Misure di prevenzione
La recente sentenza della Cassazione, Sez. Tributaria Civile, n. 33975 del 23 dicembre 2024, offre spunti interessanti e fondamentali per comprendere come la giurisprudenza tratti il delicato rapporto tra misure di prevenzione, in particolare il sequestro e la confisca, e l’estinzione dei debiti tributari per effetto di confusione.
In questo articolo analizzeremo i principali aspetti della sentenza, illustrandone il contesto, le questioni giuridiche e le implicazioni pratiche per il diritto tributario.
Nel caso in esame la società B- C Srl era stata sottoposta, a partire dal 2008, ad una misura di prevenzione con sequestro e, successivamente, a una confisca definitiva delle quote societarie.
Tale provvedimento, inizialmente ritenuto definitivo, aveva l’obiettivo di preservare l’efficacia delle misure antimafia e di recuperare, tra l’altro, il debito tributario per un’IVA non versata.
Tuttavia, nel 2021 la Corte d’Appello di Napoli aveva revocato la confisca, ponendo così in essere una dinamica complessa sul piano giuridico: la società, infatti, era stata amministrata da soggetti terzi durante il periodo di custodia, ma la revoca della misura comportava la necessità di “ripristinare” la situazione patrimoniale originaria – compresi gli obblighi tributari – e di valutare se il debito si estinguesse automaticamente per il fenomeno giuridico noto come confusione.
Il principio della confusione, nel diritto civile, si verifica quando il creditore e il debitore diventano la stessa entità, annullando così l’obbligazione.
Nel contesto della confisca di misure cautelari, se la confisca venisse confermata in via definitiva, il patrimonio sequestrato passerebbe allo Stato, che, diventando sia titolare del credito che possessore del bene, provocando l’estinzione del debito tributario per confusione.
Tuttavia, come sottolineato dalla sentenza, questo meccanismo si applica solo quando la confisca diviene definitiva. Se, invece, la confisca viene revocata – come nel caso di specie – la condizione necessaria perché operi l’effetto confusorio viene meno e il debitore (la società) non beneficia dell’estinzione automatica del debito.
In altre parole, la revoca annulla gli effetti ablatori della confisca, facendo rinasce il rapporto obbligatorio originario, con tutte le conseguenze dal punto di vista tributario.
La Corte di Cassazione ha evidenziato che la revocazione della confisca, avendo effetto retroattivo, comporta il ripristino della situazione patrimoniale originaria.
Ciò significa che, nonostante la misura di prevenzione abbia prodotto effetti amministrativi e gestionali durante il suo decorso, una volta annullata la confisca il contribuente (in questo caso, B. C Srl) deve rientrare nella disponibilità completa dei suoi rapporti patrimoniali e, contestualmente, il debito tributario originario non viene estinto per confusione.
Il giudice ha, inoltre, rimarcato l’importanza del momento in cui si verifica la “consolidazione” della confisca: se il provvedimento si trasforma in definitivo, l’effetto estintivo opera nei limiti del patrimonio sequestrato; se, al contrario, la confisca viene revocata in via definitiva, il contribuente ha diritto a una restituzione integrale del compendio e i debiti tributari continuano a sussistere, con la conseguente necessità di liquidare le imposte non versate.
Questa interpretazione della giurisprudenza è particolarmente significativa perché:
Chiarisce i limiti dell’effetto confusorio: L’estinzione del debito è condizionata alla conferma definitiva della misura cautelare.
Rafforza la tutela del contribuente: In caso di revoca, si evita che la società venga penalizzata da una misura che, essendo annullata, non dovrebbe pregiudicare la sua capacità di far fronte agli obblighi tributari.
Offre una guida operativa: La sentenza stabilisce un criterio chiaro per gli operatori del diritto in materia tributaria, evidenziando l’importanza della distinzione tra confisca definitiva e revocata.
La sentenza rappresenta un interessante esempio di come si intreccino i rami del diritto civile, tributario e penale nel contesto delle misure antimafia.
La distinzione tra confisca definitiva e revoca della confisca ha un impatto diretto sia sull’amministrazione della giustizia che sulla gestione delle crisi aziendali, poiché determina la possibilità per l’Amministrazione Finanziaria di recuperare i crediti erariali ed il ripristino della situazione patrimoniale del contribuente, evitando ingiustizie in caso di errori giudiziari o di revoca di misure cautelari.
Inoltre, la decisione evidenzia come il ruolo del giudice del merito sia fondamentale per una corretta applicazione dei principi di diritto, imponendo un’attenta valutazione delle prove relative al passaggio in giudicato della misura cautelare e dei relativi effetti sul patrimonio del contribuente.
