Nota a sentenza

Indice:
1. La questione di legittimità costituzionale
Il giudice remittente, il Tribunale ordinario di Monza, con ordinanza del 27 maggio 2021 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 co. 1 lett. b) D.lgs. n. 158 del 2015 e dell’art. 10 bis d.lgs n. 74 del 2000 nella parte in cui prevede la rilevanza penale di omessi versamenti di ritenute dovute sulla base della mera dichiarazione annuale del sostituto di imposta.
Nell’ordinanza di remissione si lamenta violazione degli artt. 3, 25 co. 2, 76 e 77 Cost.
In particolare, a parere del giudice remittente, la normativa indicata avrebbe violato gli artt. 25 co. 2, 76 e 77 Cost., non avendo l’ampliamento della fattispecie incriminatrice del delitto di omesso versamento delle ritenute di cui all’art. 10 bis D.lgs n. 74 del 200 alcuna copertura nella delega di cui all’art. 8 l. n. 23 del 2014.
La l. n. 23 del 2014, invero, delegava il Governo alla “revisione del sistema sanzionatorio penale tributario”, limitando la discrezionalità del legislatore delegato alla riduzione delle sanzioni per le fattispecie meno gravi e all’utilizzo delle sanzioni amministrative al posto di quelle penali. Ne derivava, secondo l’ordinanza di remissione, che non poteva ritenersi ammissibile l’introduzione di una nuova fattispecie penale ad opera del legislatore delegato, che aveva esercitato la potestà legislativa al di fuori dei limiti contenuti nella delega, contravvenendo al principio di stretta legalità di cui all’arte. 25 co. 2 Cost.
Il giudice a quo lamenta, poi, la violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. sub specie del principio di ragionevolezza, perchè la previsione rinnovata dell’art. 10 bis D.lgs n. 74/2000 all’interno dell’ordinamento sarebbe capace di produrre esiti contraddittori. In particolare, si osserva nella ordinanza di remissione, la detta disposizione condurrebbe alla conseguenza paradossale per cui il contribuente che presentasse un modello 770 veritiero e omettesse di versare le ritenute per un importo superiore alla soglia di euro 150.000 sarebbe punito, mentre ciò non accadrebbe là dove il sostituto di imposta, inadempiente a un debito tributario di pari entità, presentasse una dichiarazione infedele indicando un debito inferiore alla soglia di punibilità.
2. La sentenza
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 27 maggio 2021 (r. o. n. 155 del 2021), il Tribunale ordinario di Monza, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, 76, 77, primo comma, della Costituzione, dell’art. 7, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), limitatamente alle parole «dovute sulla base della stessa dichiarazione o» aggiunte nel testo dell’art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205) e, conseguentemente, della suddetta disposizione, 2 come modificata, nella parte in cui prevede la rilevanza penale di omessi versamenti di ritenute dovute sulla base della mera dichiarazione annuale del sostituto d’imposta.
