RITENUTO IN FATTO
1. A.A., per mezzo dei difensori avv.ti Alessandro Dello Russo e Antonio Raffo, impugna la sentenza della Corte di appello di Bari con cui era stata ritenuta la non punibilità per la speciale tenuità del fatto che ha confermato la decisione del Tribunale di Bari che lo aveva assolto ex art. 131-bis c.p. in ordine al delitto di cui all'art. 322 c.p., comma 1.
La contestazione è relativa all'offerta, per l'esercizio delle funzioni, di cesti di generi alimentari non dovuti agli appartenenti alla polizia giudiziaria - (OMISSIS) Spinelli Francesco e. C.R., carabinieri in servizio presso il Comando Stazione di (OMISSIS), ed al maresciallo della Guardia Costiera A.V., in servizio presso la Sezione di Polizia Giudiziaria della Procura della Repubblica di Bari - impegnati in indagini nei suoi confronti; fatti commessi in (OMISSIS).
La vicenda trae origine dalla notifica, nei confronti di A.A., di un verbale di sequestro, eseguito il 13 ottobre 2012, di alcune vasche dell'impianto di smaltimento da parte del Comando Carabinieri per la Tutela dell'Ambiente -N. O.E. e di personale della Sezione di Polizia Giudiziaria - Aliquota della Capitaneria di Porto di Bari - Guardia Costiera. Nella circostanza erano presenti, tra gli altri, sia A.V., in servizio presso la citata Sezione, S.F. e Ci.Ro. in forza presso il Comando Stazione Carabinieri di (OMISSIS). In qualità di legale rappresentante dell'ATI, A. inviava il 22 ottobre successivo una lettera di ringraziamento al Comando Carabinieri di (OMISSIS) per l'opera di ausilio alla situazione di grave ed improvvisa emergenza nella gestione dei rifiuti scaturita dal sequestro probatorio. Presso la Stazione dei Carabinieri di (OMISSIS), il 24 dicembre 2012 venivano recapitati al Luogotenente S. ed al Maresciallo Ci. due cestini natalizi, mentre analogo cesto veniva recapitato al Maresciallo A. presso la personale residenza, omaggi che venivano rifiutati dai destinatari.
2. A.A. deduce i motivi di ricorso di seguito indicati.
2.2. Con il primo motivo deduce vizi di motivazione e violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all'art. 521 c.p.p. e art. 322 c.p..
La difesa di A. rileva come, a fronte della contestazione formulata in termini di istigazione alla corruzione impropria susseguente ex art. 322 c.p., comma 1, la Corte di appello abbia finito per ritenere il ricorrente responsabile di istigazione alla corruzione propria antecedente, ipotesi di reato più grave prevista dall'art. 322 c.p., comma 2. In tal senso militerebbe il riferimento esplicito contenuto nella decisione impugnata là dove ha ipotizzato che i cesti natalizi non fossero tesi a ringraziare i militari per la già svolta attività, quanto per condizionare un loro futuro operato in relazione al procedimento penale pendente a carico del ricorrente.
Così facendo la Corte avrebbe violato il principio della necessaria correlazione tra contestazione e decisione ex art. 522 c.p.p. con conseguente pregiudizio per il diritto della difesa.
2.2. Con il secondo motivo deduce vizi di motivazione e violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), relativamente all'art. 322 c.p., comma 1, e L. n. 190 del 2012, art. 1, comma 44, e D.P.R. n. 62 del 2013, art. 4 con riferimento all'offensività della condotta contestata.
La difesa osserva che, secondo giurisprudenza di questa Corte, l'offerta o la promessa di donativi di modesta entità quale manifestazioni di gratitudine e di apprezzamento per l'attività già compiuta dal pubblico ufficiale non configura il delitto di istigazione alla corruzione impropria susseguente ai sensi dell'art. 322 c.p., comma 1, essendo necessario che l'offerta sia caratterizzata da adeguata serietà oltre che idonea a turbare psicologicamente il pubblico ufficiale. E', pertanto, escluso che donativi di scarso valore come quelli effettuati nel caso di specie, inferiori alla soglia prevista in Euro 150 dal D.P.R. n. 62 del 2013, art. 4 integri il reato di istigazione alla corruzione; deporrebbe in tal senso lo stesso tenore della L. n. 190 del 2012, art. 1, comma 44, che prevede la predisposizione a cura del governo di un codice di autoregolamentazione per i dipendenti pubblici che contenga il divieto di chiedere o accettare a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità in connessione con l'espletamento delle proprie funzioni o dei compiti affidati, fatti salvi i regali d'uso, purché di modico valore e nei limiti delle normali relazioni di cortesia.
