Stalking e corteggiamento ossessivo: contano gli effetti sulla vittima, non le intenzioni dell’autore (Cass. Pen. n. 29581/25)
- Avvocato Del Giudice
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Indice:
1. Premessa
4. Conclusioni
1. Premessa
La pronuncia in commento (Cass. pen., sez. V, 23 luglio 2025, n. 29581) affronta ancora una volta il delicato tema del confine tra il corteggiamento insistito e la condotta persecutoria ex art. 612-bis c.p.
La vicenda è peculiare, perché riguarda comportamenti realizzati in ambito carcerario da un detenuto – già condannato per violenza sessuale – nei confronti della direttrice dell’istituto penitenziario.
Il caso consente di ribadire il carattere anticipatorio della tutela predisposta dalla norma incriminatrice e di definire, con tratti sempre più nitidi, i criteri interpretativi utili a distinguere l’innocua manifestazione di interesse affettivo dal vero e proprio stalking.
2. Il fatto processuale
L’indagato, ristretto presso la casa circondariale di Gorizia, avrebbe posto in essere ripetute condotte di molestia e avvicinamento nei confronti della direttrice dell’istituto, accompagnate da dichiarazioni di interesse sentimentale e da gesti simbolici (tra cui l’invio di una missiva contenente un capello della donna).
Il Tribunale del riesame confermava la misura cautelare della custodia in carcere, ritenendo sussistenti gravi indizi del reato di atti persecutori e un concreto rischio di recidiva.
La difesa contestava la sussistenza dell’elemento oggettivo, sostenendo che si trattasse di una “sbandata” priva di finalità persecutorie, e l’eccessività della misura custodiale rispetto alle esigenze cautelari.
3. La decisione della Corte
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, sottolineando come le censure difensive non riuscissero a scalfire l’impianto logico-giuridico della decisione del Tribunale del riesame.
Ciò che la difesa aveva presentato come una semplice “sbandata sentimentale”, priva di intenzioni persecutorie, viene invece qualificato come vero e proprio comportamento di stalking: non occorrono, infatti, minacce esplicite o atti di violenza fisica, essendo sufficiente un corteggiamento ossessivo e ripetuto, tale da incidere concretamente sull’equilibrio psichico della persona offesa o sulle sue abitudini di vita.
È proprio la reiterazione nel tempo, unita al contesto in cui la vicenda si è svolta – quello carcerario, con la vittima nella posizione di direttrice dell’istituto e l’indagato detenuto per violenza sessuale – a conferire alle condotte un significato dirompente, idoneo a generare uno stato di ansia e di paura nella destinataria. La Corte richiama precedenti giurisprudenziali che avevano già riconosciuto come anche gesti apparentemente innocui – l’invio di frasi d’amore, di disegni o di canzoni – possano assumere rilevanza penale se non graditi e insistiti, soprattutto quando rivolti a persone che non hanno alcun legame affettivo con l’autore (Cass., sez. V, n. 45453/2015; n. 4728/2020; n. 32813/2022).
Neppure le argomentazioni difensive sulle esigenze cautelari hanno trovato accoglimento.
I giudici di merito avevano ben evidenziato come la pericolosità del soggetto non si esaurisse nella reiterazione degli atti, ma si manifestasse apertamente nella dichiarata volontà di perseverare, anche a costo di subire ulteriori conseguenze penali.
Tale ossessione, aggravata dai precedenti specifici per reati sessuali, lasciava emergere un concreto e attuale rischio di recidiva.
Quanto, infine, alla proporzionalità della misura, la Cassazione ha ritenuto corretta la scelta della custodia cautelare in carcere.
Nonostante le dichiarazioni di pentimento, la natura ossessiva delle condotte, il contesto relazionale e i precedenti penali hanno reso evidente l’inadeguatezza di misure meno afflittive.
In questa prospettiva, la custodia in carcere non è apparsa un’opzione eccessiva, ma l’unico rimedio idoneo a contenere un soggetto definito “incline a prevaricazioni di genere”.
