La massima
In tema di abuso di ufficio, il requisito della violazione di legge può essere integrato anche dalla inosservanza dei doveri funzionali del pubblico dipendente che traggono fondamento dall' art. 13 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 , norma ancora in vigore con riguardo ai docenti universitari, per i quali la contrattazione collettiva non ha mai disciplinato diversamente il rapporto di impiego. (Fattispecie relativa a docenti universitari accusati del reato di cui all' art. 323 cod. pen. per aver favorito illecitamente alcuni candidati, preventivamente individuati, nell'assegnazione di borse di studio.
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La sentenza integrale
Cassazione penale , sez. VI , 05/06/2018 , n. 38546
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 14 dicembre 2016 la Corte d'appello di Messina ha parzialmente riformato la decisione di primo grado nei confronti di E.C., rideterminando in mesi otto di reclusione la pena irrogatale per il delitto di concorso in abuso d'ufficio di cui al capo sub 36) - previa assoluzione perchè il fatto non sussiste da una delle condotte ivi descritte relativamente al concorso indetto per l'assegnazione di una borsa di studio post-dottorato nel "settore pedagogia speciale" - ed ha altresì confermato le pene di mesi dieci di reclusione rispettivamente irrogate, per il medesimo reato sopra indicato, ad U.G. e C.A., la cui penale responsabilità è stata dai Giudici di merito ritenuta per avere agito in violazione dei doveri funzionali di cui al d.P.R. n. 3 del 1957, art. 13 e sulla scorta di un preventivo accordo illecito avente ad oggetto la ripartizione delle borse di studio fra candidati preventivamente individuati, al fine di assicurare, nello svolgimento delle funzioni di membri delle commissioni giudicatrici per l'assegnazione di borse di studio post-dottorato, l'attribuzione di un maggior punteggio e la conseguente assegnazione di quelle disponibili tra i rispettivi parenti.
2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore di U.G., deducendo cinque motivi il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente riassunto.
2.1. Con il primo motivo si lamentano violazioni di legge e vizi della motivazione in ordine all'episodio concernente l'assegnazione della borsa di studio alla propria nipote, D.N.L., risultata vincitrice del concorso assieme ad altro candidato, del tutto estraneo a rapporti con i docenti messinesi, atteso che l'imputata non faceva parte della relativa commissione di esame e nessun ruolo concreto ebbe a svolgere nell'intera vicenda concorsuale.
2.2. Con il secondo motivo si deducono violazioni di legge e vizi della motivazione in ordine all'ulteriore episodio concernente l'assegnazione delle borse di studio a G.M. e S.L., avendo la Corte d'appello assolto con formula piena tutti gli altri imputati, compresi i membri della commissione, per la mancata dimostrazione dell'ingiusto vantaggio, senza estendere tale statuizione decisoria anche alla U..
2.3. Con il terzo motivo si deducono violazioni di legge e vizi della motivazione in relazione ai presupposti di configurabilità del delitto di abuso d'ufficio, atteso che la contestazione mossa agli imputati si fonda sulla prospettazione di una parzialità del giudizio nelle diverse valutazioni operate in sede concorsuale, senza individuare con precisione le ragioni della ritenuta illegittimità delle modalità di svolgimento dei singoli concorsi. La diversità di punteggio, infatti, ben può derivare da una maggiore o minore congruità del programma proposto nello specifico settore di ricerca. Si sottolinea, inoltre, il fatto che, secondo la pronuncia impugnata, l'indizione dei bandi sarebbe stata determinata da logiche spartitorie, menzionandosi al riguardo brani di intercettazioni riferibili a presunte pressioni per ottenerli, quando invece la contestazione riguarda lo svolgimento dell'esame, non la procedura di indizione dei bandi, la cui scelta, peraltro, è di competenza dell'Ateneo ed avviene con decreto rettorale.
