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Amministratore “testa di legno”? La Cassazione ribadisce il dovere di vigilanza e il concorso omissivo (Cass. Pen. n. n.28543/25)

Aggiornamento: 20 set

Amministratore “testa di legno”? La Cassazione ribadisce il dovere di vigilanza e il concorso omissivo (Cass. Pen. n. n.28543/25)

Indice:


1. Premessa

La Corte, con la sentenza in epigrafe, ritorna sull’annosa questione della responsabilità penale dell’amministratore di diritto in presenza di un amministratore di fatto, tema che da tempo alimenta un dibattito intenso in dottrina e giurisprudenza.

La pronuncia si segnala per avere ribadito un principio ormai consolidato nella prassi dei reati fallimentari: l’amministratore formalmente investito della carica non può rifugiarsi nella sua mera apparenza per andare esente da responsabilità, quando sia accertato che la gestione effettiva dell’impresa è stata esercitata da altri.

La Cassazione sottolinea come la coincidenza o compresenza delle due figure non valga ad elidere la responsabilità dell’amministratore di diritto, il quale resta comunque titolare di una posizione di garanzia che lo obbliga a impedire l’evento lesivo, rispondendo a titolo di concorso omissivo ai sensi dell’art. 40, comma 2, c.p.


2. Evoluzione giurisprudenziale: dalla “testa di legno” al garante attivo

Il dibattito sulla responsabilità dell’amministratore di diritto in presenza di un amministratore di fatto si è sviluppato lungo direttrici interpretative non sempre uniformi.

In una fase iniziale, la giurisprudenza di legittimità tendeva a distinguere nettamente le due figure, riconoscendo la responsabilità dell’amministratore formale quasi esclusivamente quando risultasse una sua diretta partecipazione agli atti di gestione illecita.

Emblematica, in tal senso, la sentenza Cristiano (Cass., sez. V, 22 novembre 2007, n. 46962, Rv. 238893), nella quale si affermava che la responsabilità penale non può derivare automaticamente dalla sola titolarità della carica, occorrendo pur sempre la prova di un contributo causale concreto.

Successivamente, la giurisprudenza ha progressivamente elaborato un modello più incisivo, che valorizza la posizione di garanzia dell’amministratore di diritto.

Un passaggio decisivo si rinviene nella pronuncia Regoli (Cass., sez. V, 28 maggio 2014, n. 44826, Rv. 261814), la quale ha qualificato la responsabilità dell’amministratore formale in termini di concorso omissivo, fondato sull’obbligo giuridico di impedire le condotte distrattive poste in essere dall’amministratore di fatto.

Non rileva, dunque, che il primo non abbia materialmente partecipato alle operazioni illecite: l’inerzia vigilante, in presenza di poteri impeditivi, integra pienamente l’elemento oggettivo del reato.

A ciò si è affiancato un progressivo ampliamento dell’elemento soggettivo: già con la sentenza Serpetti (Cass., sez. V, 22 ottobre 2014, n. 50348, Rv. 263225), la Corte ha chiarito che non è necessaria la conoscenza specifica dei singoli episodi distrattivi, essendo sufficiente la consapevolezza generica del rischio che l’amministratore di fatto stia realizzando condotte tipiche, consapevolezza che può assumere la forma tanto del dolo diretto quanto del dolo eventuale.

Il quadro è stato ulteriormente consolidato da pronunce più recenti, come Loda (Cass., sez. V, 24 settembre 2020, n. 32413, Rv. 279831), fino alla sentenza qui annotata, che conferma definitivamente l’idea dell’amministratore di diritto come garante attivo: non un mero spettatore, ma un soggetto gravato dall’obbligo di vigilanza e intervento, la cui omissione di controllo integra un concorso pieno nel reato fallimentare.


3. La natura del concorso omissivo nei reati fallimentari

L’impostazione della Cassazione si innesta sul terreno dogmatico dell’equivalenza tra azione e omissione sancita dall’art. 40, comma 2, c.p. Tale norma, com’è noto, presuppone:

(a) l’esistenza di un obbligo giuridico di impedire l’evento, ossia una posizione di garanzia;

(b) la possibilità concreta di adempiere a tale obbligo;

(c) il mancato esercizio dei poteri impeditivi, causalmente rilevante rispetto all’evento lesivo.

