Tribunale Nola, 21/04/2022, n.772
L'amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o mancata tenuta delle scritture contabili, anche se riveste solo un ruolo formale (testa di legno), purché consapevole della situazione patrimoniale e contabile della società e delle possibili conseguenze per i creditori.
Dott. Lucio Aschettino Presidente est.
Dott.ssa Simona Capasso Giudice
Dott. Arnaldo Merola Giudice
Svolgimento del processo
Con decreto emesso dal Gup del Tribunale di Nola il 2.11.2021, Ol. An. veniva tratto a giudizio di questo Tribunale in composizione collegiale per rispondere del reato in epigrafe trascritto.
Alla prima udienza dibattimentale del 25.1.2022, in sede di verifica della regolare costituzione delle parti, veniva dichiarata l'assenza dell'imputato, regolarmente citato e non comparso; poi, il processo veniva rinviato all'udienza del 5.4.2022. In quella sede, il Presidente, preso atto della presenza dell'imputato, ne revocava la dichiarazione di assenza, sicché, in assenza di questioni preliminari, procedeva all'apertura del dibattimento e all'ammissione delle prove testimoniali e documentali richieste dalle parti. Veniva escusso il curatore fallimentare, dott.ssa In. Fi., e al termine dell'esame si acquisiva la relazione ex art. 33 l.f. da lei redatta con allegati, oltre alla sentenza dichiarativa del fallimento. A quel punto, l'imputato rendeva spontanee dichiarazioni, all'esito delle quali, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale, le parti concludevano come in epigrafe trascritto e il Tribunale definiva il giudizio mediante lettura del dispositivo in udienza, riservando in giorni trenta il termine per il deposito della motivazione.
Motivi della decisione
Sulla scorta dell'istruttoria dibattimentale espletata c degli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento, questo Collegio ha ritenuto pienamente provata l'ipotesi accusatoria e, dunque, dimostrata la penale responsabilità dell'odierno imputato per il delitto oggetto di contestazione.
La dott.ssa In. Fi., la cui deposizione è suffragata dalla relazione ex art. 33 l.f. con allegati da lei redatta e acquisita agli atti, riferiva di esser stata nominata curatore nell'ambito della procedura fallimentare della società "T.R. Di. s.r.l." costituita il (omissis) e iscritta nel Registro delle imprese il (omissis).
Dagli atti a disposizione del collegio emerge che predetta società, dichiarata fallita con sentenza emessa dal Tribunale di Nola il 17.12.2019 (depositata il 18.12.2019, cfr. sentenza in atti), era stata amministrata a far data dall'1.7.2016 dall'odierno imputato, che risultava essere altresì l'unico socio della stessa.
L'oggetto sociale risultava essere estremamente ampio, trattandosi di una società dedita all'attività di commercio all'ingrosso di vari prodotti di consumo non alimentate ("detergenti, saponi, detersivi, disinfettanti, articoli, reticoli e prodotti per l'igiene della casa e della persona e articoli minuti di comune uso domestico, profumeria e cosmesi, giochi e giocattoli ricreativi e didattici, chincaglieria e bigiotteria, cartoleria e cancelleria, modellismo, articoli in plastica e gomma, articoli monouso in plastica ed in carta, articoli da regalo, articoli per la casa, detersivi e affini, materiale igienico-sanitario e rubinetteria, fiori, piante e relativi accessori, articoli di casermaggio e materiale antinfortunistico ferramenta, vernici, vetro piano, materiale elettrico e materiale termoidraulico, materiali per l'edilizia in genere", cfr. visura camerale, in atti); sicché, come riferito dal curatore, atteso tale oggetto sociale, era apparso singolare che il ricorso di fallimento fosse stato presentato - in data 7.10.2019 dalla società WI. TR. S.R.L UNIPERSONALE - in virtù di una fornitura di cellulari IPhone (di 140 pezzi, consegnata in data 12.il.2018 e 13.11.2018 presso la sede legale della società, cfr. fatture accompagnatorie, in atti). Tale circostanza aveva indotto il curatore a contattare il legale rappresentante della società fornitrice al fine di risalire al rapporto commerciale intercorrente tra le due società, ma non aveva ricevuto riscontri.
La società "T.R. Di. s.r.l." aveva avuto sede legale in (omissis) alla via (omissis) n. (omissis), indirizzo coincidente con quello di residenza dell'amministratore della società.