2.4. Con il quarto motivo si censurano violazioni di legge e vizi della motivazione in ordine all'elemento della ingiustizia del vantaggio conseguito dai vincitori nelle rispettive procedure concorsuali, non avendo la Corte d'appello precisato se gli aggiudicatari delle borse di studio fossero stati effettivamente coloro che ne avevano diritto rispetto agli altri. Dalla motivazione della sentenza impugnata non emergono, infatti, le ragioni per cui l'esame dei titoli e la valutazione della dissertazione orale avrebbero dovuto condurre ad un esito diverso: aspetti, questi, che avrebbero dovuto costituire oggetto di un'adeguata dimostrazione, esplicitando, se del caso, i motivi che conducevano al sovvertimento della graduatoria. In altra procedura concorsuale, del resto, tutti gli imputati, ivi compresa la ricorrente, sono stati assolti per la mancata dimostrazione del requisito della ingiustizia del vantaggio, sebbene la situazione fosse identica alle altre qui esaminate e le valutazioni fossero state espresse, anche per tale concorso, con gli stessi tipi di giudizio, dai Giudici di merito ritenuti gravemente lacunosi.
2.5. Con il quinto motivo, infine, si deducono violazioni di legge e vizi della motivazione in ordine al rigetto della eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, non ricorrendo i presupposti fissati dagli artt. 266 e 270 cod. proc. pen. ed afferendo i risultati delle relative operazioni a procedimenti sostanzialmente diversi, atteso che il fatto storico oggetto del procedimento de quo (il reato di corruzione ex art. 319 cod. pen. a carico di altri coimputati) nulla aveva a che vedere con l'imputazione di abuso d'ufficio poi elevata nei confronti della ricorrente, avente ad oggetto le modalità di svolgimento e di assegnazione di quattro borse di studio per l'attività di ricerca post-dottorato, laddove l'altra vicenda riguardava l'interessamento per una gara d'appalto relativa alla vigilanza delle strutture universitarie. La diversità sostanziale dei due procedimenti è emersa da molteplici fattori, senza che sia stata evidenziata alcuna connessione tra il procedimento originario ed i nuovi fatti emersi a seguito delle attività di captazione.
3. Il difensore di E.C. ha proposto ricorso per cassazione avverso la su indicata pronuncia, articolando tre motivi di doglianza in termini del tutto identici a quelli enucleati nel ricorso della U., relativamente ai su esposti profili dell'assenza dei requisiti della violazione di legge e del carattere di ingiustizia del vantaggio, oltre che della violazione delle su richiamate norme processuali in materia di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche.
4. Il difensore di C.A. ha proposto ricorso deducendo quattro motivi il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente riassunto.
4.1. Con il primo motivo si lamenta l'assenza del requisito della violazione di legge, non individuabile nella su citata disposizione normativa di cui al D.P.R. n. 3 del 1957, art. 13 atteso che, in applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 1, tutte le nome generali e speciali in materia di pubblico impiego vigenti alla data del 13 gennaio 1994 e non abrogate sono divenute non più applicabili con la firma definitiva del C.C.N.L. relativo, fra gli altri, al personale appartenente al comparto universitario.
4.2. Con il secondo motivo si deducono violazioni di legge e vizi della motivazione in ordine ai presupposti oggettivi e soggettivi di configurabilità dell'ipotizzato delitto, tenuto conto del fatto: a) che la su citata previsione normativa risulta priva dei caratteri necessari ai fini dell'integrazione della fattispecie di abuso, trattandosi di una disposizione di principio solo genericamente strumentale alla regolarità dell'attività amministrativa; b) che non sussiste, nè è stata congruamente motivata, l'ingiustizia del vantaggio patrimoniale conseguito dai vincitori dei concorsi banditi il 17 marzo 2008 e il 18 agosto dello stesso anno ( G.M. e D.N.L.), laddove la stessa circostanza - la mancata valutazione del programma presentato dai candidati viene, dapprima, considerata irrilevante e, successivamente, idonea caratterizzare il requisito dell'ingiustizia del vantaggio patrimoniale; c) che non sono state indicate le circostanze di fatto idonee a sostenere l'affermazione secondo cui il ricorrente sarebbe stato direttamente coinvolto nel progetto spartitorio.
