In tema di riparazione per ingiusta detenzione, le "frequentazioni ambigue" con soggetti condannati nel medesimo o in diverso procedimento sono ostative al risarcimento, quale comportamento gravemente colposo del richiedente ai sensi dell'art. 314 c.p.p., a condizione che emerga, quanto meno, una concausalità rispetto all'adozione, nei suoi confronti, del provvedimento applicativo della custodia cautelare (sez. IV, 30/03/2022).

Cassazione penale sez. IV, 30/03/2022, (ud. 30/03/2022, dep. 07/04/2022), n.13245
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Catania con ordinanza del 10 novembre 2020 - 13 aprile 2021 ha accolto la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata nell'interesse di B.S.A., che è stato ristretto in custodia cautelare dal 15 gennaio 2008 al 13 marzo 2008 in relazione alle ipotesi di partecipazione ad associazione per delinquere di tipo mafioso e di riciclaggio: da tali accuse, riqualificate in concorso "esterno" in associazione mafiosa nella sentenza di condanna della Corte di assise di Catania del 4 maggio 2012, l'imputato, dopo l'annullamento con rinvio da parte della S.C. della decisione confermativa di secondo grado, è stato infine assolto dalla Corte di assise di appello di Catania il 7 novembre 2017 con la formula "perché il fatto non costituisce reato", con decisione divenuta irrevocabile il 23 marzo 2018.
La Corte di merito ha liquidato al ricorrente la somma stimata di giustizia a titolo di riparazione per ingiusta detenzione.
2. Ricorre per la cassazione dell'ordinanza il Procuratore Generale della Corte d'appello, che si affida a due motivi con i quali denuncia violazione di legge (art. 314 c.p.p.: entrambi i motivi), anche sotto il profilo della mancanza dell'apparato giustificativo (il primo motivo), e difetto di motivazione, che sarebbe manifestamente illogica e contraddittoria (il secondo motivo).
2.1. In primo luogo, richiamati più principi di diritto fissati dalla S.C., censura il mancato accertamento da parte della Corte di appello della esistenza o meno di un nesso eziologico tra le condotte del ricorrente e il provvedimento cautelare, con riferimento all'emerso vorticoso giro di assegni da parte dell'imputato ed ai suoi rapporti con tale P. e con appartenenti a clan mafioso, che - secondo quanto dichiarato dallo stesso ricorrente nell'interrogatorio del 28 ottobre 2003 - B. conosceva non già come malavitosi ma, comunque, come soggetti dediti all'usura, fatti ritenuti dal Requirente dimostrativi di frequentazioni quantomeno ambigue.
2.2. Con il secondo motivo lamenta ulteriore violazione dell'art. 314 c.p.p. e difetto di motivazione, mancando la - necessaria - autonoma valutazione da parte del Giudice della riparazione, non essendo stata accertata l'assenza di nesso eziologico tra la misura cautelare e le condotte tenute dal richiedente su cui si fondava il provvedimento restrittivo, essendo inoltre - si segnala nel ricorso - del tutto illogica la equiparazione tra la motivazione della revoca della custodia cautelare (sulla base del ritenuto venir meno delle esigenze cautelari, non già degli indizi) e quella della sentenza assolutoria.
Si sarebbe inoltre trascurato, ad avviso del P.G., il rilievo concausale della privazione della libertà personale da attribuirsi alla cosciente e consapevole partecipazione dell'imputato ad un vorticoso giro di assegni, peraltro in posizione paritetica con soggetti appartenenti a clan mafioso.
3. Il P.G. della Corte di legittimità nella requisitoria scritta dell'8 febbraio 2022 ha chiesto accogliersi il ricorso ed annullarsi con rinvio l'ordinanza.
4. La Difesa di B.S.A. con memoria scritta ex art. 611 c.p.p., del 14 marzo 2022 ha chiesto rigettarsi il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e deve essere accolto, per le seguenti ragioni.
