RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Messina, con sentenza del 13 luglio 2018, ha solo parzialmente confermato la sentenza con la quale, il precedente 16 giugno 2019, il Tribunale di Messina aveva dichiarato la penale responsabilità di B.O. in ordine ai reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 4 e 5, per avere egli, quanto alla prima imputazione, indicato nella dichiarazione dei redditi da lui presentata per l'anno di imposta 2007 elementi attivi per un ammontare inferiore a quello reale, in tal modo evadendo le imposte per un valore superiore alla soglia di punibilità , e quanto alla ulteriore imputazione, per avere egli omesso quanto all'anno di imposta 2009, la dichiarazione dei redditi evadendo le imposte per un importo superiore ad Euro 77.500.
Con la sentenza di primo grado il B. era stato prosciolto per intervenuta prescrizione da un'altra imputazione relativa alla violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 8.
Con la sentenza ora impugnata la Corte di appello, respinte le eccezioni procedurali formulate dal ricorrente, ha rilevato che la imputazione di cui alla violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, non aveva più rilevanza penale essendo l'ammontare della imposta evasa inferiore alla nuova soglia di punibilità , ha tuttavia, confermato quanto alla restante imputazione la penale responsabilità del B. ed ha, infine, ridotto la pena irrogata a suo carico, portandola da anni 1 e mesi 10 di reclusione ad anni 1 e mesi 6 di reclusione.
Ha interposto ricorso per cassazione il prevenuto, lamentando il vizio di violazione di legge in quanto il processo a suo carico era stato introdotto non con la citazione dello stesso imputato di fronte al Gip per la celebrazione della udienza preliminare, ma con la citazione diretta a giudizio emessa dal Pm, sebbene una delle imputazione a lui contestate prevedesse una pena detentiva superiore ai 5 anni di reclusione.
A tale eccezione, già formulata in sede di gravame, la Corte territoriale aveva risposto che siffatta situazione non avrebbe comportato alcuna nullità processuale.
Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente aveva osservato che la Corte di merito non aveva risposto al motivo di gravame avente ad oggetto il criterio di quantificazione della imposta evasa, atteso che questa era stata determinata sodo con il raffronto delle fatture emesse nei rapporti che il B. aveva avuto con i suoi clienti e con i suoi fornitori, senza che fosse stata considerata la incidenza di operazioni passive compiute nei confronti di soggetti non definibili quali fornitori in senso stretto o comunque in legittima assenza di emissione di fattura da parte di costoro.
Infine il ricorrente ha censurato la quantificazione della imposta evasa, quanto all'anno 2009, in Euro 142.027,00, trattandosi di quantificazione relativa all'anno di imposta 2007.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è risultato fondato nei termini che saranno di seguito meglio precisati.
Il primo motivo dedotto dal ricorrente deve essere rigettato.
Con esso la difesa del B. ha lamentato il fatto che questo sia stato tratto a giudizio per rispondere di un reato, nella specie quello a lui contestato sub a) del capo di imputazione elevato nei suoi confronti, che prevede una sanzione edittale pari nel massimo ad anni 6 di reclusione e che, pertanto, non poteva giustificare la adozione del decreto di citazione a giudizio direttamente da parte del Pm, senza che si fosse prima passati attraverso la preventiva celebrazione della udienza preliminare.
E' opportuno ricordare che, secondo la previsione di cui all'art. 550 c.p.p., l'esercizio della azione penale da parte del Pm avviene attraverso la diretta citazione a giudizio dell'imputato di fronte al giudice competente tutte le volte in cui l'oggetto della accusa mossa al prevenuto riguarda, salve le eccezioni riportate al citato art. 550 c.p.p., comma 2, o una contravvenzione ovvero un delitto che sia punito con la pena della reclusione non superiore nel massimo a 4 anni o con la multa, sola o congiunta con la reclusione contenuta nei riportati limiti.
Ovviamente, stanti evidenti ragioni di economia processuale, ove l'accusa abbia ad oggetto taluni reati per i quali è prevista la forma di accesso alla fase processuale tramite la citazione diretta ed altri per i quale è prevista, invece, la necessaria celebrazione dell'udienza preliminare, l'eventuale esistenza di un rapporto di connessione fra le imputazioni fa sì che tutte siano devolute alla preliminare cognizione del giudice per l'udienza preliminare (cfr. art. 551 c.p.p.).