4.3. Con il terzo motivo si deducono violazioni di legge e vizi della motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità a titolo concorsuale, della cui sussistenza la Corte distrettuale non ha dato alcuna prova, avuto riguardo al fatto: a) che non v'era alcuna comunanza di interessi con gli altri docenti, nè con i candidati risultati vincitori (che non sono suoi stretti congiunti); b) che i processi valutativi dei programmi presentati dai relativi candidati sono stati adeguatamente spiegati nel corso del giudizio; c) che non v'era alcuna ragione di esprimere una qualche forma di dissenso quale componente della commissione giudicatrice; d) che nessun valido ed univoco elemento di prova potrebbe trarsi, in merito all'esistenza di un accordo fra i componenti delle commissioni, dal contenuto di una conversazione intercorsa fra la U. e la coimputata G.C., tutt'al più riferibile ad uno solo degli episodi delittuosi addebitati al ricorrente (quello cioè del concorso bandito il 18 agosto 2008 e vinto dalla D.N. e dal M.V.), non invece a quello del 17 marzo 2008.
4.4. Con il quarto motivo, infine, si deduce l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Infondata, preliminarmente, deve ritenersi la questione, eccepita nel ricorso proposto da U.G., in ordine alla pretesa inutilizzabilità delle risultanze offerte dalle intercettazioni telefoniche in atti, avendo la Corte distrettuale fatto buon governo dei principii al riguardo fissati da questa Suprema Corte (ex multis v., in motivazione, Sez. 6, n. 21740 del 01/03/2016, Masciotta; v., inoltre, Sez. 6, n. 31984 del 26/04/2017, P., Rv. 270431; Sez. 2, n. 9500 del 23/02/2016, De Angelis, Rv. 267784), secondo cui, qualora il mezzo di ricerca della prova sia legittimamente autorizzato all'interno di un determinato procedimento per uno dei reati di cui all'art. 266 cod. proc. pen., i suoi esiti sono utilizzabili, senza alcun limite, per tutti gli altri reati relativi al medesimo procedimento, mentre, nel caso in cui si tratti di reati oggetto di un procedimento diverso "ab origine", l'utilizzazione è subordinata alla sussistenza dei parametri indicati espressamente dall'art. 270 cod. proc. pen., e, cioè, l'indispensabilità e l'obbligatorietà dell'arresto in flagranza.
Ne discende che i risultati delle intercettazioni telefoniche disposte per un reato rientrante fra quelli indicati nell'art. 266 cod. proc. pen. sono utilizzabili anche relativamente ad altro reato, non contemplato da detta previsione, la cui sussistenza emerga dalle stesse intercettazioni, ancorchè per esso venga successivamente disposta la separazione del procedimento (Sez. 5, n. 15288 del 09/02/2018, Trani, Rv. 272852).
Nel caso in esame, coerentemente con tale insegnamento giurisprudenziale, i Giudici di merito hanno posto in rilievo, attraverso argomentazioni esenti da vizi logico-giuridici rilevabili in questa Sede, non solo il dato inerente all'unicità del contesto storico-fattuale da cui hanno preso le mosse le attività d'indagine incentrate sul ruolo della moglie del Rettore, G.C., impiegata dell'Ateneo che, sfruttando tale posizione, si ingeriva nella gestione delle diverse procedure concorsuali universitarie - ma hanno altresì evidenziato - e il profilo è dirimente al fine qui considerato - come il procedimento in esame costituisca uno stralcio, per i fatti di abuso d'ufficio contestati agli odierni ricorrenti, del procedimento relativo anche a fatti di corruzione contestati alla G. per una gara d'appello bandita per i servizi di vigilanza del policlinico.
1.1. A fronte di tali specifiche evenienze procedimentali deve ribadirsi la linea interpretativa tracciata da questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 6702 del 16/12/2014, dep. 2015, La Volla, Rv. 262496; Sez. 6, n. 27820 del 17/06/2015, Morena, Rv. 264087; Sez. 6, n. 41317 del 15/07/2015, Rosatelli, Rv. 265004; in motivazione, inoltre, v. Sez. 2, n. 1924 del 18/12/2015, dep. 2016, Roberti, Rv. 265989, nonchè Sez. 6, n. 8934 del 10/12/2014, dep. 27/02/2015, Franzosi, Rv. 262648), secondo cui i risultati delle intercettazioni telefoniche legittimamente acquisiti nell'ambito di un originario procedimento penale, che riguardino distinti reati per i quali sussistono le condizioni di ammissibilità di cui all'art. 266 cod. proc. pen., sono sempre utilizzabili, ancorchè il procedimento iniziale sia stato successivamente frazionato a causa della eterogeneità delle ipotesi di reato e dei soggetti indagati: in tali ipotesi non trova applicazione l'art. 270 cod. proc. pen., il cui paradigma di riferimento postula, di contro, l'esistenza di più procedimenti tra loro distinti ab origine.
