La massima
In tema di ne bis in idem, la condanna per il reato di omesso versamento di contributi previdenziali non impedisce l'esercizio dell'azione penale per il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato commesso da una società, aggiudicataria di un contratto di somministrazione di lavoratori, che abbia artificiosamente fatto risultare il corretto adempimento degli obblighi contributivi. (In motivazione, la Corte ha precisato che la mera sussistenza del concorso formale tra reati non determina la violazione del divieto di secondo giudizio, nel caso in cui il fatto storico, sotto il profilo della condotta, del nesso causale e dell'evento non sia il medesimo - Cassazione penale , sez. VI , 21/10/2021 , n. 42933).
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La sentenza integrale
Cassazione penale , sez. VI , 21/10/2021 , n. 42933
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 1 ottobre 2020 la Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza del Tribunale di Genova del 11 dicembre 2018, che dichiarava la responsabilità di M.I. per il reato continuato di truffa aggravata in danno dell'A.S.L. (OMISSIS) e frode in pubbliche forniture di cui al capo A) commesso in (OMISSIS) condannandola alla pena della reclusione per anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 400,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.
1.1. Con la decisione di primo grado, inoltre, il Tribunale dichiarava non doversi procedere nei confronti della predetta imputata in ordine al reato di cui al capo B) - ex art. 81 c.p., L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 37, - perché oggetto di una sentenza del Tribunale di Frosinone passata in giudicato (n. 1302 del 2 ottobre 2018).
1.2. L'imputata è stata ritenuta responsabile dei fatti ascrittile nell'imputazione per avere - quale rappresentante legale della società "Gruppo Vita Serena" s.p.a., aggiudicataria di una gara indetta dalla A.S.L. (OMISSIS) con delibera del 28 febbraio 2011, avente ad oggetto la fornitura del servizio di somministrazione di lavoro per il periodo di anni cinque - contravvenuto agli obblighi contrattuali relativi al versamento dei contributi (previdenziali, assicurativi ed assistenziali) dovuti all'I.N.P.S. in relazione alla categoria professionale dei singoli lavoratori oggetto della somministrazione, inquadrandoli diversamente, a fini contributivi, quali apprendisti e presentando periodicamente alla suddetta A.S.L. documentazione che attestava l'apparente regolarità della contribuzione, così inducendo in errore l'azienda sanitaria sulla correttezza dei versamenti dovuti, con la conseguente percezione di un ingiusto profitto rappresentato - nel su indicato arco temporale - dall'importo di Euro 256.793,00, e con la causazione di un danno di pari entità alla persona offesa, in ragione della responsabilità solidale nei confronti dell'I.N.P.S..
2. Avverso la predetta decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia deducendo, con unico motivo, plurimi vizi di inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento: a) alla violazione del divieto di bis in idem; b) al reato di truffa aggravata; c) al reato di frode in pubbliche forniture.
2.1. Sotto il primo profilo si lamenta che, alla luce dell'interpretazione che la Corte costituzionale ha dato del divieto di bis in idem sancito dall'art. 649 c.p.p. (sent. n. 200 del 31 maggio 2016), l'imputata è stata già giudicata per i fatti oggetto del giudizio de quo con la sentenza di patteggiamento n. 1302 del 2 ottobre 2018 del Tribunale di Frosinone, divenuta irrevocabile il 31 ottobre 2018: erronea, al riguardo, si assume l'affermazione secondo cui il fatto storico giudicato nel processo genovese non sarebbe stato considerato nel processo dinanzi al Tribunale di Frosinone perché il soggetto passivo indotto in errore è l'A.S.L. (OMISSIS), che "non è neppure contemplata nel processo già definito".
