Corte appello Napoli sez. VI, 28/06/2024, n.7535
In tema di bancarotta fraudolenta, l’omessa tenuta delle scritture contabili, che impedisce la ricostruzione delle vicende gestionali dell’impresa, integra il dolo specifico necessario per configurare il reato. La fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale assorbe la bancarotta semplice e l’inosservanza dell’obbligo di deposito delle scritture contabili, quando entrambe le condotte riguardino gli stessi documenti e siano connotate da finalità fraudolente.
Svolgimento del processo
All'udienza del 04.07.2016 il Tribunale di Napoli ha emesso la sentenza n. 12362 con la quale ha dichiarato Pi.Ma. colpevole del reato ascritto in rubrica e l'ha condannata, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in misura prevalente alla contestata aggravante, alla pena di anni due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Ha dichiarato l'imputata inabilitata all'esercizio di un'impresa commerciale ed incapace ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di anni dieci. Pena principale e accessorie sospese, nei termini di legge.
Avverso tale sentenza ha proposto appello il difensore dell'imputata rassegnando i seguenti
MOTIVI DI APPELLO
L'assoluzione ex art. 530 c.p.p. da tutte le imputazioni perché dal quadro probatorio non sarebbero emersi elementi utili a dimostrare l'intenzione e la volontà in capo alla prevenuta di porre in essere le condotte tipiche del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale; la derubricazione del reato nell'ipotesi meno grave della bancarotta semplice di cui all'art. 217 R.D. 267/1942;
il riconoscimento dell'attenuante della particolare tenuità dei fatti di cui all'art. 219 c. 3 L.F. Alla odierna udienza, definita con trattazione scritta ai sensi dell'art. 23 D.L. 149/2020 conv. in l. 176/2020, sulla base delle conclusioni scritte del P.G. e della Difesa, la Corte decide come da dispositivo che di seguito viene motivato.
Diritto
Motivi della decisione
Quanto al merito della decisione, va preliminarmente osservato che questa Corte ritiene integralmente condivisibile la analitica ricostruzione dei fatti e la motivazione posta a fondamento della decisione di primo grado, in aderenza alle risultanze processuali, legittimamente acquisite e pertanto pienamente utilizzabili, da parte del giudice di primo grado, ad esse riportandosi (così come ormai ritenuto legittimo dalla giurisprudenza della Suprema Corte, le motivazioni delle sentenze di primo e di secondo grado si integrano, costituendo un unicum inscindibile, vedi tra le altre Sez. V sent. n. 40005 del 07.03.2014; Sez. V sent. n. 14022 del 12.01.2016 e Sez. III, sent. n. 27300 del 14.05.2004 che sottolinea come la motivazione della sentenza di secondo grado "deve essere concisa e riguardare gli aspetti nuovi o contradditori o effettivamente mal valutati").
Le vicende oggetto di interesse riguardano la società "GM servizi srl", dichiarata fallita con sentenza n. 223l del 17/07/2013 emessa dal Tribunale di Napoli e di cui l'odierna imputata era unica amministratrice e socia sin dalla sua costituzione in data 09.11.2006. Dalla documentazione in atti e dalla relazione della curatela è emerso che la società aveva sede legale in Via (…), presso lo studio "Bl." e due sedi operative, una in Pozzuoli e una in Apollosa. Tuttavia, dagli accertamenti compiuti dalla Curatrice, risultava che la sede operativa di Apollosa era del tutto inesistente, dato, altresì, confermato dalla prevenuta che, in sede di esame, asseriva che quella sede non era mai stata avviata, mentre quella di Pozzuoli non era stata rinvenuta nei luoghi indicati nelle visure camerali e dalla stessa prevenuta. Recandosi in Via Depretis, la curatrice aveva, altresì, potuto appurare che trattavasi, in realtà, della sede dello studio del commercialista, che dichiarava di aver curato la contabilità della Pi., fino al 2009, in quanto a partire da quell'anno la prevenuta non aveva più intrattenuto rapporti con lo stesso. Quest'ultimo, infatti, dichiarava di aver depositato il bilancio e le scritture contabili fino a quella data e di avere anche copia della documentazione, ma di non sapere a partire da tale momento chi avesse curato la contabilità della società fallita. Dagli accertamenti compiuti dalla curatrice, dunque, non risulta alcuna documentazione contabile, dal 2009 al 2013, anno della dichiarazione di fallimento, né venivano