FATTI DI CAUSA
La società BETON C Srl proponeva ricorso avverso la cartella di pagamento con la quale l'Agente della riscossione aveva chiesto il pagamento di complessivi Euro 107.160,89 a titolo di recupero dell'IVA non versata relativamente alle liquidazioni periodiche del II, del III e del IV trimestre dell'anno 2018. La parte privata sosteneva che, con provvedimento del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 6 marzo del 2008, era stata sottoposta a misura di prevenzione (sequestro giudiziario) con la nomina di n. 2 amministratori giudiziari del 100% delle quote societarie.
Con successivo provvedimento del 17 gennaio 2011, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva confermato la misura di prevenzione disponendo la confisca del 100% delle quote sociali. Detta misura di prevenzione era stata poi confermata (c.d. confisca definitiva) in data 11 giugno 2014 con la sentenza n. 1873/2014 emessa da questa Corte di cassazione.
Il 25 marzo del 2021, la Corte di Appello di Napoli - Ottava Sezione Penale Misure di prevenzione - con il decreto n. 29/21, aveva revocato le misure di prevenzione sopra citate.
Pertanto, dalla data del 6 marzo 2008 alla data del 25 marzo 2021, data quest'ultima di revoca della misura in argomento, la società era stata custodita, amministrata e gestita da amministratori giudiziari nominati dalle competenti Autorità giudiziarie.
Di conseguenza, chiedeva l'annullamento della cartella emessa, secondo l'assunto della parte privata, in violazione dell'art. 50, co. 2, del D.Lgs. 159 del 2011 (codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), che prevede "nelle ipotesi di confisca dei beni, aziende o partecipazioni societarie sequestrati, i crediti erariali si estinguono per confusione ai sensi dell'articolo 1253 del codice civile".
La Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, con la sentenza n. 1665/8/2022 depositata il 24/05/2022 accoglieva il ricorso; appellava l'Ufficio.
Con la sentenza qui impugnata la Corte di secondo grado ha confermato la statuizione di primo grado; secondo il giudice dell'appello la società era, nel 2018, in una condizione di "confisca definitiva" con decorso dall'11 giugno 2014, e nessun spazio poteva sussistere per l'Agenzia delle Entrate, per l'anno di imposta 2018, pur tenendo conto del recente intervento di revoca della misura di cui alla sentenza Corte di Appello Napoli del 25 marzo 2021, della quale, peraltro manca la prova del passaggio in giudicato.
Ricorre a questa Corte l'Amministrazione Finanziaria con due motivi di doglianza uno dei quali proposto in via subordinata; la BETON C Srl è rimasta intimata avendo unicamente depositato atto di costituzione in vista della pubblica udienza.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente rilevato che nel caso che qui occupa, la pretesa è stata articolata proprio con riferimento - essendo stata oggetto di sequestro prima e di confisca poi - alla totalità delle quote sociali, come si evince dalla sentenza impugnata.
Ciò chiarito, può procedersi allo scrutinio dei motivi di ricorso. Il primo motivo si incentra sulla violazione dell'art. 50, co. 2, del D.Lgs. 159 del 2011 e degli artt. 1253,2462 e 2495 c.c. (in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3); secondo parte ricorrente la sentenza della CGT di secondo grado merita di essere cassata per violazione delle norme elencate utsupra, errando nell'individuazione del momento in cui si è estinta la persona giuridica e si sarebbe, conseguentemente, verificato l'effetto estintivo dell'obbligazione mediante confusione (art. 1253 C.C.).
Il secondo motivo, proposto in via subordinata, rileva che, una volta venuta meno con efficacia retroattiva la sovrapposizione in un unico soggetto delle figure di creditore e di debitore, nulla osta alla cessazione, con la medesima efficacia retroattiva, dell'estinzione dell'obbligazione per confusione.
I motivi possono esaminarsi congiuntamente in quanto nella sostanza costituiscono frammentazioni di una medesima censura. Gli stessi sono fondati.
Invero, la CTR ha - in massima sintesi - ben percepito la circostanza di fatto relativa all'avvenuta revoca ex tunc del provvedimento di confisca, da parte della Corte di appello partenopea, ma non ha tratto da ciò le corrette conclusioni in diritto.
Per vero, sin dalla risoluzione n. 114/E del 31 agosto 2017 si è precisato da parte dell'Agenzia delle Entrate che l'art. 50, comma 2, del Codice delle leggi antimafia, a mente del quale "nelle ipotesi di confisca dei beni, aziende o partecipazioni societarie sequestrati, i crediti erariali si estinguono per confusione ai sensi dell'articolo 1253 del codice civile", regola una particolare ipotesi di estinzione dell'obbligazione tributaria.
