Subentro in una società già indebitata: rispondo io per l’IVA non pagata dal vecchio amministratore? (Cass. Pen. n. 27644/2025)
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Subentro in una società già indebitata: rispondo io per l’IVA non pagata dal vecchio amministratore? (Cass. Pen. n. 27644/2025)

Subentro in una società già indebitata: rispondo io per l’IVA non pagata dal vecchio amministratore?

Il passaggio di consegne in una società in crisi solleva una delle domande più frequenti tra imprenditori, liquidatori e professionisti: chi subentra nella carica risponde penalmente dell’IVA non versata dal precedente amministratore?

La Cassazione penale, sez. III, 3 luglio 2025, n. 27644, offre una risposta netta, aderendo alla giurisprudenza più rigorosa sull’art. 10-ter D.Lgs. 74/2000:

Sì, il subentrante può rispondere, almeno a titolo di dolo eventuale, dell’omesso versamento IVA già maturato, se accetta l’incarico senza verificare la reale posizione fiscale della società.

La decisione viene pronunciata dopo l'introduzione della nuova causa di non punibilità per crisi non imputabile (art. 13, co. 3-bis), ma la Corte chiarisce che non può operare quando la crisi è preesistente, strutturale e già cristallizzata nei bilanci.

Indice:


1. Il principio: subentri? Devi sapere cosa stai ereditando

Secondo la Corte, assumere la carica di amministratore comporta un onere minimo di verifica:

  • i bilanci,

  • la dichiarazione IVA,

  • l’attestazione dei versamenti,

  • la posizione debitoria verso l’Erario.

Non è necessario un audit approfondito, ma sufficiente un controllo “puro contabile”, ovvero, chiedere e visionare la documentazione fiscale essenziale.

Se questo controllo manca, il nuovo amministratore accetta consapevolmente il rischio derivante dalle pregresse omissioni.

Da qui il dolo eventuale, chi subentra si espone volontariamente alle conseguenze delle inadempienze pregresse.

Nella sentenza in argomento, la Corte richiama precedenti consolidati: Gianotti, Alfieri, Decataldo, Rossetti.

Tutti convergono sulla stessa idea: chi accetta la carica senza verificare i debiti fiscali si assume il rischio penale dell’omesso versamento IVA.


2. La crisi non “assolve”: se è strutturale e già nota, non è una causa non imputabile

Il ricorrente sosteneva che la società fosse travolta da una crisi di liquidità non transitoria, aggravata da:

  • revoca del fido,

  • insoluti dei clienti,

  • crisi settoriale,

  • necessità di garantire continuità aziendale.

Secondo la difesa, la nuova causa di non punibilità (art. 13, co. 3-bis D.Lgs. 74/2000) avrebbe imposto un diverso esito.

La Corte ribalta completamente la prospettiva difensiva.

In primo luogo, afferma che la crisi deve essere sopravvenuta, non pregressa.

Nel caso esaminato, la crisi durava dal 2012, era documentata nei bilanci, comprendeva un debito IVA 2015 di oltre 835.000 euro già iscritto e noto, risultava aggravata e non coglibile come “evento imprevedibile”.

Una crisi preesistente non può mai diventare causa di non punibilità.

In secondo luogo, ad avviso della Corte, "non imputabile” significa non dipendente da scelte imprenditoriali

Nel caso di specie, il mancato versamento dell’IVA era frutto di una strategia aziendale:

  • pagamento prioritario di fornitori e dipendenti;

  • utilizzo dell’IVA come leva di finanziamento interno;

  • mancato accantonamento.

La Corte ribadisce che ciò esclude la forza maggiore e conferma il dolo.


3. Subentro e responsabilità penale: la linea di confine

La decisione definisce con precisione quando il subentrante risponde penalmente.

Risponde del reato di omesso versamento IVA se:

  • subentra dopo la dichiarazione IVA ma prima della scadenza del versamento;

  • non verifica la documentazione contabile e fiscale;

  • conosce o dovrebbe conoscere il debito (anche solo perché emerge dal bilancio);

  • mantiene la struttura aziendale pagando altri debiti ma non l’Erario;

  • non attiva strumenti deflattivi o concorsuali utili a gestire il debito.

In queste condizioni, il dolo eventuale è integrato.