4. Conclusioni
La decisione in esame offre l’occasione per riflettere sullo statuto penale della libertà personale e sull’estensione della tutela apprestata dall’art. 612-bis c.p.
Non si tratta soltanto di delimitare il confine tra manifestazioni affettive e condotte persecutorie, ma di cogliere la portata sostanziale di una norma che si colloca in un orizzonte di prevenzione, anticipando l’intervento sanzionatorio per intercettare fenomeni relazionali che, pur non traducendosi immediatamente in violenza fisica, generano effetti corrosivi sulla dignità e sull’integrità psichica della vittima.
La Cassazione sottolinea che la chiave di lettura non è offerta dall’intenzione soggettiva dell’agente – che può anche mascherarsi da “innocuo corteggiamento” – ma dall’impatto concreto che la reiterazione delle condotte esercita sulla persona offesa.
In questo senso, la vittima non è più relegata a un ruolo meramente passivo, bensì diventa il fulcro della valutazione giudiziale: ciò che conta è il turbamento esistenziale che il comportamento produce, l’erosione progressiva della serenità quotidiana, la trasformazione forzata delle abitudini di vita.
Ugualmente significativo è l’aspetto cautelare.
La Corte non si limita a registrare l’insistenza delle condotte, ma individua nella loro ossessività, aggravata da precedenti per reati sessuali, un indice qualificante di pericolosità soggettiva.
L’adozione della custodia cautelare in carcere si giustifica non tanto per la gravità in astratto del fatto, quanto per la constatazione che ogni alternativa meno afflittiva sarebbe stata strutturalmente inidonea a contenere un impulso irrefrenabile, già dichiarato dall’imputato come destinato a proseguire nonostante possibili conseguenze penali.
In questo quadro, la sentenza non solo ribadisce la funzione protettiva della fattispecie di atti persecutori, ma illumina la sua dimensione culturale e simbolica: il diritto penale si fa carico di riconoscere come lesive forme di pressione relazionale che, in altre epoche, sarebbero state derubricate a eccessi di galanteria.
La lezione che se ne ricava è che la libertà individuale non coincide con la mera assenza di coercizione fisica, ma si misura anche nella possibilità di vivere senza intrusioni ripetute, capaci di generare ansia, timore e soggezione.
5. La sentenza integrale
Cassazione penale sez. V, 23/07/2025, (ud. 23/07/2025, dep. 19/08/2025), n.29581
RITENUTO IN FATTO
1. È impugnata l'ordinanza, del 13 marzo 2025, con la quale il Tribunale di Trieste ha confermato l'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Gorizia, del 24 Febbraio 2025, nei confronti di Ak.In. per la sussistenza di gravi indizi del reato di cui all'art. 612 bis cod. pen. posto in essere dall'indagato- mentre si trovava ristretto presso la Casa circondariale di Gorizia in espiazione pena per delitti di violenza sessuale, ed altro - nei confronti della direttrice del medesimo istituto attraverso ripetute condotte di molestia, tentativi di avvicinamento e contatto, oltre che attraverso la reiterata manifestazione di un interesse non corrisposto e non gradito dalla suddetta.
2. L'indagato ha proposto ricorso per cassazione con atto a firma del suo difensore.
2.1. Con primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di gravità indiziaria. Deduce che l'indagato non ha agito allo scopo di condizionare la vita della persona offesa ma soltanto perché in preda ad una vera e propria "sbandata" che non avrebbe saputo controllare razionalmente e involontariamente alimentata dagli stessi operatori carcerari interpellati a vario titolo. L'ordinanza impugnata non avrebbe definito la linea di demarcazione tra corteggiamento e stalking, omettendo, inoltre, di precisare il nesso di causalità tra le condotte poste in essere e la reazione della persona offesa.
2.2. Con secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione relativamente alle esigenze cautelari.
Il Tribunale non avrebbe considerato che l'indagato aveva dimostrato di essere pentito e, peraltro, aldilà dell'insistenza nel corteggiamento, non era stato individuato alcun elemento indicativo di un possibile sviluppo aggressivo della condotta dell'indagato. Doveva, pertanto, essere escluso un concreto rischio di recidiva ed essere eventualmente applicata una misura cautelare più blanda.