Trasposta nei reati fallimentari, questa struttura conduce a ritenere che l’amministratore di diritto, pur non essendo l’artefice materiale degli atti distrattivi o documentali, risponde del reato allorché ometta di attivare i poteri di gestione e vigilanza connessi alla carica.

In tale prospettiva, la posizione di garanzia non si esaurisce in un dovere etico o organizzativo, ma si radica nel complesso normativo civilistico e penal-fallimentare che attribuisce all’amministratore un dovere giuridico di preservare l’integrità del patrimonio sociale e la trasparenza contabile.

Sul piano dell’elemento soggettivo, il dolo dell’amministratore di diritto non richiede la conoscenza minuta di ciascuna operazione illecita: ciò che rileva è la consapevolezza della sistematica attività illecita posta in essere dall’amministratore di fatto, e la volontaria inerzia rispetto a tale rischio.

È qui che si colloca la soglia del dolo eventuale, come già riconosciuto in giurisprudenza: l’accettazione del rischio che le condotte del gestore di fatto compromettano il patrimonio sociale equivale a un contributo causale consapevole all’evento tipico.

Tale ricostruzione consente di superare il tradizionale equivoco della “responsabilità per posizione”, incompatibile con il principio di colpevolezza ex art. 27, comma 1, Cost. L’amministratore di diritto non risponde in quanto tale, ma perché — titolare di poteri impeditivi giuridicamente rilevanti — sceglie di non esercitarli pur consapevole della loro necessità.


4. Il principio applicato nella sentenza

La pronuncia in commento offre un banco di prova paradigmatico dell’impianto teorico sopra delineato.

Nel caso esaminato, l’imputato aveva sostenuto di avere assunto un ruolo meramente tecnico e marginale, successivo rispetto alle principali condotte distrattive, in realtà imputabili all’amministratore di fatto e ad altri soggetti.

La Corte di cassazione ha tuttavia ritenuto infondata la doglianza, osservando come la sua carica formale di amministratore di diritto lo rendesse titolare di un obbligo di vigilanza e di impedimento delle condotte illecite.

La sentenza ribadisce che la responsabilità dell’amministratore di diritto non discende meccanicamente dalla titolarità della carica, bensì dalla condotta omissiva consistente nel non avere esercitato i poteri impeditivi a lui spettanti. Proprio la prova che egli aveva cooperato, seppur marginalmente, a operazioni di prelievo, unita al ritardo nell’approvazione del bilancio e alla contabilizzazione in voci generiche (“crediti diversi”, “costi non deducibili”), ha confermato, agli occhi della Corte, l’inerzia colpevole e consapevole dell’imputato.

La Cassazione ha altresì richiamato la necessità di evitare scorciatoie argomentative: non è sufficiente parlare di “amministratore di diritto = responsabile”.

Occorre invece dimostrare, caso per caso, che la sua omissione abbia reso possibile o agevolato la distrazione patrimoniale o la falsificazione documentale.

In questa linea, la pronuncia si pone in continuità con Regoli e Serpetti, ma rafforza il messaggio: il confine tra concorso attivo e concorso omissivo è solo fenomenologico, non giuridico, poiché entrambe le forme integrano un contributo causale penalmente rilevante.

La difesa aveva invocato la mancanza di specifica conoscenza delle singole condotte distrattive, ma la Corte ha respinto l’argomento, ribadendo che il dolo può consistere nella consapevolezza generica della gestione illecita in atto, anche sotto forma di accettazione del rischio (dolo eventuale). Si tratta di un punto cruciale: l’amministratore di diritto non può pretendere di isolarsi dal rischio con il solo argomento della “non conoscenza analitica”, poiché il dovere impeditivo impone un’attività proattiva di vigilanza.

La sentenza appare dunque significativa perché consolida un orientamento di lungo corso: nell’ambito dei reati fallimentari, la figura dell’amministratore di diritto non tollera zone d’ombra.

