RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'appello de L'Aquila ha confermato la sentenza con cui, il 18.12.2020, il Tribunale del capoluogo abruzzese aveva riconosciuto Co.Ma. responsabile del delitto di ricettazione, a lei ascritto, e l'aveva di conseguenza condannata alla pena di anni 2 di reclusione ed Euro 3.000 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali ordinando inoltre la confisca del denaro in sequestro;
2. ricorre per cassazione Co.Ma. a mezzo del difensore di fiducia che deduce:
2.1 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla specifica doglianza contenuta nel primo motivo di appello e relativa al delitto "presupposto", indicato, nella imputazione in quello di cui all'art. 5 del D. Lg.vo 74 del 2000; segnala che, con il primo motivo di appello, la difesa aveva lamentato che non era stato accertato il delitto presupposto poiché gli operanti si erano limitati al sequestro della somma della cui disponibilità la Co.Ma. aveva dato conto fornendo ogni possibile giustificazione; sottolinea come la Corte d'appello abbia disatteso la doglianza difensiva evocando un orientamento della giurisprudenza superato da altro più recente e segnala che all'interrogatorio della Co.Ma. non era seguita alcuna attività di indagine da parte degli investigatori che, tuttavia, avevano sin dall'inizio ipotizzato degli "illeciti fiscali" ma avendo preferito contestare una ricettazione perché di più agevole accertamento;
2.2 violazione di legge con riguardo all'art. 240-bis cod. pen. ed assenza di motivazione sulla specifica doglianza difensiva articolata con il terzo motivo di appello: rileva che la somma oggetto della confisca era stata sottoposta a sequestro preventivo con l'ipotesi di ricettazione ma senza alcuna individuazione della sua provenienza delittuosa; segnala che le due sentenze di merito, nel disporre la misura di sicurezza, non hanno in alcun modo motivato sul requisito, richiesto dalla norma, della "sproporzione patrimoniale" da calcolarsi, peraltro, al netto dell'imposizione fiscali e delle spese sostenute e necessarie per il sostentamento della famiglia;
3. la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell'art. 23, comma 8, del DL 137 del 2020 concludendo per il rigetto del ricorso: rileva, infatti, che l'imputata è stata trovata in possesso della somma di Euro 200.050,00 occultata in una busta di plastica e della quale non ha saputo fornire alcuna giustificazione plausibile essendosi perciò la sentenza impugnata conformata al principio per cui integra il delitto di ricettazione la condotta di chi è sorpreso nell'ingiustificato possesso di una rilevante somma di danaro qualora le modalità di occultamento segnalino la provenienza illecita; rileva altresì la infondatezza del secondo motivo alla luce delle medesime considerazioni svolte in precedenza rilevando altresì come il provvedimento patrimoniale sia sorretto da idonea motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
1. Co.Ma. era stata tratta a giudizio e riconosciuta responsabile, nei due gradi di merito, del delitto di ricettazione per avere ricevuto o occultato "... denaro di provenienza delittuosa - art. 5 D. Lg.vo 74/2000 - per la somma di Euro 200.050,00 in contanti, suddivisa in 30 mazzette da cento banconote da 50,00 Euro e 10 mazzette da cinquanta banconote da 100 Euro ed una banconota da 50 Euro".
2. La Corte d'appello de L'Aquila, a fronte del motivo di censura articolato in punto di omessa individuazione della provenienza delittuosa della somma rinvenuta nella disponibilità della ricorrente, ha in primo luogo richiamato l'orientamento secondo cui siffatto accertamento non è necessario né con riguardo ai suoi autori né con riguardo alla tipologia di reato; ha quindi elencato gli elementi da reputarsi significativi della "sicura" provenienza delittuosa del denaro ovvero: l'elevato ammontare della somma, l'essere essa "confezionata" in mazzette occultate in una busta della spesa; il contestuale possesso di cinque cellulari di cui uno intestato a tale Ra.Sa., persona verosimilmente inesistente; la disponibilità di sei blocchetti di assegni e di sei "token" relativi a Co.Ma. correnti intestati a società non riconducibili alla Co.Ma.; la segnalazione di operazioni sospette intercorse tra la Co.Ma. e società di cui costei era detentrice di quote o nelle quali rivestiva cariche sociali; i rapporti lavorativi intrattenuti dall'imputata con tale Co.Ca., all'epoca dei fatti detenuto per truffa e gravato da numerosi precedenti per reati in materia edilizia, evasione, turbata libertà degli incanti, falsità ideologica di privato in atto pubblico.
I giudici di secondo grado hanno inoltre valorizzato la mancanza di giustificazioni plausibili addotte a sostegno della lecita disponibilità di un così ingente importo di denaro in contanti e l'incompatibilità della versione fornita dalla Co.Ma. (che aveva allegato la provenienza della somma da accantonamenti eseguiti nel corso degli anni e prelievi dai suoi conti correnti personali) rispetto ai redditi da costei percepiti nel periodo intercorrente tra il 2012 ed il 2018 pari a complessivi Euro 86.845,04 nell'arco di tempo.