2.3. Con terzo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione relativamente alla scelta della misura rilevando l'illogicità della motivazione resa per giustificarla, essendo stato fatto riferimento alla incapacità di contenimento e controllo delle proprie pulsioni da parte dell'imputato senza considerare la resipiscenza manifestata dal medesimo e il fatto che la custodia cautelare in carcere appariva eccessiva e non proporzionata.
3.Il Sostituto Procuratore generale ha concluso, con requisitoria scritta, chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il primo motivo è infondato. Le censure difensive non contestano la ricostruzione fattuale restituita dal provvedimento impugnato e si limitano a suggerire una chiave di lettura minimalista della condotta dell'indagato, posta in essere, secondo la prospettazione accusatoria oggetto di contestazione provvisoria, attraverso insistenti manifestazioni di interesse, reiterate nonostante il fermo rifiuto della destinataria.
Con l'introduzione della fattispecie di cui all'art. 612 bis cod. pen. il legislatore, prendendo spunto dalla disciplina di altri ordinamenti, ha voluto colmare un vuoto dì tutela ritenuto inaccettabile rispetto a condotte che, ancorché non violente, recano un apprezzabile turbamento nella vittima, avendo preso atto che la violenza (declinata nelle diverse forme delle percosse, della violenza privata, delle lesioni personali, della violenza sessuale) spesso è l'esito di una pregressa condotta persecutoria, attuata attraverso condotte anche meno visibili e più lievi, ma ripetute, e tali da determinare un turbamento della persona offesa ed incidere negativamente sulle sue condizioni esistenziali di vita.
Attraverso la fattispecie in esame si è inteso anticipare la tutela della libertà personale, e dell'incolumità fisica e psichica, attraverso l'incriminazione dì condotte che, precedentemente, parevano sostanzialmente inoffensive e, dunque, non sussumibili in alcuna fattispecie penalmente rilevante o integranti eventualmente fattispecie minori, quali la minaccia o la molestia alle persone. La condotta ritenuta persecutoria deve essere valutata nel suo complesso venendo in rilievo il dato della reiterazione della stessa e dovendosi anche considerare il profilo della produzione dell'evento richiesto per la sussistenza del reato. In tale ottica, il fatto che l'evento individuato dalla norma incriminatrice si manifesti in più occasioni, e a seguito della consumazione di singoli atti persecutori, non è dirimente trattandosi di circostanza connaturata al fenomeno criminologico alla cui repressione la norma incriminatrice è finalizzata, giacché alla reiterazione degli atti corrisponde nella vittima un progressivo accumulo del disagio che questi provocano, fino a che tale disagio degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi nelle forme descritte nell'art. 612 bis cod. pen.
Ed è già stato evidenziato, da questa Corte, come il delitto di atti persecutori possa configurarsi anche nel caso in cui il mero corteggiamento trasmodi in presenza di approcci ed avances anche non minatori, che, però, per la loro reiterazione, frequenza e durata nel tempo, o anche per il loro tenore - specialmente se connotati da espliciti riferimenti sessuali - e per essere indirizzati a persona non legata sentimentalmente a chi li invii, o, infine, per le particolari condizioni della vittima - ad esempio, se minorenne o legata sentimentalmente ad altra persona - siano logicamente ritenuti, dal giudice del merito, molesti ed idonei a provocare, in chi li riceva, un perdurante stato di ansia o, addirittura, la modifica delle sue abitudini di vita (sul punto si vedano, ad esempio: Sez. 5, n. 45453 del 03/07/2015, Rv. 265506-01, in un caso in cui l'agente soleva seguire la vittima ed indirizzarle frasi d'amore; Sez. 5, n. 4728 del 09/12/2019, dep. 2020, Rv. 278296-01, in ipotesi di apprezzamenti, anche di natura sessuale, rivolti a minore; Sez. 5, n. 32813 del 13/05/2022, non massimata, in un caso in cui l'imputato si era limitato a inviare "messaggi contenenti frasi d'amore, e-mail contenenti disegni o frasi di canzoni" e ad effettuare "chiamate non gradite").
