Truffa: che cos’è e quando si configura il reato previsto dall'art. 640 c.p.
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Truffa: che cos’è, qual è la pena e quando si configura il reato previsto dall'art. 640 c.p.

1. Che cos'è il reato di truffa?

L’art. 640 c.p., previsto al capo II del libro II del Codice Penale tra i “delitti contro il patrimonio mediante frode”, disciplina il reato di truffa. 

La truffa ex art. 640 c.p. è un reato comune e, in quanto tale, può essere commesso da chiunque ponga in essere la condotta descritta dalla norma. 

La fattispecie incrimina chiunque, inducendo taluno in errore mediante artifici o raggiri, procuri a sé o ad altri un ingiusto profitto, a cui corrisponde il danno di colui che subisce l’indebita sottrazione patrimoniale. 

Si ritiene unanimemente che la truffa sia un reato plurioffensivo: nonostante si trovi nel codice penale tra i delitti contro il patrimonio, il bene giuridico che la norma incriminatrice tutela non si esaurisce nel patrimonio della vittima del reato, poiché ad essere pregiudicata dal delitto di truffa è anche la capacità di libera e autonoma scelta del destinatario, una volta che sia indotto artificiosamente in errore dall’autore del reato. 

La condizione di errore in cui la vittima del reato di truffa viene tratta rende tale reato possibile solo a condizione che il soggetto passivo del reato (quindi, la vittima) cooperi, anche se la sua volontà risulta condizionata dall’errore o dall’inganno: sicché la truffa viene comunemente inquadrata tra i reati c.d. “a cooperazione artificiosa della vittima” poiché giammai si verificherebbe l’evento di danno se la vittima non prestasse la propria collaborazione, ancorché inconsapevolmente, alla realizzazione del fine perseguito dal soggetto che realizza la condotta vietata dall’art 640 c.p.  

In forza di questi presupposti, per esempio, commette il reato di truffa chi, fingendo un coinvolgimento sentimentale, induce taluno a compiere atti di disposizione patrimoniale in proprio favore (si pensi all’acquisto di un immobile), con l’inganno di un imminente progetto di vita comune ma, poi, una volta realizzato il proprio scopo di lucro, lo abbandoni (a tal proposito si veda la sentenza della Corte di Cassazione del 6 giugno 2019, n. 25165). 

Che cos'è

1.2. Qual è la pena?

L’art. 640 c.p., al I comma, prevede per la fattispecie semplice di truffa la pena della reclusione da sei mesi a tre anni unitamente ad una multa che oscilla da un importo minimo di €51 ad un importo massimo di €1.032. 

Il comma 2 dell’art. 640 c.p. prevede, invece, pene più severe in relazione alle fattispecie aggravate di truffa: in tali ipotesi la reclusione va da uno a cinque anni mentre la sanzione pecuniaria (cioè la multa) da €309 ad €1.549.

Qual è la pena
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1.3 Quando si realizza: induzione in errore, ingiusto profitto, danno patrimoniale.

Non si verifica il delitto di truffa se l’autore del reato non pone in essere atti di raggiri o artifici volti a trarre in errore o in inganno la vittima. 

L’art. 640 c.p. non specifica in cosa debbano consistere gli artifici o i raggiri ma si limita ad indicare quali effetti debbano produrre sulla vittima di truffa: è ormai pacifico che l’artificio consista in qualsivoglia forma di espediente che alteri la percezione della realtà da parte della vittima e che il raggiro consista in qualsiasi, purché ingannatoria, modalità di manipolazione del soggetto. In forza di ciò, si ritiene che il reato di truffa sia un reato a forma vincolata: si realizza solo a condizione che il soggetto ricorra alle modalità (i raggiri o gli artifici) descritte dall’art. 640 c.p.

L’induzione in errore o in inganno del soggetto passivo del reato che ne consegue costituisce l’elemento che qualifica tale fattispecie incriminatrice. Come ribadito dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza 27 aprile 2007 n. 16568, ciò che identifica il delitto di truffa – e lo distingue da altre figure di reato affini – è l’induzione in errore che si verifica nel momento in cui il soggetto che tiene il comportamento vietato prospetta a taluno, al fine di convincerlo a realizzare atti di disposizione del proprio patrimonio, una falsa rappresentazione della realtà. Lo stato di induzione in errore, quale elemento costitutivo della fattispecie di truffa, deve essere oggetto di uno specifico e approfondito accertamento da parte del giudice di merito perché, qualora non dovesse sussistere, verrebbe meno lo stesso delitto di truffa.