Il curatore riferiva di aver effettuato accurate verifiche al fine di rinvenire l'Ol., ma di non essere riuscita ad avere alcuna interlocuzione con lui. In particolare, affermava di aver inviato una raccomandata al predetto indirizzo e, poi, di essersi recata in quella sede in data 7.1.2020, ove, atteso che tra le targhette apposte al citofono afferente al predetto indirizzo non figurava né il nominativo della società fallita né quello del suo amministratore, al fine di acquisire informazioni, aveva citofonato ad uno dei condomini dello stabile, che aveva dichiarato di conoscere l'Ol., ma di non avere notizie in ordine al suo nuovo indirizzo, chiarendo altresì che quest'ultimo aveva avuto in locazione l'immobile - situato in quel condominio - di proprietà della cognata, Ma. Ma. Im., fino a luglio 2019, data in cui era stato sfrattato non avendo pagato per tre anni i canoni mensili (cfr. verbale di accesso, in atti). In seguito, il curatore aveva proceduto ad effettuare ulteriori indagini, all'esito delle quali aveva riscontrato dalla visura storica della fallita una sede secondaria in (omissis) alla via (omissis) n. (omissis), la quale, però, era stata ritenuta non più attiva atteso che la cessazione della partita Iva risultava essere avvenuta il 31.10.2019.
Di conseguenza, non essendo riuscita in alcun modo a reperire l'odierno imputato e, quindi, non avendo avuto a disposizione scritture contabili né documentazione riconducibile alla società, la dott.ssa Fi. non era stata messa nella condizione di ricostruire in alcun modo il patrimonio sociale né di risalire alle ragioni del dissesto della fallita (cfr. relazione ex art. 33, in atti). Invero, unica traccia documentale era costituita dall'attivo accertato, nell'unico bilancio depositato, in atti del 31.12.2019, dal quale emergevano crediti pari a 458.695,00 Euro, immobilizzazioni materiali per 138.514,00 Euro, disponibilità liquide per 92.037,00 Euro, dei quali al momento dell'accertamento, ovverosia dopo solo due anni dalla dichiarazione di fallimento, non vi era alcuna traccia, atteso altresì che la fallita era stata svuotata totalmente dei beni che risultavano iscritti a bilancio. Difatti, il curatore, in sede di escussione dibattimentale, riferiva che la procedura di fallimento si era conclusa per assenza di attivo.
Quanto al passivo accertato, era stata avanzata un'unica domanda di insinuazione al passivo del creditore ricorrente, ossia dalla società WI. TR. S.R.L UNIPERSONALE, per Euro 137.250,00 e dall'unico bilancio depositato erano risultati debiti per 415,627, 00 Euro e costi per salari e stipendi dei dipendenti pari a 180.07,00 Euro.
In definitiva, non avendo ricevuto alcuna scrittura contabile di quelle obbligatorie, che non erano nemmeno state depositate dal fallito dopo la sentenza di fallimento ai sensi del disposto dell'art. 16 co. 1 n. 3 della l.f. (il libro giornale, il libro degli inventari, fatture vendita, corrispettivi e acquisti, libro dei cespiti ammortizzabili, scritture ausiliari) il curatore nulla era in grado di riferire sulla consistenza del patrimonio sociale e sulle cause del dissesto.
A fronte di una piattaforma probatoria così definita l'imputato rendeva spontanee dichiarazioni ammettendo di aver assunto la carica di amministratore della fallita società sebbene solo come prestanome, al fine di ottenere un compenso economico, aggiungendo di non essersi mai occupato di nulla relativamente alla effettiva gestione della società stessa. Precisava ancora di non essersi mai trasferito dal luogo indicato come quello di residenza, sicché non riusciva a spiegarsi come mai il curatore non fosse riuscito a rinvenirlo presso lo stesso.
