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Riciclaggio: le cose sequestrate vanno restituite a chi prova lo ius possidendi


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di riciclaggio

La massima

La restituzione delle cose sequestrate e non confiscate va operata in favore di colui che vanti su di esse una pretesa giuridicamente meritevole e dia prova positiva del suo ius possidendi. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi il provvedimento che ha escluso la restituzione di una somma di denaro all'imputato assolto dal reato di riciclaggio - Cassazione penale , sez. II , 11/09/2019 , n. 3788).

 

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 23/11/2017, per quello che ancora in questa sede rileva, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Como in data 14/02/2014 così provvedeva: dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti di B.G. relativamente al reato di cui al capo sub. 1) (art. 416 c.p.) e confermava la condanna del predetto per i reati di cui ai capi sub. 3) e 19), riguardanti due ipotesi ex art. 110 c.p. e art. 648 bis c.p., comma 1 e 2, rideterminando la pena; dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti di B.M. relativamente al reato di cui al capo sub. 48) (art. 416 c.p.), revocava la confisca della somma di Euro 270.000,00 sequestrata al predetto, disponendo il mantenimento del sequestro a disposizione di chi fosse in grado di provare il diritto alla restituzione di dette somme; dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti di G.G. relativamente ai reati di cui ai capi sub. 61 A) (fattispecie riqualificata nella violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70) e 61B) (L. n. 7 del 2000, art. 4, comma 1); dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti di P.D. relativamente al reato di cui al capo sub. 1) (art. 416 c.p.) ed a seguito di concordato fra le parti con rinunzia dei motivi di appello ex art. 599 bis c.p.p. rideterminava la pena a carico del predetto in relazione al reato di cui al capo sub. 3 (art. 110 c.p. e art. 648 bis c.p., comma 1 e 2); dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti di R.A. e T.A. relativamente al reato di cui al capo sub. 48) (art. 416 c.p.) e confermava la condanna dei predetti per il reato di cui al capo 57B) (art. 110 c.p. e art. 648 bis c.p., comma 1 e 2), rideterminando la pena; revocava la confisca della somma di Euro 250.000,00 sequestrata a S.G., disponendo il mantenimento del sequestro a disposizione di chi fosse in grado di provare il diritto alla restituzione di dette somme; dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti di V.G.G. relativamente al reato di cui al capo sub. 48) (art. 416 c.p.) e confermava la condanna del predetto per il reato di cui al capo 57A) (art. 110 c.p. e art. 648 bis c.p., comma 1 e 2), rideterminando la pena.


2. Contro la suindicata sentenza propongono ricorsi per Cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori, B.G., B.M., G.G., P.D., R.A. e T.A., S.G. nonchè V.G.G..


2.1. B.G. formula due motivi:


a. violazione dell'art. 606, lett. e) in punto di affermazione della penale responsabilità del ricorrente per i reati di riciclaggio di cui ai capi 3) e 19).


Lamenta che relativamente al reato di cui al capo 3) la motivazione era totalmente lacunosa, specie a fronte dei puntuali motivi di appello formulati in ordine: all'accertamento della effettiva consegna in Italia della somma asseritamente oggetto di riciclaggio, agli incaricati del supposto trasporto in Svizzera, all'entità della somma presuntivamente consegnata, al superamento delle soglie rilevanti ai fini della configurabilità del presunto reato presupposto nonchè all'effettivo trasporto del denaro in Svizzera.


Assume, altresì, che la motivazione era intrinsecamente illogica nella parte concernente l'individuazione dell'imputato quale interlocutore della telefonata n. 46 in data 8 Novembre 2004 atteso che l'attribuzione della identità del B. a quel "signor G" che era interlocutore del coimputato P. in detta telefonata - in cui il primo invitava il secondo a recarsi da tale R. per il ritiro del denaro - era motivata in modo del tutto apodittico ed incongruente. Osserva, ancora, che le argomentazioni della sentenza della corte territoriale quanto alla responsabilità dell'imputato in ordine al predetto reato si ponevano in insanabile contrasto con le prove e gli atti del processo e segnatamente con l'esame dibattimentale del M.llo S.A. nonchè con la trascrizione della menzionata telefonata n. 46 dell'8 Novembre 2004. Deduce che pure relativamente al reato di cui al capo 19) la motivazione era totalmente lacunosa difettando, pur a fronte degli specifici motivi di appello, ogni accertamento in ordine al trasferimento della somma di Euro 250.000,00 dall'Italia alla Svizzera come assunto nel capo di imputazione, alla data e all'epoca del preteso fatto contestato, alla illiceità della provenienza della somma nonchè alle effettive modalità di trasferimento.


Evidenzia, altresì, che sussisteva una intrinseca illogicità della motivazione operando una comparazione fra i fatti oggetto dell'imputazione (riguardanti il trasporto di denaro dall'Italia alla Svizzera) e le risultanze probatorie (attestanti il trasferimento delle somme di denaro dalla Svizzera all'Italia) e che le argomentazioni della corte territoriale erano gravemente illogiche anche in ordine all'asserita provenienza illecita delle somme in questione.


Rileva, inoltre, che la motivazione si poneva in netto contrasto con le risultanze probatorie e segnatamente con gli esiti degli accertamenti fiscali a carico di B.C. e con il tenore della telefonata n. 261 del 28 Dicembre 2004;


b. violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. c) ed e) quanto alla erronea declaratoria di inammissibilità dei motivi di impugnazione riguardanti il trattamento sanzionatorio ed in particolare in relazione alla determinazione della pena base, al giudizio di bilanciamento fra circostanze ed all'aumento per la ritenuta continuazione.


Lamenta che i motivi erano certamente ammissibili e che la corte di appello aveva adottato, in ordine al trattamento sanzionatorio, una motivazione meramente apodittica senza contestualizzare il rapporto fra pena e fatto.


2.2. B.M., con un unico motivo, deduce violazione degli artt. 253 e 262 c.p.p. e difetto di motivazione nella parte in cui la corte di appello aveva mantenuto fermo il sequestro della somma di Euro 270.000,00.


Rileva che essendo stato l'imputato assolto dall'imputazione di riciclaggio non poteva essere mantenuta la misura conservativa in assenza di una condanna e della prova della provenienza illecita delle somme in questione.


2.3. G.G. propone tre motivi:


a. violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. c) per inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità; violazione degli artt. 266 e 271 c.p.p..


