Colpa medica
Nel reato omissivo improprio, il nesso causale tra l'azione omessa e l'evento dannoso accertabile laddove, con elevato grado di probabilità logica o credibilità razionale, la condotta omessa avrebbe potuto impedire l'evento o, quanto meno, ritardarne il verificarsi, secondo i principi stabiliti dalla sentenza Franzese.
La sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, del 6 dicembre 2022, n. 15786, affronta, con una ricostruzione rigorosa e articolata, il tema del nesso causale e della colpa nell'ambito della diagnosi medica. La pronuncia si distingue per l'approfondita analisi della questione del nesso eziologico nei reati omissivi impropri, con riferimento specifico all'errore diagnostico e alle omissioni nella gestione del paziente.
Gli imputati, V.P. e O.G.R., rispettivamente medico del Pronto Soccorso e cardiologa, erano stati chiamati a rispondere, in primo grado, del reato di omicidio colposo, ai sensi degli artt. 113 e 589 c.p., per aver cagionato la morte di L.A., un paziente sottoposto a intervento di riparazione aortica a cielo aperto per rottura di aneurisma dell'aorta addominale. In particolare, durante il primo accesso del paziente al Pronto Soccorso, gli imputati avevano omesso di eseguire una diagnosi completa e approfondita, dimettendo il paziente con una diagnosi di "ipertensione arteriosa" e senza rilevare la presenza di un aneurisma addominale. Solo durante un successivo ricovero si accertava la condizione critica del paziente, che veniva trasferito d'urgenza presso un'altra struttura ospedaliera, ma il trattamento non impediva l'esito infausto.
Il Tribunale di Larino, in primo grado, aveva assolto gli imputati "perché il fatto non sussiste", ritenendo che, sebbene fosse accertato l'errore diagnostico, non vi fosse prova oltre ogni ragionevole dubbio che una corretta diagnosi al primo accesso avrebbe evitato la morte del paziente. La Corte di Appello di Campobasso, accogliendo l'impugnazione della parte civile, riformava tale pronuncia, affermando la responsabilità civile degli imputati e condannandoli al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
La Corte di Cassazione si è trovata a dover esaminare due principali questioni: l'ammissibilità dell'appello della parte civile e l'accertamento del nesso causale tra l'omissione diagnostica e il decesso del paziente. Sul primo punto, la Suprema Corte ha richiamato il principio del "favor impugnationis", affermando che l'appello della parte civile è ammissibile anche se non indica analiticamente i punti della sentenza impugnata, purché confuti, in modo specifico, il contenuto motivazionale della decisione di primo grado. Sul secondo punto, il Collegio ha fatto leva sui principi enunciati dalla celebre sentenza Franzese (Cass. pen., Sez. Un., n. 30328/2002), secondo cui il nesso causale è sussistente allorquando, con un alto grado di probabilità logica o credibilità razionale, l'azione omessa avrebbe impedito l'evento dannoso o ne avrebbe ritardato il verificarsi.
La Cassazione ha ritenuto inammissibili i ricorsi degli imputati, confermando la decisione della Corte di Appello. In particolare, ha sottolineato come l'errore diagnostico fosse stato pacificamente accertato e come, in base ai tassi di mortalità associati a interventi chirurgici per aneurisma aortico, fosse ragionevole affermare che una corretta diagnosi al primo accesso avrebbe potuto, con elevata probabilità logica, salvare il paziente o, quanto meno, ritardarne la morte. La Corte ha evidenziato che, in tema di responsabilità medica, l'omissione di indagini doverose è da considerarsi gravemente colposa, soprattutto in presenza di sintomatologie specifiche che avrebbero dovuto indurre il sanitario ad approfondire il quadro clinico.
Un ulteriore elemento analizzato è stato il ruolo di ciascun imputato nella cooperazione colposa. La Cassazione ha ritenuto corretta la motivazione della Corte di Appello, secondo cui vi era stata una cooperazione colposa tra i due medici, basata sulla consapevolezza reciproca delle rispettive condotte. Tale elemento è stato sufficiente a configurare la responsabilità di entrambi gli imputati, pur nella diversità delle loro specifiche mansioni.
La sentenza offre spunti di riflessione rilevanti sia per la prassi giudiziaria sia per la comunità scientifica. Da un lato, ribadisce l'importanza di una rigorosa applicazione dei principi del nesso causale nei reati omissivi, valorizzando il ruolo delle probabilità logiche e razionali nella ricostruzione della catena causale. Dall'altro, richiama i professionisti sanitari all'osservanza delle linee guida e delle buone pratiche accreditate, evidenziando come le omissioni diagnostiche possano tradursi in responsabilità anche solo civile, qualora si dimostri che l'evento dannoso avrebbe potuto essere evitato o ritardato.