MAE
La sentenza della Corte di Cassazione, Sez. II Penale, n. 5740 dell’11 febbraio 2025, ha stabilito un importante principio di diritto riguardante il mandato d’arresto europeo (MAE) e le condizioni di detenzione nei paesi richiedenti. La Suprema Corte ha annullato la decisione della Corte d’Appello di Roma che aveva autorizzato la consegna di un cittadino lettone alle autorità del suo paese, senza aver valutato in maniera approfondita il rischio di trattamenti inumani o degradanti nel sistema carcerario della Lettonia.
La decisione richiama l’importanza di un’analisi concreta e individualizzata delle condizioni carcerarie prima di disporre la consegna di una persona richiesta con MAE, in conformità con l’art. 3 CEDU e le garanzie previste dalla normativa europea.
Il cittadino lettone era stato richiesto dalla Lettonia con un mandato d’arresto europeo per possesso di documenti falsi e inosservanza di provvedimenti giudiziari, reati commessi tra il 2013 e il 2018. La Corte d’Appello di Roma, a seguito di un primo annullamento con rinvio da parte della Cassazione, aveva confermato la consegna sulla base delle rassicurazioni fornite dalle autorità lettoni circa le condizioni di detenzione.
Il ricorrente ha impugnato tale decisione davanti alla Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello non aveva adeguatamente verificato il rischio concreto di trattamenti inumani nelle carceri lettoni, specialmente in considerazione del fenomeno della suddivisione informale dei detenuti in caste, denunciato dalla Corte EDU con sentenza dell’11 gennaio 2024.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso e annullato la sentenza, sottolineando che la Corte d’Appello non ha effettuato un’adeguata valutazione individualizzata sulla condizione del detenuto in Lettonia. Ecco i punti principali della decisione:
1. La necessità di una valutazione individualizzata
Il principio stabilito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) e dalla Corte EDU impone che, prima di autorizzare la consegna in base a un MAE, il giudice italiano deve verificare in concreto le condizioni di detenzione nel paese richiedente. Nel caso specifico, la Cassazione ha evidenziato che la Corte d’Appello si è limitata a recepire passivamente le dichiarazioni fornite dalle autorità lettoni, senza verificarne l’attuazione pratica.
2. Il fenomeno delle "Caste" nelle carceri lettoni
La Cassazione ha richiamato la sentenza della Corte EDU dell’11 gennaio 2024, che ha accertato la presenza di un sistema informale di gerarchia tra detenuti nelle carceri lettoni, suddivisi in tre gruppi distinti:
"Blatnie" (la casta più alta),
"Muziki" (la casta media),
"Kreisie" (la casta più bassa).
Questa divisione genera discriminazioni, violenze e trattamenti degradanti, con restrizioni sui diritti dei detenuti appartenenti alle caste inferiori. La Cassazione ha osservato che le autorità lettoni non hanno fornito prove concrete di misure adottate per eliminare questo sistema, limitandosi a dichiarazioni generiche su riforme future.
L’art. 3 CEDU vieta in maniera assoluta i trattamenti inumani o degradanti. La Corte EDU ha stabilito che gli Stati membri devono assicurare condizioni di detenzione compatibili con la dignità umana. Nel caso di Ko.Je., la Cassazione ha ritenuto che l’invio in Lettonia avrebbe potuto esporre il detenuto a un rischio concreto di subire tali trattamenti, violando il principio di non refoulement.
La Cassazione ha censurato la decisione della Corte d’Appello perché non ha condotto un’indagine adeguata sulla struttura carceraria in cui il ricorrente sarebbe stato detenuto, né sulle specifiche misure adottate per eliminare il problema delle caste. Il solo affidamento sulle dichiarazioni dello Stato richiedente non è sufficiente quando vi sono prove oggettive di violazioni sistemiche dei diritti umani.
Questa decisione ha rilevanti implicazioni pratiche e giuridiche per il sistema del mandato d’arresto europeo e per i diritti fondamentali dei detenuti. Tra le principali conseguenze:
1. Obbligo di verifica approfondita da parte della magistratura italiana
Le corti italiane devono condurre un esame rigoroso e individualizzato delle condizioni di detenzione nel paese richiedente prima di concedere la consegna con MAE. L’accettazione passiva delle dichiarazioni fornite dallo Stato estero non è sufficiente se vi sono elementi che indicano un rischio concreto di trattamenti degradanti.
2. Riconoscimento del rischio di trattamenti disumani in Lettonia
La sentenza conferma che le carceri lettoni presentano condizioni strutturali problematiche, che possono integrare violazioni dell’art. 3 CEDU. Le autorità italiane, quindi, dovranno richiedere chiarimenti più dettagliati prima di concedere estradizioni verso questo paese.
3. Rafforzamento della giurisprudenza sulla tutela dei diritti fondamentali
Il principio stabilito dalla Cassazione si inserisce in una linea giurisprudenziale consolidata che pone limiti all’automatismo del MAE, richiedendo un’analisi concreta delle garanzie offerte dallo Stato richiedente.