top of page

Ritarda la comunicazione dell'esito del Pap test alla paziente oncologica: Ginecologo assolto.

Ritardo diagnostico

Il caso di studio riguarda una sentenza della corte di appello di Trento pronunciata in un procedimento penale a carico di un ginecologo, accusato di aver cagionato colposamente il decesso di una sua paziente affetta da neoplasia.

In particolare, secondo l'accusa, il ginecologo, dopo aver sottoposto la paziente ad esame citologico vaginale (pap-test) e prelievo citologico, non si sarebbe adoperato per fornire tempestiva informazione dell'esito dell'esame (in particolare, lesione intraepiteliale squamosa di alto grado. Carcinoma in situ. Si consiglia controllo colposcopio con biopsia), determinando in tal modo un aumento significativo delle dimensioni della neoplasia tale da richiedere un trattamento chemioterapico preoperatorio.

All'esito del processo di primo grado, il ginecologo veniva assolto dal reato contestatogli, non risultando dagli atti una chiara e idonea prova della responsabilità penale dell'imputato.

Avverso la sentenza di condanna pronunciata dal giudice di primo grado, la parte civile proponeva appello ma la corte lo respingeva, confermando l'assoluzione del sanitario.

Analizziamo nel dettaglio la decisione della corte di appello di Trento.

Autorità Giudiziaria: Corte di Appello di Trento

Reato contestato: Omicidio colposo ex art. 589 c.p. per ritardo diagnostico

Imputati: B. ginecologo

Esito: Confermata l'assoluzione per il ginecologo - sentenza n.149 (ud. 07/06/2017, dep. 07/07/2017)


Indice:


1) Il capo di imputazione

Per B. e V. (giudicato separatamente)

Delitto p. e p. dall'art. 589 c.p. perché IL PRIMO nel suo ruolo di dirigente a tempo indeterminato presso l'U.O. di Ostetrica e Ginecologia dell'Ospedale San Camillo di Trento, cagionava la morte di C.P., per colpa consistita nel sottoporre la predetta ad esame citologico vaginale (pap - test) e prelievo citologico in data 11/1/2007, non adoperandosi poi affinché le fosse data tempestiva informazione dell'esito (referto di 8/8/2007: lesione intraepiteliale squamosa di alto grado: carcinoma in situ..Si consiglia controllo colposcopio con biopsia), derivando dal ritardo (reso noto solo il 15/11/2008) un aumento significativo delle dimensioni della neoplasia da cui la paziente era affetta, divenuta "localmente avanzata" così da richiedere un trattamento chemioterapico preoperatorio; IL SECONDO nella sua qualità di medico presso l'U.O. di Oncologia dell'Ospedale Santa Chiara di Trento, cagionava la morte di C.P., per colpa consistita nell'omettere la somministrazione di una profilassi con fattori di crescita granulocitari dopo il terzo ciclo di chemioterapia (28-30 aprile 2008) nella predetta paziente che aveva dimostrato una marcata sensibilità all'effetto tossico ematologico dei farmaci impiegati; per l'effetto delle predette omissioni (concause dell'evento) insorgeva una gravissima neutropenia da chemioterapia tale da condurre la vittima al decesso verificatosi in data (omissis...) in Trento.

Per S.

Delitto p. e p. dall'art. 328 c.p. perché rifiutava di intervenire presso il domicilio di C.P. nonostante fosse di servizio quale guardia medica e nonostante la predetta presentasse una sintomatologia tale da configurare una situazione di allarme clinico. Alle 6,30 dell'8/5/2008 in Trento


2) Il processo di primo grado e la sentenza di assoluzione

Con sentenza n. 651 di data 15 luglio 2015 del Tribunale di Trento, B.A., imputato come in epigrafe specificato, a seguito di rito ordinario, è stato assolto ai sensi dell'art. 530 comma 2 c.p.p..


Il primo Giudice ha rilevato che dagli atti del processo non si evince una chiara e idonea prova della responsabilità penale dell'imputato.