Nella fattispecie in esame, in modo congruo e logico, i giudici del riesame hanno evidenziato che la condotta dell'indagato, posta in essere, peraltro, in epoca prossima alla scarcerazione, ha ingenerato nella persona offesa un grave stato di ansia e di paura, tanto più che la stessa condotta è stata reiterata nonostante "i plurimi tentativi compiuti dagli operatori del carcere di farlo desistere dai propri intenti" (pag.4).
La censura difensiva, nella parte in cui si duole della mancata definizione della linea di demarcazione fra corteggiamento e stalking, omette di considerare le circostanze di contesto in cui la condotta è stata posta in essere – avuto riguardo al luogo e tempo della stessa e alla posizione assunta dalla persona offesa in ragione della sua qualifica e status professionale, in quanto direttrice della Casa circondariale nella quale il ricorrente si trovava detenuto per espiazione di pena- ed il dato della reiterazione della stessa condotta, posta in essere con modalità ossessive (si pensi all'inoltro della missiva contenente un capello della persona offesa) nonostante l'esplicita manifestazione di non gradimento e rifiuto da parte della destinataria.
2.È inammissibile il secondo motivo con cui la difesa si duole dell'illogicità della motivazione in punto di effettuata valutazione delle esigenze cautelari.
Il Tribunale ha valutato, in modo congruo ed immune da vizi, le esigenze cautelari ritenute sussistenti in considerazione del fatto che l'indagato ha manifestato, nonostante le limitazioni indotte dal suo essere ristretto in luogo di pena, ripetute attenzioni ossessive e non gradite dalla persona offesa ingenerando nella medesima un grave stato d'ansia e di paura, per di più ribadendolo anche in un periodo prossimo alla scarcerazione, non avendo esitato a manifestare la propria intenzione di mettersi anche successivamente in contatto con la suddetta in modo da "vincere le sue resistenze anche a costo di subire conseguenze di carattere penale, ad ulteriore riprova di una vera e propria irrefrenabile ossessione maturata nei confronti della donna" (pag.3 del provvedimento impugnato).
Le evidenze acquisite, attraverso l'analisi puntuale della condotta e degli elementi disvelatori della personalità dell'indagato (con precedenti per reato di violenza sessuale), danno contezza, pertanto, della sussistenza di una situazione di pericolo, in relazione al prospettato rischio di recidiva specifica, e della necessità di adozione della misura cautelare adottata.
3. È inammissibile il terzo motivo con cui l'indagato si duole della eccessività della misura applicata in quanto non proporzionata rispetto alla gravità del fatto. Il giudizio del Tribunale appare effettuato nel rispetto dei criteri di legge e dei principi di adeguatezza e proporzionalità delle misure che, a loro volta, si fondano sul principio di gradualità, essendo il ricorso alla più afflittiva misura della custodia cautelare in carcere consentito solo quando tutte le altre misure appaiono inadeguate al caso concreto. La motivazione del provvedimento impugnato ha dato conto del rispetto dei suindicati criteri essendo stato evidenziato come l'indagato, pur essendosi in precedenza ripromesso di non rivolgere più attenzioni nei confronti della direttrice, abbia tuttavia più volte reiterato le sue molestie nonché fatto riferimento al precedente penale per violenza sessuale del medesimo indagato avendolo ritenuto costituire "ulteriore indice di pericolosità del soggetto, evidentemente incline alle prevaricazione di genere". La motivazione appare esaustiva avendo indicato un complesso di indici di disvalore, sia di carattere soggettivo che oggettivo, che danno motivatamente conto dell'adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere e che le esigenze cautelari non possano essere soddisfatte con altre misure.
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 d.gs.196/2003 in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 d.gs.196/2003 in quanto imposto dalla legge.
Così è deciso, in Roma il 23 luglio 2025.
Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2025.