Viceversa, potrebbe non rispondere se:

  • il debito antecedente non era conoscibile nemmeno con il controllo minimo;

  • la crisi finanziaria è sopravvenuta, improvvisa e imprevedibile;

  • dimostra di aver adottato tutte le misure ragionevolmente esigibili;

  • l’insoluto è fisiologico (percentuali minime, non come nel caso di specie);

  • partecipa tempestivamente a procedure concorsuali o accordi.


4. La continuità aziendale non giustifica la scelta di sacrificare l’IVA

La Corte affronta, poi, un tema frequente nella prassi.

Molti amministratori, trovando una società in dissesto, privilegiano dipendenti, fornitori e investitori, rimandando l’IVA “in attesa di tempi migliori”.

La Cassazione condanna questa logica, e ciò in quanto, privilegiando altri creditori rispetto all’Erario, l’amministratore compie una scelta imprenditoriale consapevole che integra il dolo dell’omesso versamento.


5. La sentenza integrale

Cassazione penale sez. III, 03/07/2025, (ud. 03/07/2025, dep. 28/07/2025), n.27644

RITENUTO IN FATTO


1. Con sentenza del 25/10/2021, il Tribunale di Bologna condannava Da.St. alla pena di mesi sei di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all'art. 10-ter D.Lgs. n. 74 del 2000, perché, in qualità di legale rappresentante della società "Grant Spa", ometteva di versare, entro il 27/12/2017 (termine previsto per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo), l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione d'imposta 2016, per un importo di Euro 728.233,00, applicando le pene accessorie di legge e concedendo il beneficio della sospensione condizionale della pena.


Con sentenza del 19/09/2024, la Corte di appello di Bologna confermava la sentenza di primo grado.


2. Avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, Da.St., tramite i difensori, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando cinque motivi.


2.1. Con il primo motivo, la difesa lamenta contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen. in merito alla ritenuta configurazione dell'elemento soggettivo di cui all'art. 10-ter D.Lgs. n. 74 del 2000.


Deduce la difesa che gli argomenti difensivi prospettati al Tribunale prima e alla Corte di appello poi avrebbero dovuto essere oggetto di una più articolata motivazione, vale a dire a) il ricorrente era intervenuto nel Consiglio di amministrazione della società solo a fine marzo del 2017, in seguito alla appropriazione di ingenti somme di denaro da parte del precedente amministratore; b) il ricorrente aveva, dunque, assunto la carica di amministratore dopo la presentazione della dichiarazione IVA; c) seppure la revoca del fido bancario era intervenuta in un momento sovrapponibile rispetto al suo ingresso nel Consiglio di amministrazione, il ricorrente poteva avvedersi della profonda crisi di liquidità in cui versava la società solo dopo aver assunto effettivamente la carica; d) la società versava, infatti, in una crisi di liquidità già nei pregressi anni, determinata da una serie di fattori, tra i quali la crisi economica che interessava il mercato a livello sia nazionale che internazionale; e) l'impossibilità di addebitare al ricorrente la crisi in cui versava la società; f) il ricorrente aveva posto in essere ogni azione umanamente esperibile per una inversione di tendenza che potesse consentirgli, in caso di esito positivo, di adempiere alle obbligazioni tributarie, vale a dire la ricerca di una nuova linea stilistica, la vendita dell'immobile dove insistevano gli impianti produttivi, l'ottenimento di un flusso di liquidità attraverso collaborazioni con altre imprese, g) dall'ingresso del ricorrente nel Consiglio di amministrazione era stato registrato un netto miglioramento della posizione fiscale della società.


Deduce, quindi, la difesa che le misure adottate dal ricorrente forniscono la prova che l'inadempimento dell'obbligo tributario sia derivato da fatti a lui non imputabili, richiamando recente giurisprudenza di legittimità (pronunce 30532 e 41238 del 2024) che ha rinvenuto un riscontro nel nuovo comma 3-bis dell'art. 13 D.Lgs. n. 74 del 2000 che ha previsto una ulteriore causa di non punibilità per i reati di cui agli artt. 10-bis e 10-ter D.Lgs. n. 74 del 2000 se il fatto dipende da cause non imputabili all'autore sopravvenute all'effettuazione delle ritenute o all'incasso dell'imposta sul valore aggiunto, valorizzando la crisi non transitoria di liquidità e la non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi. Per cui la Corte territoriale avrebbe dovuto argomentare sulle condotte alternative esigibili che il ricorrente avrebbe dovuto tenere per arrivare all'adempimento dei debiti tributari oppure illustrare per quale motivo le azioni esperite fossero ritenute inadeguate allo scopo prefissato.