Nel caso di specie, pertanto, in cui sono stati donati in occasione del Natale dei cesti contenenti generi alimentari non eccedenti, ciascuno, il valore di cento Euro, la condotta deve essere ritenuta inoffensiva non lasciando le normative secondarie in esame margine di discrezionalità in capo all'autorità giudiziaria.
Inconferente, oltre che datato, risulterebbe il riferimento a principio di diritto di questa Corte che avrebbe ritenuto l'integrazione del reato allorché il privato, al fine di evitare la elevazione a suo carico del verbale di contravvenzione, offra una somma di cinquantamila lire, condotta non sovrapponibile alla donazione di cestini natalizi acquistati all'ingrosso, né è corretto, come enunciato dalla Corte territoriale, che in ragione della conoscenza dei due carabinieri il valore dei cestini natalizi deve essere valutato complessivamente, operazione semantica che metterebbe in evidenza una forzatura da parte dei Giudici di merito.
2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in ordine alla ritenuta integrazione del reato.
Il dono dei cesti natalizi escluderebbe che la volontà del ricorrente fosse quella di manifestare la riconoscenza per l'operato dei pubblici ufficiali che in occasione del loro intervento nel corso dell'esecuzione del sequestro avrebbero prestato la propria opera per rincuorare il ricorrente che veniva aiutato in un momento di particolare difficoltà e tensione.
2.4. Con il quarto motivo chiede dichiararsi la prescrizione del reato contestato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato quanto al terzo motivo di ricorso, circostanza che fa ritenere superati il secondo ed il quarto motivo
2. Infondato risulta il primo motivo di ricorso attraverso il quale il ricorrente censura la decisione ritenendo che la stessa sia pervenuta a condanna attraverso una modifica della qualificazione giuridica, asseritamente apprezzata ex art. 322, comma 2, invece della contestata ipotesi di istigazione alla corruzione propria susseguente ex art. 322 c.p., comma 1. La disamina della fattispecie contestata si rende necessaria onde in via preliminare circoscrivere il perimetro entro il quale valutare la condotta per come palesata nelle decisioni di merito.
Si premette che finalità dell'art. 322 c.p. è quella di sottoporre a sanzione "fatti tendenti ad insidiare il senso di rettitudine e di disinteresse che deve sempre accompagnare l'esercizio delle pubbliche funzioni" (Sez. 6, n. 1593 del 19/11/1968, dep. 1969, Varricchio, Rv. 109976) altrimenti non punibili ex art. 115 c.p., così anticipando la valenza penale di attività che, qualora portate a compimento, perverrebbero al più grave delitto di corruzione specularmente corrispondenti ai delitti disciplinati dagli artt. 318 e 319 c.p..
L'art. 322 c.p. nella formulazione precedente all'entrata in vigore della L. 12 aprile 1990, n. 86, prevedeva quattro differenti fattispecie autonome di reato "monosoggettivo": ai primi due commi, le ipotesi di istigazione alla corruzione passiva commessa dall'extraneus, e, ai successivi, quelle di istigazione alla corruzione attiva commessa dall'intraneus.
Il tenore letterale della citata norma aveva fatto escludere la possibile integrazione dell'istigazione alla corruzione impropria susseguente (ovvero per un atto di ufficio già compiuto), ritenendosi necessario che l'offerta o la promessa fossero comunque effettuate "per indurre" il pubblico ufficiale (o l'incaricato di un pubblico servizio) "a compiere" un atto conforme ai doveri dell'ufficio (o del servizio), tenuto altresì conto del rinvio, seppure quod penam, operato al solo art. 318 c.p., comma 1 (Sez. 6, n. 8398 del 25/06/1996, Balboni, 205564).
