RITENUTO IN FATTO
1. Con l'impugnata sentenza, Il Giudice dell'Udienza preliminare del Tribunale di Firenze, all'esito del giudizio abbreviato, ha ritenuto responsabile l'imputato in relazione al reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 2 per avere utilizzato, nella dichiarazione dei redditi relativa all'anno (OMISSIS), la fattura n. (OMISSIS), per un importo di Euro 75.000,00, oltre iva, fattura apparentemente emessa da MP srl, ma mai emessa da tale società, per operazioni oggettivamente inesistenti, e lo ha assolto dal reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 8 con riguardo all'emissione della medesima fattura.
Alla pronuncia di assoluzione dal reato di emissione di fattura per operazioni inesistenti, il Tribunale è pervenuto sulla scorta delle risultanze del compendio probatorio in atti e, segnatamente, dalla circostanza che la fattura n. (OMISSIS) non risultava essere stata emessa dalla società MP srl, apparente emittente, ma era stata emessa presumibilmente dallo stesso imputato o da una persona incaricata. In diritto, ha richiamato il disposto di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 9 che dispone che, in deroga all'art. 110 c.p., chi si avvale di fatture per operazioni inesistenti non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall'art. 8 medesimo decreto, ed ha rilevato che tale disposizione non trovava applicazione nel caso in cui, come quello in esame, sia l'emittente che l'utilizzatore erano la stessa persona che, però, - nella veste di emittente - non aveva agito come soggetto economico avendo egli falsificato la fattura facendola apparire come emessa da un terzo, ovvero la società Mp srl.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso il Procuratore della Repubblica, ai sensi dell'art. 569 c.p.p. e ne ha chiesto l'annullamento deducendo, con un unico motivo, la violazione di legge in relazione all'errata interpretazione del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 9.
Premesso che l'impugnazione è proposta avverso la decisione di assoluzione dell'imputato dal reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 8 secondo il Pubblico Ministero, il Giudice sarebbe incorso in un errore di diritto nell'interpretazione del disposto normativo di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 9 secondo cui, in deroga all'art. 110 c.p., chi si avvale di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall'art. 8. Tale norma, che mira ad evitare che l'utilizzatore della fattura per operazioni inesistenti possa concorrere nel reato posto in essere dall'emittente, come all'inverso, il solo fatto dell'emissione della fattura per operazioni inesistenti possa integrare il concorso nel reato di colui che le utilizza nelle dichiarazioni fiscali, non troverebbe applicazione, come nel caso in esame, là dove l'utilizzatore è anche colui che le ha formate. In tali casi, non si porrebbe nemmeno il problema della duplicazione della fattispecie penale perché colui che ha creato le fatture è la medesima persona che l'ha emesse. Secondo il principio affermato dalla sentenza n. 19247/2012, e successivamente mai smentito, il principio affermato dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 9 non troverebbe applicazione quando la medesima persona proceda in proprio sia all'emissione delle fatture per operazioni inesistenti sia alla loro successiva utilizzazione. Ne deriva, in tali casi, che il soggetto che dapprima emette e poi utilizza le fatture per operazioni inesistenti risponde del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 2 e 8. Sulla scorta di tali ragioni chiede l'annullamento della sentenza.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La questione di diritto sollevata dal ricorrente è risolta dalla giurisprudenza di legittimità ormai in modo consolidato nel senso indicato dal Pubblico Ministero ricorrente, non di meno, la correttezza dell'impostazione giuridica del ricorrente non conduce, in relazione al caso in scrutinio, all'annullamento della sentenza per violazione di legge.
Il D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 9 contenente una deroga alla regola generale fissata dall'art. 110 c.p. in tema di concorso di persone nel reato, esclude la rilevanza penale del concorso dell'utilizzatore nelle condotte del diverso soggetto emittente, ma non trova applicazione quando la medesima persona procede in proprio sia all'emissione delle fatture per operazioni inesistenti, sia alla loro successiva utilizzazione (Sez. 3, n. 19247 del 08/03/2012, De Siati, Rv. 252545 - 01; Sez. 5, n. 36859 del 16/01/2013, Mainardi, Rv. 258038 - 01; Sez. 3, n. 19025 del 20/12/2012, Cetti Serbelloni, Rv. 255396 - 01 in cui si è espressamente chiarito che il regime derogatorio previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 9 non trova applicazione quando l'amministratore della società che ha emesso le fatture per operazioni inesistenti coincida con il legale rappresentante della diversa società che le abbia successivamente utilizzate.
Ancora più recentemente si è affermato che la disciplina in deroga al concorso di persone nel reato prevista dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 9 non si applica al soggetto che cumuli in sé la qualità di emittente e quella di amministratore della società utilizzatrice delle medesime fatture per operazioni inesistenti (Sez. 3, n. 34021 del 29/10/2020, Rossinelli, Rv. 280370 - 01).