Tanto premesso va solo ricordato quanto alla utilizzabilità degli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento, aderendo alla giurisprudenza univoca della Corte di Cassazione, che la relazione del curatore costituisce senza alcun dubbio documento acquisibili al fascicolo del dibattimento ed utilizzabile per la decisione in senso ampio "non solo quando siano ricognitivi di una organizzatone aziendale e di una realtà contabile, atteso che gli accertamenti documentali e le dichiarazioni ricevute dal curatore costituiscono prore rilevanti nel processo penale, al fine di ricostruire le vicende amministrative della società" (Cass. Pen. sez. 5, n. 39001/04; negli stessi sensi, Cass. Pen. sez. 5, n. 8857/04, Cass. Pen. sez. 5, n. 6887/99, Cass. Pen. sez. 5, n. 7961/98, Cass. Pen. sez. 5 n. 6804/97, Cass. Pen. sez. 5 n. 10654/92). Peraltro quanto emerge dalla suddetta relazione è confermato dal curatore nel corso della sua deposizione e su tale deposizione questo Collegio intende esprimere un giudizio di sicura attendibilità in considerazione dell'assoluta carenza in capo alla dott.ssa Fi. di un proprio interesse personale nel presente procedimento, della obiettiva plausibilità delle circostanze di fatto da lei riferite in quanto apprese nell'espletamento dell'attività del suo incarico e della mancanza di elementi di segno contrario.
Passando, quindi, alla verifica dell'ipotesi accusatoria, l'imputato è chiamato a rispondere per aver distrutto o comunque occultato in tutto o in parte, i libri e le scritture contabili della società fallita in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
Dall'istruttoria è emerso in modo pacifico che l'unico documento riconducibile alla società rinvenuto dal curatore in sede di fallimento è un bilancio del 31.12.2017, del tutto inidoneo a consentire la ricostruzione del patrimonio e del volume di affari della società e dal quale emerge un evidente distonia tra le risultanze contabili risalenti a quella data rispetto alla situazione patrimoniale sussistente al momento dell'accertamento da parte del curatore; infatti, come riferito dalla dott.ssa Fi., "la società appare totalmente svuotata dei suoi beni iscritti in bilancio e degli oltre 400 mila Euro di crediti vantati, non vi è alcuna traccia" (relazione ex art. 33, in atti).
E indubbio che la suddetta sottrazione sia stata posta in essere all'evidente fine di arrecare pregiudizio ai creditori, tenuto conto del contesto in cui il fatto è avvenuto, sintomo di una condotta artatamente finalizzata a pregiudicare, come di fatto è poi avvenuto, le ragioni dei creditori, impedendo ai predetti la ricostruzione del patrimonio e del volume di affari della società fallita non potendosi altrimenti interpretare il tentativo posto in essere dall'imputato di sottrarsi a qualsiasi contatto con il curatore modificando il proprio domicilio fiscale senza fornire indicazioni di sorta per assicurare la sua reperibilità. Quanto ai libri contabili, non vi è prova che gli stessi fossero o meno esistenti, ma ciò non di meno comporta la dimostrazione della penale responsabilità dell'Ol., che era tenuto alla regolare tenuta delle scritture proprio al fine di consentire la ricostruzione del patrimonio sociale.
La previsione incriminatrice di cui all'art. 216 l.f., infatti, individua l'oggetto materiale del reato nei libri e nelle altre scritture contabili che hanno la funzione di rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, ricollegandosi direttamente all'art. 2214 c.c., e la condotta nella "sottrazione, distruzione e/o falsificazione ovvero tenuta irregolare".
Al riguardo, giova precisare che dal punto di vista oggettivo il contestato delitto è integrato sia dalla sottrazione di scritture contabili, precedentemente sussistenti, sia dall'omessa tenuta delle stesse, penalmente rilevante ex art. 216 n.2 l.f. quando sorretta dal necessario dolo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o, come nel caso di specie, di recare pregiudizio ai creditori (cfr. sul punto Cass. Pen. Sez. V sentenza n. 11115 del 22/01/2015 secondo la quale "l'omessa tenuta della contabilità interna integra gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta, e non quello di bancarotta semplice, qualora si accerti che scopo dell'omissione sia quello dì recare pregiudizio ai creditori").
La versione difensiva sostenuta dall'imputato secondo la quale questi era solo un prestanome e non aveva mai realmente gestito la società, avendo assunto l'incarico solo per ragioni economiche, non è idonea a scalfire l'impianto accusatorio, da! momento che l'Ol., rivestendo formalmente il ruolo di amministratore della società, era tenuto ad attivarsi per la corretta conservazione delle scritture e per il deposito delle stesse. Ex adverso, egli, lungi dal collaborare con la curatela prima e con l'ufficio di Procura poi, non si è mai reso disponibile al confronto né si è attivato per recuperare la documentazione, disattendendo totalmente ai predetti obblighi prescritti ex lege.