L'art. 322 c.p., secondo la previsione poi superata dalla riforma intervenuta con la L. n. 190 del 2012 (legge entrata in vigore pochi giorni prima rispetto alla condotta contestata), puniva chi si rendeva responsabile dell'offerta o della promessa di denaro o altra utilità, come retribuzione non dovuta, a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio che rivesta la qualità di pubblico impiegato, per indurlo a compiere un atto del suo ufficio o servizio, sempre che l'offerta o la promessa non fosse stata accettata. La condotta si contrapponeva alla più grave ipotesi prevista dal comma 2 della citata disposizione che ricomprendeva l'offerta o la promessa finalizzata ad indurre il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio a omettere o a ritardare un atto del suo ufficio o servizio, ovvero a compiere un atto contrario ai suoi doveri.
Le fattispecie rispettivamente previste dall'art. 318 c.p. (comma 1) e art. 319 c.p. (comma 2) fungevano da paradigma di riferimento in ordine alla tipologia di reato di cui l'art. 322 c.p., previsione penale posta a presidio anticipato dell'azione di pubblici poteri ed al rischio di azioni corruttive che potessero effettivamente integrarsi nella loro più ampia e grave evoluzione con l'accettazione della dazione o promessa illecita da parte dell'agente qualificato.
La modifica, pertanto, dell'art. 322 c.p. e, segnatamente, dei commi 1 e 2, risulta contestuale alla differente formulazione degli artt. 319 e - per quel che maggiormente rileva in questa sede - 318 c.p.; disposizione, quest'ultima, che proprio in ragione della difficoltà di individuare uno specifico atto dell'ufficio o servizio, ha costituito determinante ragione per ancorare la finalità della condotta ad un più saldo riferimento all'esercizio delle funzioni.
La nuova formulazione dell'art. 318 c.p. (e l'art. 320 c.p. che prende in considerazione la differente qualifica dell'incaricato di pubblico servizio), non a caso rubricata come "corruzione per l'esercizio della funzione", ha inciso notevolmente sullo stesso art. 322, comma 1, che richiama proprio "l'esercizio delle sue funzioni o poteri" quale finalità dell'atto del corruttore.
Sotto altro aspetto, si osserva, è venuto meno ogni riferimento cronologico rispetto all'esercizio delle funzioni o servizio che prima della modifica del 2012 era delineato dalla previsione dell'art. 318 c.p., comma 2 allorché puniva con una pena significativamente inferiore il pubblico ufficiale che riceveva "la retribuzione per un atto d'ufficio da lui già compiuto" (un anno di reclusione), estensione della condotta di corruzione impropria che influiva proprio sulla condotta dell'istigatore.
L'attuale art. 318 c.p., per mezzo del sintagma "per l'esercizio delle sue funzioni e dei suoi poteri", punisce, pertanto, non solo le condotte già ricomprese nel precedente testo, ma anche tutti i casi in cui l'indebita dazione o la sua promessa risultino teleologicamente rivolti all'esercizio della funzione o del potere da parte dell'intraneus (Sez. 6, n. 19189 del 11/01/2013, Abbruzzese, Rv. 255073), indipendentemente dal compimento di singoli atti dell'ufficio.
Come è stato osservato dalla dottrina, la preposizione "per" viene ad indicare non solo "la finalità" in vista della quale la remunerazione è effettuata o promessa, ma anche la "causa" dell'indebita dazione di denaro o altra utilità o la sua promessa, costituita dall'esercizio della funzione o del potere da parte dell'agente pubblico.
Proprio perché ormai la fattispecie è svincolata dalla necessaria previa individuazione di un determinato atto d'ufficio, la storica differenza tra corruzione impropria antecedente e susseguente non ha più ragion d'essere (v. in motivazione, Sez. 6, n. 19319 del 10/02/2017, Liocco, Rv. 269836).