Osserva che i giudici di merito non si erano soffermati sull'eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche poste a fondamento della sentenza di condanna di primo grado, essendo emerso che gran parte degli esiti intercettativi erano scaturiti da utenze telefoniche elvetiche fisicamente ubicate in territorio svizzero senza che fosse stata disposta la necessaria rogatoria;


b. violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e); violazione dell'art. 125 c.p.p.; motivazione apparente.


Rileva che tenuto conto delle complessive emergenze processuali non era configurabile il reato di evasione dell'IVA sicchè l'imputato doveva essere assolto da tale imputazione ai sensi dell'art. 129 c.p.p., comma 2 mentre la corte territoriale si era limitata ad una laconica declaratoria di prescrizione omettendo di valutare in alcun modo le censure afferenti la non configurabilità del reato in questione;


c. violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. c) in particolare violazione dell'art. 240 c.p. nonchè vizio di motivazione in punto di confisca delle somme oggetto di sequestro.


Lamenta che l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione, sulla scorta delle medesime premesse in diritto adottate dalla corte di appello, avrebbe dovuto indurre la stessa a revocare la confisca della somma di Euro 543.300,00 rinvenuta nella disponibilità del G.G. all'atto de sequestro operato dal Nucleo di Polizia Tributaria.


2.3.1. Il difensore del G. ha depositato memoria in data 25 Luglio 2019 con la quale ha ribadito l'erroneità della decisione impugnata quanto alla omessa revoca del provvedimento di confisca della somma di Euro 545.300,00, provvedimento adottato in assenza del presupposti di legge, con conseguente restituzione delle somme all'avente diritto ed, in subordine, la limitazione della misura alla somma di Euro 109.060,00 pari all'IVA asseritamente evasa in importazione di oro.


2.4. P.D. deduce tre motivi:


a. violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e); violazione dell'art. 125 c.p.p.; motivazione apparente.


Lamenta che, pur a fronte dell'accordo ex art. 599 bis c.p.p., la corte territoriale avrebbe dovuto valutare la presenza o meno delle condizioni previste dall'art. 129 c.p.p. per l'eventuale declaratoria di proscioglimento, valutazione che era stata totalmente omessa;


b. violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. c) per inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità; violazione dell'art. 266 c.p.p., art. 267 c.p.p., comma 3 e art. 271 c.p.p..


Osserva che la corte di appello, nell'ottica della verifica della sussistenza dei presupposti per il proscioglimento dell'imputato, avrebbe dovuto esaminare le eccezioni preliminari relative alla inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche avvenute fra utenze elvetiche ubicate in Svizzera in assenza della necessaria rogatoria.


Eccepisce, in particolare, l'inutilizzabilità delle intercettazioni della utenza telefonica elvetica n. (OMISSIS) a partire dal 26/11/2004 sino al 25/01/2005 nonchè l'inutilizzabilità delle intercettazioni della utenza telefonica elvetica n. (OMISSIS) a partire dal 13/01/2005 sino al 08/03/2005;


c. violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. c) per inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità; violazione dell'art. 429 c.p.p., comma 1, lett. c) e comma 2 in relazione al capo di imputazione sub. 3).


Osserva che la corte di appello non aveva considerato che il capo di incolpazione in esame era nullo in ragione della assoluta genericità della descrizione del fatto e della condotta personalmente tenuta dall'imputato, della totale assenza di indicazioni in ordine alla asserita movimentazione di denaro oggetto della fattispecie di riciclaggio, del locus e del tempus commissi delicti nonchè quanto all'individuazione del reato presupposto.


2.5. R.A. e T.A., a mezzo del medesimo difensore e con un unico atto, formulano i seguenti motivi:


a. violazione dell'art. 606, lett. b) in relazione all'art. 648 bis c.p. e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3 nonchè violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e) per omessa, contraddittoria ed illogica motivazione in punto di affermazione della penale responsabilità degli imputati per il reato di cui al capo 57B).


Rilevano che nel corso del giudizio era stata sollevata la questione della indeterminatezza del capo di incolpazione in ragione della mancata individuazione del reato presupposto, profilo che non era stato superato dal decisum dei giudici di merito i quali avevano configurato il reato presupposto di infedele dichiarazione dei redditi in maniera apodittica e senza alcun riferimento ad elementi concreti.


Deducono che non era stato indicato dalla Pubblica Accusa alcun elemento costituente indizio della provenienza delittuosa del denaro ai fini della configurabilità del reato presupposto del contestato riciclaggio e che l'assenza di elementi di fatto presuntivi in ordine alla possibile configurazione di un delitto di natura fiscale non poteva che refluire sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del contestato reato di cui all'art. 648 bis c.p..


Nel richiamare le contestazioni formulate con l'atto di appello - a loro dire non prese in esame dalla corte territoriale la quale sul punto aveva adottato un motivazione meramente apparente incorrendo in macroscopiche difformità di giudizio - lamentano che la condanna in questione si poneva in palese ed insanabile contrasto con le premesse in diritto poste a fondamento delle pronunzie assolutorie nei confronti degli altri coimputati cui erano state contestate condotte analoghe, quali quelle di cui ai capi 13) e 14) dell'incolpazione;


b. violazione dell'art. 606, lett. b) in relazione all'art. 240 c.p. nonchè violazione dell'art. 606 lett. c.p.p. per omessa, contraddittoria ed illogica motivazione in punto di omessa revoca del provvedimento di confisca della somma di Euro 252.390,00, motivo quest' ultimo proposto dal solo R..


Assume che a fronte della condanna del predetto imputato per il reato di cui al capo 57B), che giustificava il provvedimento ablativo per soli Euro 235.605,00, la corte territoriale, diversamente da quanto stabilito per analoghe posizioni, aveva disposto la confisca per complessivi Euro 487.995,00 omettendo per errore la revoca della confisca per complessivi Euro 252.390,00.


2.5.1. Il difensore dei predetti imputati R.A. e T.A. ha depositato memoria in data 25 Luglio 2019 con la quale ha ribadito l'illogicità ed incongruità della motivazione in punto di affermazione della responsabilità degli imputati in ordine al reato di cui al capo 57/B difettando i presupposti oggettivi e soggettivi del contestato riciclaggio anche in ragione della assoluta indeterminatezza dell'incolpazione e della totale assenza di prova della illecita provenienza delle somme de quibus.


2.6. S.G. deduce due motivi:


a. violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett.) b) ed e) nella parte in cui la corte di appello aveva mantenuto fermo il sequestro della somma di Euro 250.000,00, senza disporne la restituzione delle somme in questione al ricorrente.