La decisione impugnata, in particolare, non ha considerato il fatto che la contestazione relativa alle omesse contribuzioni per i lavoratori in servizio presso l'A.S.L. di Chiavari era già compresa fra quelle contenute nel verbale conclusivo redatto dall'I.N.P.S. di Roma-Casilino (oggetto del processo definito a Frosinone), ove si contestavano all'imputata violazioni continuate della L. n. 683 del 1983 per avere versato all'I.N.P.S. contributi previdenziali calcolati in misura ridotta, ossia secondo l'aliquota riservata agli apprendisti anziché ai lavoratori ordinari, e di aver usato questo espediente per tutti i lavoratori impiegati presso le diverse A.S.L. italiane cui la sua impresa forniva servizi ospedalieri
2.2. Sotto il secondo profilo si deduce l'erronea qualificazione del fatto come reato di truffa aggravata, non essendovi stata alcuna simulazione riguardo alla situazione che ha portato all'origine del debito, quanto invece un'incompleta erogazione di somme spettanti ai lavoratori, con la conseguenza che l'I.N.P.S., attraverso il versamento effettuato dal datore di lavoro secondo l'aliquota applicata, ha adempiuto al suo obbligo di pagamento previsto dalla legge ed il lavoratore non può che rivolgersi al datore di lavoro per ottenere quanto sia ancora dovuto.
Al riguardo si assume, inoltre, che secondo un diverso orientamento giurisprudenziale non potrebbe configurarsi il reato di truffa ai danni dell'I.N.P.S., quanto, piuttosto, quello previsto dall'art. 316-ter c.p.: attraverso la presentazione di attestazioni infedeli - che comportano il pagamento del debito per un'aliquota inferiore - si consegue una erogazione indebita da parte di un ente pubblico, che consiste nell'adempimento solo parziale di un obbligo di legge, senza che rilevino l'induzione in errore o il danno patrimoniale subito dalla persona offesa.
L'applicabilità dell'ipotesi di reato di cui all'art. 316-ter cit. è tuttavia limitata dall'apposizione di una soglia che comporta, se non raggiunta, l'irrogazione di una sanzione amministrativa: il superamento di tale soglia, però, è un elemento costitutivo del reato sulla cui integrazione la sentenza impugnata non ha offerto alcun tipo di riscontro.
In definitiva non si riscontra, ad avviso della ricorrente, alcun danno in capo all'I.N.P.S. - tenuto a corrispondere ai lavoratori ciò che in effetti è stato versato a titolo di trattamento previdenziale - né in capo all'A.S.L., che ha corrisposto alla contraente quanto stabilito, ricevendo le prestazioni pattuite nella natura e nella qualità concordata.
2.3. Sotto il terzo profilo, infine, si deduce l'insussistenza dei presupposti per la configurabilità del reato di frode in pubbliche forniture, atteso che l'infedele rispetto degli obblighi contributivi nessuna influenza ha esercitato sulla quantità o qualità delle prestazioni fornite dalla società rappresentata dall'imputata ed i servizi infermieristici prestati alla A.S.L. di Chiavari sono stati sempre di ottima qualità, senza dar luogo ad alcuna contestazione.
3. Con requisitoria trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 21 settembre 2021 il Procuratore generale ha illustrato le sue conclusioni, chiedendo la declaratoria di inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso.
4. Con memoria trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 19 ottobre 2021 il nuovo difensore dell'imputato, Avv. Filippo Misserville, ha replicato alle argomentazioni svolte nella requisitoria del Procuratore generale ed ha illustrato le sue conclusioni, insistendo per l'accoglimento dei motivi di ricorso.
5. Con memoria trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 20 ottobre 2021 il difensore della parte civile, Avv. Giovanni Beverini, ha argomentato le sue conclusioni, chiedendo la declaratoria di inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza, ove si consideri che, a seguito della richiamata sentenza n. 200 del 31 maggio 2016 la Corte Costituzionale ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p., nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui e iniziato il nuovo procedimento penale".