2.2. Con il secondo motivo, la difesa lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen. in merito al difetto dell'elemento soggettivo di cui all'art. 10-ter D.Lgs. n. 74 del 2000 e, comunque, mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen.


Osserva la difesa che la Corte di appello ha affermato la responsabilità del ricorrente sulla base dell'orientamento secondo cui il soggetto che subentra quale nuovo amministratore dopo la dichiarazione IVA e prima della scadenza rilevante a fini penalistici risponde del reato di omesso versamento IVA quantomeno a titolo di dolo eventuale qualora non adempia all'obbligo di versamento tributario, senza considerare che il ricorrente non aveva potuto materialmente far fronte ai versamenti per una drammatica crisi di liquidità a lui non imputabile e non transitoria, nonostante le condotte riparatorie tentate nel poco tempo a disposizione, così conseguendo l'inesigibilità di condotte alternative e senza considerare altresì che non gli era stata contestata l'omissione di un "previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali".


In particolare, tra le misure volte al superamento della crisi, la difesa richiamava il pagamento in data 17/10/2017 delle ritenute previdenziali per i dipendenti e l'appostamento a bilancio nel 2015 e nel 2017 di un accantonamento in caso di mancato pagamento delle imposte, elementi che dimostrano la volontà di adempiere agli obblighi tributari e sono, quindi, incompatibili con il requisito volitivo dell'elemento psicologico del reato.


Lamenta, inoltre, la difesa che il ricorrente sarebbe chiamato a rispondere di una responsabilità penale colposa "da posizione", posto che a) il ricorrente aveva assunto la carica di amministratore successivamente alla dichiarazione IVA, b) in quel momento la società versava in una condizione di crisi di liquidità, c) a fronte di tale crisi, il ricorrente aveva adottato tutte le misure esigibili, d) le misure adottate, pur avendo comportato un miglioramento della situazione della società, non erano state sufficienti per consentire l'adempimento degli obblighi tributari.


2.3. Con il terzo motivo, la difesa lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen. in merito al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 13, comma 3-bis, D.Lgs. n. 74 del 2000 e carenza della motivazione ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen.


Osserva la difesa che la Corte territoriale ha escluso il riconoscimento della invocata causa di non punibilità di cui all'art. 13, comma 3-bis, D.Lgs. n. 74 del 2000, ritenendo non sussistente l'elemento della sopravvenienza della crisi aziendale, attraverso l'utilizzo di un'accezione in senso oggettivo del concetto di "crisi sopravvenuta", non considerando una interpretazione in senso soggettivo di tale concetto, dal momento che il ricorrente, pur intervenendo in un momento successivo rispetto all'ipotizzato incasso dell'IVA, non aveva contezza della drammaticità della situazione che la società stava attraversando e, ciononostante, dopo l'assunzione dell'incarico, ha intrapreso ogni azione possibilmente esperibile nei pochi mesi di attività per tentare una inversione di tendenza che consentisse il versamento degli oneri tributari, avvedendosi nel corso dei mesi della non transitorietà della crisi di liquidità.


Lamenta, pertanto, che la motivazione della Corte territoriale è del tutto carente in proposito, non tenendo in considerazione le argomentazioni difensive volte a dimostrare la concreta impossibilità di far fronte agli obblighi di versamento per la situazione di crisi dell'impresa.


2.4. Con il quarto motivo, la difesa lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen. in merito al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 13, comma 3-ter, D.Lgs. n. 74 del 2000 e 131-bis cod. pen. e carenza della motivazione ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen.


Osserva la difesa che la Corte di merito ha rigettato la richiesta di riconoscimento della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto di cui all'art. 13, comma 3-ter, D.Lgs. n. 74 del 2000, in ragione dell'elevatissimo importo del debito IVA, senza considerare che la valutazione inerente all'entità del danno o del pericolo non è da sola sufficiente a fondare o escludere il giudizio di marginalità del fatto, dovendosi operare una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, in particolare del ruolo marginale dell'imputato (la dichiarazione fiscale era stata presentata dall'amministratore che lo aveva preceduto), dei concreti ed effettivi tentativi di risollevare la situazione finanziaria della compagine societaria ed anche della situazione di crisi che è espressamente prevista dalla nuova norma quale indice valutabile anche in modo prevalente.