Rileva che essendo stato assolto dalla imputazione di riciclaggio non poteva essere mantenuta la misura conservativa in assenza di una condanna e della prova della provenienza illecita delle somme in questione e non risultando che le somme in questione si appartenevano a terzi. Assume che anche a ritenere dette somme di provenienza extra UE ne andava disposta la restituzione previa trasmissione al competente ufficio valutario per l'applicazione delle sanzioni per importazione di valuta in mancanza di dichiarazione;


b. violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) parte in cui la corte di appello aveva condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Evidenzia che in assenza di una declaratoria di rigetto o inammissibilità della proposta impugnazione non poteva essere emessa statuizione di condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali.


2.7. V.G.G. formula i seguenti motivi:


a. violazione dell'art. 606, lett. b) in relazione all'art. 648 bis c.p. nonchè violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e) per omessa, contraddittoria ed illogica motivazione in punto di affermazione della penale responsabilità dell'imputato per il reato di cui al capo 57A).


Osserva che la corte di appello aveva omesso di esaminare i motivi di appello finendo per adottare una motivazione meramente apparente ovvero per travisare le medesime argomentazioni difensive, non considerando che difettava ogni dimostrazione della condotta delittuosa contestata (illecita esportazione dall'Italia alla Svizzera delle somme oggetto di illecita reintroduzione da parte dei coimputati R.A. e T.A. di cui al capo 57B);


b. violazione dell'art. 606, lett. b) in relazione all'art. 648 bis c.p. e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3 nonchè violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e) per omessa, contraddittoria ed illogica motivazione in punto di affermazione della penale responsabilità dell'imputato per il reato di cui al capo 57A).


Nel richiamare le contestazioni formulate con l'atto di appello - a suo dire non prese in esame dalla corte territoriale la quale sul punto aveva adottato un motivazione meramente apparente incorrendo in macroscopiche difformità di giudizio - lamenta che la condanna in questione si poneva in palese contrasto con le premesse in diritto poste a fondamento delle pronunzie assolutorie nei confronti degli altri coimputati cui erano state contestate condotte analoghe, quali quelle di cui ai capi 13) e 14) dell'incolpazione, formulando una censura sostanzialmente sovrapponibile a quella di cui sopra avanzata dai coimputati R.A. e T.A..


Rileva che non era stato indicato dalla Pubblica Accusa alcun elemento costituente indizio della provenienza delittuosa del denaro, che i giudici di merito non aveva indicato alcun dato fattuale costituente indizio della provenienza delittuosa del denaro ai fini della configurabilità del reato presupposto del contestato riciclaggio e che l'assenza di elementi di fatto presuntivi in ordine alla possibile configurazione di un delitto di natura fiscale non poteva che refluire sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di riciclaggio;


c. violazione dell'art. 606, lett. b) in relazione all'art. 240 c.p. nonchè violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e) per omessa, contraddittoria ed illogica motivazione in punto di omessa revoca del provvedimento di confisca della somma di Euro 252.390,00.


Assume che a fronte della condanna del predetto imputato per il reato di cui al capo 57A) che giustificava il provvedimento ablativo per soli Euro 235.605,00 la corte territoriale, diversamente da quanto stabilito per analoghe posizioni, aveva disposto la confisca per complessivi Euro 487.995,00 omettendo per errore la revoca della confisca per complessivi Euro 252.390,00.


2.7.1. Il difensore di V.G.G. ha depositato memoria in data 25 Luglio 2019 con la quale ha ribadito la illogicità ed incongruità della motivazione in punto di affermazione della responsabilità dell'imputato in ordine al reato di cui al capo 57/A difettando i presupposti oggettivi e soggettivi del contestato riciclaggio.


Ha pure ribadito la illegittimità della sentenza nella parte in cui aveva disposto la confisca per complessivi Euro 487.995,00 omettendo per errore la revoca della confisca per complessivi Euro 252.390,00 adottata in assenza dei presupposti di legge.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ricorso di B.G..


Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni appresso specificate.


1.1. Osserva il collegio che il primo motivo appare privo di fondamento.


Occorre premettere che il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non può quindi estendersi all'esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa. Nè, la Suprema Corte può trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Invero, solo l'argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato può essere sottoposto al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all'esigenza della completezza espositiva (Sez. 6, n. 40609 del 01/10/2008, Ciavarella, Rv. 241214).


Deve, inoltre, essere ricordato che nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni dei suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che, in tal caso, debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr., Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muià ed altri, Rv. 254107).


1.2. Va, quindi, rilevato che la corte territoriale ha correttamente ricostruito i profili di responsabilità dell'imputato relativamente al reato di riciclaggio di cui al capo 3) individuando il B. quale soggetto che aveva dato disposizioni a P.D. per il trasporto di ingenti somme di denaro di provenienza illecita - in quanto provenienti da reati fiscali - in Svizzera.


Occorre evidenziare che i giudici di merito, con una ricostruzione in fatto non censurabile in questa sede, hanno ritenuto certa l'identificazione dell'imputato B.G. nel signor "G" interlocutore di P.D. nella telefonata intercettata (n. 46 dell'8/10/2014 ricevuta dall'utenza (OMISSIS) in uso a P.D. e proveniente da una utenza in uso alla Banca Euroimmobiliare, nel corso della quale si menzionava il ritiro di una somma consegnata da R.P., Amministratore della Pharma Studio Milano), precisando che tale identificazione emergeva in modo univoco dal complesso delle intercettazioni e dalle attività investigative del teste S., teste il quale aveva "diffusamente indicato gli elementi sulla scorta dei quali si era pervenuti all'identificazione dell'imputato B.".


Sul punto va richiamato il condivisibile orientamento secondo cui ai fini dell'identificazione degli interlocutori coinvolti in conversazioni intercettate, il giudice ben può utilizzare le dichiarazioni degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria che abbiano asserito di aver riconosciuto le voci di taluni imputati, così come qualsiasi altra circostanza o elemento che suffraghi detto riconoscimento, incombendo sulla parte che lo contesti l'onere di allegare oggettivi elementi sintomatici di segno contrario. (Sez. 2, n. 12858 del 27/01/2017 - dep. 16/03/2017, De Cicco e altri, Rv. 26990001), con la conseguenza che è da ritenere priva di pregio la contestazione dell'imputato circa la riferibilità allo stesso di tale conversazione.


