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Abuso d'ufficio: se la distrazione non comporta la perdita del bene non sussiste il peculato


Corte di Cassazione

La massima

Integra il reato di peculato la condotta distrattiva del denaro o di altri beni che realizzi la sottrazione degli stessi alla destinazione pubblica e l'utilizzo per il soddisfacimento di interessi privatistici dell'agente, mentre è configurabile l'abuso d'ufficio quando si sia in presenza di una distrazione a profitto proprio che, tuttavia, si concretizzi in un uso indebito del bene che non ne comporti la perdita e la conseguente lesione patrimoniale a danno dell'ente cui appartiene. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistente il reato di peculato a fronte della condotta del direttore generale di una società incaricata dello svolgimento di un pubblico servizio, che aveva utilizzato denaro dell'ente per lo svolgimento di attività di ricerca i cui proventi – brevetti e prototipo di un macchinario industriale – erano rimasti nell'esclusiva titolarità dell'agente e di altri privati, anziché dell'ente che aveva finanziato la ricerca.

Fonte: CED Cassazione Penale 2019



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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. VI , 23/01/2018 , n. 19484

RITENUTO IN FATTO

1. In parziale riforma della sentenza emessa in data 08/02/2014 dal Tribunale di Ferrara nei confronti di B.A., A.G., F.A. e As.Lu.Et., la Corte di appello di Bologna ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del B., dell' A. e del F. per il reato di corruzione, loro ascritto al capo 2), perchè estinto per intervenuta prescrizione; ha assolto tutti gli imputati dal reato di cui al capo 4) dell'imputazione (artt. 110,56 e 640 bis c.p.) perchè il fatto non sussiste; ha assolto A.G. dai reati di peculato, contestati ai capi 6) e 8), perchè il fatto non sussiste e, revocate le statuizioni civili a carico di A. nei confronti della Provincia di Ferrara per intervenuta revoca della costituzione di parte civile, ha rideterminato la pena inflitta per il delitto di peculato di cui al capo 1) in anni 5 di reclusione per il B. e l' A. ed in anni 4 di reclusione per (‘ As., confermando nel resto la sentenza appellata.


Gli imputati B., A. ed As. sono stati ritenuti responsabili del delitto di peculato, contestato al capo 1) dell'imputazione, per essersi appropriati della somma di 940.308,88 Euro della società pubblica Area spa, di cui il B. era direttore generale, destinandola al finanziamento di una ricerca per il riciclo delle materie plastiche post uso per la realizzazione di manufatti stradali, senza alcun utile per la società, in quanto dei 4 brevetti ottenuti dalla ricerca, 3 venivano cointestati all' A. e all' As. ed il quarto alla società RIUSA EU srl, costituita dal B., dall' A. e dall' As..


Rinviando per la più puntuale ricostruzione della vicenda alla sentenza di primo grado, la Corte di appello ha precisato che l'idea ed il progetto, elaborati dal F., geometra della Provincia di Ferrara, e dall' A., ingegnere capo e funzionario della Provincia di Ferrara, erano stati sottoposti al B., direttore generale di Area spa, interessato al progetto ed impegnatosi a finanziare la ricerca; ha precisato, altresì, che Area spa era società a totale capitale pubblico, partecipata da 17 comuni della provincia di Ferrara, che si occupava della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani.


I giudici di merito hanno così ricostruito la sequenza dei fatti: il (OMISSIS) il B. aveva sottoscritto un contratto di collaborazione con l' A. ed il F. di durata biennale per completare la ricerca e di durata decennale dall'inizio della commercializzazione del prodotto per gli sviluppi economici del progetto, che prevedeva clausole contrattuali, particolarmente favorevoli per i proponenti (a fronte dei guadagni certi previsti per i privati, quelli per la società erano subordinati alla prosecuzione della collaborazione con i due ideatori, ai quali si garantiva la possibilità di sviluppare la ricerca; i brevetti sarebbero rimasti di esclusiva proprietà dei privati, ai quali veniva corrisposta la somma di 5 mila Euro ciascuno per presentare la domanda di brevetto); la conclusione del contratto non era stata portata a conoscenza del Cda di Area spa, che il successivo 11 novembre si era limitato a prendere atto della proposta di collaborazione dell' A. e del F., dando mandato al direttore generale di definire il contratto; il (OMISSIS) fu stipulato il contratto di collaborazione, avente ad oggetto lo studio e lo sviluppo industriale di un impianto prototipo per la trasformazione delle plastiche ottenute dai rifiuti e di un impianto per la produzione degli elementi plastici da utilizzare nei rilevati stradali, secondo il contenuto dei brevetti di A. e F.: nel contratto si prevedeva che, nel caso di mancata prosecuzione della collaborazione alla scadenza dei due anni, il materiale tecnico sarebbe stato riconsegnato ai privati, che avrebbero riconosciuto alla società pubblica il 25% dei brevetti e dei modelli.


Si era accertato, tuttavia, che in pari data il B. ed i due progettisti avevano concluso un ulteriore contratto, tenuto segreto, sequestrato all' A. e rinvenuto nel computer del F., in base al quale il B. entrava a titolo personale nell'affare, ottenendo il riconoscimento del 20% degli utili futuri collegati alla commercializzazione dei prodotti in cambio dell'impegno a reperire le risorse finanziarie necessarie per tutta la fase di sviluppo della ricerca: in detta convenzione è stata individuata la conclusione di un accordo illecito, atteso che le risorse erano solo di Area spa, mentre i profitti dei privati e del B..


Il successivo 14 dicembre 2016 il Cda di Area spa aveva autorizzato il B. a costituire una società a responsabilità limitata, in cui Area spa doveva detenere il 51% del capitale per la gestione della fase produttiva del progetto, invece, il 16 luglio 2007 il B. aveva costituito la RIUSA. EU srl, in cui Area spa non aveva alcuna partecipazione, ed il 20 luglio 2007 un'altra società con la moglie (la (at)box srl), destinata a fornire consulenze a società in rapporti commerciali con Area spa: circostanze del tutto ignote al Cda di Area spa. Inoltre, in data 21 agosto 2007 il B. aveva stipulato per conto di Area spa un nuovo contratto con A. e F., destinato a sostituire quello del 2005 di prossima scadenza, ma inserendovi una rilevante modifica, che comportava l'esclusione di ogni ritorno economico per Area spa, che, pur continuando a finanziare il progetto di ricerca ed a corrispondere ai privati un compenso pari al 5% dei costi sostenuti, veniva definitivamente estromessa dagli sviluppi economici dei risultati della ricerca: di tale contratto il B. non riferì nulla al Cda nella seduta del 12 settembre 2007, limitandosi a riferire dei risultati positivi, che consigliavano di procedere con la sperimentazione e la realizzazione di un prototipo per la realizzazione dei manufatti da utilizzare come sottofondo stradale: il Cda aveva deliberato in tal senso, autorizzando il B. a stipulare un contratto di appalto con la G.B. Evolution srl. Tuttavia, il B. autonomamente coinvolse una società di leasing, che acquisì la proprietà dell'impianto e se ne disfece, vendendolo ad un rottamatore, che lo trasferì in Romania perchè formalmente acquistato da una società rumena, ma dalle indagini era emerso che l'impianto si trova ancora nella disponibilità degli imputati.


Una volta realizzato l'impianto, il B. stipulò un contratto tra la srl RIUSA.Eu e la società della moglie per la consegna dei materiali plastici da lavorare, escludendo ancora una volta la società pubblica, che aveva finanziato il progetto proprio per destinarvi i rifiuti plastici in vista di un riutilizzo; il 4 febbraio 2009 sempre Riusa.Eu srl aveva stipulato un accordo quadro con altre società per ottenere finanziamenti per la produzione sperimentale per un triennio ed il 19 febbraio 2009 aveva presentato domanda di brevetto relativa al cd rilevato stradale.


Respinte le eccezioni preliminari, la Corte di appello ha ritenuto configurabile il peculato per distrazione delle somme destinate afinanziare la ricerca, disposte dal B., in qualità di direttore generale della società pubblica, ma in realtà, destinate atutelare un proprio interesse personale, come risultava dalla sequenza delle condotte descritte e dall'intervento a titolo personale nell'affare; ha ritenuto, altresì, sussistente, sebbene ai soli fini civili, il delitto di corruzione estinto per intervenuta prescrizione.