L'applicabilità dell'art. 270 cod. proc. pen., infatti, non può essere invocata ove, nel corso di intercettazioni legittimamente autorizzate, emergano elementi di prova relativi ad altro reato, pur totalmente svincolato da quello per il quale l'autorizzazione è stata debitamente rilasciata (v., in motivazione, Sez. 6, n. 50261 del 25/11/2015, M., Rv. 265757). Ciò in quanto la su citata disposizione normativa - con i limiti finalistici da essa previsti, aventi ad oggetto l'indispensabilità delle captazioni in funzione dell'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza - inerisce a casi di diversità del procedimento in seno al quale s'intendono valorizzare le risultanze di intercettazioni altrove richieste e disposte, di guisa che solo in tale ambito può incidere l'elaborazione giurisprudenziale formatasi ai fini dell'esatta perimetrazione del concetto di "procedimento diverso", da intendersi, com'è noto, in senso sostanziale e non formale (Sez. 6, n. 11472 del 02/12/2009, dep. 2010, Paviglianiti, Rv. 246524), con la conseguente esclusione delle ipotesi in cui fra le indagini dei due procedimenti sussista connessione dal punto di vista oggettivo, probatorio o finalistico (da ultimo, Sez. 5, n. 26693 del 20/01/2015, Catanzaro, Rv. 264001; Sez. 3, n. 2608 del 04/11/2015, dep. 2016, Pulvirenti, non mass.).
Non sussistono, dunque, i presupposti per la operatività del divieto di utilizzo poichè il successivo atto di separazione si verifica all'interno del più ampio ed iniziale procedimento "nel quale le intercettazioni sono state disposte", con riferimento a presupposti e condizioni la cui sussistenza il giudice ha già accertato - per i medesimi reati che ne hanno costituito l'oggetto - ai fini dell'indispensabile controllo di legittimità sulle limitazioni del diritto alla riservatezza: controllo la cui duplicazione non è prevista nel procedimento ad quem, allorquando il p.m. che abbia unitariamente proceduto per più reati, ed abbia già richiesto ed ottenuto il provvedimento autorizzativo del giudice, decida di procedere separatamente per taluni di essi ai sensi degli artt. 130 e 130-bis disp. att. cod. proc. pen..
1.2. Milita in tal senso, inoltre, almeno un duplice ordine di considerazioni, già ampiamente poste in risalto nell'elaborazione giurisprudenziale di questa Corte di legittimità (Sez. 6, n. 49745 del 04/10/2012, Sarra Fiore, Rv. 254056; Sez. 6, n. 50261 del 25/11/2015, M., cit.).
La prima di esse è incentrata sul rilievo che l'art. 266 cod. proc. pen. non disciplina espressamente l'ipotesi del concorso di reati nel medesimo procedimento, per escludere l'utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni per i reati diversi da quelli ivi positivamente indicati; e ciò, pur essendo l'ipotesi di concorso di reati un fenomeno del procedimento del tutto usuale e frequente.
Ne deriva che la locuzione "nei procedimenti relativi ai seguenti reati" deve, per esigenze di coerenza sistematica (e, anzitutto, per l'esigenza di valutazione unitaria, coerente e complessiva del materiale probatorio acquisito legittimamente al processo), essere interpretata nel senso della sufficienza, all'interno del procedimento, della presenza di uno dei reati di cui all'art. 266 cod. proc. pen.. Sarebbe, del resto, paradossale dover invece pervenire alla conclusione che l'art. 266 disciplini esclusivamente i casi in cui il singolo procedimento tratta uno solo, o più, dei reati da esso stesso indicati.
La seconda considerazione, inoltre, viene desunta dal fatto che, allorquando l'art. 270 cod. proc. pen. deve individuare i parametri per legittimare l'utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in altri procedimenti, non richiama l'elencazione tassativa dell'art. 266, ma ne indica una nuova e diversa (l'indispensabilità per l'accertamento; il fatto che si proceda per delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza), certamente non sovrapponibile, nè coincidente, con la clausola generale di cui all'art. 266 c.p.p., comma 1, lett. a).