2.5 Con il quinto motivo, la difesa lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen. in merito alla mancata individuazione della pena base nel minimo edittale in base ai criteri di cui all'art. 133 cod. pen., nonché al mancato riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale di cui all'art. 175 cod. pen. e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen.


Osserva la difesa che la Corte territoriale ha individuato la pena base al di sopra del minimo edittale e non ha riconosciuto il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale solo in ragione del rilevante importo degli oneri non versati, senza dare rilievo prioritario alla intensità del dolo, così applicando erroneamente i criteri di cui all'art. 133 cod. pen., avendo il ricorrente adottato una serie di misure volte al miglioramento delle condizioni della società e, dunque, a reperire le risorse necessarie per l'adempimento dell'obbligo tributario.


Lamenta, inoltre, la difesa che la motivazione della Corte territoriale è viziata per manifesta illogicità nella parte in cui non assolve l'onere motivazionale di spiegare sulla base di quali ragioni sia stato escluso il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale a fronte del riconoscimento della sospensione condizionale della pena e dell'orientamento giurisprudenziale secondo il quale, nel caso di concessione di uno solo dei benefici, devono essere esposte le ragioni per le quali gli elementi valutabili favorevolmente per la concessione dell'uno non siano meritevoli di fondare la concessione dell'altro beneficio.


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il primo e il secondo motivo di ricorso, esaminabili congiuntamente poiché incentrati sul difetto dell'elemento soggettivo del reato, sono infondati.


Sostiene in sintesi la difesa che la Corte territoriale non ha valutato una serie di argomenti difensivi a sostegno del difetto dell'elemento soggettivo in capo al ricorrente, in particolare la non imputabilità a quest'ultimo della crisi di liquidità non transitoria, avendo il ricorrente assunto la carica di amministratore successivamente alla presentazione della dichiarazione IVA ed avendo adottato tutte le misure esigibili che, pur generando un miglioramento, non avevano consentito il pagamento degli obblighi tributari, nonché la non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi.


1.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di reato di omesso versamento dell'IVA (Sez. 3, n. 23796 del 29/05/2019, Rv. 275967), la colpevolezza del contribuente non è esclusa dalla crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrata la non addebitabilità all'imputato della crisi economica che ha investito l'impresa e non siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo e, nel caso in cui l'omesso versamento dipenda dal mancato incasso dell'IVA per altrui inadempimento, non siano provati i motivi che hanno determinato l'emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo. L'omesso versamento dell'IVA dipeso dal mancato incasso per inadempimento dei propri clienti non esclude la sussistenza del dolo generico richiesto dall'art. 10-ter D.Lgs. n. 74 del 2000, atteso che l'obbligo del versamento prescinde dall'effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore è riconducibile all'ordinario rischio di impresa (Sez. 3, n. 33430 del 16/06/2023, Schirosi, non mass.).


Dunque, sotto il profilo psicologico, secondo la giurisprudenza, nel reato di omesso versamento di Iva (art. 10-ter D.Lgs. n. 74 del 2000), ai fini dell'esclusione della colpevolezza, è irrilevante il mancato incasso dei crediti per inadempimento contrattuale e la conseguente crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, atteso che l'obbligo del predetto versamento prescinde dall'effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore è riconducibile all'ordinario rischio di impresa, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi (Sez. 3, n. 27202 del 19/05/2022, Natale, Rv. 283347; Sez. 3, n. 6506 del 24/09/2019, dep. 2020, Rv. 278909; Sez. 3, n. 2614 del 21/01/2014, Rv. 258595).


Nella fattispecie, la Corte territoriale, la cui decisione si salda con la sentenza di primo grado in unico corpo motivazionale ricorrendo una ipotesi di doppia conforme, ha, senza vizi logici, evidenziato, contrariamente a quanto rappresentato nei motivi di ricorso, che al ricorrente erano ben noti i dati contabili e i bilanci, sicchè, considerato che il debito IVA era elevatissimo (non era stato neanche pagato il debito IVA di 835.115,00 Euro relativo al precedente anno di imposta 2015) e che una delle due banche aveva revocato il fido, non fosse possibile sostenere che il ricorrente, al momento dell'assunzione dalla carica, potesse confidare fondatamente sull'adempimento degli obblighi tributari relativi all'anno di imposta 2016 alla scadenza del 27/12/2017. Né, prosegue la Corte territoriale, i tentativi posti in essere dall'imputato per risollevare le sorti societarie, quali il tentativo di reperire soggetti che rilevassero o finanziassero la società o il tentativo di vendita dell'immobile dove insistevano gli impianti produttivi avrebbero potuto condurre a diverse conclusioni, trattandosi di tentativi caratterizzati da pura eventualità.