rinvenuti beni, attrezzature o materiali della società. Alla data del fallimento, inoltre, non risultava alcun lavoratore dipendente ed erano state accertate immobilizzazioni per Euro 53.291,00, nonché passività accertate per 36.303,63. La prevenuta dichiarava di vantare numerosi crediti rimasti insoluti addebitando a tale motivo il dissesto della società, tuttavia la documentazione depositata in atti risulta carente e lacunosa: da un lato i decreti ingiuntivi richiesti dalla Pi. per il recupero del credito venivano quasi tutti opposti per inesistenza del relativo credito ed, inoltre, i contratti di appalto depositati non coincidono con i crediti dalla stessa vantati; le dichiarazioni della Pi., dunque, risultano contraddittore e non supportate da alcun elemento certo. Le dichiarazioni del teste Sacco, inoltre, confermano la responsabilità della prevenuta avendo egli dichiarato di aver dovuto interrompere i rapporti commerciali con la stessa perché ella aveva interrotto i pagamenti. Inoltre, egli non faceva alcun riferimento specifico alla circostanza che la ditta avesse lavoratori dipendenti, precisando solo che gli ordini e le consegne alla Pi. venivano gestiti da altri soggetti e non da lui personalmente, mentre questi ultimi gli avrebbero riferito di aver effettuato le consegne, non direttamente alla prevenuta, ma a soggetti terzi. Anche il Dott. Ta. dichiarava, che la Pi. avesse dipendenti, senza tuttavia, fornire alcuna indicazione in merito al numero o alle generalità degli stessi; invero alla data del fallimento non risultava alcun lavoratore dipendente.
Inoltre, nonostante i solleciti della curatela, la prevenuta non depositava alcun documento contabile dal 2009 in poi, asserendo di aver subito un furto nella sede di Pozzuoli nel 2011 (furti denunciati il 12.08.2011), ove era detenuta tutta la contabilità della società. Orbene, anche a voler ritenere che la Pi. non avesse potuto depositare la documentazione dal 2009 alla data del furto, non vi è alcuna giustificazione per il mancato deposito di scritture, bilanci e altri documenti contabili dalla data del furto alla data della dichiarazione di fallimento, arco temporale dunque esteso a ben due anni di (…).
Il mancato reperimento di merce, attrezzatura o altra documentazione attestante l'investimento delle merci acquistate in altre attività e l'eventuale credito vantato nei confronti di altri soggetti, nonché l'assenza di una spiegazione compiuta, coerente e verosimile da parte dell'odierna prevenuta per le passività e immobilizzazioni risultanti da bilancio, confermano la responsabilità dell'odierna imputata in ordine al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale contestata. Inoltre, il mancato deposito di qualsiasi documentazione contabile dal 2009 in poi, impediva di ricostruire il reale andamento economico e patrimoniale della società. In tal senso, dunque, risulta, altresì, provata la responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta documentale atteso che, a fronte dei solleciti della curatela e l'impegno a depositare la documentazione, la Pi. adempiva all'obbligo, chiaramente consapevole che ciò avrebbe impedito la ricostruzione dei fatti gestionali della società, manifestando, in tal senso, la volontà di arrecare certamente pregiudizio ai creditori. In tal senso, recente giurisprudenza di legittimità asserisce che "in tema di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta della contabilità interna, lo scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l'elemento soggettivo, che, pertanto, può essere ricostruito sull'attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all'occultamento delle vicende gestionali." (Cass. Sez. V sent. n. 10968 del 31.01.2023). D'altronde, irrilevante è il dato che la prevenuta non avesse ampie competenze in materia e che la stessa curatrice dichiarava che ella era una persona sprovveduta e si fosse lanciata a svolgere un'attività per la quale non aveva le necessarie competenze; invero tale attività veniva esercitata per ben sette anni prima della dichiarazione di fallimento, pertanto appare bene difficile ritenere che ella non avesse acquisito competenze in un arco di tempo così esteso. Si tratta di indizi gravi, precisi e concordanti che confermano la fraudolenza della condotta della prevenuta e contribuiscono a fornire prova certa della sussistenza in capo alla stessa del dolo specifico contestato.