Sia la lettera che il contesto sistematico entro il quale si collocano le citate disposizioni degli artt. 266 e 270 cod. proc. pen. dimostrano che il legislatore si è posto il problema della utilizzazione dei risultati di intercettazioni legittimamente disposte per uno dei reati indicati nell'art. 266, trattando esplicitamente solo il caso dell'utilizzazione extra-procedimentale, e tuttavia riconoscendo, in quel caso, la possibilità di utilizzazione secondo parametri diversi da quelli indicati nell'art. 266 cod. proc. pen.. Altrettanto paradossale, ancora, sarebbe l'interpretazione di tali due norme nel senso che, avendo il legislatore evitato di articolare una esplicita disciplina per i reati diversi da quelli ex art. 266, ma interni al medesimo procedimento, per essi mai sarebbero utilizzabili gli esiti delle intercettazioni, addirittura neppure nei casi in cui essi lo sarebbero invece in un procedimento diverso (Sez. 4, n. 29907 del 08/04/2015, Della Rocca, Rv. 264382; Sez. 6, n. 50261 del 25/11/2015, M., cit.).
1.3. Lettera e contesto sistematico di tali due norme, dunque, impongono di interpretarle nel senso che, allorquando l'intercettazione viene legittimamente autorizzata all'interno di un determinato procedimento nel quale si tratta di uno dei reati ex art. 266 cod. proc. pen., i suoi esiti sono utilizzabili anche per tutti gli altri reati trattati nel medesimo procedimento, senza condizione alcuna, mentre nell'ipotesi in cui si tratta di reati oggetto di un procedimento ab origine diverso, l'utilizzazione è subordinata alla sussistenza dell'articolato parametro (indispensabilità della captazione ed obbligatorietà dell'arresto in flagranza) espressamente indicato dall'art. 270 cod. proc. pen. (in tal senso v. Sez. 6, n. 21740 del 01/03/2016, Masciotta, cit.; Sez. 6, n. 49745 del 04/10/2012, Sarra Fiore, cit.; Sez. 4, n. 29907 del 08/04/2015, Della Rocca, cit.; Sez. 6, n. 53418 del 04/11/2014, De Col, Rv. 261838).
2. Le censure dai ricorrenti prospettate in ordine alla configurabilità della contestata ipotesi di reato devono ritenersi infondate, avendo le conformi decisioni di merito analiticamente ripercorso i passaggi dell'intera vicenda oggetto del tema d'accusa e specificamente disatteso le obiezioni ed i rilievi difensivi, evidenziando, alla stregua delle numerose ed univoche risultanze probatorie offerte dall'esito dell'istruzione dibattimentale, e in particolare dalla documentazione in atti acquisita e dal contenuto delle conversazioni oggetto di intercettazioni telefoniche, i seguenti, dirimenti, profili ricostruttivi in punto di fatto: a) il coinvolgimento - della E., quale presidente, e del C., quale componente delle commissioni esaminatrici che vedevano quali vincitrici delle borse di studio post-dottorato, rispettivamente, G.M. (nipote di G.C.) e D.N.L. (nuora di U.G.) - nel progetto spartitorio delle relative assegnazioni, governato da G.C. con riferimento sia alla scelta dei bandi da pubblicare, nella prospettiva e con l'intento di selezionarli per favorire i congiunti degli interlocutori, sia ai preventivi accordi su quali dovessero essere i membri delle commissioni di esame; b) il coinvolgimento della U., che in una conversazione intercorsa con la G. affermava di aver parlato con il C. del concorso cui era interessata la nuora, D.N.L., ragionando circa la possibilità, poi verificatasi, che venissero banditi due posti, uno dei quali sarebbe stato poi assegnato alla stessa; c) l'arbitrarietà - fatta eccezione per il concorso relativo all'assegnazione della borsa di studio a S.L., che la Corte d'appello ha coerentemente ritenuto esserne risultata vincitrice sotto il profilo della specificità dei titoli posseduti e della congruità del programma presentato con l'oggetto della borsa di studio - delle valutazioni operate nelle altre due procedure concorsuali, in quanto motivatamente ritenute dai Giudici di merito del tutto carenti sotto il profilo della base documentale esaminata e del percorso logico seguito ai fini del giudizio comparativo, oltre che in contraddizione con quelle compiute nelle diverse sedi concorsuali e con i criteri che gli stessi imputati hanno dichiarato di aver seguito nel corso delle valutazioni, sebbene