Colpa medica
La sentenza n. 13375 del 18 ottobre 2023, emessa dalla Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, affronta il delicato tema della responsabilità penale per omicidio colposo in ambito sanitario, con specifico riferimento alla gestione postoperatoria e al ruolo delle posizioni di garanzia. Questo caso, relativo al decesso di una donna, Pi.Sa., in seguito a complicanze insorte dopo un taglio cesareo, offre spunti di riflessione sulla complessa intersezione tra condotte sanitarie, doveri di diligenza e dinamiche organizzative.
Il caso trae origine dal ricovero di Pi.Sa. presso una clinica di Salerno per sottoporsi a un intervento programmato di taglio cesareo. L’operazione, eseguita dal dottor Lo.Vi., medico di fiducia della paziente, è stata seguita da una serie di complicanze culminate nella morte della donna per emorragia post partum causata da atonia uterina. L'accusa ha contestato una carente gestione della fase postoperatoria, individuando precise omissioni nei controlli clinici che avrebbero potuto prevenire l'esito infausto.
Il Tribunale e successivamente la Corte d’Appello di Salerno hanno riconosciuto la responsabilità degli imputati, Lo.Vi. e l'ostetrica So.Ma., per non aver garantito un monitoraggio adeguato. La sentenza di secondo grado è stata impugnata in Cassazione, la quale ha affrontato le questioni inerenti sia alla posizione di garanzia dei sanitari coinvolti sia al nesso causale tra le condotte omissive e l’evento lesivo.
La Corte ha ribadito che il medico che esegue un intervento chirurgico assume una posizione di garanzia che si estende anche alla fase postoperatoria immediata. Tale obbligo deriva dalla necessità di assicurare che il paziente riceva un monitoraggio appropriato, specie in situazioni di elevato rischio come quelle connesse a complicanze post partum. Nel caso specifico, il dottor Lo.Vi., quale capo dell’equipe chirurgica e ginecologo di fiducia della paziente, era tenuto a predisporre istruzioni precise per un controllo continuo e accurato, considerando la vulnerabilità della paziente, sottoposta al quinto parto cesareo e con un precedente episodio di atonia uterina.
Il Collegio ha respinto la tesi difensiva fondata sul principio di affidamento, evidenziando che la condotta omissiva del medico non può essere giustificata dalla presenza di altri professionisti incaricati della gestione postoperatoria. La giurisprudenza consolidata (Cass., Sez. IV, n. 22007/2018; n. 17222/2012) stabilisce che la posizione di garanzia del capo dell’equipe chirurgica si estende oltre il momento operatorio, includendo la fase immediatamente successiva all’intervento, durante la quale permangono specifici doveri di vigilanza e di intervento.
La Corte ha sottolineato la responsabilità autonoma dell'ostetrica So.Ma., figura infermieristica altamente qualificata, nel monitoraggio delle condizioni della paziente. Nella serata in cui si sono verificati i fatti, la So.Ma., nonostante l'evoluzione critica delle condizioni di Pi.Sa., si è limitata a somministrare una bustina di zucchero, omettendo controlli più approfonditi e tempestivi sui parametri vitali. Questo comportamento è stato giudicato negligente e imperito, in quanto non adeguato alla gravosità della situazione.
La Corte ha inoltre affrontato il tema della prevedibilità e dell’imprevedibilità delle complicanze post partum, rilevando che proprio l’elevato rischio insito in tali situazioni impone un monitoraggio rigoroso e costante. La mancanza di tali precauzioni ha aggravato la responsabilità dell’ostetrica, anche in assenza di segnali evidenti di complicanze fino alle ore immediatamente precedenti l’evento letale.
Un elemento cruciale della decisione è rappresentato dal giudizio controfattuale, volto a verificare se un comportamento diligente avrebbe potuto evitare l’esito fatale. La Corte, richiamando le dichiarazioni unanimi dei consulenti tecnici, ha stabilito che il ritardo nell'intervenire, imputabile alle condotte colpose di Lo.Vi. e So.Ma., è stato concausa determinante del decesso della paziente. Il monitoraggio inadeguato ha impedito una diagnosi tempestiva dell’atonia uterina e un intervento efficace per arrestare l’emorragia.
La Corte ha dichiarato estinto il reato per intervenuta prescrizione, sottolineando tuttavia l’obbligo di esaminare i ricorsi ai fini delle statuizioni civili, in conformità all’art. 578 c.p.p. Il ricorso di Lo.Vi. è stato rigettato con riferimento agli interessi civili, mentre per la So.Ma. è stata annullata la condanna al pagamento delle spese processuali sostenute dalle parti civili in appello, a seguito della revoca della costituzione di parte civile.
Questa pronuncia si inserisce nel filone giurisprudenziale che attribuisce rilevanza centrale al principio di personalizzazione delle responsabilità in ambito medico, escludendo ogni forma di responsabilità collettiva o di gruppo. Al contempo, sottolinea l'importanza di una gestione rigorosa e coordinata delle situazioni ad alto rischio clinico, ponendo in capo ai professionisti sanitari obblighi di diligenza proporzionati alla gravità del contesto.
La sentenza fornisce anche importanti spunti di riflessione in merito alla funzione del principio di affidamento, che non può essere invocato per giustificare omissioni in presenza di doveri specifici e non delegabili. Inoltre, la decisione riafferma l’obbligo per i giudici di merito di procedere a un'accurata ricostruzione fattuale e a un rigoroso giudizio controfattuale per accertare il nesso causale tra condotte omissive ed evento lesivo. In conclusione, il caso conferma la centralità della dimensione etica e professionale nella gestione sanitaria, evidenziando come l'inosservanza degli obblighi di garanzia possa tradursi in gravi responsabilità penali e civili.
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