Come chiarisce nella motivazione la sentenza n. 19247/2012, nell'operatività della L. n. 516 del 1982, il soggetto utilizzatore delle f.o.i. era considerato dalla giurisprudenza maggioritaria come l'effettivo beneficiario della frode e, dunque, colui che risultava titolare dell'interesse prioritario alla creazione delle fatture irregolari e alla realizzazione di un meccanismo di nascondimento della diversa realtà economica e contabile sottostante. Tale valutazione conduceva a ravvisare non solo una sua responsabilità per la condotta diretta di utilizzazione, ma anche un suo concorso morale nella condotta illecita di emissione posta in essere dal soggetto con cui egli aveva preso accordi, e ciò sotto il profilo della istigazione o del rafforzamento del proposito criminoso nei termini previsti dall'art. 110 c.p..
La disciplina introdotta dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ha modificato tale impostazione e ha espressamente previsto che l'utilizzatore non possa essere chiamato a concorrere col diverso soggetto che ha accettato di provvedere all'emissione delle f.o.i. necessarie alla successiva realizzazione della frode che l'utilizzatore intende concretizzare mediante la presentazione di dichiarazioni infedeli. Sulla base del medesimo principio interpretativo, la persona che ha emesso le f.o.i. non può essere chiamata a rispondere a titolo di concorso con la diversa condotta di utilizzazione posta in essere dal soggetto che le fatture ha ricevuto, iscritto in contabilità e incluso nella dichiarazione annuale. Tale deroga al concorso di persone nel reato, si è chiarito, non opera, come ricorda il ricorrente, quando la medesima persona proceda in proprio sia all'emissione delle fatture per operazioni inesistenti, sia alla loro successiva utilizzazione. Il regime derogatorio previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 9 come ben evidenziato dalla pronuncia n. 19025 del 2012, richiamata dal ricorrente, non trova applicazione quando l'amministratore della società che ha emesso le fatture per operazioni inesistenti coincida con il legale rappresentante della diversa società che le abbia successivamente utilizzate.
Si tratta di un principio condiviso e che va ribadito, non di meno, non vi è dubbio che la fattispecie storica sottostante la sentenza impugnata non corrisponde alla fattispecie ora descritta per cui non opera il divieto di cui all'art. 9 come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità.
Come ha evidenziato nella motivazione la citata sentenza n. 19025 del 2012, ciò che rileva, ai fini dell'esclusione del divieto di cui all'art. 9, è che la medesima persona operi sotto una duplice veste: amministratore del soggetto giuridico che emette le fatture e amministratore che quelle fatture utilizza.
Nel caso in esame, risulta (pag. 3) che la fattura n. (OMISSIS) di importo di Euro 75.000,00 oltre iva, per operazioni inesistenti, registrata nella contabilità e utilizzata nelle dichiarazioni fiscali dall'imputato, e per cui ha riportato condanna ex art. 2, non era stata emessa dalla MP srl, essendo, secondo il giudice, stata presumibilmente formata dallo stesso C.A., soggetto, del resto, che beneficiava, avendola indicata nella dichiarazione falsa con esposizione di costi inesistenti, o da soggetto da lui incaricato. Ma v'e' di più: evidenzia il giudicante che i testimoni (amministratore di MP srl, impiegata amministrativa e contabile) avevano motivatamente escluso di avere redatto tale fattura evidenziando, altresì, che il C. era un consulente retribuito della società, ma non era un cliente di questa, da cui ha tratto il convincimento della falsificazione materiale del documento "fattura", apparentemente riferibile a prestazioni rese (in realtà oggettivamente inesistenti) in favore dell'imputato da parte della MP srl.
L'attività che viene contestata all'imputato non è quella di avere istigato il soggetto emittente o rafforzato il suo proposito illecito, condotta rilevante ex art. 110 c.p. e non procedibile ai sensi del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ex art. 9, ma di avere formato un atto materiale falso, sia nell'oggetto che nell'apparente soggetto emittente, che poi ha registrato in contabilità per poi inserirlo nelle dichiarazioni infedeli.
Si è in presenza, dunque, di una fattispecie non riconducibile alla sfera di applicazione del citato art. 9 come interpretato (vedi supra). Del resto, l'art. 8 presuppone che il documento "fattura" sia vera nel senso che sia stata emessa da un soggetto giuridico (persona fisica/giuridica) che costituisce il centro di imputazione della prestazione indicata (anche se oggettivamente inesistente) e sia stata emessa per consentire a "terzi" l'evasione. Diverso è il caso in cui il documento "fattura" sia materialmente falso perché formato da un soggetto che non agisce nella veste del soggetto emittente quale centro di imputazione del rapporto giuridico sottostante e a cui si riferirebbe la prestazione economica indicata e la prestazione sia oggettivamente inesistente (diverso è il caso di prestazione esistente ma posta in essere da soggetto diverso). In questo caso la realtà fattuale non rende possibile l'applicazione della disposizione di cui all'art. 9 cit. come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità.
Consegue che il ricorso del Pubblico Ministero è inammissibile perché manifestamente infondato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2022