1.3. La corte di appello, nel confermare la ricostruzione operata dai giudici di primo grado, e muovendo dal tenore di altra intercettazione fra il B. e tale B.C. - certamente intercorsa fra i predetti, secondo quanto è incontroverso - ha ritenuto, poi, dimostrata la condotta di riciclaggio di cui al capo 19) chiarendo che verificata la situazione fiscale del B. ben poteva ritenersi che trattavasi di somme sottratte all'imposizione fiscale in misura superiore alle soglie previste dal D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 3 e 4, in difetto di prova di prospettazioni alternative "che non avevano trovato adeguato riscontro probatorio".


1.4. Orbene il ricorrente tenta, in realtà, di far leva sulla asserita autonomia dei singoli elementi indiziari e, quindi, di frazionare l'insieme del quadro probatorio al fine di meglio confutarlo. Per contro, come ha ripetutamente ritenuto la Corte di Cassazione, la rilevanza dei singoli dati non può essere accertata estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma devono essere posti a confronto con il complesso probatorio, dal momento che soltanto una valutazione globale e una visione di insieme permettono di verificare se essi rivestano realmente consistenza decisiva oppure se risultino inidonei a scuotere la compattezza logica dell'impianto argomentativo, dovendo intendersi, in quest'ultimo caso, implicitamente confutati.


La Corte territoriale si è correttamente attenuta al suddetto procedimento, sicchè, anche sotto questo profilo, non si ravvisano vizi censurabili in sede di legittimità nelle argomentazioni delle sentenze laddove ha ritenuto addebitabili al B. le due ipotesi di riciclaggio in esame nonchè ritenuto "astrattamente" configurabile il reato presupposto, a nulla rilevando le generiche contestazioni circa una asserita contraddittorietà della motivazione in ragione della intervenuta assoluzione per analoghe contestazioni nei confronti di altri coimputati.


Del resto in tema di riciclaggio non è necessario che il delitto presupposto risulti accertato con sentenza passata in giudicato ma è sufficiente che lo stesso non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo e che il giudice procedente per il reato di cui all'art. 648-bis c.p. ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza (vedi Sez. 2, n. 10746 del 21/11/2014 - dep. 13/03/2015, Bassini, Rv. 26315601).


Va, peraltro, rimarcato che la regola dell'"al di là di ogni ragionevole dubbio", secondo cui il giudice pronuncia sentenza di condanna solo se è possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e plausibilità, impone all'imputato che, deducendo il vizio di motivazione della decisione impugnata, intenda prospettare, in sede di legittimità, attraverso una diversa ricostruzione dei fatti, l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza, di fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali (Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014 - dep. 08/05/2014, C e altro, Rv. 26040901).


Il ricorrente contesta che le somme consegnate dal R. potevano provenire da più soggetti tenuto conto che la Pharma Studio svolgeva una attività di consulenza contabile e fiscale e che quanto ai rapporti con il B. si era trattato di un regolare finanziamento: ma tali prospettaziioni costituiscono mere asserzioni prive di ogni riscontro che non inficiano nel suo complesso il ragionamento della corte di appello finendo il ricorrente per prospettare, a fronte di una motivazione che non è ne carente nè illogica nè contraddittoria, una diversa lettura, preclusa in questa sede, dei dati probatori acquisiti.


Va, infine, precisato che avendo i giudici di merito riscontrato il trasferimento presso istituti elvetici di somme sottratte all'imposizione fiscale in misure superiore alle soglie previste dagli art. 3 e 4 legge citata appare priva di pregio la dedotta circostanza secondo cui la telefonata con il B. riguarderebbe una "importazione di denaro proveniente dalla Svizzera" mentre il fatto contestato riguarderebbe una "esportazione".


La censura non considera, invero, che il reato di riciclaggio si consuma anche con il compimento di una singola operazione (Cass. 9026/97 rv. 207850), che può consistere sia nella ricezione del bene, sia nella mediazione per l'acquisto (Cass. 2611/90 rv. 183472) e dall'altro, che il trasferimento dei beni è un'operazione obbiettivamente idonea all'occultamento della loro provenienza.


1.5. Deve, quindi, rilevarsi che non coglie nel segno la generica censura di parte ricorrente secondo cui le argomentazioni della sentenza della corte territoriale quanto alla responsabilità dell'imputato in ordine ai predetti reati si ponevano in insanabile contrasto con le prove e gli atti del processo e segnatamente con l'esame dibattimentale del M.llo S.A. nonchè con la trascrizione della menzionata telefonata n. 46 dell'8 Novembre 2004, con gli esiti degli accertamenti fiscali a carico di B.C. e con il tenore della telefonata n. 261 del 28 Dicembre 2004.


1.5.1. La questione che deve essere, invero, affrontata è quella relativa alla asserita insufficienza ed illogicità della motivazione della sentenza di secondo grado, rispetto alla quale il vizio fatto valere si concentra sull'omessa valutazione della decisività delle prove contrarie, solo genericamente richiamate.


Invero il ricorrente non chiarisce, in modo esplicito, rispetto a quali emergenze probatorie -di segno contrario a quelle fondanti l'accertamento - il giudice del gravame non abbia assunto una posizione idonea ad escluderne la valenza demolitoria.


La difesa si limita a richiamare la mancata considerazione di talune prove - solo in parte genericamente richiamate - sostenendo che il loro esame avrebbe condotto a conclusioni diverse, senza tuttavia spiegare che tali dati dimostrino univocamente una "realtà processuale" difforme da quella ritenuta.


Ora, se è vero che il giudice è tenuto, in generale, a motivare sulla attendibilità e rilevanza delle prove non utilizzate a fini ricostruttivi mediante un ragionamento critico che le ponga a confronto con quelle ritenute decisive anche avuto riguardo al quadro complessivo delineatosi in giudizio, è anche vero che per dedurre in sede di legittimità un simile vizio motivazionale è indispensabile che la parte che se ne duole abbia l'onere se non di dimostrare, quantomeno di enunciare in modo analitico e dettagliato in che modo la prova ritenuta "contraria" possa inficiare il ragionamento del giudice: il motivo di impugnazione si risolve, altrimenti, non in una censura ma nella richiesta di estensione dell'obbligo motivazionale alla valutazione di tutte le deduzioni delle parti, ivi compresi gli elementi ininfluenti sul giudizio, obbligo questo non processualmente previsto, posto che non può definirsi apparente la motivazione che dia conto delle ragioni della decisione, avuto riguardo alle emergenze probatorie, qualora rinunci a dare risposta ai semplici argomenti o alle osservazioni della parte, il cui esame è estraneo alla definizione dell'accertamento.