Il soggetto che realizza il delitto di truffa tende al fine di procurare a sé (o ad altri) un ingiusto profitto. Per ingiusto profitto di cui all’art. 640 c.p. s’intende un’utilità di qualsivoglia natura che al soggetto (o a chi per esso) non spetterebbe. L’indebita apprensione di un profitto da parte del soggetto agente provoca un consequenziale danno a chi lo subisce, come espressamente si legge nel comma I dell’art. 640 c.p. Secondo la giurisprudenza costante, il danno subito dalla vittima di truffa deve necessariamente consistere in una diminuzione patrimoniale e non può avere altra natura. 

Si realizza, quindi, il delitto di truffa previsto dall’art. 640 c.p. se il soggetto agente percepisce un’indebita utilità che provoca uno speculare danno al patrimonio della vittima.

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1.4 Momento consumativo.

La truffa è tradizionalmente ritenuta un reato istantaneo e di danno. Ciò significa che si realizza nel momento in cui la vittima pone in essere l’atto di disposizione patrimoniale in favore dell’autore del raggiro o dell’artificio. Giova specificare che, qualora lo stesso soggetto, ricorrendo a più e diversi inganni, si faccia consegnare dalla stessa vittima più somme di denaro (o altre utilità) in tempi e in luoghi diversi, non si configura un’unica condotta criminosa ma si realizzano più reati di truffa. Il momento in cui si consuma il reato di truffa coincide, quindi, con il momento in cui si verifica l’effettivo pregiudizio economico per la vittima. 

Se mancano la verificazione del danno patrimoniale per la vittima e il ricavo del profitto da parte dell’autore della condotta, il reato di truffa resta confinato allo stadio del tentativo.

In base a questo principio, nell’ambito della cd. truffa contrattuale, il reato si consuma non nel momento in cui il contratto sia stato stipulato per effetto degli artifici o raggiri, ma nel momento in cui al contratto si sia data esecuzione: deve, pertanto, ritenersi realizzata la truffa al momento della diminuzione del patrimonio della vittima e, specularmente, del conseguimento del relativo profitto da parte dell’autore del reato. 

Può capitare che l’atto di sottrazione patrimoniale non si realizzi in un unico momento ma sia dilazionato nel tempo: è l’ipotesi che da un unico accordo negoziale, ottenuto raggirando la controparte (nonché vittima), discendano plurimi atti di distrazione patrimoniale. Secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza, in ipotesi cd. truffa ad evento frazionato, la consumazione del reato coincide con il momento in cui la vittima pone in essere il primo della serie di atti dispositivi del proprio patrimonio. È in quel momento che si realizza compiutamente il reato di truffa.

Si ritiene, però, possibile che talvolta la fattispecie di truffa assuma la configurazione di un reato a consumazione prolungata: ogni volta che, mediante un’unica condotta di raggiro, il profitto consista in un’erogazione distribuita nel tempo (ad esempio, a cadenza mensile), il momento consumativo del reato di truffa coincide con il momento in cui è stata eseguita l’ultima prestazione, a condizione che la condotta di frode che ha originato il danno e il profitto resti unica (altrimenti si configurano tanti reati di truffa quante sono le frodi che hanno indotto di volta in volta la vittima in inganno).

Si faccia il caso di una frode pensionistica: un soggetto che abbia tratto in inganno l’ente previdenziale e risulti beneficiario dell’accredito pensionistico, erogato alla fine di ogni mese, sarà responsabile del reato di truffa aggravata: il momento di consumazione si individua all’atto del versamento dell’ultimo rateo pensionistico (e, quindi, nella data di cessazione dei pagamenti). 

1.5 Circostanze aggravanti (art. 640 co. 2 c.p.)

Il comma 2 dell’art. 640 c.p. prevede un aumento sanzionatorio – la reclusione da uno a cinque anni e una multa da €309 a €1.549 – per le ipotesi in cui si realizzi una delle seguenti circostanze aggravanti:

  1. se il fatto è commesso ai danni dello Stato o di un altro ente pubblico (o con il pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare).

Se il soggetto passivo (e cioè la vittima) del reato di truffa dovesse essere un ente pubblico e, pertanto, dovesse verificarsi che il soggetto agente (cioè, colui che pone in essere il comportamento sanzionato) lucri un indebito profitto ai danni delle casse pubbliche, rappresentando una realtà distorta, la pena sarà aumentata della misura indicata.

Si ponga il caso di un dirigente medico che attesti falsamente la sua presenza all’Ospedale (il fenomeno del cd. “fraudolento assenteismo” o dei cd. “furbetti del cartellino” ultimamente in cima alle cronache giudiziarie). La Pubblica Amministrazione subisce un danno di carattere patrimoniale derivante dalla mancata erogazione della prestazione lavorativa da parte del dirigente: il medico ha conseguito un profitto ingiusto consistente nel ricavo di maggior tempo libero dal lavoro mentre, al contempo, l’amministrazione ha subito un danno ai sensi dell’art. 640 c.p. e ciò in quanto la (mancata) prestazione lavorativa del medico ha valore patrimoniale. In questo caso, secondo la Corte di Cassazione (sentenza dell’8 luglio 2019, n. 29628), il medico commette il reato di truffa aggravata ai sensi del numero 1, comma 2, dell’art. 640 c.p. 