L'affermazione dei giudici di secondo grado si pone in sintonia con i principi affermati da questa Corte, secondo i quali "risponde del reato di omesso versamento di IVA (art. 10-ter, D.Lgs. 74 del 2000), quanto meno a titolo di dolo eventuale, il soggetto che, subentrando ad altri nella carica di amministratore o liquidatore di una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, omette di versare all'Erario le somme dovute sulla base della dichiarazione medesima, senza compiere il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, in quanto attraverso tale condotta lo stesso si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze" (Sez. 3, n. 20188 del 12/02/2021, Gianotti, Rv. 281340; Sez. 3, n. 34927 del 24/06/2015, Alfieri, Rv. 264882; Sez. 3, n. 38687 del 04/06/2014, Decataldo, Rv. 260390; nello stesso senso, Sez. 3, n. 2057 del 14/11/2023, dep. 2024, Ciceri, non mass.).


1.2 Né può sostenersi, in proposito, una responsabilità da posizione di carattere "colposo", sia perché la Corte territoriale afferma che al ricorrente erano ben noti i dati contabili e i bilanci, sia in ragione della particolare semplicità delle verifiche di tipo documentale che avrebbero consentito di appurare l'incombenza dell'obbligo tributario (in tal senso, Sez. 3, n. 3636 del 09/10/2013, dep. 2014, Stocco, Rv. 259092). I casi esaminati da questa Corte di legittimità si riferiscono proprio ad omessi versamenti a fronte di dichiarazioni operate dal precedente amministratore. In quei casi, come in questo, non si verteva, cioè, in materia di debito verso l'Erario particolarmente remoto, occulto o di difficile accertamento, poiché si trattava dell'IVA dovuta sulla base dell'ultima dichiarazione e, quindi, era sufficiente, prima di assumere la carica di amministratore o di liquidatore, di chiedere in visione la dichiarazione e l'attestato di versamento all'erario dell'IVA a debito per adempiere nel termine stabilito al pagamento dell'obbligazione tributaria (del resto, in questo caso, il debito IVA era già esistente anche per il precedente anno di imposta 2015).


È stato affermato, al riguardo, che l'assunzione della carica di amministratore comporta, per comune esperienza, una minima verifica della contabilità, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi, per cui, ove ciò non avvenga, è evidente che chi subentra nelle quote e assume la carica si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze. Il nuovo amministratore, in altri termini, deve effettuare verifiche assai semplici e coincidenti con i minimi riscontri d'obbligo - quali la richiesta di visionare la documentazione fiscale - che devono essere eseguiti prima del subentro nella carica, in difetto delle quali egli accetta che vi possano essere anomalie di cui è chiamato a rispondere anche penalmente (Sez. 3, n. 36205 del 23/06/2021, Rossetti, non mass.).


A differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, è perciò ravvisabile un coefficiente psichico che anima l'agente, quantomeno nella forma del dolo eventuale, dovendosi rammentare che l'elemento soggettivo del reato di omesso versamento di IVA, previsto dall'art. 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000, è il dolo generico (Sez. 3, n. 3098 del 05/11/2015, dep. 25/01/2016, Vanni, Rv. 265939) non essendo richiesto, a differenza di altre fattispecie contemplate dall'indicato D.Lgs., anche il fine di evadere le imposte.


1.3 Risulta, inoltre, che il ricorrente aveva preferito la continuità aziendale, sacrificando l'Erario, pagando i fornitori e i dipendenti, compresi i versamenti sulle ritenute operate come sostituto d'imposta, lasciando tuttavia insoluti i debiti erariali relativi all'IVA, circostanza che la Corte di legittimità ha più volte evidenziato che, oltre ad essere prova del dolo (Sez. 3, n. 30677 del 24/06/2021, Maino; Sez. 3, n. 12906 del 13/11/2018, Canella; Sez. 3 n. 43599 del 09/09/2015, Mondini, Rv. 265262), è ostativa alla dimostrazione della sopravvenienza della impossibilità di soddisfare i crediti tributari: in tal modo, infatti, con la scelta di non pagare l'IVA dovuta, deve essere esclusa la forza maggiore, integrata da un evento imponderabile tale da annullare la signorìa del soggetto sui propri comportamenti, poiché l'omesso versamento dell'imposta è riconducibile ad una precisa scelta di politica imprenditoriale che, così operando, non assolve all'onere di ripartire le residue risorse esistenti in modo da adempiere anche al proprio debito erariale (Sez. 3, n. 38801 del 19/09/2024, Campari, non mass.).