Dopo avere elencato le fonti di prova: dichiarazioni rese in dibattimento da M.S. e M.A., p.o. querelanti, rispettivamente coniuge e figlia della vittima; perizia del dott. Z. nominato dal GIP e sentito come teste; dichiarazioni della teste R., collega dell'imputato dal 2007; c.t.u. della dott. Zanirato in sede di causa civile, sentita anche come teste; assunzione del teste CT. della difesa; dichiarazioni rese dall'imputato;

Il Tribunale ha evidenziato che:

a) non vi è alcuna prova in atti in ordine alla sussistenza di un obbligo giuridico di B.A., quale medico della U.O. di ginecologia e ostetricia dell'Ospedale San Camillo di Trento, di comunicare personalmente e di propria iniziativa alla paziente l'esito del Pap-test, noto al medico oltre un mese dopo l'esecuzione del prelievo, qualora lo stesso fosse stato positivo, anziché seguire la solita procedura di redazione del referto scritto con indicazioni terapeutiche e inoltrarlo alla segreteria dell'ospedale per la consegna al paziente nelle forme previste; la copia di un estratto di un protocollo scritto dall'ospedale San Camillo di Trento, prodotto dalla difesa della parte civile nel corso del dibattimento, non stabilisce alcunché in tale senso e sia l'imputato (che all'epoca era il dirigente dell'U.O. di ginecologia e ostetricia dell'Ospedale San Camillo di Trento) che la sua collega dell'epoca, dott. R.T.P., hanno esplicitamente dichiarato che ai medici dell'U.O. suddetta non fu comunicato alcunché in tal senso;

b) sia il c.t.u. della causa civile collegata, dott. Zanirato, che il CT della difesa dell'imputato, dott. Franchi, le valutazioni dei quali "coincidono (omissis...) sui punti essenziali rilevanti per la valutazione giurisdizionale in ordine al fatto contestato all'imputato", hanno escluso che lo shock settico che ha portato, plausibilmente, al decesso di C.P., sia derivato dal tumore o dalla chemioterapia alla quale la stessa fu sottoposta.

Il perito nominato dal GIP, dott. Z., ha ipotizzato, per contro, un possibile collegamento tra il decesso e gli effetti della chemioterapia che si sarebbe potuta plausibilmente evitare con una più tempestiva comunicazione del referto positivo del Pap-test.

Detto referto fu ritirato dalla figlia della vittima solo dopo oltre tre mesi dalla data in cui lo stesso era disponibile presso la segreteria dell'Ospedale.

Alla luce di tale " quadro fattuale piuttosto articolato che si svolge nell'arco di quasi un anno (dal giugno/luglio 2008)", il primo Giudice ha ritenuto che "non si configura una chiara e idonea prova a carico di B.A. che il fatto delittuoso a lui contestato sussiste".


3) L'atto di appello della parte civile (paziente)