Costituisce, pertanto, specifico onere incombente sulla parte impugnante di individuare le prove non considerate dal giudice e soprattutto di specificarne la loro influenza sull'accertamento, formulando le proprie censure in modo da rendere evidente l'incidenza dell'omessa valutazione di un elemento di prova ritenuto contrario alla decisione.


Tanto premesso l'esame del tenore dell'impugnazione proposta in questa sede consente di affermare come il ricorrente abbia del tutto omesso di rappresentare la specifica influenza dei singoli elementi probatori e la loro capacità di orientamento verso una soluzione assolutoria, il che implica senz'altro la infondatezza del profilo di censura.


1.6. Il secondo motivo è manifestamente infondato.


Va rilevato, infatti, che la corte di appello a prescindere dalla rilevata inammissibilità dei motivi di impugnazione quanto al trattamento sanzionatorio, ha provvedendo, nell'esercizio dei poteri discrezionali di sua competenza, a ricalcolare la pena.


Invero la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (cfr., Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che - nel caso di specie - non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 c.p. le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (cfr., Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596).


Occorre, ancora, osservare che in tema di determinazione della pena nel reato continuato, non sussiste l'obbligo di specifica motivazione per gli aumenti di pena relativi ai reati satellite, valendo a questi fini le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base. (Sez. 2, n. 50699 del 04/10/2016 - dep. 29/11/2016, Chierchiello e altri, Rv. 26890801).


Nella specie la corte di appello ha proceduto, comunque, con motivazione adeguata al ricalcolo della pena ritenuta "congrua" in quanto applicata in misura prossima ai minimi edittali, sicchè il motivo appare privo di fondamento.


Il ricorso deve essere rigettato in ragione della infondatezza delle censure mosse.


Va osservato che la corte di appello ha chiarito, con motivazione adeguata e corretta in diritto (v. f. 55) le ragioni per le quali doveva permanere il vincolo in assenza di prova, allo stato, della proprietà delle somme sequestrate in capo al predetto ricorrente.


2.1. Invero la restituzione delle cose sequestrate e non confiscate va operata in favore di colui che vanti su di esse una pretesa giuridicamente meritevole e dia prova positiva del suo "ius possidendi". (Sez. 1, n. 8997 del 13/02/2008 - dep. 28/02/2008, Lattanzi, Rv. 23951701). Osserva il collegio che secondo l'art. 262 c.p.p., commi 1 e 4 la restituzione delle cose sequestrate e non confiscate va fatta a favore di "chi ne abbia diritto", sicchè è necessaria la prova rigorosa di un "diritto" legittimo e giuridicamente apprezzabile su di esse, non potendosi configurare una sorta di favor possessionis che prescinda da una prova positiva dell'effettivo ius possidendi, che dev'essere offerta da colui che chiede la restituzione (Cass., Sez. Un., 27/9/1995, Serafino, rv. 202268; Sez. Un., 3/7/1996, Chabni Samir, rv. 205705).


2.2. Sulla scorta delle considerazioni che precedono la statuizione della sentenza impugnata nella parte in cui la corte di appello ha mantenuto fermo il sequestro della somma di Euro 270.000,00, senza disporne la restituzione delle somme in questione al ricorrente è da ritenere, quindi, immune da censure.


3. Ricorso di G.G.


Il ricorso può trovare accoglimento nei limiti appresso specificati.


3.1. I primi due motivi sono infondati.


Va premesso che in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, T., Rv. 244274).


Nel caso in esame, contrariamente a quanto contestato dalla difesa del ricorrente, la pronunzia della Corte di appello si appalesa immune da censure avendo spiegato con motivazione congrua (v. ff. 46) come molteplici elementi fattuali emersi nel corso del procedimento (servizi di osservazione e pedinamento del G. trovato nella disponibilità di 543.000,00 in contanti oltre atti di indagine, verbali di sequestro, intercettazioni telefoniche) comprovavano la responsabilità del predetto.


Il ragionamento dei giudici di merito non risulta per nulla inficiato dalle difese del ricorrente ove si evidenzi, a tacer d' altro, che le intercettazioni di cui si contesta l'utilizzabilità costituiscono solo uno degli elementi di prova a carico dello stesso quanto alla responsabilità del medesimo in ordine ai reati contestati.


Occorre, del resto, ricordare che le Sezioni Unite nella citata sent. n. 35490 del 28/05/2009 hanno esaminato il problema dell'ambito del sindacato, in sede di legittimità, sui vizi della motivazione, in presenza di cause di estinzione del reato, del quale avevano già avuto modo di occuparsi in passato (avevano, infatti, già affermato che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità i vizi di motivazione della sentenza impugnata, in quanto l'inevitabile rinvio della causa al giudice di merito dopo la pronunzia di annullamento risulterebbe comunque incompatibile con l'obbligo della immediata declaratoria di proscioglimento per intervenuta estinzione del reato: Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, dep. 1993, Marino, Rv. 192471).


In linea con l'orientamento assolutamente prevalente nella giurisprudenza intervenuta successivamente sulla questione (Sez. 5, n. 7718 del 24/06/1996, P.M. in proc. Battaglia, Rv. 205548; Sez. 2, n. 15470 del 06/03/2003, Craxi e altri, Rv. 224290; Sez. 1, n. 4177 del 27/10/2003, dep. 2004, P.G. Napoli, Balsano e altri, Rv. 227098; Sez. 3, n. 24327 del 04/05/2004, P.G. in proc. De Marco, Rv. 228973; Sez. 6, n. 40570 del 29/05/2008, Di Venere, Rv. 241317; Sez. 4, n. 14450 del 19/03/2009, Stafissi, Rv. 244001), il principio è stato ribadito (sostanzialmente nei medesimi termini, come è confermato dalle quasi speculari massime estratte dalle due citate decisioni delle Sezioni Unite) anche dalla sentenza T., a parere della quale la Suprema Corte, ove rilevi la sussistenza di una causa di estinzione del reato, non può rilevare eventuali vizi di legittimità della motivazione della decisione impugnata, poichè nel corso del successivo giudizio di rinvio il giudice sarebbe comunque obbligato a rilevare immediatamente la sussistenza della predetta cause di estinzione del reato, ed alla conseguente declaratoria.


