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Il liquidatore di ente in liquidazione risponde di appropriazione indebita, non di peculato (Cass. Pen. n. 30782/25)

Aggiornamento: 27 set

Il liquidatore di ente in liquidazione risponde di appropriazione indebita, non di peculato (Cass. Pen. n. 30782/25)

Indice:


Premessa

Non basta che le somme sottratte abbiano origine pubblica per configurare il peculato.

La qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio si fonda sull’attività concretamente svolta dal soggetto e non sulla natura pubblica del denaro. Così ha statuito la Corte di cassazione, sez. VI penale, sent. n. 30782/2025, riqualificando come appropriazione indebita aggravata la condotta di un liquidatore di consorzio che aveva attinto fondi provenienti dal MEF.


Il fatto

B.M., liquidatore del consorzio (omissis), era stato condannato per peculato per essersi appropriato, tra il 2013 e il 2014, di circa 102.000 euro mediante vari prelievi dal conto corrente dell’ente, alimentato in prevalenza da fondi del Ministero dell’Economia e delle Finanze destinati al sostegno delle imprese in difficoltà.

La difesa aveva sostenuto che, essendo il consorzio già in liquidazione, le funzioni del ricorrente erano limitate alla definizione dei rapporti debitori e creditori secondo regole privatistiche, senza alcuna connotazione pubblicistica.


La decisione della Corte

La Cassazione ha accolto il ricorso, censurando la sentenza d’appello per aver fatto derivare la qualifica pubblicistica del liquidatore dalla sola provenienza pubblica delle somme.

Il Collegio ha ribadito che il reato di peculato richiede che l’agente disponga del bene “in ragione dell’ufficio pubblico” ricoperto.

Non è sufficiente la natura pubblica della pecunia, ma occorre che il soggetto operi concretamente nell’ambito di funzioni pubbliche.

Nel caso in esame, al momento dei fatti l’ente era in liquidazione e le funzioni del ricorrente erano circoscritte alla gestione privatistica del patrimonio, sicché non poteva attribuirsi alcuna qualifica pubblicistica al liquidatore.

La condotta è stata pertanto riqualificata come appropriazione indebita aggravata ex art. 61, n. 11 c.p., con conseguente declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.


Il principio di diritto

Il fulcro della decisione risiede nell’individuazione della qualifica soggettiva dell’agente.

La Corte ribadisce che lo status di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio non può essere desunto dalla mera natura pubblica delle somme gestite, ma dipende esclusivamente dalle funzioni concretamente esercitate.

In questa prospettiva, il liquidatore di un ente in liquidazione non svolge attività riconducibili alla sfera pubblicistica, bensì compiti di carattere privatistico volti alla definizione dei rapporti patrimoniali residui.

Ne consegue che l’appropriazione di fondi, pur se di provenienza pubblica, non configura peculato, ma appropriazione indebita aggravata ex art. 61, n. 11, c.p.


La sentenza integrale

Cass. pen., sez. VI, ud. 8 luglio 2025 (dep. 15 settembre 2025), n. 30782

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Salerno, a seguito di gravame interposto - per quanto in questa sede di interesse - dall'imputato B.M. avverso la sentenza emessa il 26 giugno 2023 dal locale Tribunale, ha confermato la decisione con la quale II predetto imputato è stato riconosciuto responsabile del reato di peculato ascrittogli sub C)d), quale liquidatore del Consorzio (OMISSIS) in relazione alla appropriazione della somma complessiva di euro 102.260, attraverso vari prelievi effettuati dal 15 gennaio 2013 al 24 novembre 2014 da un conto corrente di cui era titolare il Consorzio, e condannato a pena di giustizia.


2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato che con atto del difensore deduce i seguenti motivi.


2.1. Con il primo motivo inosservanza o erronea applicazione degli artt. 314,357 e 358 cod. pen. in relazione alla qualifica pubblicistica dell'imputato ricorrente, essendo cessata qualsiasi attività aziendale con la sua messa in liquidazione (risalente al 20.01.2012) ed essendo limitato il compito dell'imputato, quale liquidatore, alla definizione dei rapporti di debito e di credito dell'ente, di natura strettamente privatistica rispondente a norme di diritto privato a nulla rilevando che tra i rapporti da definire vi fossero eventuali debiti nei confronti della P.A. In questo senso si è espressa la Corte dei Conti - sez. Giurisdizionale per la Campania con la sentenza n. 21 depositata il 21.01.2025 nell'ambito del giudizio di responsabilità erariale a carico del ricorrente (allegata al ricorso) che ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione.


2.2. Con il secondo motivo difetto di motivazione in ordine alla predetta dedotta violazione di legge penale, devoluta in appello ma ignorata dalla sentenza impugnata.


2.3. Con il terzo motivo travisamento della prova e mancanza della motivazione in relazione alle deduzioni difensive in appello in ordine alla presenza - alla data in cui il ricorrente divenne liquidatore (13.1.2013) - di somme di provenienza pubblica nella disponibilità di Artigianfidi.