Difatti, come noto, in tema di reati fallimentari, l'amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili anche se sia investito solo formalmente dell'amministrazione della società fallita (cosiddetta testa di legno), in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell'amministratore di diritto di tenere e conservate le predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari (Sez. 5, Sentenza n. 43977 del 14/07/2017 Ud. (dep. 22/09/2017) Rv. 271754 - 01).
Non possono nutrirsi dubbi in ordine alla sussistenza di tale consapevolezza, atteso che al fine di integrare il dolo, in forma diretta o eventuale, dell'amministratore formale è sufficiente la generica consapevolezza, pur non riferita alle singole operazioni, delle attività illecite compiute dalla società per il tramite dell'amministratore di fatto (Sez. 5, Sentenza n. 32413 del 24/09/2020 Ud. (dep. 18/11/2020) Rv. 279831 - 01).
Trattandosi, infatti, di bancarotta fraudolenta documentale ed 'generica', non occorre che questi sì sia rappresentato ed abbia voluto gli specifici interventi da altri realizzati nella contabilità volti ad impedire o a rendere più difficoltosa la ricostruzione degli affari della fallita, ma è sufficiente che l'abdicazione agli obblighi da cui è gravato sia accompagnata dalla rappresentazione della significativa possibilità dell'alterazione fraudolenta della contabilità e dal mancato esercizio dei poteri-doveri di vigilanza e controllo che gli competono (cfr. Cass. Pen., Sez. 5, Sentenza n. 44666 del 04/11/2021 Ud. (dep. 02/12/2021) Rv. 282280 - 01).
E', dunque, certamente sussistente, nel caso in questione, il dolo specifico di cui all'art. 216 l.f., costituito dallo "scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori" (cfr, sul punto, Cass. Pen. Sez. VI n° 17084_del 09/12/2014, secondo cui "L'elemento psicologico dei reato di bancarotta documentale post fallimentare si identifica nel dolo specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori mediante sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture").
Infine, l'assunto difensivo secondo cui l'imputato non avrebbe mai cambiato domicilio, si pone in contrasto con gli esiti dell'istruttoria dibattimentale, attese le accurate ricerche effettuate dal curatore, nonché non risulta documentato né riscontrato da alcuna altra risultanza istruttoria.
Passando al trattamento sanzionatorio, si ritengono concedibili all'imputato le circostanze attenuanti generiche che vanno riconosciute in ragione del comportamento processuale assunto nel corso del dibattimento con riferimento alle sue seppur parziali ammissioni, e dal suo ruolo marginale e non attivo nella vicenda.
A questo punto, valutati gli elementi di cui all'art. 133 c.p., stimasi congruo irrogare a Ol. An. la pena finale di anni 2 di reclusione, così determinata: pena base anni tre di reclusione (minimo edittale), ridotta alla pena inflitta in applicazione delle circostanze attenuanti generiche
Alla condanna seguono per legge il pagamento delle spese processuali, nonché ex art 216 RD 267/42 l'inabilitazione del predetto all'esercizio di imprese commerciali e l'incapacità all'esercizio di uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata della pena principale.
Sussistono i presupposti per concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena all'imputato, ritenendo di poter formulare un positivo giudizio prognostico in merito alla futura astensione dello stesso dalla commissione di reati atteso altresì che, come emerge dal casellario giudiziale, questi risulta gravato da un'unica precedente condanna per l'illecito contravvenzionale di cui all'art. 116, co. 15, C.d.s., esecutiva in data 4.4.2018, la cui pena cumulata con quella infliggere per il reato per cui si è processo non supera i limiti oggettivi imposti dall'art. 163 c.p.
P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Ol. An. colpevole del reato a lui ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di anni due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Letto l'art. 216, u.c. R.D. n. 267/42, dichiara Ol. An. inabilitato all'esercizio di imprese commerciali ed incapace all'esercizio di uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata della pena principale. Pena sospesa.
Fissa in giorni 30 il termine per il deposito della motivazione.
Così deciso in Nola, il 5 aprile 2022
Depositata in Cancelleria il 21 aprile 2022