Maltrattamenti in famiglia e pericolo di fuga: la gravità del reato non basta (Cass. Pen. n.27084/25)
- Avvocato Del Giudice

- 30 set
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Indice:
1. Premessa
2. La vicenda
1. Premessa
Il rapporto tra maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) e misure precautelari pone un interrogativo: la sola gravità del reato è sufficiente a giustificare il fermo ex art. 384 c.p.p., sul presupposto del pericolo di fuga?
La Corte di cassazione, con la sentenza in commento, risponde in senso negativo, riaffermando un principio di civiltà giuridica: nessuna automatica correlazione può essere tracciata tra la natura violenta del fatto e la prognosi di sottrazione alla giustizia.
2. La vicenda
Un uomo, indagato per reiterati episodi di violenza domestica nei confronti della convivente, era stato sottoposto a fermo e custodia cautelare in carcere. Il GIP aveva ritenuto sussistente il pericolo di fuga, facendo leva sulla gravità del titolo di reato e sull’avvenuta liberazione per decadenza dei termini.
La difesa contestava tale impostazione, evidenziando come l’indagato fosse stabilmente radicato in Italia, con lavoro regolare, abitazione e legami personali, elementi incompatibili con una volontà di allontanarsi.
3. La decisione della Corte
La Suprema Corte annulla senza rinvio l’ordinanza di convalida, affermando che:
la gravità intrinseca del reato di maltrattamenti non basta a fondare la prognosi di fuga;
occorrono elementi concreti e specifici, idonei a dimostrare un rischio effettivo di sottrazione al processo;
il ragionamento del GIP era “circolare”, poiché aveva dedotto il pericolo dalla mera circostanza della liberazione, determinata da un vizio procedurale e non da condotte elusive dell’indagato;
le condizioni personali (residenza stabile, lavoro a tempo indeterminato, contratti intestati) deponevano, al contrario, per una radicata integrazione territoriale.
4. Il principio affermato
La pronuncia ribadisce un punto fermo: il pericolo di fuga deve poggiare su indici fattuali concreti, non può essere desunto dalla sola qualificazione giuridica del fatto o dalla sua gravità astratta.
In altre parole, il reato di maltrattamenti, pur nella sua oggettiva gravità e allarme sociale, non consente di presumere automaticamente la volontà dell’indagato di sottrarsi al giudizio.
Solo un percorso motivazionale fondato su dati oggettivi – quali tentativi di espatrio, mancanza di legami stabili, condotte elusive – può giustificare la compressione della libertà personale.
Non esiste un automatismo tra reato violento e pericolo di fuga. La tutela delle vittime di maltrattamenti resta un obiettivo primario, ma essa non può essere perseguita sacrificando le garanzie fondamentali dell’indagato.
L’equilibrio si gioca, ancora una volta, sulla qualità della motivazione: solo la concreta dimostrazione di un rischio reale, e non la gravità del fatto in sé, può giustificare l’adozione di misure tanto invasive.
5. La sentenza integrale
Cassazione penale sez. VI, 15/07/2025, (ud. 15/07/2025, dep. 24/07/2025), n. 27084
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 24 aprile 2025 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Roma ha convalidato il fermo disposto dal Pubblico Ministero del Tribunale di Tivoli a carico di Ch.Lu. e ha applicato al predetto la misura della custodia cautelare in carcere. Ha dichiarato, altresì, la propria incompetenza per territorio a favore del Tribunale di Tivoli e ordinato la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero presso l'ufficio competente. Il fermo era stato disposto, a norma dell'art. 384 cod. proc. pen., in relazione al reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 cod. proc. pen.). Dalla motivazione dell'ordinanza si rileva che l'adozione della misura precautelare era fondata sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e al fine di impedire la fuga dell'indagato successivamente alla liberazione dello stesso per scadenza dei termini di convalida dell'arresto in precedenza eseguito a suo carico.
2. Con i motivi di ricorso, sintetizzati nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen., il difensore dell'indagato denuncia:
2.1. inosservanza delle norme processuali previste a pena di nullità dall'art. 384 cod. proc. pen. ed erronea applicazione della legge penale. Rileva che il ricorrente veniva tratto in arresto in flagranza di reato dai Carabinieri della stazione di Poli il 19 aprile alle 16:35 e che il predetto avrebbe dovuto essere rimesso in libertà perché era scaduto il termine di 24 ore per la trasmissione della notizia di reato al pubblico ministero competente. Il successivo 21 aprile 2025 veniva notificata all'indagato un provvedimento di fermo, privo dei requisiti di legge, emesso dal pubblico ministero presso la Procura di Tivoli che veniva, dallo stesso inquirente, revocato. Cionondimeno il ricorrente veniva indebitamente trattenuto presso la Casa Circondariale di Roma Rebibbia ove veniva trattenuto fino alla successiva richiesta di convalida del fermo del 23 aprile 2025 che dava luogo all'udienza di convalida del 24 aprile 2025. Sostiene il difensore che non solo l'arresto del ricorrente veniva eseguito in carenza del presupposto della flagranza - di cui dà atto lo stesso Pubblico Ministero nella richiesta di convalida ritenendo necessaria la nuova, e mai disposta, escussione della persona offesa-, ma, altresì, del pericolo di fuga, vizio che inficia anche il successivo decreto di fermo e la pedissequa ordinanza del giudice per le indagini preliminari: non sussisteva, infatti, alcun pericolo di fuga dal momento che se il ricorrente fosse stato intenzionato ad allontanarsi avrebbe potuto farlo dopo il primo controllo eseguito dai Carabinieri presso la sua abitazione la mattina del 19 aprile 2025;
2.2. inosservanza di norme processuali previste a pena di nullità dall'art. 390 cod. proc. pen. ed erronea applicazione della legge penale in relazione ai presupposti dell'arresto e del fermo nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Rileva il ricorrente che il Pubblico Ministero del Tribunale di Tivoli aveva disposto il 21 aprile alle 12:31 la liberazione dell'indagato che veniva ingiustamente trattenuto presso il carcere di Rebibbia, senza alcun titolo cautelare, considerato che la nuova richiesta - rectius il decreto di fermo - gli veniva notificato solo alle ore 18:05 del 21 aprile 2025 e, in seguito, tale decreto veniva revocato dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli e l'indagato veniva trattenuto in forza della richiesta di convalida del 23 aprile 2025, seguita dall'udienza di convalida svoltasi il 24 aprile 2025. Nessuno dei provvedimenti adottati si fondava sul pericolo di fuga dell'imputato ma solo sulla sussistenza di esigenze di natura investigativa che lo stesso Pubblico Ministero dichiarava di dover perseguire. Il pericolo di fuga è insussistente tenuto conto il ricorrente svolge attività lavorativa in forza di contratto di lavoro a tempo indeterminato ed è intestatario del contratto di affitto e delle utenze domestiche quindi nessun presupposto fa lontanamente desumere l'esigenza del di tutelare il pericolo di fuga.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e l'ordinanza di convalida del fermo deve essere annullata senza rinvio.
