La massima
Il reato di sostituzione di persona può concorrere formalmente con quello di truffa, stante la diversità dei beni giuridici protetti, consistenti rispettivamente nella fede pubblica e nella tutela del patrimonio (Cassazione penale , sez. II , 11/09/2020 , n. 26589).
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La sentenza integrale
Cassazione penale , sez. II , 11/09/2020 , n. 26589
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Bologna confermava la sentenza del Tribunale di Piacenza con la quale il V. era stato condannato per i reati di circonvenzione di incapace, sostituzione di persona e truffa.
2.Contro tale sentenza ricorreva il difensore che deduceva:
2.1. violazione di legge in relazione alla competenza territoriale: sarebbe stato competente il tribunale di Brescia e non quello di Piacenza poichè nel territorio bresciano si sarebbe consumata l'ultima parte della condotta contestata; inoltre la motivazione sarebbe carente sia in ordine alla indicazione degli elementi di fatto posti alla base del giudizio sulla competenza, sia in ordine ai parametri normativi utilizzati;
2.2. vizio di motivazione: la Corte di appello non avrebbe rilevato l'errore di calcolo nella determinazione della pena che rendeva il dispositivo della sentenza del Tribunale non compatibile con la motivazione.
2.3. vizio di motivazione: la Corte di appello aveva escluso la capacità negoziale della persona offesa nonostante tale profilo non fosse stato specificamente valutato nè dal perito cui era stata affidata l'analisi della circonvenibilità, nè dal Tribunale; peraltro non era stato valutato che la persona offesa lavorava da oltre dodici anni nella panetteria di un supermercato, circostanza che, nella prospettiva del ricorrente, era incompatibile con il rilevato difetto di capacità;
2.4. vizio di motivazione: in relazione ai fatti descritti nello stesso capo di imputazione (il n. 2) la Corte di appello avrebbe illogicamente ritenuto logica la coesistenza della assoluzione per la circonvenzione ai danni della G. con la condanna ai danni del Dorcesi, nonostante i fatti contestati fossero strettamente collegati;
2.5. violazione di legge per mancata assunzione della testimonianza del B., decisiva perchè il testimone era conoscenza di circostanza rilevanti per comprendere il rapporto tra il ricorrente e la persona offesa;
2.6. violazione di legge: la revoca dei testi della difesa, motivata solo sulla base del fatto che gli stessi non si erano presentati sarebbe illegittima e non avrebbe consentito al ricorrente di chiarire quale fosse il ruolo del padre della vittima in relazione ai fatti illeciti contestati; decisiva sarebbe stata anche l'audizione di C.I., titolare di un'agenzia automobilistica, che avrebbe chiarito passaggi di proprietà delle autovetture di cui ai capi di imputazione, richiesta della quale la Corte di appello non avrebbe dato conto;
2.7. vizio di motivazione in ordine alla grossonalità del falso (contestato al capo 15) consumato attraverso la apposizione della foto del ricorrente sul documento di identità del D.: la motivazione sarebbe illogica nella parte in cui la Corte di appello aveva affermato che il falso non era grossolano dato che era aveva tratto in inganno vari esperti; si deduceva che l'idoneità del falso doveva essere valutata ex ante, e non ex post; lo stesso Tribunale aveva peraltro rilevato la imprecisa applicazione della foto sul documento;
2.8. violazione di legge e vizio di motivazione: il reato di sostituzione di persona sarebbe assorbito da quello di truffa contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello che si era limitata a rilevare la differenza dei beni giuridici tutelati dalle due norme laddove l'unico bene offeso sarebbe il patrimonio;
2.9. vizio di motivazione: la Corte di appello avrebbe illegittimamente sanato la carenza di motivazione in ordine alla quantificazione del danno morale, assente nella sentenza di primo grado;
2.10. violazione di legge e vizio di motivazione: con riguardo alla quantificazione del danno morale si deduceva che non sarebbero state indicate le voci relative ai singoli reati; si deduceva inoltre che molti reati contestati al ricorrente non ledevano il D.; inoltre non sarebbero state indicate le ragioni della immediata esecutività della condanna al risarcimento del danno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo che deduce il difetto di competenza territoriale è manifestamente infondato in quanto invoca l'applicazione dell'art. 9 c.p.p., ovvero l'articolo del codice che indica le regole suppletive da applicare nel caso in cui non sia possibile identificare il luogo di consumazione del reato per il quale si procede; nel caso in esame, tuttavia, al ricorrente sono contestati più reati connessi, sicchè la regola da applicare deve essere individuata nell'art. 16 c.p.p., che disciplina la competenza per connessione e prevede che la competenza sia a individuata nel luogo dove è stato consumato il reato più grave tra quelli connessi.