Hanno perciò concluso nel senso della "... provenienza delittuosa del denaro, verosimilmente da reati tributari, alla luce delle prove logiche anzidette e degli indicatori menzionati dalla Cassazione nelle sentenze richiamate".
3. Trattasi di una motivazione non corretta in diritto e, comunque, del tutto inadeguata a dar conto del presupposto indefettibile del delitto di ricettazione, ovvero l'origine illecita (da delitto ovvero, oggi, anche da contravvenzione) della "res".
La giurisprudenza di legittimità, puntualmente richiamata nella sentenza impugnata, ha effettivamente più volte affermato che, ai fini della configurabilità dei delitto di ricettazione o di riciclaggio, non si richiedono l'esatta individuazione e l'accertamento giudiziale del delitto presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile (cfr., tra le tante, in tal senso, Sez. 2, n. 6584 del 5 15/12/2021, Rv. 282629).
Si è tuttavia anche precisato che la possibilità di risalire al delitto presupposto in via logica, non esonera però il giudice dalla necessità di individuare la tipologia dell'illecito che sia all'origine del bene oggetto dell'attività di ricettazione, in quanto appunto di provenienza delittuosa, non risultando all'uopo sufficiente il richiamo ad indici sintomatici privi di specificità in ordine alla derivazione della disponibilità dei beni o delle somme di denaro, suscettibili esclusivamente di provarne un ingiustificato possesso (cfr., in questi termini, Sez., 2, n. 39006 del 13/7/2018, Onaghise, non massimata; Sez. 2, n. 29074 del 22/5/2018, Ndoj, non massimata; Sez. 2, n. 26301 del 2415/2016, Asia, non massimata).
È stato perciò chiarito che, ai fini della legittimità del sequestro di cose che si assumono pertinenti al reato di autoriciclaggio, pur non essendo necessari la specifica individuazione e l'accertamento giudiziale del delitto presupposto, è tuttavia indispensabile che esso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti e scrutinati, almeno astrattamente configurabile e precisamente indicato: situazione non ravvisabile quando il giudice si limiti puramente semplicemente a supporne l'esistenza, sulla sola base del carattere asseritamente sospetto delle operazioni relative ai beni e valori che si intendono sottoporre a sequestro (cfr., Sez. 2 - , n. 26902 del 31/05/2022, Visaggio, Rv. 283563 - 01; conf., Sez. 2, n. 813 del 19/11/2003, dep. 14.1.2004, Carretta, Rv. 228382).
Se è vero che, in maniera più o meno tralaticia, e prescindendo dagli approdi più recenti di cui si è dato conto, si è soliti sostenere che l'esistenza del delitto presupposto può essere affermata anche in via logica, va detto che siffatta affermazione è stata ribadita prevalentemente in sede cautelare (e, in special modo, in sede di sequestro "probatorio" che, ordinariamente, interviene all'origine della indagine quando l'unico elemento oggettivamente accertato è proprio quello della disponibilità "ingiustificata" di denaro o di beni solo talvolta detenuti con modalità tali da consentire di inferire, solo da tale circostanza di fatto, la loro provenienza delittuosa).
In queste situazioni è proprio il "momento procedimentale" a giustificare la legittimità del sequestro in quanto precipuamente finalizzato a consentire l'approfondimento degli accertamenti utili a risalire alla origine del denaro o dei beni e, pertanto, alla individuazione (che raramente può essere "autoevidente") del delitto da cui provengano.
Diverso è il caso in esame, ove le indagini erano state completate e l'odierna ricorrente era stata tratta a giudizio con una imputazione che, nel dar conto della provenienza delittuosa del denaro, ha richiamato il delitto di cui all'art. 5 del D. Lg.vo 74 del 2000, così avendo individuato il delitto "presupposto" che, come pure si era puntualmente chiarito in passato, rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice tanto che l'insufficienza della prova sul punto dovrebbe comportare la assoluzione dell'imputato per insussistenza del fatto (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 7771 del 01/02/1990, Scarsella, Rv. 184506 -01, che aveva ribadito tale principio, già affermato in precedenza, in materia di ricettazione; conf., più recentemente, non massimata, Sez. 3, n. 42981 del 14.7.2015, Dieng Papa).