1.4 Per altro verso, il riferimento che l'imputato aveva fatto ad azioni poste in essere al fine di reperire risorse necessarie ai pagamenti dei debiti erariali, anche con impegni personali, vale a dire la ricerca di una nuova linea stilistica, la vendita dell'immobile dove insistevano gli impianti produttivi, l'ottenimento di un flusso di liquidità attraverso collaborazioni con altre imprese, si era rivelato, secondo quanto logicamente affermato dai giudici di merito, privo di concretezza, non avendo peraltro aderito ad alcuno strumento deflattivo, avendo differito il momento di avvio delle procedure concorsuali ed avendo adoperato la pratica tipica delle imprese in crisi di liquidità di finanziarsi attraverso l'evasione delle obbligazioni fiscali (v. pag. 10 della sentenza di primo grado). Osservano sul punto i giudici di primo grado che si trattava di una politica d'impresa in essere quantomeno dall'esercizio 2015, annualità in cui la società aveva accumulato un debito IVA di 835.115,00 euro, iscritto in bilancio e, quindi, ostensibile, ancora insoluto alla data del 27/12/2016; da allora la società non aveva più pagato l'IVA, non avendo versato né quella relativa al periodo d'imposta 2016, né quella relativa al periodo d'imposta 2017, nonostante avesse aderito alla comunicazione di irregolarità del primo trimestre 2017, rateizzando un debito che non aveva onorato neppure in parte, in tal modo conformandosi alla politica d'impresa del mancato accantonamento delle somme dovute all'Erario.


1.5 Né la situazione così descritta può essere diversamente considerata alla luce di alcuni arresti della più recente giurisprudenza di legittimità che, nel ribadire che l'omesso versamento dell'iva dipeso dal mancato incasso di crediti non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall'art. 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000, trattandosi di inadempimento riconducibile all'ordinario rischio di impresa, ha tuttavia subordinato l'affermazione alla condizione che tali insoluti siano contenuti entro una percentuale da ritenersi fisiologica (Sez. 3, n. 31352 del 05/05/2021, Baracchino, Rv. 282237, la quale ha ritenuto non fisiologica una presenza di insoluti per circa il 43% del fatturato, cui era seguita una gravissima crisi di liquidità; v. anche Sez. 3, n. 19651 del 19/5/2022, Semprucci, non mass.; Sez. 3, n. 30532 del 15/07/2024, Giove, non mass.; Sez. 3, n. 41238 del 01/10/2024, Orabona, non mass.), trattandosi di "crisi aziendale conclamata che si protraeva, aggravandosi progressivamente, dall'anno 2012", dipendente non solo da fattori esogeni (crisi dei mercati di riferimento), ma anche da fattori endogeni costituiti da incapacità imprenditoriale di adeguare la produzione alle mutate condizioni di mercato (v. pag. 4 della sentenza di primo grado).


2. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.


A seguito delle modifiche normative introdotte dal D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87 ("Revisione del sistema sanzionatorio tributario, ai sensi dell'articolo 20 della legge 9 agosto 2023, n. 111"), è stato modificato l'articolo 13 del D.Lgs. n. 74 del 2000 mediante l'inserimento di un comma 3-bis, secondo cui "i reati di cui agli articoli 10-bis e 10-ter non sono punibili se il fatto dipende da cause non imputabili all'autore sopravvenute, rispettivamente, all'effettuazione delle ritenute o all'incasso dell'imposta sul valore aggiunto. Ai fini di cui al primo periodo, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell'autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi".


La Corte territoriale ha, tuttavia, escluso, senza vizi logici, la sussistenza, nel caso di specie, dei presupposti affinché possa dedursi una crisi di liquidità quale causa di non punibilità dovuta alle cause normativamente indicate, sottolineando che, come già affermato dal giudice di primo grado e sopra ricordato, trattavasi di crisi aziendale non sopravvenuta, ma conclamata e che si protraeva - aggravandosi progressivamente - dall'anno 2012, tanto che, nell'anno 2015, il Consiglio di amministrazione aveva deciso di ricercare un partner per il rilancio della società, già cumulando un debito IVA di 835.115,00 euro, iscritto a bilancio di esercizio (quindi, conoscibile), insoluto al 27/12/2016, data di scadenza dell'obbligo di pagamento.