Avverso la suddetta sentenza ha proposto appello la parte civile costituita (M.A. e C.A., rispettivamente figlia e sorella della persona deceduta C.P.) per i seguenti motivi. 1) Sull'obbligo di comunicare il referto positivo alla paziente; la responsabilità del medico. La p.c. appellante rileva che il medico ha precisi doveri sia deontologici che giuridici nei confronti del paziente. Le norme di deontologia medica attuano finalità di interesse pubblico pertinenti alla protezione del bene costituzionalmente rilevante della salute del malato. Il giudice penale può o dovrebbe pervenire all'affermazione di una responsabilità per colpa in relazione ad un precetto deontologico. In particolare, la difesa della parte civile fa riferimento all'articolo 13 del codice di deontologia medica per il quale "la prescrizione di un accertamento diagnostico e o di una terapia impegna la diretta responsabilità professionale ed etica del medico e non può che far seguito a una diagnosi circostanziata o quanto meno ad un fondato sospetto diagnostico ". L'imputato, avuta conoscenza del referto, avrebbe dovuto in prima persona comunicarlo alla paziente, a prescindere dall'attivazione del personale amministrativo dell'ospedale. La parte civile invoca il principio che il medico è sempre responsabile ed obbligato a comunicare al proprio paziente l'esito infausto di un esame e pertanto è sempre responsabile per i danni occorsi al paziente a seguito di un ritardo nella comunicazione del referto o di un esame positivo. Come anche sottolineato dal perito d'ufficio dott. Z. (pagine 20 e 28 della relazione di data 15 ottobre 2009), detto ritardo diagnostico ha provocato un aumento significativo delle dimensioni della neoplasia, divenuta localmente avanzata e necessitante quindi della chemioterapia preoperatoria iniziata nel marzo 2008. La stessa c.t.u. della causa civile, dottoressa Zanirato (pag. 56 relazione dd. 31.10.2013), ha stigmatizzato la condotta del dottor B., scrivendo che la condotta dello stesso "è da censurare perché ha ritardato di cinque mesi la possibilità di diagnosticare una carcinoma dell'utero, che si è poi mostrato esteso in vagina, condizionando in misura non trascurabile l'opzione terapeutica poi adottata". A parere della parte civile, l'omissione del dovere d'informazione in capo al medico costituisce un vero e proprio reato, previsto dall'articolo 328 del codice penale, oltre che trovare il proprio fondamento nelle stesse disposizioni civilistiche, tenuto conto della natura contrattuale delle obbligazioni in capo al sanitario, che esercita una prestazione professionale di carattere intellettuale. Il medico ha errato nel non contattare personalmente la paziente in via epistolare o telefonica, avendo cura di lasciar traccia scritta delle telefonate, al fine di invitarla ad un colloquio informativo e doveroso, adempiendo al precetto di visionare l'esame istologico con la paziente. 2) La parte civile lamenta che il Tribunale non ha considerato l'estratto del protocollo dell'ospedale San Camillo di Trento nel senso indicato dalla stessa parte, in quanto detto documento è assolutamente chiaro e dispone che il referto venga consegnato al paziente o eventualmente spedito in caso di referto negativo. Da questa disposizione emerge che in caso di esito positivo il referto doveva essere consegnato alla paziente attraverso il medico curante e non demandato alla segreteria. 3) La condotta dell'imputato integra anche, a parere della p.c., la fattispecie delittuosa di cui all'articolo 328 del codice penale, trattandosi di una condotta attinente ad atti che per ragioni di sanità sono indilazionabili. La giurisprudenza ha sottolineato che, in correlazione al diritto alla salute ed in applicazione delle regole dell'ordinamento professionale medico (articolo 39 del codice deontologico), il paziente ha diritto all'informazione, che costituisce un'integrazione della prestazione sanitaria: pertanto può integrare l'ipotesi di rifiuto di atti di ufficio prevista dall'articolo 328 primo comma del codice penale anche un comportamento del sanitario incompatibile con l'esecuzione della prestazione accessoria richiesta, in relazione alla situazione di fatto. Il concetto di urgenza in materia di sanità è determinato dall'esigenza di un tempestivo intervento per il compimento dell'atto dovuto. La parte civile sottolinea il proprio interesse a detta contestazione e si riserva di chiedere in sede di conclusioni che la Procura Generale provveda alla contestazione del reato suddetto. 4) Sul nesso di causalità e sulle cause del decesso. La parte civile analizza e condivide le considerazioni svolte dal perito d'ufficio nominato dal GIP nella sua relazione di data 15 ottobre 2009 e critica come inattendibile la c.t.u. Zanirato, in quanto la stessa riconduce il decesso ad uno shock settico dovuto a perforazioni intestinali che non sono state riscontrate sulla persona della paziente deceduta. A parere della p.c., l'unica perizia credibile sulle cause del decesso rimane la perizia Z., condivisa dal perito di parte civile dott. L.. La signora C. è deceduta per complicanze relative alla chemioterapia e non per cause sopraggiunte del tutto impreviste ed imprevedibili come lo shock settico provocato da un perforazione intestinale non riscontrata. Ove vi fossero dubbi, l'appellante chiede che la Corte conferisca incarico ad un nuovo perito o collegio peritale. Chiede quindi l'accoglimento dell'appello concludendo come ivi specificato.