Sulla scia di importanti spinte sovranazionali (cfr., la Convenzione di Strasburgo, la Convenzione di Palermo e la Convenzione del Consiglio d'Europa) il legislatore nazionale ha introdotto strumenti normativi specifici ed è intervenuto sul codice penale inserendo il delitto di autoriciclaggio e, inoltre, operando sulle fattispecie di reato già contemplate come, per l'appunto, quella di ricettazione che, nel 2021, con la legge 195, è stata estesa anche di reati di natura contravvenzionale, con la previsione di una pena sensibilmente inferiore (pari alla metà) rispetto a quella "ordinaria" stabilita al comma primo; già con la legge n. 93 del 2013 era stata inoltre introdotta una aggravante per il caso in cui il denaro o i beni ricettati trovassero origine nei delitti di rapina aggravata, estorsione aggravata o furto aggravato ai sensi dell'art. 625, primo comma, n. 7-bis cod. pen.; è stata infine mantenuta la previsione di una attenuante speciale e ad effetto speciale per il caso in cui il fatto sia "di particolare tenuità", con pena detentiva sino a sei anni e pecuniaria sino a 1.000 Euro nell'ipotesi di provenienza delittuosa e con pena detentiva sino a tre anni e pecuniaria sino a 800 Euro nell'ipotesi di provenienza da reato contravvenzionale.
Con la legge 191 del 1978 venne inserito, nel codice penale, il delitto di riciclaggio, all'epoca ritenuto funzionale alla necessità di fronteggiare, colpendoli su più aspetti, alcuni specifici delitti individuati nella rapina aggravata, nell'estorsione aggravata, nel sequestro di persona a scopo di estorsione; la ratio della incriminazione delle condotte post delictum era tuttavia legata all'intento di dissuadere dalla commissione di quegli specifici delitti colpendo l'attività diretta a nasconderne i proventi.
Solo nel corso degli anni, ed anche grazie ad importanti sollecitazioni provenienti ed operanti in ambito sovranazionale (cfr., in particolare, la Convenzione di Vienna del 1988), si prese coscienza della autonoma pericolosità delle condotte di "riciclaggio" rispetto all'inizialmente ravvisata opportunità di colpire il delitto "presupposto".
Le riforme del 1990 (I. 55 del 19.3.1990) e del 1993 (I. 328 del 1993) portarono prima ad un sostanziale ampliamento dei delitti "presupposto", con l'inserimento, tra questi, di quelli in materia di stupefacenti e, poi, al definitivo superamento della loro indicazione tassativa sostituita dal generico riferimento a qualunque "delitto non colposo".
Con la già citata legge del 2021, il legislatore è nuovamente intervenuto sulle fattispecie di riciclaggio che, nel 2021, con la legge 195, è stata estesa anche ai delitti "presupposto" di natura colposa oltre che alle contravvenzioni, con la previsione di una pena anche in tal caso sensibilmente inferiore (pari alla metà) rispetto a quella "ordinaria" stabilita al comma primo; è stata mantenuta la previsione di una attenuante qualora il "delitto presupposto" sia punito con la pena della reclusione inferiore, nel massimo, a cinque anni.
Ed è proprio questo quadro ormai variegato che porta a concludere nel senso che non può ritenersi indifferente - certamente nella fase processuale se non in quella cautelare - la individuazione della provenienza del denaro o dei beni di cui si intenda occultare l'origine e che ha una diretta refluenza se non altro sulla pena finale che risulta tarata in maniera talvolta sensibilmente differenziata proprio in relazione alla tipologia del reato "presupposto".
Ulteriore elemento di cui occorre tener conto è, poi, quello concernente la previsione, per taluni reati suscettibili di fungere ed operare come "presupposto" del delitto di ricettazione come del delitto riciclaggio, di "soglie di punibilità" che, ad esempio, riguardano proprio i reati fiscali come quello di cui all'art. 5 del D. Lg.vo 74 del 2000 specificamente evocato nel capo di imputazione del presente processo; è allora appena il caso di ribadire che la soglia di punibilità rientra tra gli elementi costitutivi della fattispecie essendosi a tal proposito chiarito che essa si traduce nella "... fissazione di una quota di rilevanza quantitativa e/o qualitativa del fatto tipico, con la conseguenza che, alla mancata integrazione della soglia, corrisponde la convinzione del legislatore circa l'assenza nella condotta incriminata di una sensibilità penalistica del fatto, sicché il comportamento sotto soglia è ritenuto non lesivo del bene giuridico tutelato, consistente, nel caso in esame, nella salvaguardia degli interessi patrimoniali dello Stato connessi alla percezione dei tributi, anche in ossequio alla necessità di esaltare il principio di offensività" (cfr., Sez. 3, n. 27007 del 22/07/2020, Bianchi, Rv. 279917, conf., Sez. 2 - n. 11986 del 18/02/2021, Festa, Rv. 280995 - 01); è pertanto assodato che il mancato raggiungimento della soglia di punibilità comporta l'assoluzione dell'imputato con la formula "il fatto non sussiste" (cfr., in tal senso, Sez. U, n. 37954 del 25/05/2011, Orlando, Rv. 250975).