2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso i difensori degli imputati, che ne chiedono l'annullamento per i motivi di seguito illustrati.


Ricorso B.:


2.1 erronea applicazione della legge penale, insussistenza della condotta tipica dell'art. 314 c.p. ed errata qualificazione giuridica dei fatti.


Si deduce che il capo di imputazione descrive una condotta non riconducibile alla fattispecie tipica del peculato, ma i giudici hanno superato tale difficoltà ricorrendo alla figura del peculato per distrazione, ormai eliminata dal testo della norma e che per essere rilevante deve, comunque, tradursi in un'appropriazione, insussistente nella fattispecie. Si segnala infatti, che, sebbene il finanziamento non abbia prodotto utili per la società pubblica, è certo che il ricorrente non si è appropriato delle risorse erogate, in quanto spese in nome e per conto di Area spa per una ricerca, di cui la società era titolare. Si evidenzia peraltro, che i beni immateriali, come le opere dell'ingegno, non possono essere oggetto di peculato; che la formulazione del capo di imputazione è incompatibile con la natura istantanea del peculato, in quanto il reato sarebbe stato commesso dal (OMISSIS) a tutto il 2009, quasi fosse un reato permanente, e che il medesimo fatto ovvero la stipula della convenzione del (OMISSIS) è contestato due volte a titolo di peculato nel capo 1) e di corruzione propria nel capo 2) con violazione del principio del ne bis in idem sostanziale e conseguente assorbimento della prima condotta nel reato di corruzione, ormai estinto per prescrizione;


2.2 erronea applicazione della legge penale, insussistenza dell'evento offensivo dell'art. 314 c.p., sussistenza della causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p. o in subordine, della causa di esclusione della colpevolezza ex art. 47 c.p..


Si deduce che nella vicenda in oggetto i giudici non hanno tenuto conto delle modifiche normative, che hanno riguardato le società cd in house, ed in particolare delle restrizioni imposte sia dal decreto Bersani D.L. n. 223 del 2006 conv. in L. n. 248 del 2006 che dalla finanziaria 2008 (che vietava alle amministrazioni pubbliche la costituzione di società aventi ad oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali nè di assumere o mantenere partecipazioni anche minoritarie in tali società), alla luce delle quali va letta la costituzione della società RIUSA EU con A. e F. in proprio anzichè per conto di Area spa. Si sostiene, pertanto, che il ricorrente non avrebbe potuto dare attuazione alla delibera del Cda del 14 dicembre 2016, che lo autorizzava a costituire una società con maggioranza di capitale spettante ad Area spa, e che, sempre in ossequio a tale normativa, fu stipulato il nuovo contratto con A. e F., che riservava loro la commercializzazione dei risultati della ricerca, inibita ad Area: ne deriva la non configurabilità del peculato per carenza di offensività della condotta, non essendovi una diminuzione patrimoniale per la società nè un danno al buon andamento della P.A. in presenza di una ricerca, che aveva una pubblica utilità.


Si assume che in ogni caso la condotta del ricorrente dovrebbe ritenersi scriminata ex art. 51 c.p., in quanto il contratto del 2 marzo 2009 tra (at)box srl e Riusa Eu è unicamente tra privati ed il contratto del (OMISSIS) fu stipulato dal ricorrente su mandato del Cda di Area spa; i contratti erano ufficiali, leciti ed in forma scritta, non atti segreti, ed i soggetti coinvolti hanno sempre agito nell'esercizio di un diritto;


2.3 erronea applicazione della legge penale, insussistenza del reato di peculato per carenza della qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio in capo al ricorrente, in quanto solo in relazione alla funzione pubblica svolta da Area spa - raccolta e smaltimento dei RSU - il ricorrente era incaricato di pubblico servizio, mentre tale qualifica non può ritenersi sussistente in relazione all'attività di ricerca relativa al riutilizzo di rifiuti speciali quali il materiale plastico, non rientrante nell'oggetto tipico della società e nel servizio pubblico espletato;


2.4 manifesta illogicità della motivazione in ordine alla responsabilità del ricorrente per il capo 1) e per il capo 2), ritenuta ai soli effetti civili: si deduce che la motivazione è illogica, contraddittoria e fondata su una inadeguata valutazione delle prove. In particolare, si censura la mancata valutazione di attendibilità del Presidente Volpi e di altri testi e la mancata considerazione dei poteri dello stesso e del Cda rispetto a quelli del ricorrente, che, in qualità di direttore generale non aveva potere di spesa generale ed agiva su delega del Cda e del Presidente, come risulta dai verbali del Cda prodotti. A differenza di quanto ritenuto dai giudici, da tutti i verbali risulta che il B. agiva in base a delibere del Cda rese all'unanimità su proposta del Presidente e che la ricerca era nota a tutti e non voluta o patrocinata dal solo ricorrente, cui la carica fu rinnovata nel gennaio 2009, ritenendo che avesse ben operato ed anche dopo il suo licenziamento, nel marzo 2009, la società eseguì i pagamenti relativi alla ricerca. Da tali elementi si sarebbe dovuto ricavare che la società aveva investito nel 2005 ingenti somme nella ricerca in oggetto per poi trovarsi, per effetto delle restrizioni normative, di cui si è detto, a non poterla proseguire e sfruttare, costituendo Riusa srl, cosicchè si decise che la ricerca fosse sostenuta dal solo ricorrente per rimediare al buco di bilancio creato senza più prospettive di guadagno. Illogica è la valutazione dei contratti operata in sentenza, in quanto nessun brevetto risulta intestato al ricorrente nè lo stesso è coinvolto nell'acquisto del prototipo dalla società di leasing nè la società era interessata alla titolarità dei brevetti,ma solo alla futura commercializzazione dei prodotti oltre all'impiego dei rifiuti plastici quale materia prima secondaria. Si sottolinea che i soldi spesi non sono mai stati oggetto di appropriazione; che il ricorrente agì con trasparenza, non avendo nulla da nascondere per essere la vicenda nota in azienda; che la costituzione della Riusa in proprio e non per conto di Area spa fu conseguenza dei limiti normativi; che la natura peggiorativa del contratto del 2007 rispetto a quello del 2005 è solo supposta, non risultando dimostrato l'asserito svantaggio per Area ed è irrilevante il riferimento al contratto con la (at)box srl perchè rimasto senza effetti, non avendo la società operato con Riusa.


Quanto al reato di corruzione, fondato sulla convenzione del (OMISSIS), si segnala la singolarità di un accordo corruttivo scritto e firmato dalle parti, che, peraltro, non era a svantaggio di Area spa, ma un contratto con oggetto futuro, teso a sfruttare la ricerca nell'interesse della società ed a tutelare l'idea verso l'esterno;


2.5 erronea applicazione della legge penale in relazione alla commisurazione della pena ed al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche: si sostiene che la Corte di appello ha lasciato invariata la pena base per il delitto di peculato, nonostante il proscioglimento per i reati di corruzione e tentata truffa aggravata, facendo erroneo riferimento all'ammontare del denaro di cui l'imputato si sarebbe appropriato, nonostante la mancata appropriazione di somme, alla protrazione della condotta nel tempo, nonostante la natura istantanea del reato, ed all'interesse pubblico leso, nonostante lo stesso fosse precluso dai limiti normativi nazionali ed Europei. Si contesta la sproporzione della pena inflitta ed il diniego delle attenuanti generiche, fondato sull'unico precedente del ricorrente, nonostante l'assenza di poteri di spesa;


2.6 erronea applicazione di legge relativamente alle statuizioni civili per avere la Corte di appello ingiustamente respinto la richiesta di revoca della provvisionale e di sospensione dell'esecuzione della stessa, specie in mancanza di un danno sofferto dalla parte civile Area spa, a carico del cui Cda la stessa sentenza ravvisa responsabilità per omesso controllo con conseguente ripartizione di responsabilità dell'onere risarcitorio.


3. Ricorso A.:


3.1 erronea applicazione dell'art. 314 c.p. e travisamento delle risultanze processuali relative alla qualificazione del fatto come peculato per distrazione.