Né può essere sostenuto che il ricorrente non fosse a conoscenza della importante crisi che stava attraversando l'azienda, in modo da impostare il concetto di sopravvenienza in chiave esclusivamente soggettiva, posto che, al di là della configurabilità di una simile impostazione, la Corte territoriale ha espressamente affermato che i dati contabili e i bilanci (in cui era appostato il debito tributario IVA relativo al periodo di imposta 2015) erano ben noti al ricorrente, precisando altresì che il dato non era stato posto in discussione dalla difesa.


In definitiva, dunque, a fronte di un percorso argomentativo privo di incongruenze motivazionali e coerente con gli indirizzi ermeneutici elaborati in questa materia, non vi è spazio per l'accoglimento delle censure difensive, volte sostanzialmente a suggerire una non consentita rilettura degli elementi probatori, dovendosi ritenere invece adeguatamente argomentate sia la sussistenza del dolo che l'esclusione della forza maggiore rispetto al mancato versamento delle ritenute. Di qui l'infondatezza delle censure difensive.


3. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.


L'art. 131-bis cod. pen. prevede la "non punibilità del fatto quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'art. 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale".


E, dunque, oltre allo sbarramento del limite edittale (la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena), la norma richiede (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione) la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento (Sez. 3, n. 5804 del 08/01/2025, Novelli; Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta)


Il primo degli "indici-criteri" (così li definisce la relazione allegata al decreto legislativo che ha introdotto l'istituto) appena indicati, ossia la particolare tenuità dell'offesa, si articola a sua volta in due "indici-requisiti" (sempre secondo la definizione della relazione), che sono la "modalità della condotta" e "l'esiguità del danno o del pericolo", da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall'articolo 133 cod. pen., (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell'azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato, intensità del dolo o grado della colpa, nonché alla luce della condotta successiva al fatto, a seguito della modifica introdotta dal D.Lgs. n. 150 del 2022).


Si richiede pertanto al giudice di rilevare se, sulla base dei due "indici-requisiti" della modalità della condotta e dell'esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui al primo comma dell'articolo 133 cod. pen. e della condotta susseguente al reato, sussista l'"indice-criterio" della particolare tenuità dell'offesa e, con questo, coesista l'"indice-criterio" della non abitualità del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.


Tanto premesso, la Corte territoriale chiarisce non irragionevolmente che, nonostante l'imputato si fosse prodigato per risollevare le sorti aziendali, l'istituto invocato ex art. 131-bis cod. pen. non fosse applicabile, ostandovi l'elevatissimo importo del debito IVA non ottemperato, notevolmente distante dalla soglia di punibilità e dalla nozione di particolare tenuità del fatto, preclusivo della causa di non punibilità, rendendo insussistente l'"indice-criterio" della particolare tenuità dell'offesa, rispetto al quale è da considerarsi recessiva la condotta posta in essere dal ricorrente subito dopo l'assunzione della carica di amministratore della società, per cui la doglianza deve considerarsi per questa parte meramente riproduttiva di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con argomenti giuridici corretti dalla Corte territoriale, non evidenzianti profili di illogicità della motivazione.


Deve, infatti, essere ricordato che, con riferimento ai reati tributari caratterizzati dalla soglia di punibilità, è stato ritenuto che il superamento della soglia in misura pari all'11%, ma anche lievemente inferiore al 10% dell'importo rilevante esclude l'applicabilità dell'art. 131-bis cod. pen. (Sez. 3, n. 1227 del 20/11/2024, dep. 2025, Chindemi, Rv. 287465; Sez. 3, n. 16599 del 20/02/2020, Latorre, Rv. 278946), con la conseguenza, in definitiva, che, solo in presenza di uno scostamento di poco superiore rispetto alla soglia, può procedersi alla valutazione dei restanti parametri (Sez. 3, n. 14212 del 17/12/2024, dep. 2025, Tavolazzi, non mass.).