Fatta questa premessa, va, a questo punto, segnalato che il B. è stato, originariamente, rinviato a giudizio, con decreto di citazione emesso dal Pm presso il Tribunale di Messina in data 9 gennaio 2013 in relazione alla violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 8 e 4 e art. 5, comma 1, per avere in tempi diversi, per la precisione per quanto attiene al primo reato contestato nel corso dell'anno di imposta 2006, per quanto attiene agli altri due nel corso degli anni di imposta, rispettivamente, 2007 e 2009 - emesso in favore di due società commerciali fatture relative ad operazioni insistenti; indicato nella dichiarazione dei redditi elementi attivi inferiori a quelli effettivi e per avere omesso del tutto di presentare la dichiarazioni annuale dei redditi.
Ora, mentre le imputazioni contestate al B. ai capi b) e c) della rubrica, hanno ad oggetto delitti puniti, nel massimo, con la pena rispettivamente di tre anni e di quattro anni di reclusione, sicchè gli stessi ricadono indubbiamente entro il fuoco dell'art. 550 c.p.p., il restante reato contestato al B. ed in relazione al quale, peraltro, egli è stato prosciolto già in primo grado per intervenuta prescrizione, prevede, ora, la sanzione edittale massima pari a sei anni di reclusione. Esso, pertanto, a legislazione vigente, è fra i reati per i quali è necessaria, di regola, la celebrazione della udienza preliminare.
Di tanto, peraltro, già si era dato carico il Tribunale di Messina che, con ordinanza dibattimentale pronunziata in limine litis in data 15 luglio 2014, a seguito di espressa eccezione formulata dalla difesa del B. che aveva, appunto, lamentato la illegittima instaurazione del giudizio, non essendo il processo "transitato ex art. 550 dall'udienza preliminare", aveva osservato che, ancorchè accertato in data 26 settembre 2011, il reato in questione era stato commesso nel corso dell'anno di imposta 2006, quando cioè la fattispecie contestata all'imputato prevedeva, accanto alla fattispecie tipica di reato, una ipotesi lieve, punita con la pena massima della reclusione sino a 2 anni ove, come nel caso in questione secondo la non contestata tesi dei giudici del merito, l'importo complessivo delle fatture emesse relativamente ad operazioni inesistenti fosse stato inferiore ad Euro 154.937,07.
Considerato, conformemente a quanto ritenuto dai giudici del merito, che per la ipotesi contestata, la quale, per come di seguito chiarito, costituiva una figura autonoma di reato e non mera ipotesi attenuata del reato base, non era necessaria la celebrazione della udienza preliminare, stante la entità della pena edittale massima, contenuta entro il limite dei quattro anni di reclusione, la eccezione di nullità del giudizio di primo grado è infondata, essendo stato correttamente instaurato il giudizio di fronte al Tribunale di Messina, per tutti i reati contestati all'imputato, tramite la citazione di-retta emessa dal competente Pm.
Non ignora al proposito questo Collegio - pur consapevole nella natura meramente storica del dibattito, la cui attualità e rilevanza è, quanto alla fattispecie ora in esame, fornita sola dal fatto che la ipotesi di reato contestata al B. sub a) sarebbe intervenuta in epoca anteriore alla modificazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, il cui comma 3, costituente legge più favorevole e pertanto applicabile al caso in esame, è stato abrogato a decorrere dalla entrata in vigore del D.L. n. 138 del 2011, convertito con modificazioni con L. n. 148 del 2011 - la esistenza di un orientamento, non occasionalmente espresso in seno a questa stessa Sezione in fattispecie per molti versi analoghe alla presente, in base al quale la fattispecie penai-tributaria caratterizzata da una soglia di minorata gravità rispetto a quella ordinaria e, pertanto, fonte di una sanzione penale più mite rispetto a quella prevista per la ipotesi base, integri una fattispecie non di reato autonomo ma di reato circostanziato costituendo la citata soglia un'ipotesi di circostanza attenuante (in tale senso infatti si è espressa questa Corte, in particolare con la decisioni di Corte di cassazione, Sezione III penale, 11 febbraio 2016, n. 5720, che si segnala per la dovizia di argomentazioni; nel medesimo senso anche: Corte di cassazione, Sezione III penale, 24 maggio 2015, n. 20529; idem Sezione III penale, 20 giugno 2008, n. 25204).