I principi di diritto appena enunciati comportano, pertanto, la non rilevabilità in questa sede dei dedotti eventuali vizi di motivazione della decisione impugnata evidente apparendo che la motivazione della sentenza impugnata non risulta del tutto carente, nè meramente apparente ma, per contro, si presenta congrua, non essendo stata, del resto, proposta dal suindicato imputato valida e tempestiva rinunzia alla prescrizione tale da consentire di rimettere al giudice di merito una nuova valutazione del fatto.


Peraltro e come già sopra accennato, parte ricorrente, sotto il profilo dei vizi di motivazione e dell'asseritamente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio, tenta in realtà ed inammissibilmente con i motivi del ricorso come sopra riassunti di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito in presenza di una causa di estinzione del reato mentre non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva, come sopra chiarito.


3.2. Il terzo motivo è da ritenere fondato.


Invero il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non può disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015 - dep. 21/07/2015, Lucci, Rv. 26443501).


In ragione della declaratoria di prescrizione ed in difetto di un accertamento in fatto circa i concreti profili di responsabilità del G. doveva procedersi alla revoca della disposta confisca, con restituzione della somma all'avente diritto, statuizione che può essere adottata in questa sede non essendo necessari ulteriori accertamenti.


4. Ricorso di P.D..


Il ricorso è inammissibile.


4.1. Va premesso che nella specie il predetto imputato, d'intesa con il Pubblico Ministero, ha effettuato un "concordato anche con rinuncia ai motivi di appello" ai sensi dell'art. 599-bis c.p.p., rinunziando a tutti i motivi di impugnazione diversi da quelli riguardanti il trattamento sanzionatorio, che ha implicato una nuova determinazione della pena, indicata concordemente dal pubblico ministero e dall'imputato.


4.2. Orbene, come si desume chiaramente dal contenuto della menzionata norma, tale definizione concordata della pena presuppone che l'imputato, nel concordare con il pubblico ministero la nuova pena, rinunzi contestualmente a tutti gli altri eventuali motivi di appello sulle questioni di merito, ad eccezione di quello relativo alla pena, "concordata" fra le parti e conformemente applicata dal giudice di appello.


Ne discende che deve intendersi preclusa la riproposizione e il riesame in sede di legittimità di ogni questione relativa ai motivi rinunciati, con la conseguenza che, in ipotesi di riproposizione di una delle questioni di merito già investite con il motivo di appello rinunciato, la relativa impugnazione dev'essere dichiarata inammissibile a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 3.


Poichè ex art. 597 comma 1 c.p.p. l'effetto devolutivo dell'impugnazione circoscrive la cognizione del giudice del gravame ai soli punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti, una volta che essi costituiscano oggetto di rinuncia, non può il giudice di appello prenderli in considerazione nè può farlo il giudice di legittimità sulla base di un'ipotetica implicita revoca di tale rinuncia, stante l'irrevocabilità di tutti i negozi processuali, ancorchè unilaterali.


Ad avviso del collegio il giudice di appello che accolga la richiesta formulata a norma dell'art. 599 bis c.p.p. non deve motivare sul mancato proscioglimento dell'imputato per una delle cause previste nell'art. 129 c.p.p. atteso che a causa dell'effetto devolutivo proprio dell'impugnazione, una volta che l'imputato abbia rinunciato ai motivi di appello la cognizione del giudice deve essere necessariamente limitata ai motivi non oggetto di rinuncia. La giurisprudenza ha del resto avuto modo di chiarire che la rinuncia parziale ai motivi d'appello determina il passaggio in giudicato della sentenza gravata limitatamente ai capi oggetto di rinuncia, di talchè è inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si propongono censure attinenti ai motivi d'appello rinunciati e non possono essere rilevate d'ufficio le questioni relative ai medesimi motivi (Nella fattispecie gli imputati avevano rinunciato ai motivi di appello concernenti la responsabilità penale e la S.C. ha dichiarato di poter esaminare i soli motivi di ricorso riguardanti il trattamento sanzionatorio, tra i quali non rientrava l'eccepita violazione della disciplina del reato continuato). (Sez. 4, n. 9857 del 12/02/2015 - dep. 06/03/2015, Barra ed altri, Rv. 26244801).


Va rilevato che il testo dell'art. 599 bis commi 1 e 3 c.p.p. e quello dell'art. 602 c.p.p., comma 1 bis riproducono la formulazione dell'art. 599 c.p.p., commi 4 e 5 (cd. patteggiamento in appello) e, rispettivamente, art. 602 c.p.p., comma 2 (disposizioni abrogate dal D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 2, comma 1, lett. l), convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008, n. 125).


In relazione all'istituto previgente la Corte di Cassazione ha più volte condivisibilmente ribadito il principio di diritto secondo cui il giudice di secondo grado, nell'accogliere la richiesta avanzata a norma dell'art. 599 c.p.p., comma 4, non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell'imputato per taluna delle cause previste dall'art. 129 c.p.p. (manca il richiamo alla disposizione ex art. 444 c.p.p., comma 2), nè sull'insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità della prova, in quanto, a causa dell'effetto devolutivo, una volta che l'imputato abbia rinunciato ai motivi d'impugnazione, la cognizione del giudice deve limitarsi ai motivi non rinunciati, essendovi peraltro una radicale diversità tra l'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti e quello disciplinato dal citato art. 599 c.p.p. (Sez. 1, 26.2.2009, n. 20967; 6, 28.3.2008 n. 15601; id, 8 maggio 2003, n. 35108, Sez. 7, 17 ottobre 2001, n. 40767, Sez. 6, n. 1754, 30 novembre 2005, Moliterno).


Secondo questo orientamento il potere dispositivo riconosciuto alla parti dall'abrogato art. 599 c.p.p., comma 4, era tale da limitare la cognizione del giudice di secondo grado e determinare effetti preclusivi sull'intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all'impugnazione.


Dal momento che anche la disposizione oggi vigente non prevede espressamente l'obbligo da parte del giudice di appello di verificare la insussistenza di una causa di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. - contrariamente a quanto accade in ipotesi di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. - e tenuto conto della ratio dell'istituto appare illogico ipotizzare che il giudice debba motivare sulla insussistenza di cause di proscioglimento, peraltro, in relazione a profili di impugnazione che hanno formato oggetto di espressa rinunzia da parte dell'imputato.


4.3. Ne discende l'inammissibilità dei motivi di impugnazione proposti che riguardano tutti unicamente ed in generale profili di responsabilità dell'imputato, che non possono più essere messi in discussione.