Pertanto, anche alla luce del sopravvenuto art. 13, comma 3-ter, D.Lgs. n. 74 del 2000, aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. f), n. 3, D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87 ("ai fini della non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis cod. pen., il giudice valuta, in modo prevalente, uno o più dei seguenti indici: a) l'entità dello scostamento dell'imposta evasa rispetto al valore soglia stabilito ai fini della punibilità; b) salvo quanto previsto dal comma 1, l'avvenuto adempimento integrale dell'obbligo di pagamento secondo il piano di rateizzazione concordato con l'amministrazione finanziaria; c) l'entità del debito tributario residuo, quando sia in fase di estinzione mediante rateizzazione; d) la situazione di crisi ai sensi dell'art. 2, comma 1, lettera a), del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, di cui al D.Lgs. n. 14 del 2019"), deve ritenersi che lo scostamento significativo dalla soglia di punibilità precluda la configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ove venga ritenuto motivatamente prevalente rispetto agli altri, come rilevato dalla sentenza impugnata. Di qui la manifesta infondatezza della doglianza sul punto.


4. Il quinto motivo di ricorso è infondato.


4.1 La graduazione del trattamento sanzionatorio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., sicché nel giudizio di cassazione è comunque inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, Cicciù, Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, Pacchiarotti, Rv. 255825; da ultimo v. Sez. 2, n. 1929 del 16/12/2020, dep. 2021, Cipollini, non mass.), evenienza questa non ricorrente nel caso di specie, avendo la Corte distrettuale, non illogicamente, condiviso il procedimento di calcolo del giudice di primo grado, precisando la congruità della l'individuazione della pena base in modo comunque non lontano dall'invocato minimo edittale, essendo stato in tal modo esaustivamente riconosciuto l'impegno profuso dall'imputato nel tentativo di risollevare le sorti aziendali e, nel contempo, considerato l'elevatissimo importo evaso. Pertanto, in presenza di un apparato argomentativo non irrazionale, né frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, non vi è spazio per l'accoglimento delle obiezioni difensive, che sollecitano differenti apprezzamenti di merito che non possono trovare ingresso in sede di legittimità.


4.2 È infondata anche la doglianza inerente alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.


Occorre sul punto ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, li beneficio della non menzione, fondato sul principio dell'"emenda", essendo finalizzato a favorire il processo di recupero morale e sociale del condannato mediante l'eliminazione della pubblicità quale particolare conseguenza negativa del reato, richiede per la sua applicazione, secondo quanto disposto dall'art. 175 cod. pen., un apprezzamento discrezionale del giudice sulla base di una valutazione delle circostanze di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. 5, n. 46826 del 26/09/2024, Siringul, Rv. 287324; Sez. 3, n. 37152 del 16/7/2013, Maraschioni; Sez. 4, n. 34380 del 14/7/2011, Allegra, Rv. 251509), senza che sia peraltro necessaria una specifica e dettagliata esposizione delle ragioni della decisione (Sez. 2, n. 1 del 15/11/2016, dep.2017, Cattaneo, Rv. 268971), mentre la sospensione condizionale della pena ha l'obiettivo di sottrarre alla punizione il colpevole che presenti possibilità di ravvedimento e di costituire, attraverso la possibilità di revoca, un'efficace remora ad ulteriori violazioni della legge penale.


Non è dunque in sé contraddittorio il diniego di uno dei due benefici e la concessione dell'altro (Sez. 3, n. 56100 del 09/11/2018, M., Rv. 274676; Sez. 3, n. 51580 del 18/09/2018, M., Rv. 274106).


È stato, tuttavia, affermato che la sentenza con cui venga concesso uno solo tra i benefici della sospensione condizionale della pena e non menzione della condanna deve indicare le ragioni per le quali gli elementi valutati in senso favorevole per la concessione dell'uno non siano meritevoli di fondare la concessione dell'altro oppure indicare altri elementi di segno contrario alla concessione del beneficio negato (Sez. 4, n. 32963 del 04/06/2021, Fusari, Rv. 281787).


Nel caso di specie, mentre il Tribunale ha riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale della pena, in ragione della incensuratezza dell'imputato, del comportamento processualmente corretto e, specialmente, della assunzione della carica amministrativa in un momento successivo a quello di maturazione del debito erariale, in cui la società era in pieno dissesto, la Corte territoriale ha negato il riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, tenuto conto dell'elevatissimo importo dell'IVA non versata.


Si tratta di valutazione che la Corte territoriale, investita di pieni poteri cognitivi e decisori, ha correttamente assunto ed adeguatamente motivato, senza incorrere nel vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, avendo spiegato come proprio l'elevato importo dell'IVA non versata fosse ostativo all'eliminazione della pubblicità del reato commesso.


5. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 3 luglio 2025.


Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2025.


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