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Reddito di cittadinanza: In caso di falso è legittimo il sequestro preventivo della carta postepay.

Cassazione penale sez. III, 24/09/2021, (ud. 24/09/2021, dep. 15/02/2022), n.5309



RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 3.6.2021, il Tribunale di Salerno - Sezione riesame rigettava l'impugnazione proposta nell'interesse di I.M. avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal g.i.p. presso il medesimo Tribunale in data 1.4.2021, avente ad oggetto la carta destinata all'accredito del reddito di cittadinanza nonché la somma pari ad Euro 18.550,41, corrispondente al profitto del reato di cui al D.L. n. 4 del 2019, art. 7, commi 1, 2 e 3, convertito con mod. nella L. n. 26 del 2019.


2. Avverso tale provvedimento ricorre la I., tramite il proprio difensore, deducendo, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), il vizio di nullità ex art. 125, comma 3, stesso codice e quello di motivazione apparente.


2.1. La difesa, premesso che il Tribunale ha ritenuto sussistere il fumus del reato ipotizzato affermando essere stata accertata, a carico dell'indagata, l'acquisizione di redditi non dichiarati derivanti da vincite da gioco on line - pari ad Euro 61.926,42 nel 2017 e ad Euro 37.422,87 nel 2018 -, non avendo ravvisato elementi per dubitare dell'affidabilità dei dati contenuti nel prospetto in atti redatto dalla Guardia di Finanza, lamenta che difetta, nella specie, la stessa sussumibilità del fatto nell'ipotesi di reato contestata, in quanto la ricorrente non aveva effettivamente realizzato i redditi descritti, di cui si contesta la mancata indicazione nella dichiarazione volta ad ottenere il beneficio.


2.2. Le vincite, invero, erano state accreditate su un conto on line, infruttifero ed intrattenuto solo per finalità di gioco, come evidenziato dallo stesso Tribunale. Tale conto, attivato previa registrazione del giocatore e versamento di una somma iniziale, normalmente messa a disposizione dal gestore sotto forma di "bonus", ad avviso della difesa della ricorrente si compone di un "dare" (le giocate) e di un "avere" (le vincite) che, peraltro, non corrispondono a reali movimentazioni di denaro, rappresentate solo dalle "ricariche" e dalle "riscossioni".


In qualsiasi momento, afferma il ricorso, il giocatore può riscuotere le vincite, realizzando un provento effettivo, purché il conto presenti un saldo positivo; tuttavia, nel caso in esame, il conto on line presentava un saldo negativo, in quanto le giocate erano superiori alle vincite, onde era da escludersi che l'indagata avesse realizzato proventi effettivi.


3. Il P.G. ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile, in quanto manifestamente infondato, meramente reiterativo di doglianza adeguatamente considerate e valutate dal provvedimento impugnato e tendente a sollecitare una non consentita rivalutazione del merito della regiudicanda, come tale precluso in sede di legittimità.


1.1. In via preliminare, occorre richiamare la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656; Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Rv. 269119 - 01; Sez. 1, n. 6821 del 31/01/2012, Rv. 25243001; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Rv. 248129 - 01), secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell'art. 325 c.p.p., è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice, come, per esempio, nel caso di mero utilizzo di timbri o di moduli prestampati (Sez. 4, n. 520 del 18/02/1999, Rv. 213486-01; Sez. 1, n. 43433 dell'8/11/2005, Rv. 233270-01; Sez. 3, n. 20843, del 28/04/2011, Rv. 25048201) o di ricorso a clausole di stile (Sez. 6, n. 7441 del 13/03/1992, Rv. 19088301; Sez. 6, n. 25631 del 24/05/2012, Rv. 254161-01) e, più in generale, quando la motivazione dissimuli la totale mancanza di un vero e proprio esame critico degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione, o sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonea a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U., n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692-01; nello stesso senso anche Sez. 4, n. 43480 del 30/09/2014, Rv. 260314-01, secondo cui la motivazione dell'ordinanza confermativa del decreto di sequestro probatorio è meramente apparente - quindi censurabile con il ricorso per cassazione per violazione di legge - quando le argomentazioni in ordine al fumus del carattere di pertinenza ovvero di corpo del reato dei beni sottoposti a vincolo non risultano ancorate alle peculiarità del caso concreto).


Non può, invece, essere dedotta l'illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di cui alla lett. e) dell'art. 606 c.p.p. (in tal senso cfr. Sez. Un., n. 5876 del 28/01/2004, Rv. 226710-01).