La Corte territoriale ha correttamente rilevato che tra i reati contestati al V. quelli più gravi erano i delitti di circonvenzione di incapace, pacificamente commessi nel territorio di Piacenza (pag. 3 della sentenza impugnata) ed ha legittimamente identificato la competenza territoriale.
Si ribadisce inoltre che le vicende processuali successive ai limiti temporali di rilevazione della questione di competenza territoriale non incidono sulla competenza già radicata, la quale, in base al principio della "perpetuato iurisdictionis", va determinata con criterio "ex ante", sulla scorta degli elementi disponibili al momento della formulazione dell'imputazione (sez. 4, Sentenza n. 14699 del 12/12/2012, Perez Garda e altro Rv. 255498 - 01).
1.2. Il secondo motivo di ricorso che deduce l'illegittimità della correzione dell'errore materiale rilevato nella definizione del calcolo della pena è manifestamente infondato in quanto la Corte di appello, nel rispetto dell'art. 130 c.p.p., ha legittimamente rilevato l'errore materiale che rendeva il calcolo della pena contenuto nella motivazione non compatibile con il dispositivo e lo correggeva con motivazione logica e coerente con le evidenze processuali (pag. 4 della sentenza impugnata).
1.3. Il terzo motivo di ricorso che lamenta la mancata valutazione della capacità negoziale della vittima che nella prospettiva del ricorrente sarebbe un profilo non assorbito dalla valutazione peritale in ordine alla circonvenibilità è inammissibile in quanto propone la rivalutazione nel merito dell'esistenza di uno degli elementi costitutivi del reato, attività di cognizione non compresa nel perimetro che circoscrive la competenza della Cassazione.
Contrariamente a quanto dedotto tale profilo risulta, peraltro, valutato dalla Corte territoriale che rileva come la capacità negoziale risulta implicitamente esclusa dalla accertata patologia psichiatrica (p. 5.1.1. della sentenza impugnata, che richiama e conferma le valutazione effettuate alle pagg. 7 ed 8 della sentenza di primo grado).
1.4. E' manifestamente infondato anche il motivo che contesta la logicità della sentenza nella parte in cui assolve il V. dalla circonvenzione ai danni della G. e non per quella ai danni del D. in quanto si tratta di scelte giustificate dall'apprezzamento di provviste probatorie diverse (come rilevato dalla Corte di appello a pag. 4 della sentenza impugnata): dalla compendio motivazionale integrato composto dalle due sentenze conformi di merito emerge infatti che le dichiarazioni rese dalla G. in dibattimento escludevano la sussistenza della condotta di circonvenzione contestata in suo danno (pag. 15 della sentenza di primo grado).
1.5. Il quinto motivo di ricorso, che contesta la mancata assunzione del teste B., ritenuto decisivo dal ricorrente, non si confronta con la precisa valutazione offerta dalla Corte di appello in ordine alla richiesta difensiva, considerata irrilevante in quanto i fatti sui quali il B. sarebbe stato chiamato a deporre risultavano definitivamente provati per via documentale (pag. 3 della sentenza impugnata).
1.6. Anche le doglianze in ordine alla mancata assunzione dei testi della difesa che avrebbero dovuto far emergere il ruolo di informatore della polizia del ricorrente o chiarire i dettagli del passaggio di proprietà delle autovetture oggetto delle truffe sono inammissibili: si tratta infatti di censure eccentriche rispetto al ragionamento logico che i giudici dei due gradi di merito hanno effettuato per giungere alla dichiarazione di responsabilità.