Con tale decisione, in particolare, la Corte costituzionale, nel richiamare una pronuncia di questa Suprema Corte in tema di accertamento della identità del fatto e di preclusione processuale derivante dal divieto di bis in idem (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, Donati, Rv. 231799), ha affermato che: "L'esistenza o no di un concorso formale tra i reati oggetto della res iudicata e della res iudicanda è un fattore ininfluente ai fini dell'applicazione dell'art. 649 c.p.p., una volta che questa disposizione sia stata ricondotta a conformità costituzionale. Pertanto, l'autorità giudiziaria sarà tenuta a porre a raffronto il fatto storico, secondo la conformazione identitaria che esso abbia acquisito all'esito del processo concluso con una pronuncia definitiva, con il fatto storico posto dal pubblico ministero a base della nuova imputazione. Sulla base della triade condotta - nesso causale evento naturalistico, il giudice può affermare che il fatto oggetto del nuovo giudizio è il medesimo solo se riscontra la coincidenza di tutti questi elementi, sicché non dovrebbe esservi dubbio, ad esempio, sulla diversità dei fatti, qualora da un'unica condotta scaturisca la morte o la lesione dell'integrità fisica di una persona non considerata nel precedente giudizio, e dunque un nuovo evento in senso storico".
Ne consegue: a) che il tema del bis in idem di cui all'art. 649 c.p.p., attiene alla preclusione processuale di un nuovo esercizio dell'azione penale per lo stesso fatto storico - inteso nel senso indicato - per il quale si è già proceduto in un diverso procedimento; b) che la violazione del principio del ne bis in idem sussiste anche nel caso in cui vi sia un concorso formale tra il reato oggetto della res iudicata e quello del diverso procedimento, a condizione che il fatto storico sia lo stesso; c) che è dunque precluso il nuovo esercizio dell'azione penale nel caso in cui, pur essendo il reato già giudicato in concorso formale con quello da giudicare, il fatto naturalistico sia il medesimo.
All'insieme di tali coordinate ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità la sentenza impugnata si è rettamente uniformata, dapprima ponendo a raffronto le condotte giudicate nel processo concluso con la richiamata sentenza definitiva e quelle oggetto del presente procedimento, quindi escludendone, con congrua ed esaustiva motivazione, l'identità dei fatti storici tenuto conto, segnatamente: a) del fatto che la sentenza passata in giudicato concerneva un patteggiamento per l'omesso versamento di contributi all'I.N.P.S., laddove il giudizio de quo verte sia sull'induzione in errore dell'A.S.L. attraverso una condotta artificiosa riguardo alla correttezza dell'obbligo contributivo nei confronti di un diverso soggetto passivo, sia sulla frode nell'esecuzione del contratto di fornitura di servizi concluso con la stessa A.S.L.; b) del fatto che le violazioni differiscono nei loro elementi essenziali, atteso che, nel caso di specie, la condotta è consistita nell'aver falsamente prospettato all'A.S.L. 4 il rispetto delle pattuizioni contrattuali, sia rappresentandole di aver correttamente provveduto al versamento dei contributi in favore dell'I.N.P.S., sia fornendo elementi documentali apparentemente regolari sull'inquadramento professionale del personale somministrato, così inducendo in errore la predetta A.S.L. quale controparte contrattuale destinataria dell'inganno, la cui posizione nel processo già definito non era neppure contemplata; c) del fatto che il danno è consistito nel dover nuovamente sostenere l'esborso di somme già corrisposte all'imputata, a titolo di responsabilità solidale con la stessa; d) del fatto che la società amministrata dall'imputata faceva figurare i lavoratori rientranti nell'ambito del personale somministrato alla predetta Azienda sanitaria come apprendisti, sebbene essi svolgessero mansioni differenti da quelle dichiarate, trattandosi di operatori socio-sanitari, autisti, magazzinieri e impiegati amministrativi; e) del fatto che i lavoratori previsti nel contratto di somministrazione in favore dell'A.S.L. erano stati denunciati all'I.N.P.S. come apprendisti in luogo delle effettive qualifiche professionali da essi rivestite, con la conseguenza che, in ragione di tale fittizia qualità, erano stati versati contributi il cui complessivo importo risultava di entità decisamente inferiore a quanto dovuto; f) del fatto che la predetta A.S.L. è stata in tal modo indotta in errore sulla bontà economica dell'offerta, che tale in realtà non era, trovando il suo margine di maggior sconto proprio nella volontà dell'imputata di tenere per sé parte delle somme senza versarle.