In altri termini, la soglia di punibilità prevista in varie fattispecie incriminatrici di cui al D. Lgv. 10 marzo 2000, n. 74 comporta che "... una condotta di evasione, riconducibile astrattamente ad una delle fattispecie previste dal citato decreto, che ab origine sia penalmente irrilevante perché sotto soglia, non può essere parificata alle ben diverse situazioni richiamate nell'ordinanza, quali la sussistenza di una causa di non punibilità, ad esempio in forza di un cosiddetto condono tributario, ovvero la sopravvenuta estinzione del reato" poiché "in questi casi, ai fini della sussistenza dei reati di riciclaggio o autoriciclaggio, l'irrilevanza della causa di non punibilità per il reato presupposto o della sua successiva estinzione discende dal disposto, rispettivamente, degli artt. 648, ultimo comma, cod. pen., richiamato dai successivi articoli, e dell'art. 170, primo comma, cod. pen." mentre l'insussistenza del fatto penalmente rilevante per mancato raggiungimento della soglia di punibilità non consente neppure di parlare di reato presupposto (cfr. Sez. 2, n. 43387 del 08/10/2019, Novizio, Rv. 277997 nonché Sez. 2, n. 56379 del 12/10/2018, Zampieri, Rv. 276300).
Dal canto loro, le SS.UU. di questa Corte (cfr., Sez. U, n. 27 del 25/10/2000, Rv. 217031) hanno precisato che "... conformemente alle direttive dell'art. 9, legge delega n. 205 del 1999, la nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 è informata al superamento della strategia privilegiata dalla previgente normativa, fondata sul modello delle violazioni prodromiche ad una falsa dichiarazione e all'evasione d'imposta con intenti anticipatori di tutela, e, nelle linee generali..., segna una netta inversione di rotta, imperniandosi viceversa l'intervento repressivo su un più ristretto catalogo di fattispecie delittuose, connotate da rilevante offensività degli interessi connessi al prelievo fiscale e da dolo specifico di evasione d'imposta" sicché "... la scelta del modello normativo ha portato a concentrare l'attenzione sulla dichiarazione annuale prevista ai fini delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, quale momento essenziale di disvalore del fatto ... nel quale si realizza dal lato del contribuente il presupposto obiettivo e definitivo dell'evasione d'imposta ...".
In definitiva, è ormai pacifico e consolidato il principio per cui il momento consumativo dei reati fiscali "dichiarativi" è quello della mancata, infedele o fraudolenta dichiarazione intervenuta al momento della sua presentazione per cui il delitto di riciclaggio non è configurabile nelle attività di sostituzione di somme sottratte al pagamento delle imposte mediante delitti in materia di dichiarazione se il termine di presentazione della dichiarazione non è ancora decorso e la stessa non è stata ancora presentata; condizione per la configurazione del reato di riciclaggio di proventi di un reato fiscale dichiarativo è, dunque, la previa consumazione di quest'ultimo, che si verifica all'esito della presentazione della relativa dichiarazione annuale cfr, in tal senso, Sez. 2, n. 30889 del 09/09/2020, Renella, Rv. 279913-01; conf., tra le più recenti, non massimate, Sez. 2, n. 36556 del 24.5.2022, Desiata; Sez. 2, n. 4583 del 10.12.2021, Abbondanza; Sez. 5, n. 138 del 20.9.2021; Sez. 2, n. 21804 del 14.1.2021, Sforza).
Queste considerazioni inducono pertanto ad interrogarsi sulla possibilità di affermare la sostanziale "indifferenza" del dato concernente la identificazione del delitto presupposto e delle sue componenti essenziali: se da un lato si può convenire nel senso della rilevanza della "prova logica" o della non necessità di un loro autonomo accertamento giudiziale, si deve tuttavia osservare che la stessa "prova logica" deve avere ad oggetto un fatto penalmente rilevante e sufficientemente identificato nella sua tipologia; d'altra parte, una cosa è la prova logica (che abbia ad oggetto un delitto più o meno individuato) mentre altra e ben diversa cosa è la prova di una provenienza genericamente illecita e che, di fatto, si risolve nella sua "ingiustificatezza".
Tornando, poi, al caso di specie, non può non evidenziarsi che sia la contestazione che, anche, la motivazione sopra riportata, nel far riferimento ad una "presumibile" derivazione del denaro da evasione fiscale, non hanno nemmeno potuto individuare l'autore del reato fiscale "presupposto" rispetto a quello di ricettazione ascritto alla odierna ricorrente e che, alla luce della "clausola di riserva" contenuta nell'art. 648 cod. pen., non poteva evidentemente identificarsi nella stessa Co.Ma.
Le considerazioni suesposte impongono, perciò, l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, alla Corte d'appello di Perugia.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Perugia.
Così deciso in Roma, il 19 aprile 2024.
Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2024.