5. Ricorsi di R.A., T.A. e V.G.G..


Occorre premettere che per ragioni di ordine logico - risultando contestate ai predetti imputati condotte fra loro strettamente collegate e dal momento che le censure formulate dai suddetti ricorrenti sono in parte sovrapponibili e per molti versi di analogo contenuto - appare opportuno esaminare congiuntamente detti ricorsi anche al fine di evitare inutili ripetizioni.


5.1. Rileva il collegio, in primo luogo, che sono da ritenere prive di fondamento le censure relative alla nullità della sentenza per indeterminatezza del capo di imputazione.


Invero in tema di citazione a giudizio, l'imputazione deve contenere l'individuazione dei tratti essenziali del fatto di reato attribuito, dotati di adeguata specificità, in modo da consentire all'imputato di difendersi, mentre e non è necessaria un'indicazione assolutamente dettagliata dell'imputazione. (Nella fattispecie, relativa a delitto di estorsione, la Corte ha giudicato il capo di imputazione contenuto nel decreto di citazione a giudizio sufficientemente circostanziato per rapporto alla individuazione della parte offesa, della occasione estorsiva, del tipo di minaccia avanzata e della somma richiesta (Sez. 2, n. 16817 del 27/03/2008 - dep. 23/04/2008, Muro e altri, Rv. 23975801): nella specie correttamente è stata esclusa ogni nullità risultando individuate, nei loro tratti essenziali, le condotte illecite contestate, tenuto conto, peraltro, che ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio non si richiedono l'esatta individuazione e l'accertamento giudiziale del delitto presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile (Sez. 6, n. 28715 del 15/02/2013 - dep. 04/07/2013, Alvaro e altri, Rv. 25720601.


5.2. Va, quindi, precisato che la corte territoriale, nel confermare la ricostruzione in fatto operata dal tribunale, valutato il complessivo materiale probatorio costituito da captazioni telefoniche, verbali di sequestro, risultanze dell'interrogatorio reso dal medesimo R. alla presenza del suo difensore nonchè dichiarazioni del teste S., ha ritenuto integrata la responsabilità dei predetti ricorrenti in relazione al reato di riciclaggio di cui al capo 57) ritenendo accertato che il V., amministratore della finanziaria "(OMISSIS)", fornì la propria collaborazione, con altri soggetti rimasti ignoti, per consentire agli amministratori della Conceria Sabrina S.p.A. di trasferire su un conto della suddetta società svizzera una somma pari a circa 235.065,00 (capo 57A) mentre il R. ed il T. ebbero a collaborare per la reintroduzione della detta somma in Italia quale restituzione del medesimo importo precedentemente affidato dalla Conceria Sabrina S.p.A. (capo 57B), costituendo anche tale condotta un ostacolo alla individuazione della effettiva provenienza delle somme.


5.2.1. La corte di appello ha, fra l'altro, precisato con argomentazioni che non appaiono nè carenti nè illogiche nè contraddittorie come "il primo giudice ha spiegato per quali elementi probatori sia stato possibile desumere la sussistenza del delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3 presupposto del delitto riciclaggio contestato ai capi 57A e 578, chiarendo che la somma di Euro 235.605,00 rappresentava verosimilmente il provento del delitto di dichiarazione fraudolenta redditi - avendo la società dichiarato nel 2006 un reddito imponibile di Euro 457.250,00 per il 2005 nonostante una perdita di Euro 346.461,00, omettendo, peraltro, di compilare il quadro RW riguardante, com'è noto, le attività finanziarie detenute all'estero dal contribuente.


Da ciò è agevole dedurre che la somma che la Conceria Sabrina S.p.A. avrebbe dovuto ricevere dal R. era riconducibile al guadagno realizzato da operazioni - non dichiarate e, quindi sottratto l'imposizione fiscale - di indubbia consistenza economica, e la cui entità (pari a circa la metà del reddito imponibile e considerato l'ammontare parimenti irrilevante della perdita risultante dalla dichiarazione dei redditi per l'anno 2005 della Conceria Sabrina S.p.A.) consente fondatamente di condividere l'assunto del primo giudice che ha ritenuto in questo caso a differenza di quelle per i quali è stata messa pronuncia assolutoria - casi che si ricorda in questa sede erano relativi a situazione di fatto del tutto diverse da quella di specie in quanto caratterizzate dalla impossibilità pratica di stabilire l'effettivo superamento alle soglie punibilità che presuppone l'esistenza di dati certi quali il nome del contribuente ed il reddito eventualmente dichiarato elementi questi invece pacificamente accertati con riferimento alla Conceria Sabrina S.p.A. - l'effettivo superamento della soglia di punibilità con conseguente integrazione del reato di riciclaggio in contestazione" (v. ff. 51-52 ivi comprese note 17-18).


5.2.2. Ad avviso del collegio le censure dei suindicati ricorrenti R.A., T.A. e V.G.G. non sono idonee ad inficiare il complessivo ragionamento dei giudici di merito.


Invero in ordine alla sussistenza del reato presupposto, la Corte territoriale ha confermato l'ipotesi del capo di imputazione che attribuiva la provenienza illecita del denaro alla commissione di reati fiscali commessi nell'ambito della attività di commercio della società Conceria Sabrina S.p.A..


5.2.3. Va premesso che per risalente e costante giurisprudenza della Corte Suprema, da cui non si ritiene di doversi discostare, non è necessario che il delitto presupposto (rispetto sia alla ricettazione sia al riciclaggio) risulti accertato giudizialmente e, pertanto, ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio non si richiede l'esatta individuazione e l'accertamento giudiziale del delitto presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile (v. Cass. Sez. 6, Sent. n. 28715/2013 Rv. 257206; Sez. 6, Sent. n. 495/2008, (dep 2009) Rv. 242374; Sez. 5, Sent. n. 36940/2008, Rv. 241581; Sez. 2, Sent. n. 546/2011, Rv. 249444; Sez. 4 n. 11303/97, dep. 9.12.97 Rv. 209393), e che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo e che il giudice procedente per il riciclaggio ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza (v. Sez. 2, Sentenza n. 7795 del 19/11/2013 (dep. 19/02/2014) Rv. 259007).


Ed, ancora, ai fini della configurabilità dei reati di riciclaggio non si richiede l'accertamento giudiziale del delitto presupposto, nè dei suoi autori, nè dell'esatta tipologia di esso, essendo sufficiente che sia raggiunta la prova logica della provenienza illecita delle utilità oggetto delle operazioni compiute (vedi Sez. 2, n. 546 del 07/01/2011-11/01/2011, P.G. in proc. Berruti, Rv. 24944401; Sez. 5, 21.5/26.9.2008, Magnare, Rv. 241581).