Congruamente motivata ed immune da vizi logico-giuridici in questa Sede deducibili deve, in definitiva, ritenersi la decisione impugnata, là dove ha escluso la configurabilità di alcuna preclusione determinata dalla violazione del principio del ne bis in idem.
2. Parimenti inammissibili, per manifesta infondatezza e in quanto proposte per motivi non consentiti nel giudizio di legittimità, devono altresì ritenersi le doglianze oggetto del secondo e del terzo motivo di ricorso, là dove risultano essenzialmente orientate a sollecitare, sul duplice presupposto di una rilettura fattuale delle risultanze processuali e di una valutazione meramente alternativa delle fonti di prova, l'esercizio di uno scrutinio di merito improponibile nel giudizio di legittimità, a fronte della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano gli articolati passaggi motivazionali attraverso i quali si snoda la decisione impugnata.
Nel richiamare le conformi valutazioni già espresse dal primo Giudice, la Corte distrettuale ha linearmente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento dei correlativi temi d'accusa, affermandone la rilevanza penale sulla base di una completa analisi critico-argomentativa, specificamente orientata anche ad esaminare e disattendere ciascuna delle obiezioni difensive finanche in questa Sede reiterate.
Al riguardo, in particolare, la sentenza impugnata ha posto in evidenza: a) che l'imputata ha costantemente taciuto alla predetta persona offesa il fatto di aver falsamente inquadrato i lavoratori (assunti con mansioni paramediche od amministrative) come semplici apprendisti nel rapporto con l'I.N.P.S., da un lato offrendo, nella fase precontrattuale, tariffe concorrenziali per ottenere la conclusione del contratto con il proposito di non adempiere quanto previsto nell'art. 3 del relativo capitolato speciale (che prescriveva l'obbligo per l'aggiudicatario di versare i contributi dovuti a titolo previdenziale, assicurativo ed assistenziale a norma delle vigenti disposizioni), dall'altro lato, e sulla base di una documentazione apparentemente regolare, inducendo in errore l'A.S.L. - che nel rispetto degli accordi versava la complessiva tariffa oraria per i dipendenti somministrati in esecuzione dell'art. 1 del contratto - e trattenendo conseguentemente il maggior importo così ricevuto a titolo contributivo; b) che a causa di tale artifizio la persona offesa ha dovuto erogare nuovamente i contributi parzialmente non versati dall'imputata, in ragione della responsabilità solidale cui il soggetto somministrato è tenuto ex lege; c) che in relazione alla fattispecie di cui all'art. 356 c.p., per la cui configurabilità è sufficiente qualsiasi inadempimento accompagnata da inganno o malafede contrattuale nell'esecuzione di una pubblica fornitura, l'imputata, dopo aver stipulato con l'A.S.L un contratto di somministrazione di personale a seguito di una pubblica gara, ha fraudolentemente omesso di versare i contributi dovuti a norma delle vigenti disposizioni, contravvenendo al richiamato art. 3 del capitolato speciale e in tal guisa introitando le tariffe versate dall'A.S.L., in quanto comprensive sia della retribuzione che dell'importo dovuto a titolo contributivo, irrilevante dovendosi ritenere, sotto tale profilo, la maggiore o minore qualità delle prestazioni professionali fornite.
3. Conclusivamente, sulla base delle considerazioni or ora esposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, in ragione della natura delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di Euro tremila, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla costituita parte civile, sì come liquidate alla stregua delle correlative statuizioni decisorie in dispositivo meglio precisate.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile A.S.L. n. (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 3.510,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2021