La sua responsabilità penale si gioca sul terreno della vigilanza e del controllo, il cui omesso esercizio vale come contributo al reato del gestore di fatto.


5. La sentenza integrale

Cassazione penale sez. V, 14/07/2025, (ud. 14/07/2025, dep. 04/08/2025), n.28543

RITENUTO IN FATTO

parziale riforma della sentenza del Tribunale di Rovigo del 22 ottobre 2020, ha assolto Ga.Ma. e Ze.Mi. dalla condotta di bancarotta fraudolenta patrimoniale realizzata distraendo i beni della 'Gruppo Edil Mecc. Srl', dichiarata fallita il (Omissis), indicati nella fattura di vendita n. 39 del 30.07.2011, con la formula perché il fatto non sussiste;


ha, invece, confermato la condanna loro inflitta per la condotta di bancarotta fraudolenta patrimoniale realizzata in danno della stessa società, distraendo risorse dalle casse di questa tramite prelievi, assegni bancari ed operazioni extra-conto, e per le condotte di bancarotta fraudolenta documentale, di cui al capo c), realizzate contabilizzando in maniera scorretta i menzionati prelievi di risorse patrimoniali, così da non rendere possibile la ricostruzione della loro natura e della loro destinazione; ha, quindi, ridotto la pena loro applicata ed ha revocato le statuizioni civili.


Respingendo i rilievi di gravame, il giudice di appello ha confermato l'apprezzamento del giudice di primo grado: quanto all'essere il Ga.Ma. non un amministratore apparente della società fallita, ma una figura che aveva partecipato attivamente alla sua gestione; quanto all'essere lo Ze.Mi., ancorché non rivestito di cariche formali in seno all'organigramma aziendale, una figura stabilmente inserita in esso, tanto da avere compiuto atti di concreta gestione della compagine imprenditoriale; infine, quanto all'essere, le riscontrate irregolarità contabili, funzionali a dissimulare le operate distrazioni patrimoniali.


2. Hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, con distinti atti di impugnativa, sottoscritti dai loro difensori e qui riportati, in riferimento alle censure articolate, nei limiti stabiliti per la motivazione secondo quanto previsto dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.


2.1. Il ricorso nell'interesse di Ga.Ma. consta di tre motivi.


- 1. Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 216, comma 1, n. 1 e 223 L.F, 192 e 530, commi 1 e 2, cod. proc. pen. e il vizio di motivazione in relazione alla conferma della condanna inflitta al ricorrente per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo a).


Si eccepisce il decisivo fraintendimento delle risultanze processuali: I.) per essere stato Ga.Ma. ritenuto responsabile di tutte le distrazioni di risorse societarie realizzate tramite prelievi, assegni bancari ed operazioni extra-conto, per un ammontare superiore ad Euro 200.000,00, ancorché solo settantacinque, tra quelle riportate nel capo d'imputazione, fossero successive al 17 febbraio 2011, data di sua assunzione della carica di amministratore formale della 'Group Edil Mecc Srl', e solo due fossero riferibili a sue condotte materiali; II.) per essere stato assegnato alle dichiarazioni della Curatrice fallimentare e di suo padre, Ga.Ug., un significato diverso da quello solo da esse reso manifestato: ossia, che la gestione effettiva della 'Group Edil Mecc Srl' era esclusivamente nelle di Ze.Mi. e della consorte Ma.Pa.


Donde, era stato fatto malgoverno delle direttive impartite dalla giurisprudenza di questa Corte in ordine all'interpretazione degli elementi fattuali indicativi della gestione solo apparente di una società da parte di un amministratore 'testa di legno' e del dolo che ne deve animare l'agire per potere essere ritenuto responsabile del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale.


- Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 216, comma 1, n. 2 e 223 L.F, 192 e 530, commi 1 e 2, cod. proc. pen. e il vizio di motivazione in relazione alla conferma della condanna inflitta al ricorrente per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo c).


