top of page

Scarichi non autorizzati di reflui industriali e qualificazione delle acque meteoriche (Giudice Arnaldo Merola)

scarichi-reflui-industriali-acque-meteoriche

Tribunale Nola, 27/09/2023, n.1266

Le acque meteoriche che vengono a contatto con materiali inquinanti, quali rifiuti industriali o residui metallici, perdono la loro natura originaria e devono essere qualificate come reflui industriali. Tali scarichi richiedono una preventiva autorizzazione ai sensi degli artt. 124 e ss. del D.Lgs. 152/06. La responsabilità penale in tema di gestione illecita di reflui industriali può sussistere anche in assenza di strutture permanenti di canalizzazione, configurandosi il reato per il semplice deflusso incontrollato nel terreno.

Scarichi non autorizzati di reflui industriali e qualificazione delle acque meteoriche (Giudice Arnaldo Merola)

La sentenza integrale

Svolgimento del processo
Con decreto di citazione diretta a giudizio emesso dal PM in sede in data 24 febbraio 2022, It.Fr. e It.Be. venivano tratti a giudizio per rispondere dei reati in epigrafe indicati. All'udienza del 16 settembre 2022, il GOT, accertata la regolare costituzione delle parti, rinviava il processo al fine di consentirne la trattazione al giudice titolare. All'udienza del 27 gennaio 2023, il giudice dichiarava aperto il dibattimento e ammetteva i mezzi di prova orali e documentali richiesti dalle parti. Si procedeva, poi, all'escussione del teste, Isp. (…). All'esito, il processo veniva rinviato in prosieguo. All'udienza del 29 marzo 2023, si procedeva all'escussione del teste, Arch. (…). All'esito, il processo veniva rinviato in prosieguo.

All'udienza del 9 giugno 2023, il processo veniva rinviato, stante il legittimo impedimento del difensore (con conseguente sospensione del corso della prescrizione per un periodo di 20 giorni).

All'odierna udienza, il giudice dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale e utilizzabili gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento e dava la parola alle parti, che rassegnavano le conclusioni in epigrafe riportate, sulla base delle quali pronunciava la presenta sentenza, dando lettura del dispositivo in udienza. In quel frangente il giudice non dava gli avvisi di cui all'art. 545-bis c.p.p., non ritenendo sussistenti per gli imputati, per le ragioni di cui si dirà in motivazione, le condizioni per sostituire la pena detentiva inflitta con una delle pene sostitutive di cui all'art. 53, l. 689/1981.

Motivi della decisione
Sulla scorta delle risultanze processuali, ritiene questo giudicante che vada senza dubbio affermata la responsabilità penale degli odierni imputati in ordine al reato a loro ascritto al capo a) della rubrica; viceversa va emessa sentenza di non doversi procedere in ordine agli ulteriori reati agli stessi ascritti perché estinti per intervenuta prescrizione.

Ed invero, dalla deposizione dell'Isp. (…), in servizio all'epoca dei fatti presso la Polizia stradale di Nola - della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare, provenendo da pubblico ufficiale in ordine a circostanze apprese nel corso della propria attività di ufficio - e dalla documentazione ritualmente acquisita al fascicolo del dibattimento è emerso che nel 2020 perveniva presso gli uffici di p.g. un esposto anonimo che segnalava l'esercizio abusivo di un'attività di carrozzeria, meccanica e lavorazione di legno in Cicciano alla via (…), presso un lotto di terreno di proprietà di It.Fr. e It.Be. (odierni imputati). Gli operanti di p.g., allora, effettuavano un sopralluogo e rinvenivano sul predetto fondo materiale proveniente da lavori di carrozzeria: cerchioni arrugginiti, pezzi di autocarri, bidoni in ferro abbandonati in maniera indiscriminata. Si procedeva, quindi, ai sequestro dell'area e al deferimento dei fratelli It. per reati ambientali. Nel mese di novembre del medesimo anno giungeva un nuovo esposto anonimo del medesimo tenore e gli agenti, dopo aver acquisito la relazione tecnica redatta dall'Arch. (…), in servizio presso l'Ufficio Tecnico del Comune di Cicciano, in occasione del precedente controllo, si portavano presso il terreno di proprietà degli odierni imputati e qui constatavano la presenza di It.Fr. e di un altro soggetto, intenti a lavorare della legna da ardere. Sul posto veniva effettuato un nuovo sopralluogo e si aveva modo di rilevare la presenza al centro del fondo di circa 1.200 mq di una struttura in ferro di circa 150 mq con pilastri in ferro e copertura in lamiere, nei pressi della quale risultavano abbandonati pezzi meccanici di veicoli commerciali (cerchioni arrugginiti, pezzi di ricambio, bidoni in ferro). Il predetto materiale era esposto alle intemperie e ciò faceva sì che l'acqua piovana, dopo essere contaminata dal contatto con le parti meccaniche arrugginite, defluiva direttamente nel terreno, inquinandolo.