Si deduce che entrambe le sentenze di merito hanno disatteso i principi affermati da questa Corte per delimitare l'area di tipicità tracciata dagli artt. 314 e 323 c.p., non essendo inquadrabile il fatto contestato all'imputato nel peculato, potendo al più rilevare quale abuso d'ufficio o infedeltà patrimoniale, in quanto difettano la cd distrazione appropriativa e gli elementi strutturali della condotta tipica di cui all'art. 314 c.p..


Ricordato che il peculato per distrazione richiede la violazione del titolo di possesso del denaro o del bene, destinato ad uno scopo diverso da quello consentito, le sentenze non affrontano il profilo della violazione del vincolo di bilancio e di destinazione contabile dei fondi utilizzati per il progetto plastica, dando per scontato che furono distratti, mentre invece, i verbali e le delibere del Cda attestano che nessuna somma destinata da Area spa ad altri fini fu distolta dagli imputati per essere destinata al progetto plastica. Si sostiene che le delibere assembleari sono oggetto di travisamento; che mancanoi presupposti del peculato per distrazione ovvero la previa disponibilità di somme di danaro da parte del B. suscettibile di distrazione, atteso che il direttore generale non aveva potere autonomo di spesa, spettante per statuto al Cda, che autorizzò la spesa per il fine specifico cui fu destinata; manca l'appropriazione del danaro pubblico per fini privati; vi è connessione istituzionale dell'attività di ricerca sulla plastica con i fini dell'ente, in quanto rispondente ad un interesse e ad esigenze funzionali della società, che agiva in collaborazione con altri soggetti pubblici come l'Università di (OMISSIS).


Si sostiene che erroneamente la Corte di appello ha valorizzato il conflitto di interesse del direttore generale con quello della società, che al più potrebbe rilevare come ipotesi di infedeltà patrimoniale o di corruzione ex artt. 2634 e 2635 c.c. ed altrettanto erroneamente ha ritenuto sussistente il peculato in mancanza dell'appropriazione della somma di 940 mila Euro, non conseguita dagli imputati, ma destinata a finanziare il progetto plastica, confondendo un atto gestorio con un atto appropriativo e finendo per equipararli, in tal modo snaturando la condotta tipica del peculato: in mancanza dell'appropriazione delle somme erogate per finanziare il progetto, si potrebbe al più ravvisare l'approfittamento dell'attività di ricerca condotta dalla P.A., bene immateriale che non può essere oggetto di appropriazione e quindi di peculato;


3.2 violazione degli artt. 15 e 16 c.p. e artt. 2634 e 2635 c.c. quali disposizioni speciali: si sostiene che pacificamente Area spa è assoggettabile, in quanto società in house, al diritto penale societario con conseguente prevalenza del delitto di infedeltà patrimoniale di cui all'art. 2634 c.c. sulla norma penale. Si contesta la valutazione della Corte di appello che ha respinto tale impostazione sulla sola considerazione della qualifica di pubblico ufficiale del B., invece, non risolutiva, stante la presenza di altri elementi specializzanti nella norma civilistica, che meglio descrivono il fatto contestato al capo 1);


3.3 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 133 e 62 bis c.p.: si deduce l'illegittimo rilievo attribuito nella determinazione della pena all'entità della somma sottratta, nonostante la mancata appropriazione della stessa da parte degli imputati, ed il peso attribuito alle finalità di lucro perseguite, del tutto legittime per qualunque operatore economico. Si contesta il diniego delle attenuanti generiche, richieste in ragione del convincimento dell'imputato di rapportarsi ad un operatore economico privato, come provato dalla formalizzazione dell'accordo con il B. e l' As.;


3.4 violazione dell'art. 322 ter c.p. e vizio di motivazione in relazione alla confisca dei brevetti e dell'impianto 130, erroneamentequalificati dalla Corte di appello profitto e prodotto del reato. Si deduce che la Corte di appello ha trascurato che l'impianto era rimasto nella disponibilità della società per quasi 2 anni ed è stato confiscato solo perchè il ricorrente lo ha riacquistato sul libero mercato a seguito della decisione di Area spa di non pagare i canoni di leasing, cosicchè l'acquisto lecito recide ogni nesso pertinenziale con l'illecito contestato; anche per i brevetti manca il nesso pertinenziale poichè gli elementi tecnici, oggetto dei brevetti, non sono presenti nell'impianto 130;


3.5 violazione di legge in relazione all'art. 159 c.p. e D.L. n. 74 del 1912, art. 6, comma 6: si sostiene che il reato era prescritto prima della sentenza di primo grado con conseguente illegittimità delle statuizioni civili, in quanto erroneamente la Corte di appello, pur riconoscendo l'errore commesso dal Tribunale circa due rinvii concessi per termini a difesa, ha ritenuto corretto il calcolo della sospensione prevista per gli eventi sismici che interessarono l'Emilia Romagna nel 2012. Si deduce che il D.L. n. 74 del 2012, art. 6, comma 6, chiarisce che la sospensione nella fase delle indagini preliminari opera in presenza di attività da svolgere; che l'art. 159 c.p. dilata l'intervallo temporale in proporzione al concreto intralcio provocato nel singolo procedimento, con conseguente disparità di trattamento laddove si applicassero regimi diversi a due procedimenti privi di incombenze processuali solo in ragione del diverso collocamento territoriale: esclusa, pertanto, l'operatività della sospensione nel periodo 12 agosto 2012-7 novembre 2012 (data in cui si è svolta la prima udienza a seguito del rinvio disposto il 18 luglio 2012), il reato risulterebbe prescritto prima della pronuncia della sentenza di primo grado: in caso contrario, si ripropone la questione di legittimità costituzionale della disciplina in oggetto per contrasto con l'art. 3 Cost..


4. Ricorso F.:


4.1 inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 157 c.p. e vizio di motivazione. Si deduce l'erroneità del computo del termine prescrizionale con riguardo al periodo di sospensione dello stesso in applicazione della L. n. 134 del 2012, che estendeva al comune di Ferrara la normativa introdotta dal D.L. n. 74 del 2012 per il sisma che interessò l'Emilia. Si sostiene che è illogica l'interpretazione della Corte di appello, secondo la quale la sospensione decorreva dal 12 agosto 2012 anzichè dal 7 novembre 2012, data dell'udienza in cui il Tribunale sospendeva il corso della prescrizione, trattandosi di effetto ex lege, in quanto per altri processi pendenti dinanzi al Tribunale di Ferrara per i quali non era tenuta udienza nel periodo tra il 12 agosto e il 31 dicembre 2012 non operava la sospensione con conseguente disparità di trattamento. Si sostiene che è illogico ritenere operante la sospensione in un periodo in cui non era prevista nè si svolse alcuna attività processuale, dovendo invece, ritenerla operante solo dal 7 novembre 2012, quando fu dichiarata dal Tribunale, non potendo applicarsi retroattivamente la sospensione con interpretazione sfavorevole per il ricorrente e violativa dei principi del diritto interno e di quelli affermati anche dalla Corte Europea. Ne discende che, espunto detto periodo di sospensione, il reato di corruzione era prescritto durante il giudizio di primo grado alla data del 27 novembre 2013;


4.2 erronea applicazione degli artt. 319,319 bis e 321 c.p. e vizio di motivazione per avere la Corte di appello confermato la responsabilità del ricorrente ai soli fini civili, trascurando le argomentazioni difensive e con motivazione scarna e insufficiente. Si deduce che la Corte di appello ha fondato il giudizio sulla partecipazione del ricorrente alla iniziale trattativa contrattuale, sfociata nell'accordo non ufficiale del (OMISSIS), ed alla successiva novazione contrattuale del 21 agosto 2007, trascurando che il F. non risponde del peculato contestato ai correi e ritenuto il principale obiettivo degli stessi, a differenza dei quali, il ricorrente non conseguiva alcun vantaggio dalla corruzione, non risultando intestatario di alcun brevetto. Si evidenzia che la stessa Corte territoriale riconosce che, dopo l'accordo del (OMISSIS), il F. si dissociò dal progetto dell' A., ma riduce tale condotta ad un mero ripensamento, inidoneo ad escludere il dolo, nonostante l'inefficacia dell'accordo illecito, che non ebbe alcun seguito,ed il ricorrente fosse convinto di concludere un contratto lecito con il B. in proprio nè risulta coinvolto nelle vicende successive;


4.3 violazione di legge ed erronea applicazione dell'art. 187 c.p., comma 2, e vizio di motivazione per essere ingiustificata la condanna al risarcimento dei danni e al pagamento della provvisionale in solido con i correi, nonostante la differenza di posizione e nonostante l'assenza di un danno per Area spa direttamente ricollegabile al reato contestato al capo 2), derivando il danno dalla mancata intestazione dei brevetti ad Area spa, cui è estraneo il ricorrente;


4.4 violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità, stante l'intervenuta revoca della costituzione di parte civile nei confronti del ricorrente, con atto depositato il 2 dicembre 2016.