Ci si duole dell'omessa considerazione della circostanza decisiva, emergente dalle dichiarazioni della Curatrice fallimentare, che la contabilità aziendale, già nell'anno 2010, con Ze.Mi. amministratore, era oggetto di contraddizioni, per prelievi senza giustificazione effettuati dallo stesso Ze.Mi. e dalla Ma.Pa., proseguiti nell'anno successivo con Ga.Ma. amministratore, di modo che la Corte territoriale avrebbe dovuto spiegare, con maggiore impegno argomentativo, le ragioni per le quali aveva ritenuto che Ga.Ma., a dispetto del suo ruolo meramente tecnico in seno all'azienda, avesse avuto effettiva contezza della irregolare tenuta delle scritture contabili e avesse inteso offrire il proprio contributo per mantenerle in tale stato, come del resto richiesto dalla giurisprudenza di legittimità ai fini della prova del dolo generico che sorregge la fattispecie di bancarotta documentale di cui alla seconda parte dell'art. 216, comma 1, n. 2 L.F.


Donde, poiché la suddetta prova era fallita, il fatto, come contestato, avrebbe dovuto essere sussunto nello schema qualificatorio della bancarotta semplice documentale, con conseguente dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.


- Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen. e il vizio di motivazione in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio.


È dedotto che la Corte territoriale non avrebbe motivato il diniego delle circostanze attenuanti generiche ancorché Ga.Ma. ne fosse meritevole: perché incensurato; perché aveva tenuto un comportamento collaborativo con la Curatrice fallimentare; perché aveva concluso un accordo transattivo con la parte civile, che infatti aveva revocato la propria costituzione; perché aveva avuto un ruolo marginale nella gestione societaria.


2.2. Il ricorso nell'interesse di Ze.Mi. consta di tre motivi.


- Il primo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione alla conferma della condanna del ricorrente per la bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo a), per non avere la Corte territoriale nulla argomentato per spiegare le ragioni per le quali i prelievi da lui effettuati nel corso del 2010, quando la società era ancora 'in bonis', potessero qualificarsi come distrattivi e dotati di efficacia eziologica rispetto al successivo dissesto.


- Il secondo motivo denuncia il vizio di motivazione in relazione alla conferma della condanna del ricorrente per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo c), ancorché la Curatrice fallimentare avesse dichiarato che la contabilità aziendale era stata aggiornata fino alla data del 31 maggio 2012, tanto vero che il bilancio 2011 era stato regolarmente approvato. Ad ogni buon conto, se il deducente era stato ritenuto amministratore di fatto della società fallita solo fino all'agosto 2011, quando aveva presentato una denuncia di furto di alcuni beni detenuti in leasing dalla società stessa, non gli si sarebbero dovute imputare condotte di irregolare tenuta delle scritture contabili successive a tale data.


- Il terzo motivo denuncia il vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, la cui esclusione era stata giustificata per il solo fatto di avere il ricorrente sempre negato le proprie responsabilità: ciò in spregio all'orientamento interpretativo secondo cui la mancata confessione da parte dell'imputato non può essere motivo esclusivo di diniego delle attenuanti innominate. Donde, la Corte territoriale avrebbe dovuto valorizzare, in funzione della concessione del beneficio richiesto, l'accordo transattivo stipulato con il Fallimento "Group Edil Mecc Srl' e il versamento ad esso della somma di Euro 30.000,00, che avevano determinato la revoca della costituzione di parte civile.


3. Il Sostituto Procuratore generale Gaspare Sturzo ha concluso per iscritto in data 17 giugno 2025 chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili.


4. I difensori di Ze.Mi. e di Ga.Ma., con distinte memorie depositate in Cancelleria tramite PEC, rispettivamente in data 4 luglio 2025 e 8 luglio 2025, hanno replicato alle conclusioni rassegnate dal Procuratore generale e hanno concluso insistendo per l'accoglimento dei motivi di ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi sono infondati.


1. Il ricorso nell'interesse di Ga.Ma. è complessivamente infondato.


1.1. Quanto al primo motivo, è inammissibile la censura con la quale si è denunciata l'illegittimità dell'affermazione di responsabilità del ricorrente per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo a), per essergli stati addebitati, a titolo di condotte distrattive, tutti i prelievi ingiustificati dalle casse della 'Gruppo Edil Mecc. Srl', ancorché solo settantacinque di questi fossero stati effettuati dopo la sua nomina ad amministratore della società (il 17 febbraio 2011).