4) La memoria difensiva del ginecologo

In data 30 maggio 2017 la difesa ha depositato una memoria difensiva per l'imputato nella quale contesta in maniera analitica le deduzioni della parte civile in merito all'asserito obbligo giuridico in capo al medico di comunicare il referto dell'esame Pap-test alla paziente e in ordine alla causa del decesso della signora P.C.. In detto atto la difesa ribadisce, in particolare, l'assenza di nesso causale rispetto all'operato dell'imputato, evidenziando che il dott. B. non effettuò alcuna colposcopia alla paziente, non essendo lo stesso adibito a detto esame presso l'Ospedale San Camillo.

Conclude chiedendo la reiezione dell'appello.

La parte civile ha replicato a detta memoria difensiva con memoria depositata il 3 giugno 2017, agli atti.


5) La decisione della Corte di Appello

5.1 La ricostruzione dei fatti

Preliminarmente appare necessario ripercorrere la cronologia dei fatti.

La signora C.P. si sottopose il 20 giugno 2007 ad una visita ginecologica da parte del dott. B. presso l'ospedale San Camillo di Trento; su consiglio dello stesso tornò in un secondo momento, il 12 luglio 2007, per il Pap-test che non era stato possibile effettuare nella prima occasione a causa di perdite ematiche e che fu eseguito dal suddetto.

Il risultato dell'esame (che era pronto già in agosto) non fu comunicato alla paziente per posta (la spiegazione da parte della segreteria fu che la stessa non aveva lasciato i 70 cent. del francobollo) e solo il 15 gennaio 2008 la figlia della signora C. andò a ritirare il referto, il cui esito era positivo ("lesione intraepiteliale squamosa di alto grado:carcinoma in situ/CIN 3").

La situazione era quindi molto grave e, pertanto, la signora C. fu sottoposta a varie visite ed esami, tra i quali la biopsia, dalla quale risultò la presenza di "carcinoma squamoso poco differenziato, infiltrante" al collo dell'utero, di stadio II A.

Fu deciso, a quel punto, di praticare alla paziente due cicli di chemioterapia cd. neoadiuvante (il primo dal 10 al 13 marzo e il secondo dal 31 marzo al 2 aprile), in vista dell'intervento chirurgico.

Venne quindi eseguito un esame PET-TAC per verificare le dimensioni della massa tumorale dopo i due cicli di chemioterapia e si constatò che vi era stata una riduzione del tumore da 6 a 4 cm..

In vista del terzo ciclo di chemioterapia, il 21 aprile venne eseguito un esame del sangue che evidenziò una neutropenia (valore molto basso dei globuli bianchi), per contrastare la quale la signora C. fu ricoverata per tre giorni per essere sottoposta ad un trattamento con GCSF; tornati normali i leucociti a valori normali, il 28 aprile la paziente fu nuovamente ricoverata per essere sottoposta al terzo ciclo di chemioterapia, iniziato il 28 e terminato il 30 aprile, data nella quale la suddetta fu dimessa.

Il 7 maggio 2008 la signora C., verso le 22.30, iniziò a vomitare e ad avere forti scariche diarroiche e forti dolori intestinali e comparsa, verso le ore 4.30, di elevato stato febbrile. Il ricovero avvenne solo dopo accesso al PS in ambulanza alle ore 8.30 dell'8 maggio. La situazione si presentò subito molto critica, con abbassamento dei globuli bianchi a 100 contro il valore normale di 4.000/11.000, con diagnosi di shock settico e trasferimento in rianimazione alle ore 13.00.

Qui la paziente, alle ore 17.00, fu operata con tecnica laparoscopica che non confermò la prima diagnosi di peritonite da perforazione di ansa intestinale, ma nel corso della quale venne asportata l'appendice per appendicite in atto.

Lo shock settico si aggravò nonostante detto intervento determinando, alle ore 20.30, il decesso della signora C. per arresto cardiocircolatorio.


5.2 La ricostruzione dei procedimenti penali e civili a carico dei medici coinvolti

Questa dolorosa vicenda ha dato luogo a procedimenti penali nei confronti dei medici intervenuti e cioè del medico del pronto soccorso dott. A.S. (assolto perché il fatto non sussiste) e dell'oncologo dell'Ospedale Santa Chiara di Trento dott. F.V. (anch'egli assolto perché il fatto non sussiste), oltre al presente procedimento.