Escusso in dibattimento, il tecnico del Comune di Cicciano, Arch. (…), ha chiarito che dagli accertamenti svolti emergeva che in data 23 maggio 2012 It.Fr. presentava una comunicazione di inizio lavori per la realizzazione sul fondo in questione di una recinzione in ferro e che in data 2 luglio 2014 i fratelli It. presentavano una nuova comunicazione di inizio lavori asseverata per la realizzazione di una struttura leggera amovibile, priva di opere murarie e pareti chiuse, destinata a tettoia, delle dimensioni di 8 per 4 mt e dell'altezza di 4 mt. Tuttavia, il sopralluogo effettuato nel giugno del 2020 consentiva di constatare che non solo le predette opere erano state eseguite in modo difforme dai titoli edilizi presentati, ma nella parte retrostante del lotto era stato realizzato un locale deposito senza autorizzazione delle dimensioni di 2,20 per 6 mt., nella parte centrale del lotto, nella parte centrale del lotto erano stati posizionati senza autorizzazione due container delle dimensioni di 6,25 per 2,50 mt. e dell'altezza di 2,5 mt. Inoltre, anche la struttura in ferro parzialmente coperta con lamiere grecate era stata eseguita in assenza di documentazione urbanistica e di autorizzazione sismica. Ciò in quanto il terreno in questione ricadeva in una zona di rispetto cimiteriale, nella quale era vietata ogni tipo di costruzione, ad eccezione di opere movibili destinate strettamente alla vendita di fiori e di oggetti sacri.

All'atto del sopralluogo le strutture risultavano in uso e non vi erano lavori in corso né operai impegnati in attività edilizie.

Successivamente, in data 23 febbraio 2021, attestata la natura abusiva delle opere in contestazione, veniva emessa dal Comune di Cicciano ordinanza di ingiunzione di demolizione (cfr. ordinanza n. 18/2021), di cui veniva accertata l'inadempienza con un successivo sopralluogo del 31 maggio 2021.

Tanto premesso, alla luce delle prove dichiarative assunte e della documentazione acquisita, a parere di questo giudice, può ritenersi pacificamente che sul fondo di proprietà degli odierni imputati siano stati commessi diversi abusi edilizi.

Tuttavia, tale essendo in buona sostanza il materiale istruttorio utilizzabile ai fini della decisione, corre l'obbligo a questo giudicante di ritenere che i reati contestati a It.Fr. e It.Be. debbano considerarsi estinti per intervenuta prescrizione. Al riguardo, occorre preliminarmente rilevare che la contravvenzione edilizia di cui all'art. 44 d.p.r. 380/01 ha natura di reato permanente, che si protrae fino a quando dura la condotta antigiuridica dell'agente (cfr. Cass., Sez. Un., 27 febbraio 2022): ne discende, di conseguenza, che la consumazione del reato coincide con il cessare della permanenza, e si realizza o quando l'opera abusiva è completata, o quando intervenga un qualunque atto che interrompa, anche di fatto, la condotta illecita, e che, per giurisprudenza costante, potrebbe concretizzarsi nella cessazione dell'attività edificatoria abusiva o nel sequestro dell'immobile. Viceversa, la fattispecie contravvenzionale di omesso omessa denuncia di inizio lavori in zona sismica ha natura istantanea, consumandosi, per giurisprudenza costante "nel luogo e nel momento in cui il soggetto inizia l'attività di edificazione in carenza dei previi adempimenti previsti dall'art. 93 d.P.R. n. 380 del 200F (Cass., Sez. III, 10 maggio 2018, n. 20728). Tanto premesso, nel caso di specie i fatti in contestazione, alla luce di quanto emerso dall'istruttoria dibattimentale, dovrebbero ritenersi consumatisi in un arco temporale non ben definito, che può essere ricondotto a un periodo coevo o precedente all'anno 2014. L'accertamento eseguito nell'anno 2020, infatti, non ha consentito l'esatta individuazione della data di ultimazione dei lavori. Ed invero non vi erano al momento lavori in corso e non venivano acquisiti altri elementi che inducessero a ritenere che lo stato dei luoghi si presentasse come un cantiere fermo, in quanto, stando alle risultanze probatorie, le strutture risultavano già in uso. Pertanto, la data di presumibile realizzo delle opere abusive può essere fatta risalire in un'ottica di favor rei all'anno 2014, allorquando i fratelli It. presentavano una nuova comunicazione di inizio lavori asseverata per la realizzazione di una struttura leggera amovibile, prova di opere murarie e pareti chiuse, destinata a tettoia, delle dimensioni di 8 per 4 metri e dell'altezza di 4 metri (Cass., Sez. III, 18 marzo 2021, n. 20795).