Invero, solo con il ricorso per cassazione, e quindi per la prima volta in questa sede, la difesa di Ga.Ma. ha formulato la doglianza negli specifici termini sopra riportati, essendosi limitata a dedurre, con il secondo motivo di appello (per come risultante dalla sua incontestata sintesi, contenuta nella sentenza impugnata), che "al Ga.Ma. erano 'materialmente' riconducibili prelievi per soli Euro 1.600,00 laddove la grande parte dei prelievi era stata effettuata dalla Ma.Pa. e dallo Ze.Mi., nonché dall'altro socio Ga.Ug.".


Donde, implicando la censura in esame non consentiti accertamenti in fatto, la stessa è preclusa nel presente giudizio di legittimità.


Le ulteriori censure, che attingono lo stesso capo d'accusa sotto il profilo della prova dell'effettivo svolgimento da parte di Ga.Ma. delle funzioni gestorie connaturate alla sua carica di amministratore formale della società fallita e sotto il profilo dell'attribuibilità materiale e psicologica delle condotte distrattive poste in essere dall'amministratore di fatto Ze.Mi., non colgono le rationes decidendi sottese alla statuizione impugnata.


Con la prima il giudice di appello ha inteso dare seguito all'insegnamento di questa Corte secondo cui "In tema di reati fallimentari, la previsione di cui all'art. 2639 cod. civ. non esclude che l'esercizio dei poteri o delle funzioni dell'amministratore di fatto possa verificarsi in concomitanza con l'esplicazione dell'attività di altri soggetti di diritto, i quali - in tempi successivi o anche contemporaneamente - esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione" (Sez. 5, n. 12912 del 06/02/2020, Pauselli, Rv. 279040 - 01; Sez. 5, Cristiano, n. 46962 del 22/11/2007, Cristiano, Rv. 238893 - 01), di modo che "Sussiste la responsabilità dell'amministratore di diritto, a titolo di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, con l'amministratore di fatto non già ed esclusivamente in virtù della posizione formale rivestita all'interno della società, ma in ragione della condotta omissiva dallo stesso posta in essere, consistente nel non avere impedito, ex art. 40, comma 2, cod. pen., l'evento che aveva l'obbligo giuridico di impedire e cioè nel mancato esercizio dei poteri di gestione della società e di controllo sull'operato dell'amministratore di fatto, connaturati alla carica rivestita" (Sez. 5, n. 44826 del 28/05/2014, Regoli, Rv. 261814 - 01);


concorso dell'amministratore formale nel reato commesso dall'amministratore di fatto per la cui integrazione è sufficiente, dal punto di vista dell'elemento psicologico, "la generica consapevolezza (da parte del primo) che il secondo compia una delle condotte indicate nella norma incriminatrice, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l'elemento soggettivo sia come dolo diretto, che come dolo eventuale" (Sez. 5, n. 50348 del 22/10/2014, Serpetti, Rv. 263225 - 01; conf. Sez. 5, n. 32413 del 24/09/2020, Loda, Rv. 279831 - 01).


Con la seconda il giudice censurato, dopo avere dato conto degli elementi di prova attestanti l'attiva presenza dell'appellante - assieme al padre, Ga.Ug. -nella gestione della 'Gruppo Edil Mecc. Srl', sia pure per quel che riguarda "tutta la parte tecnica" (pag. 11 della sentenza impugnata) - tanto avendo consentito di escluderne "un ruolo meramente formale o, peggio, di vera e propria "testa di legno")" -, ha affermato che erano rimaste dimostrate anche condotte distrattive attive dell'impugnante, il quale, oltre ad avere effettuato prelievi ingiustificati dell'ammontare di Euro 1.600,00, aveva cooperato con il padre nell'effettuarne di altri, non avendo, altrimenti, costui "alcuna legittimazione, neppure formale a dar luogo ai medesimi" (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata).


Con l'una e con l'altra delle riportate rationes decidendi, dunque, il ricorrente non si è, invero, specificamente confrontato.