Ritiene, tuttavia, il Collegio di dovere dissentire da detto orientamento, richiamando, invece, altra indicazione giurisprudenziale in base alla quale era stato ritenuto che le fattispecie in questione si presentasse sotto due diversi aspetti; essendo la stessa in un caso caratterizzata da una soglia di punibilità il cui scopo non era quello, più frequentemente praticato nella tecnica legislativa, di attribuire o escludere la rilevanza penale del fatto commesso, ma era quello di distinguere, sotto il profilo della loro gravità , due diverse fattispecie penali, l'una caratterizzata da un danno per il soggetto offeso dal reato, contenuto entro una determinata limite (al quale corrispondeva, coerentemente, una determinata risposta punitiva da parte dell'ordinamento), l'altra, invece, caratterizzata da un danno superiore a siffatta soglia (cui corrispondeva una risposta punitiva più aspra).
Osserva, sul punto, il Collegio, conformemente al precedente giurisprudenziale al quale ci si intende richiamare (si tratta di Corte di cassazione, Sezione III penale, 10 giugno 2008, n. 23064), che, laddove si ritenesse che la due fattispecie penali abbiano costituito due forme di manifestazione del medesimo illecito, una delle quali segnata dalla previsione di una circostanza attenuante ad effetto speciale, si sarebbe corso (e si correrebbe tuttora/in caso di ultrattività della norma) il rischio sia di obliterare completamente il rilevante dato della esistenza di una specifica correlazione fra l'ammontare della imposta evasa e l'entità della sanzione irroganda, potendo tale correlazione essere travolta per effetto del giudizio di comparazione fra le eventualmente concorrenti aggravanti e la entità della somma evasa, ove essa fosse considerata tale da integrare una mera circostanza attenuante del reato e non tale da costituire un elemento distintivo di una, diversa e meno grave, ipotesi delittuosa di emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti, sia, in caso opposto, di annacquare, ove fosse considerata prevalente nella comparazione la "pretesa" attenuante, la forza deterrente di eventuali circostanze aggravanti il cui effetto sarebbe risultato eliso dalla prevalenza della attenuante dettata dalla entità della imposta evasa (cfr. in questo stesso senso anche; Corte di cassazione, Sezione III penale 11 giugno 2004, n. 26396).
Fondato è, viceversa, il secondo motivo di impugnazione.
Con esso il ricorrente si è doluto del fatto che nel determinare gli importi delle imposte evase di cui ai due restanti capi di imputazione i giudici del merito si sono esclusivamente avvalsi dei dati contabili ricavabili attraverso la consultazione dei sistema cosiddetto (OMISSIS), riportante le risultanze dei rapporti intercorsi esclusivamente fra la impresa del B. ed i suoi fornitori emittenti di fatture, senza considerare tutti gli elementi passivi, atti ad abbattere il reddito imponibile, non documentati attraverso fatturazioni, quali i contributi previdenziali, gli ammortamenti mobiliari ed eventualmente immobiliari, gli interessi passivi.
La censura è fondata; osserva, infatti, sul punto il Collegio che la Corte territoriale r preso atto della circostanza, la cui verifica sarebbe stata il frutto di un non meglio precisato "controllo incrociato" fra dati contabili il cui contenuto e la cui fonte non è stata descritta in sede di merito i ha affermato che il ricorrente, quale titolare di ditta individuale, ha omesso di presentare la annuale dichiarazione dei redditi, in tal modo evadendo imposte per un ammontare pari ad Euro 142.027,00.
La dimostrazione della sussistenza di tali elementi, in particolare quello relativo all'ammontare della imposta evasa, il quale costituisce in ipotesi un fattore determinante ai fini della rilevanza penale del fatto contestato, atteso che la disposizione che si assume essere stata violata, cioè il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, comma 1, prevede, ai fini della punibilità della condotta omissiva un'evasione di imposta per un importo non inferiore a 50.000,00 Euro, risulta essere priva di una effettiva motivazione, non essendo assolutamente comprensibile quale sia la reale portata dimostrativa della espressione "controllo incrociato" utilizzata dal giudicante al fini di indicare la fonte probatorict della contestata evasione fiscale.
La sentenza impugnata, deve, pertanto, essere annullata con rinvio, alla Corte di appello di Reggio Calabria, essendo la Corte peloritana da cui è stata emessa la sentenza impugnata dotata di un'unica Sezione penale, affinchè sia nuovamente motivata, in termini congruamente convincenti, la sussistenza o meno del residuo reato contestato all'imputato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria.
Così deciso in Roma, il 22 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2020