5. Il ricorso As. articola motivi coincidenti con quelli enunciati nel ricorso A., sorretti da argomentazioni analoghe a quelle già esposte al punto 3, alle quali si rinvia, sia quanto all'erronea applicazione dell'art. 314 c.p., al travisamento delle risultanze processuali ed all'erronea qualificazione del fatto di cui al capo 1) come peculato per distrazione (punto 3.1), sia quanto alla violazione degli artt. 133 e 62 bis c.p. ed al relativo vizio di motivazione per l'applicazione di una pena superiore di un terzo al minimo edittale ed al diniego delle attenuanti generiche (punto 3.3), sia quanto alla violazione dell'art. 322 ter c.p. e vizio di motivazione sul nesso di pertinenzialità tra i brevetti confiscati e il reato di peculato (punto 3.4), con le uniche precisazioni relative alla posizione del ricorrente, anziano ricercatore del settore chimico, ed all'interesse eminentemente scientifico perseguito, in quanto, dopo il pensionamento, aveva cercato di realizzare il progetto da tempo coltivato diretto ad individuare un procedimento per il riutilizzo delle sostanze plastiche, riuscendo a brevettare procedure ideate negli anni precedenti al 2005, non in forza di accordi illeciti, ma solo in ragione della possibilità di uno sbocco operativo concreto.


Con memoria depositata in data 1 settembre 2017 i difensori dell' A. hanno ribadito gli argomenti posti a sostegno del ricorso, sottolineando l'insussistenza del reato per mancanza della cd distrazione appropriativa anche alla luce dell'orientamento di questa Sezione. Si ribadisce l'assenza di violazione del titolo di possesso, in quanto i fondi utilizzati erano destinati proprio a finanziare la ricerca per il recupero del materiale plastico post uso, traendone conferma dall'assoluzione dal tentativo di truffa ai danni della Regione poichè dimostra che le risorse impiegate erano di Area spa proprio con detta finalità; si ribadisce la sussistenza di una connessione istituzionale con le finalità dell'ente pubblico del diverso utilizzo del bene o del danaro, rimasto pur sempre nella disponibilità della P.A. Si segnala, inoltre, l'intervenuta transazione tra gli imputati A. e As. ed Area spa in forza della quale gli imputati hanno corrisposto alla persona offesa la somma di 201 mila Euro: la circostanza viene evidenziata sia ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, sia ai fini della rinuncia al quinto motivo di ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.


Con memoria pervenuta il 20 settembre 2016 il difensore del B. ribadisce l'erronea qualificazione del fatto, illustra ed arricchisce i motivi già esposti, ribadendo che l'investimento fu deliberato dal Cda per uno specifico interesse di Area e che lo stesso fu perseguito, cosicchè non può ritenersi che il ricorrente lo gestì al di fuori delle proprie attribuzioni, comportandosi uti dominus con conseguente insussistenza di qualsiasi appropriazione.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente va dichiarata l'inammissibilità del ricorso dell' As. perchè proposto da difensore non iscritto nell'albo speciale dei difensori abilitati a proporre ricorso per cassazione, come risulta dall'attestazione in atti.


Va in proposito ribadito che la sottoscrizione dei motivi di impugnazione da parte di difensore non iscritto nell'albo speciale determina, ai sensi dell'art. 613 c.p.p., l'inammissibilità del ricorso per cassazione (Sez. 3, n. 19203 del 15/03/2017, Mezei,Rv. 269690; Sez. 3, n. 48492 del 13/11/2013, Scolaro, Rv. 258000).


All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, equitativamente determinata in Euro duemila.


2. Sempre in via preliminare, va rilevata l'infondatezza dell'eccezione processuale sollevata dai ricorrenti A. e F. in ordine al calcolo del termine prescrizionale del delitto di corruzione, in quanto l'interpretazione della normativa speciale operata in sentenza è corretta e conforme a quanto ritenuto sul punto da questa Corte (Sez. 6,n. 4105 del 01/12/2016, dep. 2017, Ferroni e altro; Sez. 3 n. 5431 del 22/09/2016, dep. 2017, Galeano e altri).


Considerato, infatti, che il D.L. 6 giugno 2012, n. 74, art. 6, comma 6, convertito in L. 1 agosto 2012, n. 122, avente ad oggetto interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici, che hanno interessato il territorio emiliano il 20 e 29 maggio 2012, ha previsto per il periodo sino al 31 dicembre 2012, la sospensione dei termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari nonchè dei termini per proporre querela ed altresì, la sospensione dei processi penali, in qualsiasi stato e grado, pendenti alla data del 20 maggio 2012, di competenza di uffici giudiziari aventi sede nei comuni interessati dal sisma con corrispondente sospensione dei termini di prescrizione, ai sensi dell'art. 6, comma 9, D.L. cit.; considerato inoltre, che i territori delle province di Ferrara e Mantova erano stati inseriti tra quelli per i quali operava la sospensione in forza della L. n. 134 del 2012, di conversione del D.L. n. 83 del 2012, con effetto dal 12 agosto 2012, deve ritenersi correttamente calcolata da tale data la sospensione del termine di prescrizione fino alla data del 31/12/2012, avuto riguardo all'inequivoco tenore del D.L. cit., art. 6 comma 9, secondo il quale il corso della prescrizione rimane sospeso per il tempo in cui il processo è sospeso ai sensi del comma 6.


Presumendo una condizione di disagio conseguente all'evento sismico per l'intero periodo contemplato dalla norma, è stata prevista una sospensione "ex lege" dei processi pendenti presso uffici giudiziari aventi sede nei comuni interessati dal sisma, come quello in oggetto, per l'intero periodo: pertanto, come ritenuto dai giudici di merito, il provvedimento del giudice ha natura meramente dichiarativa con conseguente esclusione del dedotto effetto retroattivo di tale pronuncia.


I ricorrenti fanno, invece, riferimento alla diversa situazione disciplinata dall'art. 6, comma 7 cit. che prevede, tra l'altro, alla lett. b), nei processi penali in cui, alla data del 20/05/2012, una delle parti o dei loro difensori, nominati prima di tale data, fosse residente nei comuni colpiti dal sisma, l'obbligo a carico del giudice di disporre d'ufficio il rinvio del processo a data successiva al 31/12/2012, ove risulti contumace o assente una delle parti o dei loro difensori: si tratta quindi, di una norma, che ancora ad un diverso parametro, quale la residenza delle parti o dei difensori in uno dei comuni interessati dal sisma ed all'assenza delle parti o dei loro difensori, il rinvio "d'ufficio" delle udienze fissate in detto periodo, indipendentemente dalla sede in cui doveva svolgersi l'attività giudiziaria (in tal senso Sez. 3, n. 5106 del 13/12/2013, dep. 2014, Stefanelli, Rv. 258002; Sez. 4, n. 36280 deI21/06/2012, Forlani, Rv. 253563; Sez. 6, n. 47272 del 05/11/2015, Paletta, non massimata).


L'obbligatorietà del rinvio delle udienze, fissate in detto periodo, in presenza delle condizioni indicate, trova ragione, anche in detto caso, nella considerazione del disagio conseguente all'evento eccezionale verificatosi e prevede solo per tale ipotesi, non ricorrente nel caso in esame, un diverso regime prescrizionale, limitato al periodo in cui il processo è rinviato, del quale si invoca impropriamente l'applicazione, atteso che, come già detto, nel caso di specie è stato applicato il D.L. cit., art. 6, comma 6, che ha riguardo alla sede di svolgimento del processo ed all'impossibilità di trattare i processi presso gli uffici giudiziari contemplati dalla normativa speciale.