1.1.– Il rimettente riferisce di procedere nei confronti di G. J., imputato del reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 perché, «quale legale rappresentante della società G. J. srl non versava, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta per l’anno di imposta 2015, ritenute risultanti (dichiarazione modello 770) per un ammontare complessivo di 675.503,69 euro». Circa l’imputazione, nell’ordinanza di rimessione si evidenzia che, inizialmente, il reato era stato contestato in termini di omesso versamento di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti (per importo eccedente la soglia di punibilità contemplata dall’art. 10-bis del d.lgs. 74 del 2000), e che, successivamente, all’udienza del 27 maggio 2021, il pubblico ministero aveva proceduto ad integrare l’originaria imputazione, precisandola nel senso dell’omesso versamento di ritenute dovute in base alla dichiarazione annuale di sostituto di imposta (fermo l’importo complessivo di imposta evasa già indicato). Il rimettente, in primo luogo, sottolinea come la fattispecie di «omesso versamento di ritenute certificate» ‒ introdotta dall’art. l, comma 414, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)» – si presenti eccentrica, sul piano politico criminale, rispetto al primigenio assetto del d.lgs. n. 74 del 2000, calibrato su fattispecie di evasione oggettivamente organizzate sulla presentazione di una dichiarazione annuale, connotata da profili di fraudolenza, e soggettivamente orientate da dolo specifico di evasione, e su tre incriminazioni collaterali, considerate dagli artt. 8, 10 e 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, svincolate dal momento dichiarativo, ma colorate da evidente attitudine lesiva. La disposizione, rubricata «Omesso versamento di ritenute certificate», in particolare, puniva «con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta». Ciò precisato, il rimettente rileva come la tipicità della fattispecie sia mutata a seguito del d.lgs. n. 158 del 2015, attuativo della legge delega 11 marzo 2014, n. 23 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita). In particolare, il giudice a quo evidenzia che l’art. 8 della legge n. 23 del 2014, rubricato «Revisione del sistema sanzionatorio», ha delegato il Governo, in parte qua, a «procedere [...] alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, prevedendo [...] la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto anche conto di adeguate soglie di punibilità». In attuazione della norma di delega, l’art. 7 del d.lgs. n. 158 del 2015 ha modificato il paradigma delittuoso dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 rubricato, ora, «Omesso versamento di ritenute dovute o certificate», il quale testualmente, dispone: «È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta». Alla luce di tale premessa, il rimettente osserva che per effetto della disposizione censurata la figura delittuosa in esame è stata novellata in relazione a due profili: in primo luogo, si è ristretto il perimetro di rilevanza penale, tramite l’innalzamento della soglia di punibilità; su un altro versante, si è ampliato lo spettro della fattispecie mediante l’aggiunta del riferimento alla debenza delle ritenute sulla scorta della mera presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta (cosiddetto modello 770).
Di qui «l’arricchimento del presupposto di tipicità dell’obbligo di versamento, penalmente presidiato, in capo al sostituto», con conseguente asserita illegittimità costituzionale della disposizione per eccesso di delega nella porzione relativa al sintagma «dovute sulla base della stessa dichiarazione o». A tal riguardo il rimettente evidenzia che il sindacato di costituzionalità in materia di eccesso di delega in ambito penale si muova tra due opposte esigenze: da un lato, vi è il principio, non flessibile, della riserva di legge in materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.), che si sostanzia nel tendenziale monopolio del Parlamento, quale rappresentante della volontà popolare nella dialettica tra maggioranza e minoranza, sulle scelte d’incriminazione (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 230 del 2012), salvi i casi di legittimo intervento del potere esecutivo (decreto legislativo e, sebbene più problematicamente, decreto-legge); dall’altro, rileva l’essenza stessa della delega legislativa (artt. 76 e 77, primo comma, Cost.), il cui esercizio non può ridursi ad automatica trasposizione di norme già fissate nella loro interezza nella legge delega (pena lo svilimento della legislazione delegata a normazione di stampo sostanzialmente «regolamentare») e, tuttavia, marcata dal limite invalicabile di legittimità costituzionale del rispetto dei principi e criteri direttivi fissati nella legge delega, al fine di scongiurare l’improprio svuotamento delle garanzie sottese alla riserva di legge. In relazione a tale profilo, il giudice a quo si sofferma sulla copiosa giurisprudenza costituzionale in tema di eccesso di delega, richiamando i principi affermati, tra le tante, nella sentenza n. 5 del 2014, adottata in relazione ad una ipotesi di abolitio criminis, (introdotta dal decreto legislativo al di fuori della norma di delega), predicabili a fortiori nella fattispecie in esame, in cui la norma delegata amplia una figura delittuosa già esistente, in assenza di copertura nei criteri direttivi della delega. Premesso tale quadro giurisprudenziale, il rimettente afferma che nella fattispecie in esame è evidente il contrasto tra i criteri e i principi fissati nella delega e «il prodotto del decreto delegato, quanto alla novellata calibrazione della om