Ed invero, il collegamento dell'art. 318 c.p., che ha rimodellato le ipotesi di istigazione alla corruzione "impropria", collegandole non più al singolo atto dell'ufficio, ma all'esercizio delle funzioni o dei poteri, con l'art. 322 c.p., comma 1, ha fatto ritenere egualmente punibile l'istigazione alla corruzione impropria in relazione ad una funzione o ad un potere già esercitati (Sez. 6, Liocco, cit.), tenuto conto che il testo della norma non fa emergere alcuna preclusione tale da limitare la previsione penale alla sola istigazione alla corruzione impropria relativa al futuro esercizio dei poteri o funzioni del destinatario dell'offerta o promessa; mentre il carattere residuale dell'art. 318 c.p., rispetto alla più grave fattispecie di cui all'art. 319 c.p., fa sì che siano sussumibili nella prima norma quelle condotte non ricomprese nella corruzione propria (Sez. 6, n. 23804 del 17/03/2004, Sartori, Rv. 229642).
Superate da tempo le storiche ipotesi di istigazione alla corruzione impropria antecedente e corruzione impropria susseguente, tenuto conto del riferimento alla finalità ed alla causa dell'esercizio delle funzioni e dei poteri, venuta meno la necessaria individuazione dell'atto dell'ufficio inteso in senso meramente burocratico ed allineata la normativa penale all'evoluzione dell'azione amministrativa, il Collegio rileva come infondata risulti la censurata riqualificazione della imputazione contestata, asseritamente riconducibile all'ipotesi di istigazione alla corruzione impropria antecedente. Deve, infatti, osservarsi che l'imputazione formulata nei confronti del ricorrente è in linea con l'intervenuta modifica legislativa, essendo esplicito il riferimento alla condotta dell'agente che aveva offerto i cesti con all'interno generi alimentari non dovuti "per l'esercizio delle funzioni"; condotta che, in quanto astrattamente rapportata - per quel che sopra si è detto - alle finalità ed alle cause, non consente né di affermare che fosse precedente all'emissione di un determinato atto, né, tantomeno, che fosse successiva ad un atto dell'ufficio.
3. Ricostruito, pertanto, l'ambito operativo della fattispecie la cui formulata contestazione risulta, in astratto, conforme alla decisione, fondato risulta il terzo motivo nella parte in cui il ricorrente rappresenta che la condotta dell' A. non potesse incidere sulle funzioni esercitate o da esercitarsi a cura dei pubblici ufficiali.
Ed invero, la Corte territoriale, seppure ha motivato in ordine alla ragione per cui la consegna dei doni non trovasse una giustificazione nel sentimento di gratificazione del ricorrente, sotto altro determinante profilo non ha valutato se la consegna degli stessi potesse in alcun modo compromettere, o a qualsiasi titolo incidere, sulla funzione esercitata o da esercitare da parte dei pubblici ufficiali.
Proprio i riferimenti contenuti nella decisione impugnata che fanno leva sulla astratta finalità di condizionare anche il futuro operato degli ufficiali di polizia giudiziaria (testualmente "la scarsa plausibilità della tesi difensiva che tali doni natalizi vorrebbe ricondurre alla volontà riconoscente dell' A. (...) deve allora cedere il posto alla verifica della contraria attendibilità di una loro finalizzazione all'intendimento perseguito dal giudicabile di attingere la futura esplicazione pubblicistica di cui ne sono titolari i predetti, ricorreva un'evidente interesse dello stesso ad ingraziarsi la futura compiacenza dei predetti pubblici ufficiali che di certo avevano operato nel compimento dell'atto di pg di prioritaria valenza probatoria costituito dal sequestro probatorio dell'impianto di smaltimento e che, atteso ad iniziale stadio investigativo, non solo avrebbero potuto essere ulteriormente designati al compimento di ulteriori atti urgenti o di iniziativa ma ben avrebbero potuto in una successiva fase procedimentale (..) deporre come testi") dà il senso dell'evanescenza delle locuzioni adoperate dai Giudici di merito che, al fine di assegnare rilievo al recapito di cesti contenenti generi alimentari ai tre pubblici ufficiali il giorno precedente le festività natalizie, ha dovuto effettuare un ipotetico e probabilistico riferimento a future (possibili) attività giudiziarie (assunzione del ruolo di testimoni nel processo da parte dei militari o prosecuzione delle indagini).