1.2. Tanto premesso, deve ritenersi che, nel caso di specie, non sia configurabile né la violazione di legge formalmente dedotta, né la mera apparenza dell'impianto motivazionale, avendo il Tribunale del riesame illustrato adeguatamente le ragioni poste a fondamento della propria decisione, mediante 12una valutazione critica degli elementi indiziari disponibili.


Il provvedimento impugnato, invero, si mostra coerente con il principio secondo cui nel sequestro preventivo la verifica del giudice del riesame, ancorché non debba tradursi nel sindacato sulla concreta fondatezza dell'accusa, deve, tuttavia, accertare la possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato; pertanto, ai fini dell'individuazione del "fumus commissi delicti", non è sufficiente la mera "postulazione" dell'esistenza del reato, da parte del pubblico ministero, in quanto il giudice del riesame nella motivazione dell'ordinanza deve rappresentare in modo puntuale e coerente le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti e dimostrare la congruenza dell'ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura cautelare reale sottoposta al suo esame. (Sez. 4, n. 15448 del 14/03/2012, Vecchione, Rv. 253508-01; Sez. 5, n. 49596 del 16/09/2014, Armento, Rv. 261677-01; Sez. 6, n. 18183 del 23/11/2017, dep. 2018, Polifroni, Rv. 272927-01).


2. E' stato, dunque, ritenuto integrato, in maniera non puramente apodittica, il fumus del reato di cui al D.L. n. 4 del 2019, art. 7, convertito dalla L. n. 26 del 2019, il quale prevede, al comma 1, che "salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all'art. 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni"; al comma 2, si aggiunge che "l'omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all'art. 3, comma 8, ultimo periodo, commi 9 e 11, è punita con la reclusione da uno a tre anni".


2.1. A tale riguardo, è opportuno precisare che entrambe le fattispecie - la prima delle quali caratterizzata dal dolo specifico - si configurano come reati di condotta e di pericolo, in quanto dirette a tutelare l'amministrazione contro mendaci e omissioni circa l'effettiva situazione patrimoniale e reddituale da parte dei soggetti che intendono accedere o già hanno acceduto al "reddito di cittadinanza".


Come già osservato dalla giurisprudenza di questa Sezione (Sez. 3, n. 5289 del 25/10/2019, dep. 2020, Rv. 278573-01), si tratta di una disciplina correlata, nel suo complesso, al generale "principio antielusivo" che, come più volte affermato da questa Corte (ex plurimis, Sez. 4, n. 18107 del 16/03/2017, Rv. 269806), si ricollega alla nozione di capacità contributiva ai sensi dell'art. 53 Cost., la cui ratio risponde al più generale principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., onde il disvalore del reato di condotta riflette, ben oltre al profilo del pericolo di conseguimento di un profitto ingiusto, il dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico.


Tale essendo la ratio delle fattispecie incriminatrici contemplate dal D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, art. 7, convertito con mod. dalla L. 28 marzo 2019, n. 26, ne consegue che le stesse sono destinate a trovare applicazione indipendentemente dall'accertamento dell'effettiva sussistenza delle condizioni per l'ammissione al beneficio e, in particolare, del superamento delle soglie di legge.


2.2. In tale contesto ermeneutico, il Tribunale del riesame, come detto con motivazione non meramente apparente e, quindi, tale da sottrarsi al prospettato vizio di legittimità, ha valorizzato l'accertamento che la I., contrariamente a quanto desumibile dalle dichiarazioni presentate ai fini del conseguimento del reddito di cittadinanza, aveva conseguito vincite nell'ambito di giochi online, organizzati da soggetti concessionari o autorizzati dallo Stato, pari rispettivamente ad Euro 61.926,42 nel 2017 e ad Euro 37.422,87 nel 2018; vincite assoggettabili alla disciplina dettata dall'art. 67, comma 1, lett. d), TUIR quali redditi diversi, costituenti reddito imponibile per l'intero ammontare percepito nel periodo d'imposta, senza alcuna deduzione, ai sensi del successivo art. 69, comma 1, TUIR.


Va ulteriormente precisato che tali redditi, per quanto non debbano essere indicati nella dichiarazione annuale ai fini delle imposte dirette (in quanto la tassazione si verifica a monte, mediante ritenuta alla fonte a titolo di imposta), sono rilevanti ai fini della concessione o meno del redito di cittadinanza, atteso che il valore del reddito familiare è determinato, secondo quanto prevede il D.L. n. 4 del 2019, art. 2, comma 6, ai sensi del D.P.C.M. n. 159 del 2013, art. 4, comma 2, la cui lett. b) contempla i redditi soggetti a imposta sostitutiva o a ritenuta a titolo d'imposta quale elemento del reddito di ciascun componente del nucleo familiare.