le commissioni di esame fossero composte per 2/3 dagli stessi commissari, di cui uno (la E.) era presidente di entrambe; d) l'assoluta genericità dei verbali e dei bandi relativi al settore "didattica e tecnologia dell'istruzione", l'assenza di significativi elementi di diversificazione con riferimento alla congruità dei programmi presentati ovvero alle pubblicazioni dei candidati (fatta salva la sola variazione dei voti attribuiti ai concorrenti) e, soprattutto, l'assenza di una valutazione comparativa imparziale dei requisiti, dei titoli e delle competenze dei partecipanti, in violazione del dovere funzionale imposto, anche ai membri delle commissioni di concorso operanti in ambito universitario, dalla disposizione di cui al D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 13 quale risultato di una preordinata trattativa finalizzata alla individuazione e alla successiva spartizione dei posti disponibili fra i congiunti degli imputati, in tal guisa procurando loro l'ingiusto vantaggio patrimoniale derivante dalle arbitrarie modalità di indizione, svolgimento e definizione dell'intera procedura di assegnazione delle due borse di studio post-dottorato di durata biennale in cui risultavano vincitrici le suddette candidate G.M. e D.N.L..
3. Dal complesso delle su indicate emergenze probatorie, sia analiticamente che globalmente valutate, i Giudici di merito hanno coerentemente desunto la sussistenza dell'ipotizzata condotta delittuosa, avuto riguardo alla pacifica linea interpretativa ricavabile dall'insegnamento di questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 48913 del 04/11/2015, Ricci, Rv. 265473; Sez. 6, n. 11394 del 29/01/2015, Strassoldo, Rv. 262793; Sez. 6, n. 13426 del 10/03/2016, Lubelli, Rv. 267271), secondo cui l'integrazione del reato di abuso d'ufficio richiede una duplice distinta valutazione di ingiustizia, sia della condotta (che deve essere connotata da violazione di norme di legge o di regolamento), sia dell'evento di vantaggio patrimoniale (che deve risultare non spettante in base al diritto oggettivo); non è peraltro necessario, ai fini predetti, che l'ingiustizia del vantaggio patrimoniale derivi da una violazione di norme diversa ed autonoma da quella che ha caratterizzato l'illegittimità della condotta, qualora - all'esito della predetta distinta valutazione - l'accrescimento della sfera patrimoniale del privato debba considerarsi, come dai Giudici di merito accertato nel caso in esame, "contra ius".
Evidente risulta infatti, alla luce delle emergenze probatorie linearmente rappresentate nella decisione impugnata, l'indebito trattamento di favore per il superamento di un concorso funzionale al conseguimento di una borsa di studio di durata biennale, e dell'importo di oltre 10.000,00 Euro, la cui assegnazione determina una serie di conseguenze direttamente e positivamente incidenti sulle prospettive di lavoro e sui connessi vantaggi economici dei beneficiari.
Manifestamente infondato, inoltre, deve ritenersi il primo motivo di ricorso del C., atteso che il rapporto di impiego dei docenti universitari, proprio per l'esigenza di tutelare il complesso delle garanzie riconducibili ai valori costituzionali della libertà di ricerca scientifica e di insegnamento, non è stato "contrattualizzato" e, diversamente dalle fonti di regolazione del rapporto di lavoro del personale tecnico-amministrativo, è ancora soggetto a riserva pubblicistica ai sensi del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 3, comma 2 e art. 63, comma 4, con la conseguente piena applicabilità dei doveri stabiliti nella su citata disposizione di cui al D.P.R. n. 3 del 1957, art. 13.
Ai sensi dell'art. 3, comma 2, D.Lgs. cit., infatti, "il rapporto di impiego dei professori e dei ricercatori universitari resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti, in attesa della specifica disciplina che la regoli in modo organico ed in conformità ai principi della autonomia universitaria di cui all'art. 33 della Costituzione ed alla L. 9 maggio 1989, n. 168, e successive modificazioni ed integrazioni, artt. 6 e ss. tenuto conto dei principi di cui alla L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 2, comma 1".