I Giudici di merito, che pure si sono impegnati a confutare alcune argomentazioni addotte dalla difesa del ricorrente nella parte in cui evidenziava la volontà di ringraziare gli stessi per l'opera di supporto ricevuto (ragioni logicamente espresse nella parte in cui è stato rilevato che solo uno di loro si era impegnato nell'opera di componimento di un dissidio sorto il giorno della esecuzione del sequestro con l'altro socio che il ricorrente riteneva responsabile per le condotte alla base della ablazione) hanno omesso un concreto riferimento alla ragione a mente della quale la ritenuta indebita dazione risultasse teleologicamente rivolta all'esercizio della funzione o del potere da parte dell'intraneus (Sez. 6, n. 19189 del 11/01/2013, Abbruzzese, cit.).
Ne', a tal fine, l'entità della regalia fatta pervenire in occasioni di ricorrenze festive risulta essere dato ex se esplicativo di una volontà, come pur affermato, di aggraziarsi i pubblici ufficiali, evenienza che esplicita in ordine a quale funzione si intendesse incidere anche in considerazione della distanza cronologica dall'operato sequestro e senza che nel frangente fossero stati apprezzati fatti idonei a fondare detta illazione su concrete emergenze che non fossero meramente ipotetiche.
Deve farsi riferimento a giurisprudenza di questa Corte che, seppure abbia riguardato il delitto di cui all'art. 318 c.p., risulta pertinente rispetto al caso sottoposto a scrutinio nella parte in cui ha messo in rilievo come, benché la proporzionalità tra le prestazioni non sia un elemento costitutivo del reato di corruzione impropria, l'irrisorietà dell'utilità conseguita rispetto alla rilevanza dell'atto amministrativo compiuto ovvero da compiersi, rileva sul piano probatorio dell'esistenza del nesso sinallagmatico con l'esercizio della funzione, il cui mercimonio integra il disvalore del fatto punito dall'art. 318 c.p. (Sez. 6, n. 7007 del 08/01/2021, Micheli, Rv. 281158). Decisione che rende palese come la assoluta sperequazione tra il prezzo di una corruzione e la ipotizzata attività pubblica posta al servizio del privato debba comunque essere valutata in termini di serietà, onde consentire di ritenere la condotta effettuata teleologicamente rivolta all'esercizio della funzione o del potere da parte dell'intraneus ed assumere rilevanza in vista di una remunerazione effettuata a "causa" dell'esercizio della funzione o del potere da parte dell'agente pubblico.
Pertinente risulta, inoltre, la richiamata giurisprudenza ad opera del ricorrente (Sez. 6, n. 19319 del 10/02/2017, Liocco, Rv. 269836, massimata sul punto) che, proprio in ragione della non significativa utilità, ha in concreto escluso l'offensività della condotta.
Condotta in concreto accertata che, a ben vedere, risulta addirittura antecedente rispetto ad un'azione ad opera dell'estraneus tendente a mettere in pericolo, attraverso la dazione di beni o utilità, la condotta dell'intraneus la cui consistenza risulta, per quanto detto, evanescente e non caratterizzata da una concretezza che faccia ritenere esistente una messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma oggetto di contestazione per come sopra storicamente ricostruita.
Proprio perché l'istigazione alla corruzione prevista dall'art. 322 c.p., comma 1, è condotta che precede quella che viene integrata dall'art. 318 c.p. che a sua volta è norma a tutela in via anticipata secondo un paradigma che vede detta fattispecie, nell'ambito di una progressione criminosa rispetto a quella di corruzione propria, precedere l'aggressione al bene giuridico protetto mettendolo in pericolo (in ordine alla differente aggressione del bene giuridico che connotano le fattispecie di cui agli artt. 318 e 319 c.p. v., Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555 - 04), impone all'interprete di radicare la finalità della condotta di istigazione alla corruzione impropria a concrete capacità di incidere sul regolare svolgimento della funzione pubblica che, pertanto, non può essere genericamente individuata con ipotetiche e meramente possibili azioni che non trovino giustificazione dalla significativa consistenza dell'utilità data al pubblico agente ex se inidonea a configurare un concreto rapporto sinallagmatico rispetto alla condotta del pubblico agente.
4. Da quanto sopra consegue l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, il 17 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2021