Ne discende l'infondatezza del rilievo difensivo, secondo il quale il termine di sospensione opererebbe solo dalla data di rinvio dell'udienza, trattandosi invece, di sospensione obbligatoria prevista per l'intero periodo considerato dal legislatore, operante per tutti i processi pendenti presso l'ufficio giudiziario disagiato con le sole eccezioni previste all'art. 6, comma 8 (l'udienza di convalida dell'arresto o del fermo; il giudizio direttissimo; la convalida dei sequestri; i processi con imputati in stato di custodia cautelare; i processi a carico di imputati minorenni). Risulta pertanto, inconferente la deduzione difensiva circa la disparità di trattamento prevista per le diverse fasi processuali o per i processi in cui non risultavano fissate udienze, in quanto il D.L. cit., art. 6, comma 6, disciplina in modo uguale tutti i processi pendenti; peraltro, l'espressa previsione della possibilità per le parti processuali interessate o per i rispettivi difensori di rinunciare alla sospensione di cui al comma 7, contenuta nello stesso comma 8, rende evidente la differenza delle situazioni disciplinate dai commi 6 e 7 della norma indicata, ancorate a parametri differenti, e dimostra la manifesta infondatezza dei dubbi di costituzionalità sollevati.


3. Nel merito i ricorsi sono infondati.


Motivo comune ai ricorrenti B. e A. è la contestazione della qualificazione giuridica del fatto come peculato, insussistente nella prospettazione difensiva per mancanza dell'elemento essenziale dell'appropriazione.


Preliminare, in quanto ad essa è correlata la configurabilità del reato, è la verifica della qualità di pubblico ufficiale del B., contestata al punto 3 del ricorso dalla difesa del ricorrente, ma ravvisata dai giudici di merito in ragione della natura pubblica di Area spa, partecipata esclusivamente da enti territoriali, e della natura pubblica del servizio svolto dalla stessa, avente ad oggetto la raccolta e lo smaltimento dei RSU.


Questa Corte ha da tempo affermato che i soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di una società per azioni possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, quando l'attività della società medesima sia disciplinata da una normativa pubblicistica e persegua finalità pubbliche, pur se con gli strumenti privatistici (specifica sul punto èSez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, Orsi, Rv. 257384, relativa a fattispecie nella quale la Corte ha riconosciuto la qualifica di incaricato di pubblico servizio all'amministratore di una società per azioni, operante secondo le regole privatistiche, ma partecipata da un consorzio di enti pubblici ed avente ad oggetto la gestione di un servizio di pubblico interesse, quale la raccolta o lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani; conformi Sez. 6, n. 49759 del 27/11/2012, Zabatta, Rv. 254201; Sez. 6, n. 1327 del 07/07/2015, dep.2016, Caianiello, Rv. 266265).


Posto che la natura del servizio reso è correlata dalla legge ad un criterio oggettivo-funzionale, che prescinde dalla natura privata dell'ente e ha riguardo solo alla connotazione pubblicistica dell'attività svolta; che il servizio pubblico è, infatti, definito dall'art. 358 c.p., comma 2 in termini omologhi alla funzione pubblica di cui all'art. 357 c.p., sebbene sia caratterizzato dall'assenza dei poteri propri di quest'ultima (deliberativi, autoritativi o certificativi), cosicchè non è necessario che l'attività svolta sia direttamente imputabile a un soggetto pubblico, essendo sufficiente che il servizio, anche se concretamente attuato attraverso organismi privati, realizzi finalità pubbliche (Sez. 6, n. 39359 del 07/03/2012, Ferrazzoli, Rv. 254337; Sez. 6, n. 6405 del 12/11/2015, dep. 2016, Minzolini, Rv. 265830), ai fini penali la qualifica pubblicistica dell'agente deriva quindi, dall'effettivo esercizio di funzioni nell'ambito di un pubblico ufficio o servizio e, nell'ambito delle attività pubblicistiche, la qualifica di incaricato di pubblico servizio spetta soltanto a coloro che svolgono compiti di rango intermedio tra le pubbliche funzioni e le mansioni di ordine o materiali.


Pertanto, pur dovendo riconoscersi più correttamente al B. la qualifica di incaricato di pubblico servizio, il tentativo difensivo di connettere tale qualifica unicamente alle funzioni di direttore generale della società e non all'attività di ricerca, che non costituirebbe servizio pubblico, è destituito di fondamento.


Come correttamente ritenuto dai giudici di merito, l'attività di ricerca rientrava nell'oggetto sociale di Area ed era allo stesso strettamente connessa, trattandosi di attività promossa e finanziata in una prospettiva di miglioramento del servizio e di risparmio di spesa, in quanto finalizzata a riciclare i rifiuti plastici per produrre manufatti da utilizzare come sottofondi stradali, così da contenere le spese di smaltimento.


In tal senso depone chiaramente la delibera del Cda dell'11 novembre 2005, nella quale si precisa che "Area ha tra i propri fini statutari e tra i propri obiettivi strategici anche quello di sviluppare attività di ricerca con particolare riguardo all'ambito della salvaguardia ambientale, del recupero e della valorizzazione dei rifiuti" e si manifesta l'interesse di Area spa allo sviluppo del progetto dell' A. e del F. "al fine di perseguire gli obiettivi aziendali di tutela e prevenzione ambientale attraverso il riciclo del rifiuto plastico, sottraendolo così allo smaltimento finale".


Ne deriva che la decisione di investire nella ricerca e di finanziare il progetto rispondeva alle finalità pubbliche dell'ente e che nel concludere contratti ed autorizzare spese, disponendo delle risorse finanziarie della società, il B. agiva sì su delega del Cda, ma, in quanto direttore generale, con poteri autonomi di gestione e di spesa, espressamente conferitigli con la delibera di incarico (pag. 4 sentenza di primo grado).


4. Tale precisazione consente di risolvere un primo profilo di censura, relativo alla prospettata qualificazione del reato come truffa, correttamente esclusa dai giudici di merito, in quanto i fondi destinati al progetto non furono ottenuti dal B. con artifici e raggiri, derivandogli dalla qualità e dalla carica rivestita nella società pubblica il possesso, il potere di gestire le risorse finanziarie e la disponibilità giuridica delle somme impegnate in nome e per conto della società. D'altra parte è la stessa difesa del ricorrente a sostenere che l'iniziativa era lecita e nota al Presidente ed al Cda, con la conseguenza che il potere di spesa rientrava legittimamente nei poteri del direttore generale, al quale si imputa, invece, di essersi appropriato dei fondi investiti per averli distratti dalla finalità prevista, destinandoli a vantaggio proprio e degli ideatori del progetto.


Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l'elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata, ai sensi dell'art. 61 c.p., n. 9, va individuato con riferimento alle modalità del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui, oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio se ne appropri, avendone già il possesso o comunque, la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece, la seconda ipotesi quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene (Sez. 6, n. 18177 del 03/03/2016, Saccone e altro, Rv. 266985; Sez. 6, n. 15795 del 06/02/2014, Campanile, Rv. 260154; Sez. 6, n. 39010 del 10/04/2013, Baglivo, Rv. 256595).


Va quindi, attribuito rilievo centrale alla nozione di disponibilità o, comunque, di possesso qualificato dalla ragione dell'ufficio o del servizio, che deve intendersi fondato non solo sulla competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, ma anche su un rapporto che consenta al soggetto di inserirsi di fatto nel maneggio o nella disponibilità della cosa o del denaro altrui, rinvenendo nella pubblica funzione o nel servizio anche la sola occasione per un tale comportamento (Sez. 6, n. 33254 del 19/05/2016, Caruso, Rv. 267525) e nel caso di specie è indubbio che il B. conseguì il possesso e la disponibilità delle risorse di Area spa in modo legittimo, trovando gli stessi causa nelle ragioni di ufficio e non in una condotta fraudolenta del ricorrente.