L'art. 63, comma 4, D.Lgs. cit. dispone, a sua volta, che "Restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, nonchè, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all'art. 3, ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi".
Corretto, dunque, deve ritenersi il riferimento dai Giudici di merito operato ai doveri funzionali previsti dalla citata disposizione normativa di cui al D.P.R. n. 3 del 1957, art. 13 che impone fra l'altro il rispetto, nell'esercizio delle pubbliche funzioni, dei doveri di lealtà, trasparenza e sincera collaborazione fra i cittadini e l'amministrazione, al fine di curare, "in conformità delle leggi, con diligenza e nel miglior modo, l'interesse dell'amministrazione per il pubblico bene". Norma, questa, ancora in vigore per i docenti universitari in quanto la contrattazione collettiva non ne ha mai disciplinato il rapporto d'impiego e non ha, pertanto, determinato la disapplicazione della su richiamata disposizione, che continua a disciplinarne il comportamento.
In tema di abuso di ufficio, in altri termini, il requisito della violazione di legge ben può essere integrato anche dalla inosservanza dei doveri funzionali del pubblico dipendente che traggono fondamento dal D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 13 (arg. ex Sez. 6, n. 41215 del 14/06/2012, Artibani, Rv. 253803).
4. Ciò posto, deve tuttavia rilevarsi che i reati attribuiti agli imputati, commessi secondo l'imputazione sino al 22 dicembre 2008, risultano estinti alla data del 19 aprile 2017 per l'intervenuto decorso del corrispondente termine prescrizionale nella sua massima estensione, ai sensi dell'art. 157 c.p., art. 160 c.p., u.c., art. 161 cpv. cod. pen., in esso ricompreso il calcolo dei periodi di sospensione rispettivamente maturati (dal 4 ottobre 2012 al 6 dicembre 2012; dal 30 maggio 2013 al 10 ottobre 2013; dal 13 febbraio 2014 al 29 maggio 2014) e complessivamente pari a mesi nove e giorni ventotto.
E' noto che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in cassazione vizi di motivazione della sentenza, perchè l'inevitabile rinvio della causa all'esame del giudice di merito dopo la pronuncia di annullamento è incompatibile con l'obbligo dell'immediata declaratoria di proscioglimento per l'intervenuta estinzione del reato, stabilito dall'art. 129 cod. proc. pen., comma 1 (Sez Un., n. 1653/1993, Marino, Rv. 192471; Sez. Un., n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275; Sez. 6, n. 23594 del 19/03/2013, Luongo, Rv. 256625; Sez. 2, n. 2545 del 16/10/2014, dep. 2015, Riotto, Rv. 262277).
Ne discende la superfluità dell'invocata estensione della statuizione assolutoria in favore della U. (v., in narrativa, il par. 2.2.), in quanto l'accertamento prodromico alla relativa declaratoria, dai Giudici di merito erroneamente limitata, nel dispositivo della decisione impugnata, alle sole posizioni degli altri coimputati nella vicenda attinente all'assegnazione della borsa di studio a S.L., presupporrebbe una decisione di annullamento con rinvio al fine di disporre una verifica in sede dibattimentale che, sulla base di quanto dianzi esposto, risulterebbe ormai preclusa dall'intervenuta declaratoria di estinzione per prescrizione.
Conclusivamente, le su descritte emergenze processuali impongono l'annullamento senza rinvio della sentenza e la declaratoria della sopravvenuta causa estintiva del reato in ossequio all'obbligo di cui all'art. 129 c.p.p., comma 1, nella riconosciuta carenza - per le ragioni dianzi illustrate - di elementi tali da elidere la responsabilità penale dei ricorrenti o configurare situazioni suscettibili di ricadere nel paradigma di cui all'art. 129 c.p.p., comma 2. Evenienza, questa, da escludersi alla luce della lineare e corretta motivazione della sentenza di appello, unico atto in base al quale (unitamente alla confermata sentenza di primo grado) potrebbe in questa Sede profilarsi una più favorevole causa liberatoria ex art. 129 c.p.p., comma 2, rispetto alla su indicata causa estintiva prescrizionale (Sez. 4, 18 settembre 2008, n. 40799, Merli, Rv. 241474; Sez. 6, 12 giugno 2008, n. 27944, Capuzzo, Rv. 240955).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè i reati sono estinti per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 5 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2018