5.2.4. E la prova logica i giudici di merito - tenendo doverosamente ed accuratamente conto di tutti gli elementi emersi nel corso del processo, anche quelli di nuovo evidenziati in sede di appello -l'hanno tratta da ben puntuali elementi indicati alle pagg. 51-52 spiegando con iter argomentativo esaustivo, logico, correttamente sviluppato e saldamente ancorato all'esame delle singole emergenze processuali, le ragioni per le quali doveva ritenersi comprovata la provenienza delittuosa da reati tributari dei proventi della suddetta società.


A fronte di tali elementi i ricorrenti deducono tesi alternative (quali ad esempio la circostanza che trattavasi di somme accumulate nel corso di svariati anni) che oltre ad essere totalmente indimostrate configgono con ragioni di ordine logico, del resto il "dubbio ragionevole" non può fondarsi su un'ipotesi alternativa del tutto congetturale e poco plausibile.


Occorre, altresì, evidenziare che la corte di appello ha chiarito le ragioni per cui gli imputati cui erano stata addebitate altre condotte di riciclaggio "similari" erano stati assolti trattandosi di "situazioni di fatto del tutto diverse da quella di specie in quanto caratterizzate dalla impossibilità pratica di stabilire l'effettivo superamento delle soglie di punibilità", sicchè nella specie non è ravvisabile alcuna illogicità e contraddittorietà nella motivazione.


Non pare superfluo ricordare che non è sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante e con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l'analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l'individuazione, nel loro ambito, di quei dati che - per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un'unica spiegazione - sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento.


E', invece. necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l'esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione. Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo".


Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del giudice.


5.2.5. Quanto all'elemento soggettivo, vale a dire la consapevolezza da parte dell'agente della provenienza delittuosa della somma in questione, la corte di appello legittimamente l'ha dedotta attraverso la prova logica riferita alla natura delle operazioni eseguite che non potevano avere nessun'altra spiegazione plausibile, se non schermare l'origine illecita dei fondi utilizzati dalla suddetta società.


Del resto l'elemento soggettivo del delitto di riciclaggio - secondo l'insegnamento del Supremo Collegio - è integrato dal dolo generico, che ricomprende la volontà di compiere le attività volte ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa di beni od altre utilità, nella consapevolezza di tale origine, e non richiede alcun riferimento a scopi di profitto o di lucro (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 546 del 07/01/2011 Ud.(dep. 11/01/2011) Rv. 249445).


Non può dubitarsi, pertanto, che nella fattispecie in testa ai suddetti agenti sussista l'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 648 bis c.p. in relazione alle condotte loro contestate


5.2.6. Occorre, pervero, ribadire che in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 -dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 26548201) nonchè considerare che in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento". (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 - dep. 31/03/2015, 0., Rv. 26296501): muovendo dalle superiori considerazioni ed applicati i menzionati principi devono, pertanto, essere rigettati i motivi formulati dai suddetti ricorrenti riguardanti l'affermazione della loro responsabilità.


5.3. Sono, viceversa, fondati i motivi dei ricorsi di R. E V. riguardanti la disposta confisca: dal momento che è stata dichiarata l'intervenuta prescrizione in ordine al reato di associazione a delinquere semplice loro contestato ed accertata la responsabilità dei predetti per il riciclaggio della somma di Euro 235.606,00 la confisca andava mantenuta l'limitatamente a dedotto importo, con conseguente necessità di revoca del provvedimento ablativo relativamente all'ulteriore importo di Euro 252.390,00 ciascuno, somme da restituire agli aventi diritto, statuizione che può essere adottata in questa sede non rendendosi necessario alcun ulteriore accertamento.


6. Ricorso di S.G..


6.1. Il primo motivo è privo di fondamento.


Nel richiamare i principi fissati con riferimento alla analoga posizione di B.M. e di cui al p. 2.1. va osservato che la motivazione della sentenza in questione si appalesa corretta nella parte in cui ha disposto, rispetto alla posizione del predetto, la restituzione in favore dell'avente diritto delle somme oggetto di sequestro, non risultando la statuizione in esame inficiata dalle contestazioni formulate dal ricorrente che implicano, comunque, una rivalutazione di dati fattuali preclusa in questa sede.


6.2. Il secondo motivo è fondato ex art. 592 c.p.p.: dal momento che l'appello del suindicato imputato era stato, sia pure parzialmente, accolto quanto alla revoca della confisca il predetto non poteva essere condannato al pagamento delle spese del grado.


Invero l'accoglimento, anche parziale, dell'impugnazione dell'imputato comporta l'esclusione della sua condanna alle spese del procedimento. (Sez. 1, n. 3819 del 24/11/2016 - dep. 26/01/2018, Bonaventura, Rv. 27228301), la relativa statuizione di condanna va, quindi, revocata in questa sede.


7. In conclusione sulla scorta delle considerazioni che precedono va disposto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in ordine alla confisca disposta nei confronti di G.G. nonchè alla confisca disposta nei confronti di R.A. e V.G.G. limitatamente all'importo di Euro 252.390,00 ciascuno, con conseguente restituzione delle somme in questione agli aventi diritto. Nel resto i ricorsi di G.G., R.A. e V.G.G. vanno rigettati.


Va, altresì, disposto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di S.G. limitatamente alla condanna dello stesso al pagamento delle spese nel grado di appello, e rigettato nel resto il ricorso avanzato dal predetto.


Devono essere, poi, rigettati i ricorsi di B.G., B.M. e T.A., con conseguente condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali.


Infine il ricorso di P.D. deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali nonchè al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro tremila.


P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata in ordine alia confisca disposta nei confronti di G.G., nonchè alla confisca disposta nei confronti di R.A. e V.G.G. limitatamente all'importo di Euro 252.390,00 ciascuno, e dispone la restituzione delle somme in questione agli aventi diritto.


Rigetta nel resto i ricorsi di G.G., R.A. e V.G.G..


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di S.G. limitatamente alla condanna alle spese nel grado di appello, e rigetta nel resto il ricorso.


Rigetta i ricorsi di B.G., B.M. e T.A. che condanna al pagamento delle spese processuali.


Dichiara inammissibile il ricorso di P.D. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.


Così deciso in Roma, il 11 settembre 2019.


Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2020





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