Va premesso che non può costituire oggetto di esame in questa sede la vicenda precautelare relativa all'arresto dell'indagato, innanzi riportata, in quanto il ricorrente è stato immediatamente liberato dal Pubblico Ministero, né possono essere esaminate le circostanze fattuali relative alle modalità del trattenimento dell'indagato presso la Casa Circondariale di Rebibbia ove veniva trattenuto a seguito di fermo del Pubblico Ministero competente e trasmissione degli atti al giudice funzionalmente competente alla convalida del fermo in ragione del luogo in cui lo stesso era stato eseguito, giudice che fissava, nei termini, l'udienza di convalida essendo intervenuto, nelle more, decreto di revoca di quella del giudice per le indagini preliminari di Tivoli che sarebbe stato competente in relazione al luogo di esecuzione dell'arresto, nel frattempo decaduto.
È, invece, oggetto di ricorso l'ordinanza di convalida del fermo adottata dal Giudice per le indagini preliminari di Roma il 24 aprile 2024 contestualmente all'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere con ordinanza nella quale il Giudice rilevava la propria incompetenza territoriale disponendo la restituzione degli atti al Pubblico Ministero competente.
I motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente atteso l'evidente collegamento tra gli stessi e la correlazione tra le questioni proposte che attengono precipuamente alla valutazione del pericolo di fuga da parte del giudice per le indagini preliminari.
La giurisprudenza di legittimità ha precisato, con riferimento alla convalida del fermo e alla motivazione del giudice per le indagini preliminari, che l'apprezzamento del pericolo di fuga - in quanto valutazione prognostica, "discrezionalmente vincolata" a specifici e concreti elementi di fatto, in ordine alla rilevante plausibilità che l'indagato, se lasciato in libertà, si sottragga alla pretesa di giustizia - è insindacabile in sede di legittimità, ove si caratterizzi per uno sviluppo argomentativo logico e consequenziale quanto al significato da attribuire, secondo canoni di ragionevolezza, alle emergenze procedimentali (Sez. 2, n. 2935 del 15/12/2021, dep. 2022, Pmt c/ Sylla, Rv. 282592).
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma non ha fatto buon governo di tale principio atteso che nel caso di specie dalla valutazione degli elementi probatori acquisiti e della condotta dell'indiziato, analizzata ex ante, non è oggettivamente desumibile la ragionevole sussistenza di un reale pericolo di fuga non emergendo circostanze concrete in tal senso dotate della necessaria specificità.
La motivazione resa sul punto nell'ordinanza impugnata risulta apodittica e non dà conto dell'opzione decisionale adottata, stante l'assenza di qualsivoglia illustrazione di elementi fattuali idonei, in concreto, ad ipotizzare il pericolo di fuga, risolvendosi nell'apprezzamento delle modalità del fatto ascritto all'indagato (il reato di maltrattamenti in famiglia in danno della convivente) e nel pericolo che, rispetto alla sua intervenuta liberazione per la mancata convalida dell'arresto, questi potesse darsi alla fuga, con un evidente riferimento "circolare" alla vicenda precautelare dell'arresto non convalidato in conseguenza di un errore dell'autorità che lo aveva eseguito (mancato rispetto del termine di deposito degli atti presso il Pubblico Ministero) e non per condotta ascrivibile all'indagato.
La commissione di un reato "violento" - pur se aspetto riconducibile alla valutazione della personalità dell'indagato - non denota di per sé la sussistenza del pericolo di fuga smentito, con riferimento alla possibilità che il ricorrente faccia rientro nel Paese di provenienza per sottrarsi al processo, dalla circostanza che questi ha stabile e radicata residenza in Italia.
A fronte, dunque, dell'assenza di un percorso argomentativo fondato su specifiche emergenze fattuali e procedimentali, secondo canoni di effettività e ragionevolezza, la concretizzazione del pericolo di fuga appare evenienza solo astrattamente ipotizzata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l'ordinanza di convalida del fermo emessa dal G.I.P. del Tribunale di Roma in data 24/04/2025.
Così deciso il 15 luglio 2025
Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2025




