniera palese la consistenza e la concretezza degli elementi fattuali da porre come cause del decesso della parte offesa.
4. La decisione della corte di cassazione
Il ricorso è infondato.
Il ricorrente propone una non condivisibile ricostruzione della natura e del significato della sentenza di non luogo a procedere, di cui si perde la valenza di "filtro" effettivo tra la fase dell'udienza preliminare e quella del dibattimento.
A ben vedere, la sentenza di non luogo a procedere, anche dopo le modifiche subite dall'art. 425 c.p.p. a seguito della L. 16 dicembre 1999, n. 479, rimane prevalentemente una sentenza di natura processuale e non di merito, finalizzata ad evitare i dibattimenti inutili, e non ad accertare se l'imputato è colpevole o innocente.
In questa prospettiva, il parametro di valutazione del giudice, cui è imposto di adottare la sentenza di non luogo a procedere "anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio" (art. 425 c.p.p., comma 3), è l'impossibilità di sostenere l'accusa in giudizio, derivandone che non è consentito il rinvio a giudizio quando gli elementi acquisiti si caratterizzino per una contraddittorietà e insufficienza non superabili in dibattimento (cfr. Cassazione, Sezione 4^, 16 gennaio 2008, Huscher ed altri).
Ciò che è coerente, del resto, non solo con l'art. 125 disp. att. c.p.p., ma anche con l'art. 533 c.p.p., comma 1, che consente la pronuncia di una sentenza di condanna solo in presenza di un quadro probatorio certo, al di là di ogni ragionevole dubbio.
In questa ottica, la tenuta logica della sentenza di non luogo a procedere deve essere valutata "nel suo complesso", e non parcellizzando i singoli elementi (qui, in particolare, la realizzatasi perforazione), dei quali uno, isolatamente considerato, possa letto in un'ottica accusatoria.
Ciò che conta, infatti, è il vaglio complessivo e, all'esito di tale vaglio, la conseguente tenuta del compendio probatorio nella (eventuale) prospettiva dibattimentale.
A voler accedere alla valutazione "frazionata" cui ha proceduto proprio il ricorrente (che il medesimo addebito rivolge ali sentenza gravata), certamente ogni singolo elemento potrebbe essere letto in un'ottica accusatoria, trascurando però di considerare la prospettiva del dibattimento e l'esigenza che il legislatore pone come priorità di evitare dibattimenti inutili e inutilmente defatiganti, perchè destinati comunque ad una pronuncia assolutoria.
4.1 Il "corretto" giudizio del GUP: dalla scelta dell'esame alla inevitabilità dell'evento morte
Qui, invece, a ben vedere, il giudicante di merito tale vaglio complessivo risulta avere effettuato, avendo esaminata sia la scelta di effettuare l'esame (condivisa, in ordine alla rilevata validità dell'esame colonoscopico per le patologie di possibile interesse investigativo), sia l'avvenuta perforazione (ritenuta non di per sè dimostrativa di colpa), sia soprattutto la mancata percezione immediata della perforazione (possibile in ragione delle dimensioni non trascurabili). Ebbene, tali risultanze sono state esaminate nel loro complesso e soprattutto l'ultima - la più "indiziante"- è stata verificata nei suoi effetti rispetto all'addebito dell'evento morte, con una conclusione (adesiva alle risultanze peritali) che non presta il fianco a critiche di illogicità e, soprattutto, non lascia quei possibili spazi per l'approfondimento dibattimentale che la sentenza di non luogo a procedere non può intercludere. Ebbene, è stato posto in rilievo che l'intervento riparatore anche più tempestivo non avrebbe necessariamente portato ad esiti di natura diversi non potendosi affermare un collegamento tra la lesione e il verificatosi arresti cardiocircolatorio. Se quindi la tempistica dell'intervento non poteva riverberare i propri effetti sull'arresto cardiaco viene in tal modo spiegata in maniera satisfattiva la scelta liberatoria, che non merita censure in questa sede.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
5. Decisione
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2009
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