Sul punto il collegio ribadisce che la omessa motivazione rileva solo quando gli argomenti difensivi pretermessi siano decisivi; si ribadisce infatti che sussiste il vizio di mancanza di motivazione, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), quando le argomentazioni addotte dal giudice a fondamento dell'affermazione di responsabilità dell'imputato siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate con i motivi di appello e dotate del requisito della decisività (Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013 - dep. 22/01/2014, Dall'Agnola, Rv. 257967; Sez. 2, n. 10758 del 29/01/2015 - dep. 13/03/2015, Giugliano, Rv. 263129).
1.7. E' manifestamente infondato anche il motivo che contesta la motivazione sulla idoneità ingannatoria del falso consumato attraverso la apposizione della foto del ricorrente sul documento di identità del D.. Si tratta infatti di una censura di merito, che invoca una rivalutazione della offensività del falso, già oggetto di scrutinio da parte dei giudici di merito, che hanno offerto sul punto una motivazione priva di vizi logici ed aderente alle emergenze processuali, che non si presta ad alcuna censura in questa sede.
Il fatto che il documento contraffatto abbia in concreto tratto in inganno diverse persone è argomento che supera ogni ipotetico tentativo di inquadramento del falso come grossolano.
1.8. Inammissibile è, infine, il motivo che invoca l'assorbimento del reato di sostituzione di persona in quello di truffa.
Sul punto il collegio ribadisce che il reato di sostituzione di persona può concorrere formalmente con quello di truffa, stante la diversità dei beni giuridici protetti, consistenti rispettivamente nella fede pubblica e nella tutela del patrimonio (Sez. 6, n. 9470 del 05/11/2009 - dep. 10/03/2010, Sighinolfi, Rv. 246400; Sez. 2, n. 35443 del 06/07/2007 - dep. 24/09/2007, Ferraloro, Rv. 237957).
1.9. Nessuna illegittimità si rileva in ordine alla valutazione della quantificazione del danno morale che secondo il ricorrente sarebbe stata effettuata per la prima volta in grado di appello.
Sul punto si ribadisce che il giudice di appello che, investito di pieni poteri cognitivi e decisori, procede ad integrare la motivazione mancante della sentenza di primo grado, non viola il principio del doppio grado di giurisdizione di cui all'art. 6 CEDU, art. 2 del Protocollo addizionale n. 7 CEDU e art. 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, che può considerarsi soddisfatto con la previsione del ricorso per cassazione, in quanto le modalità di esplicazione del diritto al riesame delle decisioni di condanna possono essere limitate alla proposizione delle questioni di diritto (Sez. 6, n. 30059 del 05/06/2014 - dep. 09/07/2014, P.G. in proc. Bertucca e altri, Rv. 262397). Nello stesso senso, si vedano le risalenti ma ancor valide affermazioni contenute in Sez. 6, n. 4409 del 10/03/1987, Rv. 175619. Legittima deve dunque ritenersi l'integrazione della motivazione della sentenza di primo grado operata dal giudice di appello.
1.10. Infine: è inammissibile anche l'ultimo motivo di ricorso con il quale si contesta il difetto di indicazione delle singole voci del danno morale.
Il collegio ribadisce che la liquidazione dei danni morali, attesa la loro natura, non può che avvenire in via equitativa, dovendosi ritenere assolto l'obbligo motivazionale mediante l'indicazione dei fatti materiali tenuti in considerazione e del percorso logico posto a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente in base a quali calcoli è stato determinato l'ammontare del risarcimento (Sez. 6, Sentenza n. 48086 del 12/09/2018, Rv. 274229).
Quanto alla provvisoria esecutività della condanna al risarcimento del danno, la motivazione è contenuta nella sentenza di primo grado, che ha ritenuto la stessa giustificata dal comportamento del ricorrente, indicativo della pervicace volontà di negare gli addebiti e di sottrarsi al risarcimento del danno (pag. 17 della sentenza impugnata).
2.Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro 2000,00.
Il ricorrente deve inoltre essere condannato al rimborso delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile D.G. che liquida, tenuto conto dei parametri di legge, in complessivi Euro 3510, 00 oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000.00 in favore della Cassa delle ammende.
Condanna il ricorrente al rimborso delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile D.G. che liquida in complessivi Euro 3510 oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 11 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020