È in corso anche il processo civile nei confronti della AP. di Tr., dell'Ospedale San Camillo, del dott. B. e del dott. S. (medico del PS).

Ciò premesso, la Corte ritiene che in questa sede non possa non tenersi conto, ai sensi e per gli effetti dell'art. 238-bis c.p.p., della sentenza n. 98/15 del 13 marzo 2015, divenuta irrevocabile, pronunciata nei confronti di V.F. da questa Corte, in diversa composizione, che ha avuto per oggetto gli stessi fatti con riferimento alla responsabilità del medico oncologo come concausa dell'evento.

V.F. era infatti imputato ex art. 589 c.p. "perché, nella sua qualità di medico presso l'U.O. di Oncologia dell'Ospedale Santa Chiara di Trento, cagionava la morte di C.P., per colpa consistita nell'omettere la somministrazione di una profilassi con fattori di crescita granulocitari dopo il terzo ciclo di chemioterapia (28-30 aprile 2008) nella predetta paziente che aveva dimostrato una marcata sensibilità all'effetto tossico ematologico dei farmaci impiegati per l'effetto delle predette omissioni (concause dell'evento) insorgeva una gravissima neutropenia da chemioterapia tale da condurre la vittima al decesso verificatosi in data (omissis...). in Trento".

Detta sentenza ha analiticamente considerato le opposte conclusioni alle quali erano giunti il perito d'ufficio dott. Z. e il perito di parte civile dott. L. da un lato e la c.t.u. della causa civile dott. Zanirato e il perito di parte dell'imputato dott. Franchi dall'altro.

Il perito dott. Z. ha confermato, in detto processo, che la somministrazione del fattore di crescita leucocitario avrebbe "con elevata probabilità impedito la gravissima leucopenia cui è riconducibile il decesso" (vedi perizia dd. 15.10.2009 in atti anche nel presente procedimento sub fg. (omissis...)).

Nella suddetta sentenza, questa Corte, in diversa composizione, ha rilevato tuttavia che il suddetto perito, sentito in sede di giudizio abbreviato, ha rivisto la perentorietà delle sue affermazioni e ha dichiarato che non si sentiva in grado di confermare con assoluta certezza o con elevata probabilità da quasi certezza che la signora C. non potesse comunque incorrere in shock settico e morte anche con la somministrazione del fattore di crescita leucocitario.

La c.t.u. della causa civile dott. Zanirato, nella sua relazione, acquisita dalla Corte in quella sede e sentita come testimone in quel processo (come pure nel presente procedimento), ha attribuito il decesso della signora C. non già alla neoplasia e al trattamento chemioterapico, ma a flogosi acuta dell'appendice ciecale con micro perforazioni che avrebbero consentito il passaggio di saprofiti presenti nell'intestino, con conseguente shock settico, collasso cardiocircolatorio e morte.

Già il primo Giudice di detto processo, a fronte della lettura degli elaborati del perito Z. e dell'esame dello stesso in udienza, era pervenuto ad "esiti non conducenti, per la loro dubbiezza, ad un giudizio di colpevolezza", tenendo conto dei noti principi giurisprudenziali elaborati dalla Suprema Corte dalla sentenza Franzese (SU 30238/2002) in poi. La Corte d'Appello di Trento, nella sentenza resa nel processo V., ha confermato dette perplessità, rilevando a propria volta come "non è al calcolo probabilistico nella prova di resistenza contro fattuale che deve guardarsi, ma alla pienezza di certezza processuale, raggiungibile solo quando possa affermarsi che l'esito fruttuoso dell'intervento omesso si sarebbe verificato con verosimiglianza pari al 100% (omissis...)" e che "è a questo livello della certezza affermabile che il perito, posto di fronte alle obiezioni sollevate, ha vacillato, ritenendo di non potersi esprimere con tranquillante sicurezza".

