Mandato di arresto europeo e radicamento sul territorio: non basta la residenza anagrafica per il rifiuto (Cass. Pen. n. 28291/25)
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Mandato di arresto europeo e radicamento sul territorio: non basta la residenza anagrafica per il rifiuto (Cass. Pen. n. 28291/25)

Il rifiuto di consegna ex art. 18-bis l. n. 69/2005, nella sua formulazione post–novella 2023, non è più un istituto governato da margini ampi di discrezionalità informale, ma un giudizio tipizzato, strutturato su parametri normativi vincolanti.

La vicenda decisa dalla Suprema Corte il 31 luglio 2025 ne offre una dimostrazione esemplare.

La Corte d’appello di Cagliari, investita di un mandato di arresto europeo esecutivo emesso dall’autorità giudiziaria rumena per un reato di tentato incendio, aveva opposto il rifiuto fondandosi esclusivamente sul dato formale della residenza in Italia del consegnando.

Nessuna indagine sui rapporti effettivi con il territorio, nessuna considerazione delle circostanze di fatto che potessero corroborare – o smentire – un radicamento reale.

Eppure il legislatore, con il D.L. 13 giugno 2023, n. 69, conv. in l. 10 agosto 2023, n. 103, ha inciso profondamente sull’art. 18-bis, sostituendo l’approccio meramente anagrafico con un insieme di indici rivelatori destinati a fondare, o negare, il radicamento.

Il nuovo comma 2-bis prescrive alla Corte di appello una verifica “qualificata”: durata e natura della residenza o dimora; momento d’inizio rispetto alla commissione del reato; condotta contributiva e fiscale; rispetto delle regole sul soggiorno; legami familiari, linguistici, culturali, sociali ed economici.

La disposizione è inequivoca nel qualificare la nullità della sentenza che non contenga l’espressa indicazione di tali elementi e dei relativi criteri di valutazione.

In questa direzione, la Cassazione ha osservato come il tradizionale limite del sindacato di legittimità in materia di MAE – confinato dall’art. 22, comma 1, l. n. 69/2005 alla violazione di legge e al difetto di giurisdizione – non impedisca di censurare l’omessa applicazione di una disposizione imperativa.

La mancata valutazione di uno solo degli indici previsti dal comma 2-bis integra, infatti, violazione di legge ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., consentendo l’intervento rescindente.

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha eluso il vaglio sostanziale richiesto, trasformando la residenza anagrafica in un surrogato del radicamento.

Ma il dato formale, privo di riscontro in un contesto di vita effettivo, non soddisfa la ratio della norma, che mira a garantire che l’esecuzione della pena in Italia costituisca un effettivo strumento di reinserimento sociale e non un mero espediente difensivo.

La pronuncia ribadisce che il radicamento è concetto sostanziale, non riducibile a formalità documentale; che l’indagine va condotta secondo un paradigma analitico imposto dal legislatore; e che l’inosservanza di tale schema determina nullità insanabile.



La sentenza integrale

Cassazione penale sez. fer., 31/07/2025, (ud. 31/07/2025, dep. 01/08/2025), n.28291

RITENUTO IN FATTO


1. La Corte di appello di Cagliari ha rifiutato la consegna all'Autorità Giudiziaria di Romania di Bo.Da., destinatario di un mandato di arresto europeo esecutivo emesso in ragione della condanna alla pena di un anno di reclusione inflitta con sentenza irrevocabile per il reato di tentato incendio.


Ha ritenuto la Corte che il requisito formale della residenza in Italia da parte del consegnando sia presupposto sufficiente per il rifiuto della consegna in quanto di per sé dimostrativo di uno stabile radicamento sul territorio dello Stato, dovendosi riferire il termine di cinque anni, previsto dall'art. 18 bis L. n. 69 del 2005 solo alla situazione di fatto della dimora.


2. Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Cagliari articolando un unico motivo con cui deduce violazione di legge processuale.

Si sostiene che la Corte di appello non avrebbe potuto limitala fare riferimento al requisito della residenza, ma avrebbe dovuto considerare l'ulteriore requisito, previsto dal comma 2 bis della norma indicata, e verificare se la esecuzione della pena sul territorio sia in concreto idonea ad accrescere la opportunità di inserimento sociale in Italia da parte del destinatario del mandato di arresto europeo.


Sul punto la sentenza sarebbe viziata, avendo la Polizia Giudiziaria territoriale riferito allo stesso Procuratore ricorrente di non essere in grado di indicare dove dimorasse Bo.Da., peraltro privo di patente di guida, prima dell'arresto.


Il consegnando, si aggiunge, non avrebbe mai costituito rapporti di lavoro strutturati e avrebbe percepito redditi insufficienti per assicurare il suo sostentamento; né Bo.Da. avrebbe realizzato un radicamento affettivo, avendo lo stesso riferito in sede di convalida dell'arresto di trovarsi da due anni in Sardegna e di essere arrivato nel mese di maggio.


Bo.Da., quindi, sarebbe arrivato in Italia nel maggio del 2023, cioè quattro mesi dopo la sua condanna, e non si sarebbe mai integrato sul territorio; l'esecuzione della pena in Italia non potrebbe determinare in concreto una opportunità di inserimento sociale.


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è fondato.


2. In punto di fatto dalla sentenza impugnato emerge come la Corte di appello abbia rifiutato la consegna sulla base del mero dato formale della residenza in Italia di Bo.Da., senza verificare alcunché.