2. Appare opportuno riferire preliminarmente la motivazione dell'accoglimento della richiesta di equa riparazione: ad avviso della Corte territoriale (pp. 2-4 dell'ordinanza impugnata), è "Th..) sostenibile la tesi alternativa dell'interesse personale del B., anche in considerazione delle sue condizioni economiche" (...) è stato accertato che il B. aveva dato luogo a numerose movimentazioni bancarie incrociate, di rilevantissimo importo, con soggetti intranei al clan B. (e ad altri ai primi a vario titolo collegati); è stato, altresì, accertato che tale vorticoso giro di assegni privi di effettiva causale economica era finalizzato a schermare le attività criminali e i proventi dell'organizzazione e a finanziare, tra l'altro, l'impresa mafiosa Ambra Transit S.r.l., facente direttamente capo alla famiglia B.. Le due sentenze di merito, confermate in parte qua dalla Cassazione, hanno, dunque, riconosciuto l'oggettiva rilevanza dello specifico contributo offerto dal B. ai fini della conservazione o del rafforzamento del clan B., anche per il tramite del finanziamento delle attività dell'impresa mafiosa Ambra Transit S.r.l., reso possibile dalla creazione di liquidità fittizia. Ciò che era rimasto incerto atteneva esclusivamente all'elemento soggettivo del reato ascritto, ossia se il B. avesse la consapevolezza e la volontà di recare un contributo con la propria condotta al sodalizio criminale (...) il Giudice del rinvio ha rilevato che "confrontando le dichiarazioni del B. con le risultanze delle indagini patrimoniali, si desume che l'imputato non aveva rapporti diretti con membri della famiglia B. e che i soggetti come lui implicati nel vorticoso giro di assegni gli erano sempre presentati (ovvero erano da lui conosciuti solo quali beneficiari dei titoli da lui compilati) in occasione dei suoi rapporti con il P. e il P.". Nel corso del giudizio di merito è stato acclarato inoltre che B. conosceva il P. come soggetto dedito all'usura e non come membro di un'organizzazione criminosa ed, inoltre, che i rapporti tra i due fossero non solo di fiducia, ma anche di reciproco scambio di talché non sarebbe inverosimile l'ipotesi che le movimentazioni fittizie di denaro coordinate dal P. fossero operate dal B. nell'ottica di un vantaggio esclusivamente personale del tutto estraneo agli scopi dell'associazione di cui il P. faceva parte, per come acclarato, peraltro, solo nel 2011. Orbene, ciò che all'esito del giudizio è stato accertato corrisponde, a ben vedere, a quanto il B. aveva dichiarato agli inquirenti sin dall'ottobre del 2003, allorquando era stato interrogato dal Procuratore della Repubblica di Catania (v. verbale di interrogatorio del 28.10.2003 in atti), ben prima dell'esecuzione della misura cautelare custodiale (15.1.2008) e della missiva datata 25.2.2008 (che richiamava le precedenti dichiarazioni) sulla base della quale, su parere favorevole del P.M., è stata disposta la revoca della misura stessa. Ciò evidenzia, dunque, la fondatezza della domanda del B. alla riparazione per la ingiusta detenzione subita".
3. Ebbene, la Corte di appello, come segnalato dal P.G., ha omesso di confrontare le riferite emergenze istruttorie con i pacifici principi di diritto che disciplinano la materia dell'equa riparazione e che è opportuno rammentare.
3.1. L'equa riparazione per ingiusta detenzione è esclusa, secondo l'espresso disposto dell'art. 314 c.p.p., qualora l'istante "vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave", con condotte al riguardo apprezzabili poste in essere sia anteriormente che successivamente all'insorgere dello stato detentivo e, quindi, alla privazione della libertà (cfr. Cass., Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636).
3.2. Quanto alla valenza definitoria delle espressioni "dolo" e "colpa grave", è stato chiarito (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, cit.) che "dolosa deve giudicarsi non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali (indipendentemente dal fatto di confliggere o meno con una prescrizione di legge), difficile da ipotizzare in fattispecie del genere, ma anche la condotta consapevole e volontaria che, valutata con il parametro dell'id quod plerumque accidit, secondo le regole di esperienza comunemente accettate, sia tale da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell'autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo", sicché l'essenza del dolo sta, appunto, "nella volontarietà e consapevolezza della condotta con riferimento all'evento voluto, non nella valutazione dei relativi esiti, circa i quali non rileva il giudizio del singolo, ma quello del giudice del procedimento riparatorio".
Il concetto e la conseguente area applicativa della colpa, invece, vanno ricavati dall'art. 43 c.p., secondo cui, come noto, "e' colposo il comportamento cosciente e volontario, al quale, senza volerne e senza rappresentarsene gli effetti (anche se adottando l'ordinaria diligenza essi si sarebbero potuti prevedere), consegue un effetto idoneo a trarre in errore l'organo giudiziario": in tal caso, la condotta del soggetto, connotata da profili di colpa volta per volta rinvenibili (negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti etc.) "pone in essere una situazione tale da dare una non voluta ma prevedibile (...) ragione di intervento dell'autorità giudiziaria con l'adozione del provvedimento cautelare, ovvero omessa revoca della privazione della libertà" (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, cit.). E in tale ultimo caso la colpa deve essere "grave", come esige la norma, "connotata, cioè, da macroscopica, evidente negligenza, imprudenza, trascuratezza, ecc., tale da superare ogni canone di comune buon senso" (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, cit.).