1.2. Assenza di specificità che contraddistingue anche il secondo motivo di ricorso.


Una volta escluso il ruolo meramente formale di Ga.Ma. in seno all'organigramma aziendale ed evidenziato il suo dovere, connesso alla carica di amministratore di diritto della società fallita, di provvedere alla regolare tenuta delle scritture contabili, la Corte territoriale ha evidenziato non solo che, "attraverso la contabilizzazione dei prelievi prima nel mastrino "crediti diversi", che non consentiva di identificare il soggetto ipoteticamente debitore della società, poi attraverso l'utilizzo del conto "costi non deducibili", che per l'appunto palesava soltanto la non inerenza rispetto all'attività della società", era stato di fatto impedito alla Curatela di ricostruire il volume degli affari della società fallita e le stesse cause del dissesto, ma anche che Ga.Ma. aveva "significativamente ritardato l'approvazione del bilancio del 2011, durante il quale si era distribuita la maggior parte dei prelievi distrattivi" (cfr. pagg. 13 e 14 della sentenza impugnata).


Tali puntuali motivazioni rendono non pertinenti i richiami difensivi al principio di diritto secondo cui "In tema di reati fallimentari, l'amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili anche se sia investito solo formalmente dell'amministrazione della società fallita (cosiddetta testa di legno), in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell'amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari" (Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, Pastechi, Rv. 271754 - 01) e rendono ragione della mancata derubricazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale, nella forma di cui alla seconda parte della disposizione contenuta nell'art. 216, comma 1, n. 2 L.F., in quello di bancarotta semplice documentale, essendosi dato compiutamente conto della coscienza e volontà dell'imputato di "rendere, se non impossibile, quantomeno molto difficoltosa la ricostruzione del patrimonio o del movimento di affari" (Sez. 5, n. 21028 del 21/02/2020, Capasso, Rv. 279346 - 01).


1.3. Infondato è, infine, il motivo (il terzo) che denuncia l'omessa risposta del giudice di appello alla richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche in favore di Ga.Ma.


Rileva il Collegio che le circostanze ex art. 62-bis cod. pen. sono state legittimamente negate al ricorrente con motivazione implicita (Sez. 1, n. 12624 del 12/02/2019, Dulan, Rv. 275057 - 01), avendo la Corte territoriale spiegato -sia pure con riferimento alla posizione di Ze.Mi. - che "il dato dell'incensuratezza è normativamente insufficiente a fondare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche" e che l'importo dei prelievi personalmente effettuati dal Ga.Ma., anche in cooperazione con il padre, nonché il suo concorso in quelli effettuati da altri, era tale qualificare il fatto di distrazione ascrittogli in termini di significativa gravità, oltretutto considerato il suo decisivo contributo all'irregolare tenuta delle scritture contabili societarie, che avevano impedito all'Ufficio fallimentare di individuare la destinazione delle somme sottratte alle casse della società fallita.


Ne viene che il giudice censurato non era tenuto ad esaminare e valutare tutte le circostanze prospettate dalla difesa, avendo adeguatamente indicato le ragioni preponderanti a sostegno del diniego del beneficio ex art. 62-bis cod. pen. (Sez. 1, n. 866 del 20/10/1994, dep. 1995, P.m., Rv. 200204 - 01).


2. Anche il ricorso nell'interesse di Ze.Mi. è complessivamente infondato.


2.1. Le censure di cui al primo motivo, che eccepiscono il difetto di motivazione in ordine alla natura distrattiva dei prelievi effettuati dal ricorrente nel 2010, quando la 'Gruppo Edil Mecc. Srl' era ancora 'in bonis', e alla loro efficienza causale rispetto al dissesto, sono da disattendere perché articolate in assenza di confronto con il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui la bancarotta fraudolenta patrimoniale è reato di pericolo concreto, che non esige, ai fini della sua consumazione, che sia data prova dell'esistenza di un nesso causale tra la condotta distrattiva e il successivo fallimento (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804 - 01), essendo, invece, sufficiente che l'atto abbia determinato un depauperamento del patrimonio societario e un effettivo pericolo per la massa dei creditori, da valutarsi tenendo conto di una serie di indicatori fattuali, rappresentati dalla natura e dal valore dei beni distratti, dal contesto economico e finanziario dell'impresa, dalla prossimità temporale rispetto al dissesto e dalla reiterazione o sistematicità delle condotte (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763 - 01; Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Palitta, Rv. 269562 - 01).


