Corte appello Ancona, 15/04/2021, n.353
Nei reati di omesso versamento di ritenute certificate e IVA, il dolo generico è integrato dalla consapevolezza e volontà dell’omissione, senza che rilevi la crisi economica dell’azienda, salvo che l’imputato dimostri l’assoluta impossibilità di adempiere per cause a lui non imputabili, previa allegazione di tutti i tentativi effettuati per far fronte alla crisi.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza n. 393 del 27 marzo 2018 il Tribunale di Ascoli Piceno ha assolto (…), quale legale rappresentante della (…) srl, dai reati di cui agli arti. 10 bis e (10 ter D. Lvo 74/2000 a lui ascritti e dunque, sia dall'aver omesso di versare nei termini prescritti per la presentazione del sostituto di imposta, le ritenute operate sia dall'aver omesso il dovuto versamento dell'Iva, in entrambi i casi al di sopra delle soglie previste.
Il Tribunale, ritenuta provata la materialità del fatto, ha valutato giustificata la condotta omissiva per le difficoltà economiche in cui versava la (…), desunte dalla richiesta di concordato preventivo e dalla successiva dichiarazione di fallimento della stessa società.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso per Cassazione il Procuratore Generale di Ancona, contestando l'assoluzione sul rilievo che per costante giurisprudenza della Cassazione rimane irrilevante il dato della mera difficoltà economica, essendo sufficiente ai fini della integrazione dell'elemento soggettivo dei reati contestati la consapevolezza di omettere il versamento della somma dovuta alla scadenza del termine.
Con sentenza del 12 giugno 2016, la Corte di Cassazione ha qualificato come appello l'impugnazione della Procura Generale, rimettendo gli atti a questa Corte di Appello, non senza evidenziare da un lato la sicura materialità dei fatti nei termini di cui alle imputazioni e dall'altro la fondatezza delle considerazioni svolte dal Procuratore Generale in linea con i principi enunciati in materia di dolo nei reati di cui agli artt. 10 bis e 10 ter D. Lvo 74/00 dalla Suprema Corte.
L'appello è fondato e la sentenza di primo grado va riformata senza che vi sia neppure necessità di rinnovazione istruttoria, non versandosi in una ipotesi di controversa valutazione della prova dichiarativa ed essendo i fatti incontestati nella loro materialità.
Ed invero, l'elemento soggettivo proprio dei reati contestati è integrato dal dolo generico, richiedendosi la mera consapevolezza della condotta omissiva (Sez. 3, Sentenza n. 25875 del 26/05/2010), rimanendo del tutto irrilevante il fine perseguito dall'agente non richiedendosi, a differenza di altre fattispecie, che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte.
Il legislatore ha ritenuto, invero, di tutelare non qualsiasi tributo non versato ma solo quelli dovuti all'erario e trattenuti dal contribuente e che, fin dall'origine, avevano un preciso vincolo di destinazione.
Rispetto a tale quadro giuridico e normativo, solo sommariamente delineato, è evidente che la situazione di colui che non versa l'imposta si risolve, di regola, in una condotta, cosciente e volontaria, la quale, in modo progressivo, si articola, in un primo momento, con il mancato accantonamento delle somme trattenute; successivamente con l'omesso versamento mensile secondo le cadenze previste dalla normativa tributaria; ed infine con la prosecuzione della condotta omissiva fino al termine ultimo fissato dalla norma penale.
Siccome, nella sostituzione tributaria, il sostituto, quale debitore di una somma costituente reddito per il sostituito, deve, allorché procede al versamento in favore di quest'ultimo, trattenere una percentuale di questo emolumento (c.d. ritenuta alla fonte) per, poi, versarlo all'Erario nei termini di legge, gli spazi per ritenere l'assenza dell'elemento soggettivo o per integrare la fattispecie della forza maggiore, quale conseguenza di una improvvisa ed imprevista situazione di illiquidità, appaiono, all'evidenza, oggettivamente ristretti.
Ed infatti, le Sezioni Unite (Sentenza n. 37425 del 28/03/2013) hanno ribadito che, per l'integrazione della fattispecie ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo, è sufficiente il dolo generico, ossia la coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, rilevando che la prova del dolo è insita in genere nella duplice circostanza del rilascio della certificazione al sostituito e della presentazione della dichiarazione annuale del sostituto (Mod. 770), che riporta le trattenute effettuate, la loro data ed ammontare, nonché i versamenti relativi.
Il debito verso il fisco relativo al versamento delle ritenute è collegato con quello della erogazione degli emolumenti ai collaboratori. Ogni qualvolta il sostituto d'imposta effettua tali erogazioni, insorge, quindi, a suo carico l'obbligo di accantonare le somme dovute all'Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all'obbligazione tributaria.
Pur essendo in astratto ipotizzabili casi di assenza del dolo, - rimane comunque assolutamente imprescindibile che vengano assolti gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla crisi di liquidità, dovranno investire non solo l'aspetto circa la non imputabilità al sostituto di imposta della crisi economica, che improvvisamente avrebbe investito l'azienda, ma anche che detta crisi non possa essere stata adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso, da parte dell'imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concretò. Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (cfr. in termini Cass. Pen. Sez. III, n. 5467 del 5.12.2013, Cass. Pen. Sez. III, n. 3124 del 27.11.2013, Cass. Pen. Sez. III, n. 37258 del 12.6.2013 e Cass. Pen. Sez. II, n. 20266 dell'8.4.2014, dove la Suprema Corte, nel ribadire che nel reato di omesso versamento di ritenuta certificate l'imputato può invocare la assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l'azienda sia l'aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto, ha ritenuto - il che si attaglia perfettamente al caso in oggetto - irrilevante la mancata riscossione di crediti, osservando che l'inadempimento dei clienti rientra nel normale rischio di impresa).
Tutto ciò posto in punto di diritto, si osserva che risulta acclarato l'omesso versamento, oltre la soglia, delle ritenute operate come sostituto di imposta dell'Iva, nonché che l'imputato non ha assolto al pregnante dovere di allegazione in ordine alla perdurante mancanza di liquidità e soprattutto al ricorso al credito nel concreto.
Va dunque dichiarata la penale responsabilità del (…), che deve essere condannato, sulla scorta dei criteri di commisurazione di cui all'art. 133 c.p., alla pena di mesi sei di reclusione, cui si perviene dalla pena base di anni uno di reclusione, ridotta a mesi otto di reclusione per le attenuanti generiche, di cui l'imputato è senz'altro meritevole, aumentata a mesi nove di reclusione per 1 evidente sussistenza del vincolo della continuazione, diminuita di un terzo per la scelta del rito. Seguono le pene accessorie nella misura minima prevista.
Nulla osta alla concessione dei doppi benefici di legge.
P.Q.M.
Visto l'art. 605 c.p.p. in riforma della sentenza in data 27.3.2018 del Tribunale di Ascoli Piceno appellata dal Procuratore Generale dichiara (…) colpevole dei reati a lui ascritti e lo condanna, ritenuta la continuazione, concesse le attenuanti generiche e operata la diminuente per il rito, alla pena di mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali del doppio grado di giudizio. Pene accessorie di cui all'art. 12 D.Lvo 74/2000 per la durata minima prevista.
Doppi benefici di legge.
Motivazione entro sessanta giorni.
Così deciso in Ancona il 19 febbraio 2021.
Depositata in Cancelleria il 15 aprile 2021.