3. È nota la limitazione che l'art. 22, comma 1, legge n. 69 del 2005, come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, pone al ricorso per cassazione, circoscrivendolo ai motivi di difetto di giurisdizione e violazione di legge, in tal modo precludendo al giudice di legittimità di ravvisare eventuali contraddittorietà o illogicità nelle motivazioni dalle Corti di merito addotte a sostegno del diniego di applicare il motivo facoltativo di rifiuto di cui all'art. 18-bis, comma 2, della stessa legge, riguardante lo stabile radicamento sul territorio nazionale di cittadini di Stati dell'Unione europea ed ora anche di Paesi terzi, giusta l'applicazione estensiva disposta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 178 del 28 luglio 2023 con cui ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del citato comma 2.


È stato, pertanto, più volte affermato il principio per cui, in tema di mandato di arresto europeo, sono inammissibili le censure che involgono l'accertamento del radicamento del soggetto nel territorio dello Stato, le quali, pur dedotte quale vizio di violazione di legge, attengono in realtà alla motivazione della decisione, atteso che l'art. 22 della legge 22 aprile 2005 n. 69, come modificato dall'art. 18 del D.Lgs. 2 febbraio 2021, n. 10 (Sez. 6, n. 41074 del 10/11/2021, Huzu, Rv. 282260; Sez. 6 n. 8299 del 08/03/2022, PG in proc. Rafa, Rv. 282911 per citare solo alcune fra quelle massimate).


4. Si tratta di un principio che deve, tuttavia, essere necessariamente riconsiderato alla luce della più recente modifica cui è stato sottoposto l'art, 18-bis per effetto del D.L. 13 giugno 2023 n. 69, convertito con modificazioni nella legge 10 agosto 2023 n. 103, in vigore dal 11 agosto 2023.


Con la novella il legislatore ha in primo luogo disposto la modifica del comma 2 dell'art. 18-bis, che ora contempla la possibilità per la Corte di appello di rifiutare la consegna del cittadino italiano o di persona (senza attributo alcuno di cittadinanza) che legittimamente ed effettivamente risieda o dimori in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano, sempre che la Corte stessa disponga l'esecuzione in Italia della pena o della misura di sicurezza per cui la consegna viene richiesta conformemente al diritto interno.


In secondo luogo, è stato aggiunto un comma 2-bis a quelli esistenti, il quale stabilisce che "Ai fini della verifica della legittima ed effettiva residenza o dimora sul territorio italiano della persona richiesta in consegna, la corte di appello accerta se l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza sul territorio sia in concreto idonea ad accrescerne le opportunità di reinserimento sociale, tenendo conto della durata, della natura e delle modalità della residenza o della dimora, del tempo intercorso tra la commissione dei reato in base al quale il mandato d'arresto europeo è stato emesso e l'inizio del periodo di residenza o di dimora, della commissione di reati e del regolare adempimento degli obblighi contributivi e fiscali durante tale periodo, del rispetto delle norme nazionali in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri, dei legami familiari, linguistici, culturali, sociali, economici o di altra natura che la persona intrattiene sul territorio italiano e di ogni altro elemento rilevante. La sentenza è nulla se non contiene la specifica indicazione degli elementi di cui al primo periodo e dei relativi criteri di valutazione".


Sono stati, dunque, normativamente fissati i c.d. indici rivelatori che la giurisprudenza dì questa Corte di cassazione, a legislazione previgente (art. 18, lett. r), legge n. 69 del 2005 aveva già in parte individuato, prima delle consistenti modifiche di cui al D.Lgs. n. 10 del 2021, al fine di delimitare il perimetro dell'accertamento spettante alla Corte di merito.


Era stato ad es. affermato che in tema di mandato di arresto europeo, la nozione di "residenza", rilevante ai fini del rifiuto della consegna, presuppone un radicamento reale e non estemporaneo della persona nello Stato, desumibile da una serie di indici rivelatori, quali la legalità della presenza in Italia, l'apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, la distanza temporale tra quest'ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all'estero, la fissazione in Italia della sede principale e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, e il pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali (tra molte v. Sez. 6, n. 19389 del 25/06/2020, D., Rv. 279419).


La novità introdotta dal recente intervento legislativo è rilevante.


Indicando esplicitamente il complesso degli elementi sui cui fondare le proprie determinazioni, il legislatore ha voluto rendere verificabile il processo valutativo posto alla base dell'applicazione o del diniego di un motivo di rifiuto che, essendo divenuto facoltativo (per effetto della legge del 4 ottobre 2019, n. 117), resterebbe altrimenti affidato alla mera discrezionalità della Corte di merito.


Alla luce di tale prospettiva è stato non a caso stabilito che "La sentenza è nulla se non contiene la specifica indicazione degli elementi di cui al primo periodo e dei relativi criteri di valutazione", previsione che esplicita come, da un lato, la mancata valutazione di uno di tali indici rilevi come violazione di legge, sindacabile ai sensi dell'art. 606, lett. b), cod. proc. pen., e, dall'altro, come il relativo apprezzamento divenga condizione "ai fini della verifica della legittima ed effettiva residenza o dimora sul territorio italiano della persona richiesta in consegna" (Sez. 6, n. 41 del 28/12/2023, dep. 2024, Bettini, Rv. 285601).


5. La Corte di appello di Cagliari, come detto, non ha fatto corretta applicazione dei principi indicati, essendosi limitata a valorizzare, al fine del rifiuto della consegna, il mero dato della formale residenza del consegnando, senza tuttavia verificare in concreto alcunché e, in particolare, tutti gli indici che la legge vigente indica come necessari componenti dell'articolato giudizio che deve precedere la decisione sul punto.


6. In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale per nuovo giudizio.


P.Q.M.


Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Cagliari.


Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, legge n. 69 del 2005.


Così deciso in Roma, il 31 luglio 2025.


Depositato in Cancelleria l'1 agosto 2025.


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