Da tali considerazioni ne discende automaticamente l'infondatezza del secondo motivo di appello peraltro formulato al limite dell'inammissibilità. In tal senso va specificato che elemento di differenziazione tra il reato di bancarotta fraudolenta contestato e la bancarotta semplice di cui all'art. 217 L.F. risiede nell'elemento soggettivo, avendo medesima struttura e interesse sotteso. Per cui, una volta provata la sussistenza del dolo specifico del reato di bancarotta fraudolenta, la fattispecie autonoma di cui all'art 217 L.F. viene assorbita dalla fattispecie più grave. In tal senso, la giurisprudenza di legittimità specifica che "in tema di reati fallimentari, il reato previsto dagli artt. 16, n. 3 e 220 legge fall., relativo all'inosservanza dell'obbligo di deposito delle scritture contabili, nonché il delitto di bancarotta documentale semplice, devono ritenersi assorbiti dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta delle scritture contabili, qualora i fatti addebitati abbiano ad oggetto le medesime scritture contabili, in quanto, a fronte dell'omogeneità della struttura e dell'interesse sotteso alle predette figure di reato, prevale la fattispecie più grave connotata dall'elemento specializzante del dolo specifico". (Cass. Sez. V sent. n. 16744 del 13.02.2018). Inoltre, si rileva che ulteriore elemento di differenziazione tra la fattispecie oggetto di contestazione e quella di bancarotta semplice risiede nel fatto che mentre nella prima ipotesi l'oggetto del reato può essere costituito da qualsiasi documento contabile relativo alla vita dell'impresa, nell'ipotesi di bancarotta semplice l'oggetto del reato è individuato nelle sole scritture obbligatorie (cfr. Cass. Sez. V sent. n. 37459 del 22.09.2021). Nel caso di specie, non solo la prevenuta non consegnava le scritture obbligatorie, ma nemmeno il bilancio a partire dall'anno 2010: dato che, senza dubbio, conferma l'impossibilità di derubricazione della fattispecie contestata in quella di cui all'art. 217 L.F.
Infine, anche l'ultimo motivo di appello è infondato e deve essere respinto. La difesa avanza la richiesta di applicazione della circostanza attenuante di cui all'art. 219 c. 3 L.F., in maniera apodittica e generica, senza addurre alcuna motivazione a sostegno della stessa e non allegando alcun elemento che permetta di invertire il percorso logico-argomentativo adottato dal giudice di prime cure. In tal senso, la Suprema Corte ha assunto l'orientamento secondo cui l'occultamento delle scritture contabili non consente l'applicazione della predetta attenuante atteso che "rendendo impossibile la ricostruzione dei fatti di gestione dell'impresa fallita, impedisca la stessa dimostrazione del danno causato alla massa creditoria in seguito all'incidenza che le condotte integranti il reato hanno avuto sulla possibilità di esercitare le azioni revocatone e le altre azioni poste a tutela degli interessi creditori". (Cass. Sez. V, sent. n. 25034 del 16.03.2023). In tal senso, l'ingente ammontare delle passività accertate impedisce di effettuare un giudizio di tenuità attesa la portata certamente non ridotta delle attività svolte dalla società fallita.
Si rileva che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 222/2018 ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 216, ultimo comma, R.D. 16 marzo 1942, n. 267 nella parte in cui determina in misura rigida e prefissata la durata dell'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.
In virtù di tanto, considerata la gravità delle condotte poste in essere, del contegno tenuto L'imputata, dal bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, la Corte reputa equa e congrua la rideterminazione della pena accessoria in misura pari alla pena principale inflitta.
P.Q.M.
Letto l'art. 605 c.p.p., art. 23 DL 149/20, in riforma della sentenza del Tribunale di Napoli del 4/7/2016, ridetermina la pena accessoria di cui all'art. 217, co 3 L.F., dell'inabilitazione dell'imputata all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, per una durata pari alla pena principale inflitta. Conferma, nel resto, l'impugnata sentenza.
Così deciso in Napoli il 19 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2024.