2.4. Con il quarto motivo difetto di motivazione con riferimento al quarto motivo di appello in ordine alla incidenza sull'elemento psicologico del reato della accertata confusione contabile ereditata dal ricorrente e in relazione alla consapevolezza dell'origine pubblica dei fondi attinti.


2.5. Con il quinto motivo violazione della legge penale e illogicità della motivazione in ordine al rigetto della richiesta di applicazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, essendo estranea al relativo parametro la gravità del reato, rilevando la prognosi di reiterabilità del reato che non può desumersi dalla mancata restituzione delle somme oggetto di appropriazione.


3. In assenza di istanza di trattazione orale, il P.G. ha concluso con requisitoria scritta come in epigrafe.


4. E' pervenuta memoria difensiva di replica alla requisitoria del Procuratore generale.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato in base all'assorbente primo e secondo motivo e deve essere accolto.


2. Indiscussa l'appropriazione delle indicate somme del Consorzio da parte dell'imputato, secondo il doppio conforme accertamento di merito, la sentenza impugnata ha respinto la deduzione difensiva in appello in ordine alla assenza di qualifica pubblicistica del ricorrente, sulla base della accertata natura pubblica delle somme oggetto di appropriazione in quanto provenienti dal M.E.F. e a destinazione vincolata alle finalità previste di aiuto alle imprese a rischio finanziario (v. pg. 12 della sentenza impugnata). A tal riguardo, la sentenza assume che gli accertamenti avevano acclarato che sin dal 2007 l'ente era in condizioni estremamente precarie, tali da giustificare sin da allora la sua messa in liquidazione, tanto che era in grado di operare quasi solo con i fondi di fonte M.E.F., così giustificandosi la fonte pubblica delle somme apprese.


3. Ritiene questa Corte che erroneamente è stata riconosciuta la qualificazione di agente pubblico al ricorrente in relazione alla appropriazione ascrittagli, in quanto non è la provenienza pubblica delle somme oggetto di appropriazione a fondare tale qualità, avendo egli commesso i fatti nella ascritta veste di liquidatore dell'Ente, quando erano - per definizione - cessate le attività di questo in ordine alle somme erogate dal M.E.F.


Invero, il reato di peculato punisce l'appropriazione del bene abusando della sua disponibilità in ragione dell'ufficio pubblico ricoperto dall'agente e non, semplicemente, l'appropriazione del bene "pubblico", qualità che non determina la qualifica pubblicistica del soggetto agente.


E' stato - al tal riguardo - chiaramente affermato che, ai fini dell'attribuzione della qualifica soggettiva di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, rileva la connotazione oggettiva e funzionale dell'attività concretamente svolta dall'agente, e non già il carattere pubblico della "pecunia" (Sez. 6, n. 4520 del 23/10/2024, dep. 2025, Felicita, Rv. 287453); ancora, in tema di reati contro la pubblica amministrazione, riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio il dirigente di una società "in house" - avente natura di impresa pubblica e forma giuridica privata - limitatamente alle attività direttamente correlate all'espletamento del servizio pubblico o con questo poste in rapporto ausiliario o strumentale (Sez. 6, n. 23910 del 03/04/2023, Ciccimarra, Rv. 284759 - 01).


Cosìcché deve essere negata la qualifica pubblicistica del ricorrente all'atto delle illecite appropriazioni da lui commesse.


4. Non può accedersi alla prospettazione del Requirente in ordine alla responsabilità del ricorrente per il delitto di peculato in ragione del suo concorso, quale extraneus, con il Ro., Presidente del Consiglio di Amministrazione dell'ente consortile, secondo una inaccessibile diversa ricostruzione del fatto.


Il doppio conforme accertamento di merito ha attribuito al Bo. l'appropriazione delle somme in ragione della sua qualità di liquidatore dell'ente, senza alcun riferimento a coevi accordi con altri soggetti qualificati, quali il Ro., nei confronti del quale - peraltro - è stata pronunciata in appello definitiva declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione in relazione al delitto di peculato sub C)a) ascrittogli - riprova della autonomia della sua condotta - cessato dalla carica di amministratore nel 2011, quindi ben prima dell'assunzione da parte del ricorrente della carica di liquidatore e senza che sia stato interessato da alcuna estensione alla appropriazione ascritta all'attuale ricorrente.


In ogni caso, anche tale - inaccessibile - diversa ricostruzione della responsabilità del ricorrente non soddisfa il criterio di legittimità sopra ricordato, in assenza - comunque - dell'obiettivo esercizio di funzioni pubblicistiche in occasione delle appropriazioni in questione.


5. Pertanto, la condotta appropriativa contestata, in assenza della qualificazione pubblicistica del ricorrente, deve essere riqualificata quale appropriazione indebita aggravata ai sensi dell'art. 61 n. 11 cod. pen. per l'abuso delle funzioni di liquidatore dell'Ente, dovendosi dichiarare l'intervenuta prescrizione del reato, essendo decorso il relativo termine massimo.


5. Sono assorbiti gli altri motivi di ricorso.


6. Deve, quindi, essere disposto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il reato, come sopra riqualificato, è estinto per prescrizione.

P.Q.M.

Riqualificato il fatto quale appropriazione indebita aggravata, annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.


 
 
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