Ne discende, di conseguenza, che, essendosi i fatti di cui ai capi b) e c) della rubrica consumati non più tardi dell'anno 2014, alla data odierna, deve ritenersi completamente decorso il termine massimo di prescrizione, da considerarsi pari a cinque anni ai sensi dell'art. 157 c.p.

Si impone, quindi, la declaratoria della suddetta causa estintiva dei suddetti reati, non ravvisandosi, per i motivi visti, gli estremi per l'emissione di una pronuncia assolutoria nel merito.

Relativamente all'illecito di cui al capo a), la formulazione dell'imputazione, riferendosi allo scarico delle "acque meteoriche di dilavamento, provenienti dall'anzidetta area in cui vi erano veicoli commerciali parcati, pezzi di ricambi di mezzi pesanti non selezionati, bidoni in ferro, parti di carrozzeria di veicoli pesanti, cerchioni in ferro arrugginiti, direttamente nel terreno circostante e, dunque, nelle acque sotterranee, in assenza di un sistema di trattamento di depurazione, di chiarificazione e sedimentazione, nonché senza essere in possesso della prescritta autorizzazione" appare correttamente evocare l'art. 137 d.lgs. 152/06 con riferimento alla nozione ivi contenuta di "acque reflue industriali".

Si tratta di una questione qualificatoria ormai chiarita con orientamento, recente ma già costante, dalla giurisprudenza di legittimità nei senso di ritenere che "in tema di tutela penale dall'inquinamento, le acque meteoriche da dilavamento sono costituite dalle sole acque piovane che, cadendo al suolo, non subiscono contaminazioni con sostanze o materiali inquinanti, poiché, altrimenti, esse vanno qualificate come reflui industriali ex art. 74, comma 1, lett. h), D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152" (Cass., Sez. III, 5 ottobre 2018, n. 6260) fondato sul presupposto che "la formulazione attuale dell'art. 74, lett. h) del d.lgs. n. 152 del 2006 ha invece escluso ogni riferimento qualitativo alla tipologia delle acque e ha eliminato il precedente inciso "intendendosi per tali" (cioè per acque meteoriche di dilavamento) "anche quelle venute in contatto con sostanze non connesse con le attività esercitate nello stabilimento": l'eliminazione dell'inciso è stato invero ritenuto frutto di una precisa scelta del legislatore, indicando proprio l'intenzione di escludere qualunque assimilazione di acque contaminate con quelle meteoriche di dilavamento: l'eliminazione dell'inciso, in definitiva, non ha affatto ampliato il concetto di "acque meteoriche di dilavamento", ma, al contrario, lo ha ristretto in un'ottica di maggior rigore, nel senso di operare una secca distinzione tra la predetta categoria di acque e quelle reflue industriali o quelle reflue domestiche. Oggi, pertanto, le acque meteoriche, comunque venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non possono essere più incluse nella categoria di acque meteoriche di dilavamento, per espressa volontà di legge. Deve essere, dunque, ribadito che le acque meteoriche di dilavamento sono costituite dalle sole acque che, cadendo al suolo per effetto di precipitazioni atmosferiche, si depositano su un suolo impermeabilizzato, dilavando le superfici e attingendo indirettamente i corpi recettori, senza subire contaminazioni di sorta con altre sostanze o materiali inquinanti, come avvenuto nel caso di specie. Di qui la coerente esclusione dell'incidenza in materia della competenza regionale fissata dall'art. 113 del d.lgs. 152/06, avendo tale competenza ad oggetto, per espresso dettato normativo, soltanto le acque meteoriche di dilavamento, le acque di prima pioggia e le acque di lavaggio di aree esterne".