  1. se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dover eseguire un ordine dell’Autorità.

Si tratta della cd. truffa vessatoria: qualora il soggetto agente prospetti alla vittima l’eventualità che corra un pericolo – che non sussiste in realtà – nell’ipotesi in cui non ceda alle richieste avanzate, si realizza la circostanza aggravante prevista dal comma II, numero 2, dell’art. 640 c.p. 

È il caso, ad esempio, di chi millanta di poter prevenire gravi malattie ricorrendo a rituali di magia: ingenerare il pericolo immaginario di una grave malattia al fine di convincere il soggetto a sottoporsi a pratiche di prevenzione a pagamento integra il delitto di truffa aggravata ai sensi del comma II, numero 2, dell’art. 640 c.p.

Soggiace alla stessa pena colui che convinca o induca la vittima di truffa a corrispondergli un’utilità rappresentandole il dovere di eseguire l’ordine disposto da un’autorità (ad esempio, l’autorità giudiziaria). 

Si ipotizzi, ad esempio, che un soggetto si trasvesta da Carabiniere e si presenti alle porte di un’abitazione privata esponendo un (falso) ordine di perquisizione domestica. Si immagini, poi, che il soggetto, intento ad eseguire la (falsa) perquisizione, sottragga alla vittima una consistente cifra di denaro e i preziosi gioielli custoditi nella cassaforte aperta dalla vittima stessa alla richiesta dei presunti pubblici ufficiali. Questa vicenda, realmente verificatasi, è stata il presupposto di un’importante sentenza con cui la Corte di Cassazione ha chiarito la distinzione tra il delitto di truffa aggravata ai sensi del comma 2, numero 2, dell’art. 640 c.p. e il delitto di estorsione di cui all’art. 629 c.p. Se la richiesta alla vittima si accompagna ad una minaccia o all’esercizio di violenza, si configura senz’altro il più grave reato di estorsione; quando l’autore del reato di truffa, invece, si limita ad esibire un falso ordine dell’Autorità al fine di trarre in inganno il destinatario, la Cassazione ritiene che si configuri la truffa aggravata ai sensi del numero 2, II comma, dell’art. 640 c.p., se il soggetto lascia credere che l’ordine non dipenda da lui ma da un altro organo. Si configura, però, il reato di estorsione tutte le volte in cui l’autore del reato faccia sembrare che sia stato lui ad emettere l’ordine e che sia sempre lui ad avere l’obbligo di eseguirlo. 

Qual è, quindi, la differenza tra truffa aggravata ed estorsione? 

Nel primo caso, l’autore della truffa paventa alla vittima un falso pericolo che dipende da terzi (e non da sé, quindi) così da trarla in errore. Nel secondo caso, il danno è minacciato dall’autore del reato stesso, sicché la vittima ha la percezione che, se non cede alle pretese, il danno si verificherà certamente ed immediatamente, perché dipende unicamente dalla volontà dell’autore del reato.   

2-bis. se il fatto è commesso in presenza della circostanza aggravante di cui all’art. 61 numero 5 c.p.;

L’art. 61 c.p. al numero 5) stabilisce che la pena per la truffa commessa è aggravata se l’autore del reato ha approfittato volontariamente di condizioni (di tempo, ad esempio a notte fonda, di luogo, come Internet, o inerenti alla persona, come ad esempio l’età) che non abbiano consentito (o abbiano limitato) le possibilità di difesa della vittima: è la circostanza aggravante della cd. minorata difesa. 

Per esemplificare, si pensi ad una truffa commessa ai danni di una persona molto anziana: in tal caso potrebbe essere contestata all’autore del reato di truffa l’aggravante in questione. E, tuttavia, la giurisprudenza precisa che non è sufficiente l’età avanzata della persona offesa ai fini dell’aggravio di pena, dovendosi accertare che l’età corrisponde ad una condizione di indebolimento delle facoltà cognitive che impediscono una obiettiva valutazione della realtà (si veda, tra le tante, la sentenza della Corte di Cassazione del 17 settembre 2008, n. 39023). 