Ciò posto, il motivo in disamina è, comunque, inammissibile perché inedito, non essendo stata dedotta, la questione in esso prospettata, che involge profili di merito, al giudice di appello, tanto risultando dall'incontestata sintesi del primo e del terzo motivo di gravame ("Mancanza di responsabilità in ordine al reato contestato sub capo a)"; "Mancanza dell'elemento soggettivo dei reati contestati").


2.2. Il secondo motivo è infondato.


Secondo la giurisprudenza di questa Corte "Nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale l'interesse tutelato non è circoscritto ad una mera informazione sulle vicende patrimoniali e contabili della impresa, ma concerne una loro conoscenza documentata e giuridicamente utile, sicché il delitto sussiste, non solo quando la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari del fallito si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza" (Sez. 5, n. 1925 del 26/09/2018, dep. 2019, Cortinovis, Rv. 274455 - 01). Difficoltà ricostruttive di cui si è dato conto nella sentenza impugnata laddove si è spiegato come "la contabilizzazione dei prelievi nel mastrino "crediti diversi" non consentisse di identificare il soggetto ipoteticamente debitore della società" e come "l'utilizzo del conto "costi non deducibili" palesasse soltanto la loro non inerenza rispetto all'attività della società", di modo che è priva di rilievo scriminante la circostanza, addotta dal ricorrente, che il bilancio per il 2011 fosse stato regolarmente approvato", peraltro, con ritardo il 30 maggio 2012 (cfr. pag. 14 della sentenza impugnata).


Il rilievo difensivo secondo cui Ze.Mi. sarebbe stato amministratore di fatto della 'Gruppo Edil Mecc. Srl' "fino all'agosto del 2011" è, poi, frutto di un travisamento del tenore della sentenza impugnata, limitatasi ad affermare che "ancora, sempre nell'agosto 2011, lo Ze.Mi. aveva presentato una denuncia per conto della società fallita in relazione al furto di alcuni macchinari in leasing" (cfr. pag. 17).


Il significato di tale enunciato è, infatti, soltanto quello di esprimere il concetto secondo cui il ricorrente, anche dopo la cessazione (in data 17 febbraio 2011) dalla carica formale di amministratore della società, si era "attivamente impegnato, in via continuativa, in un'attività francamente gestoria" (cfr. pag. 16 della sentenza impugnata), come quella di presentare una denuncia di furto di beni aziendali per conto della società.


2.3. Anche il terzo motivo è infondato.


Correttamente esclusa la decisività, ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, dell'incensuratezza dell'imputato, il loro diniego, giustificato valorizzando il suo "atteggiamento negatorio di ogni responsabilità", trova fondamento nel principio di diritto secondo cui "Ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il pieno esercizio del diritto di difesa, se faculta l'imputato al silenzio e persino alla menzogna, non lo autorizza, per ciò solo, a tenere comportamenti processualmente obliqui e fuorvianti, in violazione del fondamentale principio di lealtà processuale che deve comunque improntare la condotta di tutti i soggetti del procedimento, e la cui violazione è indubbiamente valutabile da parte del giudice di merito. (Fattispecie nella quale il diniego delle predette circostanze attenuanti era stato motivato evidenziando il censurabile comportamento processuale dell'imputato, improntato a reticenza ed ambiguità)" (Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012, Biondi, Rv. 253152 - 01).


Deve essere, pertanto, ripetuto che il giudice censurato non era tenuto ad esaminare e valutare tutte le circostanze prospettate dalla difesa, avendo assolto al proprio obbligo motivazione indicando le ragioni preponderanti a sostegno del diniego del beneficio richiesto.


3. Per tutto quanto esposto i ricorsi devono essere rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 14 luglio 2025.


Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2025.


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