Ebbene, nel caso di specie, gli operanti hanno verificato proprio le linee di deflusso delle acque meteoriche di dilavamento del piazzale, verificando che le stesse convogliassero direttamente nella nuda terra. Tuttavia, nel previo controllo del corso seguito dalle acque piovane, i militari hanno anche appurato che le stesse venissero in contatto con i rifiuti depositati sul piazzale scoperto - cerchioni arrugginiti, pezzi di ricambio, bidoni in ferro - per poi defluire direttamente nel terreno.

Dunque, premesso che l'attività esercitata dai fratelli It. non rientra tra quelle per le quali è prevista l'assimilazione delle acque reflue alle acque reflue domestiche di cui alla tabella A allegata al Regolamento n. 6/2013 della Regione Campania, emanato ai sensi del d.lgs. 152/06, è consequenziale e autoevidente concludere come le acque piovane vengano contaminate e perdano la loro natura di acque meteoriche di dilavamento, dovendo essere assimilate alle acque reflue industriali. Tuttavia, gli scarichi di acque reflue industriali, come sopra specificati, sono necessariamente soggetti alla preventiva autorizzazione ai sensi degli artt. 124 e ss. del d.lgs. 152/06, che, nel caso di specie, non è mai stata conseguita.

Corretta, appare quindi, la qualificazione giuridica del fatto in contestazione, non essendo stata raccolta, né aliunde più assumibile, la prova di collegamenti strutturali e permanenti (ad es. un sistema di canalizzazioni) di scarico dei reflui verso le acque nere, che avrebbe determinato la tracimazione, in via riqualificatoria, del fatto verso la più grave ipotesi criminosa di cui all'art. 256 d.lgs. 152/06, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità intervenuta a tracciare una actio finum regundorum tra le due disposizioni: "in tema di acque meteoriche di dilavamento, al di fuori delle specifiche ipotesi disciplinate dall'art. 113 del D.lgs. n. 152 del 2006, sussistendone i presupposti, si applica la disciplina degli scarichi delle acque reflue industriali nei casi in cui vi sia uno scarico, anche se periodico, discontinuo o occasionale in uno dei corpi recettori indicati dalla legge ed effettuato tramite condotta, tubazione o altro sistema stabile, mentre si applica la disciplina dei rifiuti liquidi ove manchi il collegamento funzionale e diretto

delle acque reflue con il corpo recettore" (Cass., Sez. III, 24 febbraio 2021, n. 11128). Allo stesso modo, in difetto di precisa contestazione, in fatto e in diritto, delle circostanze aggravanti di cui all'art. 137 d.lgs. 152/06, deve ritenersi integrata, della disposizione in imputazione, esclusivamente la sua fattispecie base.

Sul complementare profilo psicologico della fattispecie, nonostante si sia al cospetto di una contravvenzione, per la cui integrazione è sufficiente anche un contegno colposo, è evidente che gli imputati abbiano avuto piena consapevolezza e volontà di gestire illecitamente lo smaltimento dei predetti reflui industriali, in quanto erano entrambi comproprietari del fondo e utilizzatori dello stesso come sede delle proprie attività, il che lascia ragionevolmente presumere la piena ed effettiva conoscenza degli obblighi ambientali a loro carico e delle conseguenti responsabilità.

Ed invero, in occasione del sopralluogo veniva rinvenuta la presenza sia di It.Fr., intento ad ardere delle legna, che dei mezzi della ditta (…) intestata alla moglie di It.Be.