Peraltro, tenuto conto dell'ampiezza dei poteri di gestione e di spesa attribuiti al B. (pag. 83 della sentenza di primo grado), persino confermata dal F. (pag. 24 della sentenza impugnata), va ribadito che il pubblico agente, titolare del potere di predeterminare insindacabilmente il contenuto ed i beneficiari di un provvedimento di spesa, mediante l'adozione di atti amministrativi di sua competenza, sottoposti da terzi a controlli meramente formali, tali da non consentire un esame approfondito del titolo di pagamento, come nella fattispecie, ha la "disponibilità", rilevante ex art. 314 c.p., in quanto la "destinazione" del denaro oggetto del provvedimento di spesa è rimessa alla esclusiva decisione del soggetto dotato dei suddetti poteri: in tal caso, come ritenuto da questa Corte, è configurabile il delitto di peculato (Sez. 6, n. 20666 del 08/04/2016, De Sena, Rv. 268030; in motivazione Sez. 6, n. 50074 del 27/09/2016, Maione, Rv. 269524).


5. Tale premessa è essenziale per evitare confusioni e sviamenti dal tema in esame, derivanti dalle omesse informazioni al Cda e dalle iniziative occulte del ricorrente e degli ideatori del progetto, in quanto non incidono sul possesso e sulla disponibilità giuridica del danaro da parte del B., quale direttore generale di Area spa, ma costituiscono iniziative parallele, destinate ad occultare l'appropriazione del denaro, di cui il ricorrente aveva il possesso e la disponibilità in ragione del suo ufficio.


Ancora, tale premessa è essenziale per comprendere la centralità del ruolo del B. nella vicenda in esame, in quanto solo in ragione dei poteri spettantigli e della libertà di gestione riconosciutagli, della posizione fiduciaria ricoperta e della libertà assicuratigli nella fase esecutiva delle delibere del Cda, è stato possibile dirottare le ingenti risorse investite dalla società nel progetto di ricerca per il conseguimento di interessi personali e privatistici, frustrando le finalità istituzionali, che giustificavano l'investimento e che Area spa intendeva perseguire.


Entrambe le sentenze di merito hanno attribuito rilievo alla sequenza cronologica dei fatti, al contenuto dei contratti stipulati dal B. ed alla documentazione sequestrata per ricavare dal contrasto tra quanto ufficialmente riferito dal B. al Cda e quanto in realtà eseguito la finalità distrattiva perseguita dal ricorrente e dai progettisti, risoltasi nell'appropriazione delle risorse di Area spa, progressivamente esclusa dalla partecipazione ai vantaggi economici, connessi allo sfruttamento industriale del progetto. In sostanza, secondo i giudici di merito, Area spa aveva interamente finanziato la ricerca senza ricavarne alcun utile, in quanto non risultò proprietaria dei brevetti nè del prototipo realizzato per la produzione dei manufatti plastici, risultato in possesso degli imputati, nè ottenne la partecipazione agli utili della commercializzazione dei prodotti, pur inizialmente prevista.


La difesa del B. ha sostenuto che nel caso di specie si è confusa la finalità pubblicistica dell'investimento di Area spa nella ricerca con le prospettive di sfruttamento commerciale degli eventuali esiti positivi della ricerca, future, incerte e mutate nel tempo; anche la difesa dell' A. ha dedotto che i brevetti industriali non potevano che spettare agli ideatori del progetto e non possono costituire oggetto del peculato, ma è agevole rilevare che tali prospettive, costituenti la parte più appetibile del progetto, non a caso costituente l'oggetto dell'accordo parallelo rispetto a quello ufficiale del (OMISSIS), erano contemplate sin dalla fase iniziale del programma di investimento come di diretto interesse della società, come risulta dalla delibera del Cda dell'11/11/2005.


Dalla delibera in atti risulta che Area spa era stata contattata da A. e F. per la definizione di un rapporto contrattuale per lo sviluppo scientifico e industriale della metodologia ideata dagli stessi con previsione di "eventuale cessione in esclusiva ad Area del diritto di utilizzare il brevetto e di sfruttarlo economicamente": se ne ricava che era sin dall'inizio posta attenzione allo sfruttamento economico dei risultati della ricerca e che, pur essendo previsto nel contratto stipulato il (OMISSIS) in maggior misura (pag. 46 sentenza di primo grado), anche nel contratto ufficiale del (OMISSIS) era previsto che "eventuali brevetti e modelli di utilità relativi all'oggetto del presente contratto (con esclusione della parte già oggetto di domanda di brevetto, depositata da A. e F.) saranno di proprietà delle parti in egual misura" (pag. 48 sentenza primo grado, che significativamente richiama anche il contenuto ben diverso ed esplicito del contratto stipulato da Area spa con il Consorzio Ferrara Ricerche nel quale si precisava che "la proprietà di qualunque eventuale risultato inventivo, brevettabile o meno, derivante dall'attività di ricerca spetterà ad Area, salvo i diritti di nominatività spettanti agli inventori ai sensi della vigente legislazione").


E', quindi, documentalmente smentita la tesi dei ricorrenti ed espressamente prevista dal contratto la prospettiva di studio, sviluppo scientifico ed industriale di un impianto prototipo per la trasformazione delle materie plastiche e di un impianto specifico per la produzione dell'elemento costituito da materiale plastico di riciclo da utilizzare nei rilevati stradali, secondo la domanda di brevetto depositata dagli ideatori, ma che sarebbe stato di proprietà di Area spa.


Documentale è anche il differente contenuto del contratto ufficiale del (OMISSIS) e di quello parallelo ed occulto, stipulato tra il B., l' A. ed il F., nel quale si palesava l'interesse personale del B., al quale veniva garantito "il 20% degli utili futuri derivanti dalla commercializzazione dei prodotti sia a livello nazionale che internazionale in cambio dell'impegno a fornire le condizioni finanziarie necessarie per tutta la fase relativa allo sviluppo della ricerca finalizzata all'industrializzazione dell'idea": contratto illecito e destinato a rimanere segreto con il quale il B. interveniva a titolo personale nell'affare e si assicurava un utile, garantendo ai progettisti di procurare risorse economiche, provenienti unicamente da Area spa, che continuò a finanziare il progetto senza ottenere alcun beneficio, anzi, venendo progressivamente estromessa da ogni vantaggio, come sottolineato dai giudici di merito.


Di tale contratto Area spa venne a conoscenza solo dopo il sequestro, tant'è che nel dicembre 2016 il Cda, dopo aver appreso dei progressi della ricerca, aveva incaricato il B. di costituire una società a r.l. in cui Area spa doveva detenere il 51% del capitale per la gestione della fase produttiva del progetto rilevato stradale da materiale plastico; invece, il B. costituì una società, la Riusa.Eu srl, in cui Area spa non aveva alcuna partecipazione, ma di cui erano soci il B., l' A., schermato da una fiduciaria, e l' As., così sostituendo nuovamente se stesso alla società nel cui interesse avrebbe dovuto agire e le cui direttive avrebbe dovuto attuare.


I difensori dei ricorrenti hanno sostenuto che tale iniziativa era dovuta alle restrizioni imposte dal decreto Bersani e dalla finanziaria del 2008, cosicchè il B. avrebbe agito nell'interesse della società, ma la tesi, smentita dalle risultanze processuali e dalle stesse dichiarazioni del B. (pag. 81-82 della sentenza di primo grado) e nuovamente riproposta in questa sede, è stata concordemente respinta dai giudici di merito con argomentazione lineare e non manifestamente illogica, osservando che non era stata mai avanzata dagli imputati nel corso degli interrogatori nè oggetto di comunicazioni odi discussione in sede di Cda, non rinvenendosene traccia nella documentazione acquisita, ma soprattutto, rilevando che detti limiti normativi, laddove effettivamente considerati, avrebbero dovuto giustificare la revoca o la riduzione dei finanziamenti piuttosto che la soluzione adottata dal B. a titolo personale, come argomentato dai giudici di appello, specie se raccordata al successivo contratto stipulato il 21 agosto 2017, anch'esso non reso noto al Cda nè al Presidente della società.


Risulta pertanto, del tutto insostenibile la tesi difensiva del B., secondo la quale il ricorrente avrebbe agito su mandato del Cda, stipulando contratti leciti ed agendo nell'esercizio di un diritto.