Tenuto conto dell'estremismo delle posizioni dei periti coinvolti, considerate le affermazioni della dott. Zanirato circa l'origine dell'infezione (appendicite ciecale con micro perforazioni), la Corte ha dato atto che comunque "si è in presenza di un dato originario di natura incerta non altrimenti ricomponibile", posto che il fenomeno della micro perforazione non si può escludere (come esposto nel referto dallo stesso chirurgo, diretto osservatore) e che si è di fronte ad un insuperabile dubbio circa l'efficacia della somministrazione del fattore di crescita, finalizzata ad aumentare i globuli bianchi, nell'impedire l'infezione fino a neutralizzarla.


5.3 Decisione della Corte sulla sussistenza del nesso di causalità e sulle cause del decesso

L'ampio spazio dedicato alla sentenza di assoluzione n. 98/15 emessa da questa Corte nei confronti di V.F., medico oncologo, è stato reso necessario in quanto il comportamento dello stesso era stato contestato come concausa del decesso della signora C..

In questa sede va analizzato il comportamento del dott. B. come concausa di detto decesso, con ciò trattandosi per primo, per ragioni di pregiudizialità logica, il motivo d'appello sub (omissis...)) " Sul nesso di causalità e sulle cause del decesso".

Secondo il capo d'imputazione, dal ritardo causato dalla mancata tempestiva informazione della paziente del risultato positivo del Pap-test è derivato un significativo aumento della massa tumorale che ha richiesto un trattamento chemioterapico preoperatorio. Detto trattamento chemioterapico, avrebbe quindi causato la morte (concausa attribuibile secondo il capo d'imputazione al medico oncologo) della paziente per la mancata somministrazione del fattore di crescita di cui si è detto con riferimento alla posizione V..

La parte civile ha trattato tale profilo nel motivo d'appello sub (omissis...)) ("Sul nesso di causalità e sulle cause del decesso") riportandosi alle considerazioni svolte dal perito d'ufficio nominato dal GIP nella sua relazione di data 15 ottobre 2009 e criticando come inattendibile la c.t.u. Zanirato, in quanto la stessa riconduce il decesso ad uno shock settico dovuto a perforazioni intestinali che non sono state riscontrate sulla persona della paziente deceduta.

A parere della p.c. "l'unica perizia credibile sulle cause del decesso rimane la perizia Z., condivisa dal perito di parte civile dott. L.. La signora C. è deceduta per complicanze relative alla chemioterapia e non per cause sopraggiunte del tutto impreviste ed imprevedibili come lo shock settico provocato da un perforazione intestinale non riscontrata".

La Corte, oggi chiamata a valutare la responsabilità del decesso della signora C. con riferimento alla condotta del dott. B., ritiene che lo shock settico che ha causato il decesso della signora C. non sia con certezza riconducibile alla mancata somministrazione del fattore di crescita durante la chemioterapia.

A fronte del giudizio di "elevata probabilità" di cui alla perizia Z., in atti, dd. 15.10.2009, nel supplemento dd. 18.2.2012 (a queste perizie, come anzidetto, ha già fatto riferimento ai fini del decidere la sentenza 98/2015 C.A. Trento, citata) lo stesso perito ha ammesso che, pur sussistendo, a parere dello stesso, l'errore di non aver prescritto un esame emocromocitometrico alla paziente dopo il secondo ciclo di chemioterapia, tale errore "appare non rilevante, in quanto, in maniera estremamente rapida, si è determinata la perdita pressoché totale dei leucociti della signora C. ad una sola settimana dall'ultima chemioterapia".

Il suddetto perito, nel supplemento di relazione dd. 18.2.2012 ha altresì ammesso, a seguito delle osservazioni mosse dalle parti, che l'impiego dei fattori di crescita leucocitaria non è praticato sistematicamente dai medici specialisti oncologi "che esprimono i propri orientamenti terapeutici sulla scorta dell'esperienza personale e della situazione del singolo paziente", evidenziando che le linee guida "rappresentano un approccio di massima al paziente, non un comportamento esclusivo e dovuto dal medico".

Le considerazioni svolte dal perito Z. in sede di supplemento appaiono quindi alquanto divergenti con le conclusioni del medesimo nella prima relazione.