Non coglie, quindi, nel segno l'argomentazione difensiva relativa all'esclusione di responsabilità di quest'ultimo, atteso che il coinvolgimento dei due imputati nei fatti per cui è processo è pacificamente ricavabile dalla circostanza che entrambi i fratelli avevano la materiale disponibilità del terreno in questione e si attivavano per il rilascio dei suddetti permessi a costruire.

Inoltre, gli stessi nel corso del procedimento non hanno fornito una diversa ricostruzione dei fatti e un'alternativa chiave di lettura al materiale probatorio raccolto, rispetto a quella fornita dalla prospettazione accusatoria, allo stato l'unica ipotizzabile.

Il diritto dell'imputato di difendersi tacendo, in altri termini, non può tradursi in una limitazione legale della sfera del libero convincimento del giudice, che può legittimamente esercitarsi, com'è stato autorevolmente sostenuto, anche in merito al significato attribuibile al silenzio serbato dall'imputato "su circostanze su cui questi, potendo fornire indicazioni di dati che potrebbero scagionarlo e contribuire all'accertamento della verità, si rifiuti di farlo. In tal caso non può dirsi che il silenzio - garantito ali 'imputato come oggetto di un suo diritto processuale - venga utilizzato, in contrasto con tale garanzia, coma tacita confessione di colpevolezza, giacché il convincimento di reità del giudice viene a formarsi non sulla valorizzazione confessoria del silenzio, bensì sulla valorizzazione in senso probatorio di elementi già idonei a suffragare un giudizio di colpevolezza, in ordine ai quali il silenzio del soggetto viene ad assumere valore di mero riscontro obiettivo" (cfr. Cass., Sez. V, 21 dicembre 1988, n. 2335). Tanto premesso in ordine alla responsabilità di It.Fr. e It.Be., occorre determinare il trattamento sanzionatorio da irrogare nei loro confronti.

In assenza di alcun comportamento positivamente valutabile tenuto dagli odierni imputati, gli stessi non appaiono meritevoli della concessione delle circostanze attenuanti generiche. Giova in proposito ricordare che le circostanze attenuanti generiche sono state introdotte per consentire soltanto una migliore individualizzazione della pena al caso concreto e non devono trasformarsi in uno strumento improprio per mitigare il rigore delle sanzioni, tanto che è stato necessario un intervento del legislatore che ha imposto, per legge, dei limiti alla concessione delle stesse. Tali circostanze, invero, per la loro atipicità, possono soltanto consentire al giudice di valutare elementi di fatto particolarmente significativi, sia di natura oggettiva che soggettiva, capaci di far risaltare il valore positivo dei fatto, elementi positivi che non sono assolutamente rilevabili nel presente processo.

Pertanto, valutati tutti i criteri cui all'art. 133 c.p., pare congruo condannare It.Fr. e It.Be. alla pena di mesi otto di arresto ciascuno.

Alla condanna nel merito segue, per legge, quella al pagamento delle spese processuali. Non sussistono, alla luce delle risultanze del certificato del casellario giudiziale in atti, motivi ostativi al riconoscimento in favore degli odierni imputati dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna, consentendolo l'entità della sanzione irrogata e il loro stato di incensuratezza.

Ne consegue che non sussistono nel caso di specie le condizioni per la sostituzione della pena detentiva applicata agli odierni imputati con una delle pene sostitutive di cui all'art. 53, l. 689/1981.

Ai sensi dell'art. 323 c.p.p., si dispone il dissequestro e la restituzione al Comune di Cicciano delle opere in sequestro e dell'area pertinente.

Alla luce dei carichi di lavoro, si fissa in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione.

P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara It.Fr. e It.Be. colpevoli del reato a loro ascritto al capo a) della rubrica e li condanna alla pena di mesi otto di arresto ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali.

Letto l'art. 531 c.p.p., dichiara non doversi procedere nei confronti di It.Fr. e It.Be. in ordine ai reati a loro ascritti ai capi b) e c) della rubrica perché estinti per intervenuta prescrizione.

Concede agli imputati i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna.

Letto l'art. 323 c.p.p., ordina il dissequestro e la restituzione al Comune di Cicciano delle opere in sequestro e dell'area pertinente.

Fissa in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione della sentenza.

Così deciso in Nola il 30 giugno 2023.

Depositata in Cancelleria il 27 settembre 2023.

bottom of page