Se quindi, con la costituzione di Riusa. Eu srl Area spa veniva estromessa dalla società, che si sarebbe occupata della produzione industriale dei rilevati plastici per sottofondi stradali, con la novazione del contratto del 2005, stipulata con i progettisti, si sanciva la definitiva perdita di ogni prospettiva di ritorno economico e di utile per Area spa, in quanto la società avrebbe continuato a finanziare la ricerca ed a corrispondere ai progettisti il 5% dei costi sostenuti da Area, ottenendo in cambio solo la documentazione tecnica in loro possesso, necessaria allo sviluppo della sperimentazione (documentazione mai trasmessa nè utile ad alcun fine poichè i brevetti e i risultati della ricerca erano dei progettisti), come ritenuto dai giudici di merito.


L'eliminazione definitiva degli eventuali vantaggi per Area spa, previsti nel contratto iniziale, fu percepita anche dal legale della società, alle cui contestazioni il B. replicò, sostenendo unicamente che le condizioni erano cambiate e bisognava modificare il contratto.


Come già detto, di tale contratto nulla fu riferito nel Cda del settembre successivo dal B., che invece, si limitò a rappresentare i risultati incoraggianti raggiunti, che consigliavano di procedere con la sperimentazione, tant'è che il Cda autorizzò la realizzazione di un impianto prototipo di stampaggio per sottofondi stradali, incaricando il direttore generale di stipulare un contratto di appalto con la GB Evolution. Risulta che il prototipo fu costruito e realizzato, ma neppure questo risultò di proprietà di Area spa, in quanto il B. stipulò un contratto di locazione di impianto di stampaggio, la cui proprietà spettava alla GB Evolution e per essa ad una società di leasing, che aveva ricevuto la provvista da Riusa. Eu srl e vendette l'impianto ad un rottamatore, ma, come detto in precedenza (pag. 4), l'impianto risultò invece, nella disponibilità degli imputati.


Ebbene, le intercettazioni riportate nella sentenza di primo grado (pag. 7172) provano che l'intento dei ricorrenti B. e A. era quello di appropriarsi del prototipo, sottraendolo ad Area spa ( B. ad A.: "noi ci prendiamo la macchina", "l'ipotesi è di portarci a casa la macchina da qualche parte", spiegandogli di aver prospettato al presidente Volpi la vendita della macchina come un'opportunità per liberarsi di un costo rilevante, tacendo ovviamente il loro interesse ad acquistarla), così confermando la ricostruzione contenuta nelle sentenze di merito.


Se a tali passaggi si aggiungono le ulteriori iniziative del B. dirette anche a fornire la plastica necessaria allo stampaggio dei primi mille blocchi tramite Riusa. Eu srl e non tramite Area, stipulando quindi, un contratto con se stesso nel giugno 2008, ed ancora nel marzo 2009 con la società della moglie per alimentare la produzione, si ha riprova del fine esclusivamente personale perseguito in modo tenace e pervicace dal ricorrente, in patente conflitto di interessi, in quanto nel marzo 2009 era ancora direttore generale di Area spa, società che aveva finanziato la ricerca e che veniva estromessa anche dal conferimento dei rifiuti plastici necessari per la produzione dei manufatti, di cui si occupava Riusa Eu srl e gli utili sarebbero stati divisi tra il B. ed i progettisti secondo l'accordo rinnovato.


Da tale sequenza risulta evidente che il B. in accordo con l' A. ha utilizzato il denaro di Area spa per finanziare un'attività di ricerca, che gli avrebbe consentito guadagni personali, senza alcun utile per la società, essendo il danaro destinato a consentire ai progettisti di completare la ricerca, presentare le domande di brevetto e realizzare il prototipo, che avrebbe garantito l'industrializzazione del progetto e le prospettive di sviluppo commerciale del prodotto: associandosi agli stessi ed entrando nell'affare a titolo personale, il B. si sarebbe appropriato dei risultati della ricerca e dei brevetti, uno dei quali intestato appunto alla società Riusa. Eu srl, che, a differenza di quelli depositati nel novembre 2008 a nome di A. ed As. (che avevano ad oggetto parti dell'impianto), aveva ad oggetto "il blocco modulare per opere civili" cioè il prodotto industriale commercializzabile ossia il rilevato stradale (pag. 57 sentenza di primo grado).


E' quindi, insostenibile la tesi dei ricorrenti secondo la quale le prospettive di sviluppo commerciale del progetto erano future ed eventuali, essendo invece, risultate concrete e reali, ma unicamente a vantaggio dei privati, determinati ad appropriarsi della macchina per la produzione industriale del blocco modulare: di particolare significatività è che l' A. stesso stimasse il valore della macchina in misura corrispondente alle somme investite da Area spa per finanziare la ricerca ("questa macchina che più o meno abbiamo valutato... pesa, dal punto di vista economico, un milione di Euro", v. pag. 58 della sentenza di primo grado).


Pertanto, correttamente i giudici hanno valorizzato la pluralità di atti dispostivi ed i contratti stipulati dal B., i cui contenuti, deteriori per la società, sono stati illustrati, al fine di evidenziare che il ricorrente gestì le risorse di Area spa in totale autonomia e libertà, come se fossero proprie, e con il fine esclusivo di appropriarsi, insieme ai correi, dello stesso ed indirettamente dei risultati della ricerca.


6. Gli elementi illustrati depongono, pertanto, per la esatta qualificazione giuridica del fatto come peculato, in quanto il danaro erogato da Area spa, ufficialmente ed effettivamente destinato a finanziare la ricerca e la realizzazione del prototipo, fu in realtà dirottato a favore del ricorrente e dei correi, appropriatisi dei risultati della ricerca in violazione del vincolo di destinazione impresso al finanziamento dalla società pubblica.


I ricorrenti sembrano avere riguardo esclusivamente alla mancata appropriazione del danaro, inteso in senso materiale, in quanto effettivamente speso per finanziare la ricerca, ma, oltre a trascurare che la formulazione dell'imputazione ha riguardo non solo alla materialità del danaro investito, ma anche ai risultati della ricerca, contemplando espressamente i beni prodotti dall'investimento, trascurano anche che in tema di peculato vanno valorizzati gli interessi tutelati dalla norma, in quanto "la cosa mobile e/o il denaro oggetto materiale del reato acquista rilevanza non soltanto di per sè, ma anche e, soprattutto, in ragione della particolare funzione che le è stata assegnata all'interno della pubblica amministrazione, con la conseguenza che sul piano dell'offesa non può non considerarsi rilevante anche l'uso penalmente illecito della cosa e cioè il togliere alla pubblica amministrazione la possibilità di disporre della cosa per il perseguimento di pubbliche finalità" (Sez. 6, n. 1247 del 17/07/2013, dep. 2014, Boi, Rv. 258411).


Peraltro, la mera compresenza di una finalità pubblicistica non elide di per sè la configurabilità del reato, qualora il perseguimento del pubblico interesse non costituisca l'obiettivo principale dell'agente (Sez. 2, n. 23019 del 05/05/2015, Adamo, Rv. 264280) e nel caso di specie la ricostruzione fattuale rende evidente che la finalità della condotta degli imputati non fu certo quella di operare nell'interesse di Area spa, come ritenuto dai giudici di merito.


7. Deve, conseguentemente, ritenersi correttamente esclusa la configurabilità dell'ipotesi, peraltro, residuale, dell'abuso d'ufficio, proprio in ragione dell'appropriazione del denaro, dei brevetti e del prototipo, in quanto l'esercizio di un potere uti dominus da parte del soggetto agente, che sottrae il bene alla disponibilità dell'ente, infrange ed interrompe indebitamente il collegamento funzionale tra lo stesso e le ragioni dell'ufficio o del servizio, legittimanti il possesso del danaro (Sez. 6, n. 13038 del 10/03/2016 e Sez. 6, n. 38757 del 22/06/2016, Alibani e altri, Rv. 268094), sussistendo, invece, l'abuso d'ufficio, quando si sia in presenza di una distrazione a profitto proprio, che si concretizzi semplicemente in un uso indebito del bene, ma che non comporti la perdita dello stesso e la conseguente lesione patrimoniale a danno dell'avente diritto (Sez. 6, n. 12658 del 02/03/2016, Tripodi, Rv. 266871), a differenza di quanto avvenuto nella fattispecie.