Detti elementi vanno raffrontati con le relazioni della dott. Zanirato, c.t.u. nella causa civile, acquisite nel processo di primo grado (vedi copia integrale agli atti) e confermate nella deposizione resa dalla stessa nel presente procedimento.

La suddetta dott. Zanirato ha evidenziato che l'alto grado di malignità G3 indirizzava verso un trattamento chemioterapico neoadiuvante preoperatorio che nel 2008 doveva ritenersi adeguato e che la mancata prescrizione del fattore di crescita era in linea con la determinazione dell'AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) del giugno 2005, all'epoca "vigente", che consentiva l'uso terapeutico, ma non profilattico, per prescrizione di fattori di crescita granulocitari.

Come anzidetto, anche il perito d'ufficio Z. ha sostanzialmente concordato su questo punto.

Deve pertanto ritenersi che la scelta di non somministrare il fattore di crescita granulocitaria alla dimissione della signora C. dopo il terzo ciclo di chemioterapia, avvenuta il 30 aprile 2008, non abbia causato la leucopenia, e che questa quindi non sia stata un effetto collaterale della chemioterapia, ma sia stata causata da un iperconsumo di leucociti "avvenuto nel tentativo di contrastare l'aggressione batterica intestinale del Clostridium Ramosum" (vedi relazione Zanirato 5.7.2014 pag. 11). La migrazione di tale batterio, come già rilevato nella sentenza 98/2015 cit., non può essere esclusa, posto che lo stesso chirurgo ha fatto cenno, in forma dubitativa, della presenza di micro perforazioni nell'appendice.

Come evidenziato anche nella sentenza citata, la tossicità della chemioterapia inizia a manifestarsi dopo 8-10 giorni circa dalla somministrazione e il valore più basso (cd. effetto nadir) si trova generalmente alla 14^ giornata e cioè in un periodo successivo a quanto avvenne nel caso di specie, nel quale l'abbassamento delle difese si manifestò a distanza di una sola settimana. Tale sequenza temporale, riconosciuta dallo stesso perito d'ufficio, rende ancora più problematico ricondurre in termini di certezza la leucopenia alla mancata somministrazione di fattore di crescita e al terzo ciclo del trattamento chemioterapico. In definitiva, rimane allo stato impossibile affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che lo shock settico sia riconducibile alla leucopenia dovuta alla chemioterapia e non invece ad una causa del tutto autonoma sia da detto trattamento che dal tumore e cioè un'infezione da infiltrazione di germi patogeni attraverso micro perforazioni dell'appendice, divenuta letale in maniera rapidissima.

Il dubbio rimane quindi anche in questa sede insuperabile, posto che l'autopsia, forse idonea ad individuare la causa del decesso, non fu praticata.

Dall' insuperabilità del dubbio in ordine al nesso di causalità tra la morte da shock settico acuto (e arresto cardiocircolatorio) e la chemioterapia e lo stesso tumore, deriva che anche il nesso causale tra la condotta del dott. B. e l'evento morte è altrettanto inficiato dalle medesime perplessità.

In questo quadro, il ritardo nella comunicazione alla paziente del risultato positivo del Pap-test non può conseguentemente porsi con certezza in nesso di causalità con la morte della signora C., visto che, come anzidetto, non si può escludere che l'infezione sia un evento autonomo rispetto alla chemioterapia e allo stesso tumore.

Non appare neppure possibile affermare con certezza, in mancanza di biopsia, se il periodo di tempo trascorso tra il Pap-test (12 luglio 2007) e la conoscenza dello stesso da parte della paziente (gennaio 2008) dell'esito positivo e inizio degli esami e terapie conseguenti abbia comportato un aumento della massa tumorale che abbia reso necessaria la chemioterapia preoperatoria e non abbia consentito l'opzione chirurgica senza previa chemioterapia.

A questo punto deve valutarsi se la condotta dell'odierno imputato abbia costituito concausa dell'evento morte o se l'evento shock settico abbia costituito causa autonoma sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l'evento.