Tanto premesso, vi è da sottolineare - come già, del resto, puntualizzato che le false indicazioni o le omissioni, anche parziali, dei dati di fatto riportati nelle dichiarazioni previste per l'ammissione al reddito di cittadinanza integrano la fattispecie di rilievo penale indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio; nella specie, peraltro, l'ordinanza impugnata ha evidenziato come gli accertamenti abbiano permesso di far emergere che la beneficiaria non avrebbe avuto, in realtà, il diritto di percepire detta forma di erogazione.


2. In tale dimensione ricostruttiva, le ragioni di doglianza della ricorrente si riassumono nella tesi secondo cui non potrebbe configurarsi l'effettivo conseguimento dei redditi contestati - e, conseguentemente, la violazione dell'obbligo di dichiarazione degli stessi nell'istanza volta ad ottenere il reddito di cittadinanza - atteso che le vincite erano state accreditate su un conto tenuto solo per finalità di gioco, in cui il dare (le giocate) e l'avere (le vincite) non corrisponderebbero a reali movimentazioni di denaro, individuabili soltanto qualora l'interessato effettui delle "ricariche" o delle "riscossioni" di somme vinte, così realizzando un provento effettivo, ovviamente alla condizione che il conto on line presenti un saldo positivo: evenienza nella specie da escludersi, in quanto le giocate erano superiori alle vincite.


2.1. Tale impostazione è stata disattesa, con argomentazioni sintetiche ma non apparenti né meramente apodittiche, dall'ordinanza impugnata allorché i giudici del riesame hanno, innanzitutto, conferito rilievo, ai fini della conferma della misura reale, agli accertamenti della Guardia di Finanza, non essendovi elementi per dubitare della affidabilità dei dati da cui emergeva il conseguimento di redditi diversi, nella specie consistenti nelle descritte e quantificate vincite al gioco on line.


Muovendo da tale piattaforma accertativa, il Tribunale ha, implicitamente ma non meno inequivocabilmente, mostrato di ritenere, quale presupposto della sussistenza del fumus del reato, che il conseguimento di tali redditi potesse senz'altro coincidere con l'accreditamento dei relativi importi sul conto nella disponibilità della vincitrice, non occorrendo che ad esso seguisse il materiale prelievo della provvista corrispondente (prelievo che, in ogni caso, in termini di principio era comunque possibile, come affermato dalla stessa difesa della ricorrente), potendo questa essere lasciata sul conto stesso e destinata ad ulteriori giocate.


Tale impostazione, lungi dal palesare profili di illegittimità, e', fra l'altro, coerente con l'orientamento, affermatosi in materia tributaria, secondo cui il legislatore ben può intendere il conseguimento e/o la percezione di un reddito come acquisizione del relativo diritto, che può manifestarsi anche attraverso atti di disposizione diversi dal materiale incasso, che può anche mancare (cfr. Sez. 5 civ., n. 2082 del 29/01/2021, Rv. 660304-01).


Il fatto, dunque, che il saldo finale degli anni in esame fosse, come afferma la difesa, negativo, non esclude che gli importi vinti siano stati accreditati sul conto gioco della ricorrente e che dalla stessa siano stati utilizzati per effettuare altre giocate o, comunque, destinati a compensare pregresse perdite, che rappresentavano altrettante poste debitorie da pagare: il che denota l'effettiva disponibilità delle somme in capo alla I..


2.2. In ogni caso, come già affermato da questa Sezione in analoga vicenda (cfr. Sez. 3, n: 29706 del 08/06/2021, n. m.), la censura dedotta non integra un vizio di violazione di legge, ma configura, a dispetto del nomen juris della rubrica, una contestazione della ricostruzione in fatto e, dunque, di natura squisitamente motivazionale, sulla natura e sulle caratteristiche del conto gioco acceso presso una società on line, e sui collegamenti che lo stesso presenta con il patrimonio mobiliare dell'indagata.


Pertanto, da un lato il motivo di ricorso si risolve in una sollecitazione ad un esame del merito della questione, inequivocabilmente precluso a questa Corte di legittimità; dall'altro, la censura illustrata non evidenzia vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice.


3. Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, onde, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la ricorrente va condannata al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.


P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.


Così deciso in Roma, il 24 settembre 2021.


Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2022

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