Pertanto, senza neppure dover ricorrere al concetto di appropriazione per distrazione, che, a differenza di quanto sostenuto dai ricorrenti, è ancora idoneo ad integrare il peculato (le Sezioni Unite nella sentenza n. 19054 del 20/12/2012, dep. 2013, Vattani, hanno affermato che l'eliminazione della parola "distrazione" dal testo dell'art. 314 c.p., operata dalla L. n. 86 del 1990, non ha determinato puramente e semplicemente il transito di tutte le condotte distrattive poste in essere dall'agente pubblico nell'area di rilevanza penale dell'abuso d'ufficio. Qualora, infatti, mediante la distrazione del denaro o della cosa mobile altrui, tali risorse vengano sottratte da una destinazione pubblica ed indirizzate al soddisfacimento di interessi privati, propri dello stesso agente o di terzi, viene comunque integrato il delitto di peculato. La condotta distrattiva, invece, può rilevare come abuso d'ufficio nei casi in cui la destinazione del bene, pur viziata per opera dell'agente, mantenga la propria natura pubblica e non vada a favorire interessi estranei alla p.a.; in senso conforme Sez. 6, n. 43133 del 13/07/2017, Di Gregorio e altro, Rv. 271379), nel caso di specie deve ritenersi realizzata dai ricorrenti l'appropriazione, integrante il delitto di peculato, in quanto il danaro erogato dall'ente, solo formalmente fu destinato allo scopo ufficiale, ma in realtà fu utilizzato per soddisfare esclusivamente l'interesse dei ricorrenti con negazione dei diritti della società pubblica, esclusione di ogni finalità pubblica perseguita dalla stessa ed indebita affermazione della signoria sul danaro e sui risultati dell'investimento, considerati a tal punto propri da perdere ogni considerazione della destinazione dovuta o giustificata in base al titolo del possesso.


Risulta pertanto, correttamente ritenuto integrato il reato contestato.


8. Altrettanto correttamente è stata esclusa la configurabilità dei reati di infedeltà patrimoniale e di corruzione previsti dagli artt. 2634 e 2635 c.c., riferibili alle società private ed inapplicabili nella fattispecie per la natura pubblica di Area spa e la veste pubblica del B., elementi specializzanti e prevalenti.


9. Infondata è anche l'eccezione relativa alla formulazione dell'imputazione, contrastante con la natura istantanea del peculato, in quanto la continuazione, non la permanenza, come sostenuto dalla difesa del B., risulta contestata in fatto, atteso che l'addebito riguarda l'importo complessivo del finanziamento ed abbraccia l'intero arco temporale in cui si è svolta la condotta e le somme sono state progressivamente erogate.


10. Infondata è altresì, la dedotta violazione del divieto di bis in idem sostanziale per duplicazione della contestazione relativa alla illecita pattuizione del (OMISSIS), in quanto l'accordo risulta illustrato nel capo 1) al fine di dar conto dell'interesse privatistico, che ispirava la condotta appropriativa del B. in concorso con gli ideatori del progetto, mentre nel capo 2) si individua il contenuto illecito del patto privato, segreto e parallelo al contratto ufficiale di collaborazione, stipulato in pari data, in forza del quale il B. si impegnava con l' A. ed il F. a compiere atti contrari ai doveri di ufficio, consistenti della stipula di convenzioni nelle quali si escludeva Area spa da qualsiasi ritorno economico derivante dalla ricerca in cambio del 20% degli utili, derivanti dallo sfruttamento economico della ricerca.


All'evidenza il contenuto dell'accordo e la natura segreta dello stesso rendono insostenibile la prospettazione riduttiva del B. circa l'asserita liceità dell'accordo stipulato per iscritto.


La scrittura privata, illecita e parallela fu, infatti, rinvenuta nella borsa dell' A., custodita presso il suo ufficio, e nel computer dell'ufficio del F., a riprova che fu predisposta da questi, che sottoscrisse anche l'accordo del 21 agosto 2017, che sanciva la definitiva estromissione di Area spa dalle prospettive economiche legate allo sfruttamento della ricerca.


Sebbene ai soli fini civili, correttamente i giudici di appello hanno ritenuto sussistente il pieno coinvolgimento del F. nell'accordo corruttivo, atteso che, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente, secondo l'accordo anch'egli era destinatario del 39% degli utili, tant'è che, pur non risultando intestatario di alcun brevetto, sottoscrisse anche il nuovo contratto a riprova della permanenza dell'interesse nell'affare, cosicchè, come ritenuto dai giudici di merito, la dissociazione, di molto successiva al nuovo accordo, non incide sul reato già perfezionatosi anche sul piano del dolo, in quanto la dedotta ignoranza del ruolo del B. nella società a totale partecipazione pubblica è oggettivamente smentita dalla duplice veste nella quale questi agiva nel contratto di collaborazione ufficiale e nella convenzione privata.


Il ricorso del F., va pertanto, rigettato sul punto.


Tuttavia, l'intervenuta revoca della costituzione di parte civile di Area spa nei confronti del F., con atto del 2 dicembre 2016, impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili, in quanto la revoca di detta costituzione comporta l'estinzione del rapporto processuale civile instaurato nel processo penale (Sez. 2, n. 43311 del 08/10/2015, Vismara).


11. Anche le censure del B. in ordine al diniego delle attenuanti generiche ed alla commisurazione della pena sono infondate, avuto riguardo all'ampia giustificazione resa dai giudici di appello ed alla prevalenza accordata alla gravità del fatto, alla centralità del ruolo, all'entità della somma sottratta alla finalità pubblica ed alla protrazione della condotta nel tempo nonchè alla personalità del ricorrente, che, oltre ad aver pervicacemente perseguito il proprio interesse personale, risulta gravato da un precedente per turbata libertà degli incanti, ostativo al riconoscimento delle attenuanti.


Neppure in ordine al trattamento sanzionatorio si rilevano vizi di motivazione, avendo i giudici fatto ampio riferimento ai suddetti elementi nella rideterminazione della pena, ritenuta equa e rispondente ai criteri di cui all'art. 133 c.p..


12. Infondata è, altresì, la censura relativa alle statuizioni civili ed alla mancata revoca della provvisionale, giustificate dai giudici di appello in ragione della gravissima perdita patrimoniale subita da Area spa, alla quale il ricorrente si limita a contrapporre genericamente, in conformità alla propria linea difensiva, la mancanza di un danno sofferto dalla parte civile, smentita da quanto accertato nei giudizi di merito.


13. Parimenti infondate sono le censure dell' A. in ordine al diniego delle attenuanti generiche a fronte della completa motivazione resa dai giudici di merito, che hanno valorizzato gli stessi elementi considerati per il B. (ad eccezione del precedente penale), in ragione del ruolo propulsivo ed incisivo svolto dal ricorrente nella vicenda.


Non può risultare censurabile la decisione sul punto per mancata considerazione della transazione stipulata dal ricorrente (e dall' As.) con Area spa (oggi Clara spa) in data 7 giugno 2017, in quanto stipulata in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata, prodotta con la memoria depositata in data 1 settembre 2017, nella quale si precisa che la transazione comporta la rinuncia al quinto (più correttamente quarto) motivo di ricorso, che, avendo esclusivamente ricadute civilistiche, è superato per sopravvenuta carenza di interesse (pag. 9 della memoria).


14. Analogamente infondato è il motivo relativo al trattamento sanzionatorio, avuto riguardo alle censure del ricorrente, che lamenta l'illegittimo rilievo attribuito all'entità della somma sottratta, in mancanza di appropriazione, ed all'interesse di lucro perseguito, legittimo per ogni operatore economico, sostanzialmente replicando censure di merito, senza confrontarsi con le esaustive argomentazioni espresse dai giudici di merito, che le hanno disattese.


15. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e del solo B. alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile Clara spa (già Area spa), che si liquidano in Euro 3.015,00 oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di F.A. limitatamente alle statuizioni civili.


Dichiara inammissibile il ricorso di As.Lu.Et..


Rigetta i ricorsi di B.A., A.G. e, nel resto, il ricorso di F.A..


Condanna tutti i ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed il solo As. anche al versamento della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.


Condanna altresì, B.A. alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa della parte civile Clara spa, che liquida in Euro 3.015,00, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA.


Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2018.


Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2018

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