La Corte, per quanto sopra esposto, ritiene che non possa affermarsi con certezza in questa sede che la condotta omissiva del dott. B. sia una concausa dell'evento morte, posto che rimane in termini di dubbio la riconducibilità della morte della paziente alla chemioterapia e allo stesso tumore.

Conseguentemente, la condotta del dott. B., di per sé censurabile per quanto si andrà a dire, non può porsi in termini di certezza in collegamento causale con l'evento morte.


5.4 Sull'obbligo di comunicare il referto positivo alla paziente e gli altri motivi di appello residuali.

Il ritardo nella comunicazione del referto ha probabilmente influito sulla scelta terapeutica della chemioterapia preoperatoria. Probabilmente, come evidenziato dalla stessa dott. Zanirato, il tumore sarebbe stato meno invasivo se si fosse intervenuti cinque mesi prima o anche due-tre mesi prima di quanto si dovette fare e, probabilmente, la scelta del trattamento chemioterapico non sarebbe stata adottata.

Tuttavia, una volta ribadito che non vi è prova certa del nesso di causalità tra la terapia chemioterapica e tra lo stesso tumore e lo shock settico, causa del decesso, non può neppure essere espresso un giudizio in termini di certezza tra la condotta omissiva dell'imputato e l'evento.

La Corte rileva, peraltro, che il medico avrebbe dovuto farsi carico, sotto un profilo deontologico, di avvisare la propria paziente dell'esito positivo dell'esame e non delegare per la consegna del referto la segreteria, come da prassi dell'ospedale. Il protocollo del San Camillo, in atti, fa riferimento alla spedizione del referto in caso di esito negativo, mentre parla di "consegna" nel caso di esito positivo, onerando di ciò, dal punto di vista materiale, la caposala. La Corte osserva peraltro che, quand'anche il dott. B. avesse eseguito molti Pap-test nel 2007, si stenta a credere che il numero dei referti positivi fosse così elevato in un ospedale di provincia quale il San Camillo, da non consentire al medico ginecologo curante, che aveva prescritto egli stesso il Pa. alla propria paziente, di attivarsi per far comunicare l'esito, anche con modalità dirette ad attenuarne l'impatto psicologico, non limitandosi ad un appunto, dopo avere visionato il Pap-test, del tipo: "deve fare colposcopia mi chiami", a fronte dell'esito di "carcinoma in situ/CIN III". Il dott. B. era stato scelto dalla paziente e non assegnato dal CU., e aveva pertanto l'onere di seguire la paziente dalla visita ginecologica al Pap-test fino all'esito dello stesso, a maggior ragione nel caso di specie, nel quale erano trascorsi già i 30 giorni che lo stesso imputato aveva indicato alla paziente come tempo necessario per l'espletamento dell'esame e per il ritiro da parte della stessa.

In ogni caso, detto comportamento, come anzidetto, non ha avuto in maniera certa come conseguenza il decesso della signora C., posto che l'evento, per tutto quanto sopra esposto, e con il ragionevole dubbio evidenziato, è attribuibile ad un fattore autonomo quale lo shock settico sopravvenuto da solo sufficiente a determinare l'evento.

Tali aspetti critici non configurano peraltro, a parere di questa Corte, il rifiuto di atti di ufficio ex art. 328 c.p. non rientrando nella previsione di detto reato una semplice inosservanza di obblighi, nel caso di specie quello di attivarsi personalmente per la comunicazione dell'esito dell'esame, ma si attestano nell'ambito strettamente deontologico.


6. Dispositivo

L'appello va pertanto respinto.

Visto l'art. 605 c.p.p.

Conferma la sentenza impugnata e condanna gli appellanti al pagamento delle spese processuali del grado.

Fissa il termine di giorni 90 per il deposito della motivazione.


Così deciso in Trento, il 7 giugno 2017.

Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2017.

 

Ha bisogno di assistenza legale in materia di responsabilità medica penale?

Può inviare una mail all'indirizzo info.avvocatodelgiudice@gmail.com, chiamare il numero 08119552261 o inviare un messaggio whatsapp al numero 3922838577, descrivendo brevemente il suo caso.

La ricontatteremo nel minor tempo possibile.


bottom of page