La giurisprudenza tende a riconoscere questa aggravante anche qualora la truffa si realizzi online, come nel caso di chi si attribuisca falsamente le generalità di un soggetto diverso, mediante la creazione e l’utilizzo di un account di posta elettronica, e induca la vittima a farsi cedere le proprie credenziali di accesso telematico alla banca, per poi svuotarle il conto. L’autore della truffa, in questo caso, si vale di una condizione che agevola la manipolazione della vittima, poiché la falsa identità dell’autore del reato, in quanto virtuale, riduce la possibilità del truffato di avvedersi dell’inganno.

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1.6 Regime di procedibilità

L’ultimo comma dell’art. 640 c.p. stabilisce che il reato di truffa è procedibile a querela della persona offesa. E, tuttavia, qualora il soggetto realizzi una delle condotte aggravate di cui al II comma, numeri 1), 2), 2-bis), dell’art. 640, anche il regime di procedibilità ne risente e diventa d’ufficio, sempre che la truffa risulti aggravata da taluna delle circostanze indicate dall’art. 640 c.p. stesso.
Prima della riforma del 2018, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 640 c.p., la procedibilità sarebbe stata di ufficio tutte le volte che la truffa fosse stata aggravata da qualunque altra circostanza prevista all’interno del Codice Penale (il regime di procedibilità di ufficio del reato di truffa era, quindi, molto esteso).

Il decreto legislativo n. 36 del 2018 ha operato una modifica dell’ultimo comma dell’art. 640 c.p. che ha reso il regime di procedibilità della truffa aggravata complessivamente più favorevole per chi compie tale reato: è previsto, ad oggi, il regime di procedibilità d’ufficio soltanto qualora la truffa sia aggravata ai sensi del II comma – numeri 1), 2), 2-bis) – dell’art. 640 c.p. [si vd. sopra §1.6] oppure ai sensi del I comma, numero 7), dell’art. 61 c.p. o qualora la circostanza che aggrava la pena sia ad effetto speciale. 

La circostanza di cui al I comma, numero 7, dell’art. 61 c.p. aggrava il reato di truffa quando il danno patrimoniale subito dalla vittima sia stato di rilevante entità, mentre le circostanze ad effetto speciale sono tutte quelle che comportano un aumento di pena di oltre 1/3. 

Fuori da questi specifici casi, pertanto, il reato di truffa può essere perseguito esclusivamente se la parte offesa decide di sporgere querela. 

Esiste una notevole differenza tra il regime di procedibilità a querela di parte e quello d’ufficio. La querela costituisce, al tempo stesso, condizione di procedibilità, per cui non è possibile procedere alla sottoposizione dell’autore del reato di truffa ad un procedimento penale, se non è pervenuta la querela della persona offesa, e condizione di punibilità per cui, qualora il querelante dovesse decidere di ritirare la querela in un primo momento presentata (tecnicamente si tratta della cd. rimessione di querela), il reato dovrà essere dichiarato estinto ai sensi dell’art. 129 c.p.p. per intervenuta rimessione di querela (in questo senso si è espressa la Cassazione con la sentenza del 27 gennaio 2021 n. 3434). 

Ne consegue che, in caso di remissione di querela, l’autore del reato non può essere punito, neanche qualora abbia realmente commesso il fatto di reato. 

È significativamente diversa, invece, l’ipotesi in cui il reato di truffa – come stabilisce l’ultimo comma dell’art. 640 c.p. – sia procedibile d’ufficio: se ad un’Autorità Giudiziaria (e cioè ad una Procura) giunge notizia della possibile commissione del reato di truffa, ove aggravata, non c’è bisogno che la parte offesa sporga querela ai fini della sottoposizione alle indagini penali dell’autore del reato e, quindi, ai fini della sua condanna, una volta accertato durante il processo che sia responsabile del reato di truffa.

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1.7 I rapporti con i reati di falso

Il soggetto che realizza il reato di truffa può contestualmente incorrere nella realizzazione di un delitto di falso, tutte le volte che il raggiro o l’artificio siano consistiti nella presentazione di atti (documenti o dichiarazioni) falsi. 

Secondo l’orientamento della Corte di Cassazione, il soggetto risponderà di entrambi i reati, in forza del principio per cui i delitti di falso e la truffa tutelano beni giuridici diversi (la pubblica fede gli uni e il patrimonio e il libero consenso l’altro). 

Ciò significa che, anche se il falso è stato commesso al fine di realizzare il reato di truffa, al soggetto dovrà infliggersi la pena relativa alla violazione più grave aumentata fino al triplo (è l’istituto del concorso materiale di reati disciplinato dal I comma dell’art. 81 c.p.), proprio per adeguare la risposta sanzionatoria alla duplicità dei fatti di reato commessi.

Se ha bisogno di aiuto può chiamarci al numero +393922838577 o inviare una mail a info.avvocatodelgiudice@gmail.com.

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