La giurisprudenza espressasi in argomento ha confermato che "conformemente a quanto precisato dall'agenzia delle entrate con la risoluzione n. 114 del 2017, l'istituto della confusione di cui all'art. 50, comma 2, cit. si applica, per espressa previsione normativa, ai soli crediti aventi natura erariale, rimanendo esclusi i crediti relativi ai contributi previdenziali e assistenziali, i tributi locali ed i diritti camerali.... Inoltre il fatto che l'estinzione dei debiti avvenga nei limiti in cui si verifica la confusione si evince anche dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 50, comma 2, seconda parte, ove si prevede che le limitazioni alle ulteriori compensazioni valgono solo per gli importi che non si estinguono per compensazione. Ne consegue che l'estinzione del credito erariale nel caso che occupa può avvenire solo nei limiti in cui il credito stesso abbia trovato capienza nel patrimonio della società oggetto di confisca" (così Cassazione, ordinanza 15 gennaio 2019, n. 754, ma, parimenti, la precedente 3 gennaio 2019, n. 56).
Alla luce di quanto sopra, coniugando i principi contenuti nella risoluzione n.114/E del 2017 con quelli espressi dalla Corte di cassazione, nel momento in cui, all' esito del procedimento cautelare, la confisca definitiva comporti, con effetto retroattivo alla data del sequestro, il consolidarsi del patrimonio in capo allo Stato-Erario. Vengono così ad estinguersi per confusione tutti i crediti erariali maturati (e non estinti) per IRPEF (o IRES) sino all'adozione del provvedimento di sequestro, connessi al patrimonio acquisito in quanto derivanti dai redditi che lo stesso ha prodotto in capo al soggetto che ha subito la misura cautelare. Ciò nei limiti del valore del patrimonio oggetto di sequestro, come accertato nel corso della procedura (si rammenta, tra l'altro, che, ex art. 36 del D.Lgs. n. 159 del 2011 "L'amministratore giudiziario presenta al giudice delegato, entro trenta giorni dalla nomina, una relazione particolareggiata dei beni sequestrati. La relazione contiene: a)l'indicazione, lo stato e la consistenza dei singoli beni ovvero delle singole aziende,... b) il presumibile valore di mercato dei beni quale stimato dall'amministratore stesso; c) gli eventuali diritti di terzi sui beni sequestrati; d) in caso di sequestro di beni organizzati in azienda, l'indicazione della documentazione reperita e le eventuali difformità tra gli elementi dell'inventario e quelli delle scritture contabili; e)l'indicazione delle forme di gestione più idonee e redditizie dei beni, anche ai fini delle determinazioni che saranno assunte dal Tribunale ai sensi dell'articolo 41...."). Successivamente a tale data (seppure con effetto che retroagisce dalla confisca definitiva), ricordato che il soggetto passivo d'imposta diviene lo Stato, mancando, con riferimento a detti tributi (in specie l'IRPEF), il presupposto soggettivo per l'imposizione (come ricordato nella più volte citata risoluzione n. 114/E del 2017 lo Stato non è, infatti, identificabile con una persona fisica, né è un soggetto passivo ai sensi dell'art. 74 del TUIR), gli stessi non saranno dovuti. Restano, invece, esclusi dall'effetto estintivo i crediti IRAP, IVA o relativi alle ritenute per i quali, quindi, non viene meno la dualità dei soggetti del rapporto obbligatorio.
Ciò posto, la situazione presente - come si evince dalla sentenza impugnata - impone di procedere oltre, dovendo qui valutarsi anche la rilevanza della intervenuta revoca della confisca in forza del provvedimento della Corte di appello.
Si tratta di un decreto passato in giudicato, irrevocabile in data 14 maggior 2021, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, come si evince dalla trascrizione in ricorso della data di irrevocabilità operata da parte ricorrente a pag. 7 del proprio atto. Trova allora applicazione la giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 11487 del 03/05/2023) per vero formatasi ante il c.d. codice antimafia attuale, ma applicabile - non essendo sul punto sopravvenute sostanziali modifiche legislative - anche alla disciplina qui vigente ratione temporis, secondo la quale in tema di assoggettamento del patrimonio del contribuente a misura di prevenzione, ai sensi della L. n. 575 del 1965 (con principio come anticipato applicabile anche nel vigore del D.Lgs. n. 159 del 2011) qualora il provvedimento di confisca medio tempore emesso dal Tribunale sia stato annullato dalla Corte d'Appello, tenuto all'assolvimento delle obbligazioni scaturenti dall'omesso versamento di tributi risultanti dalle dichiarazioni annuali presentate dall'amministratore giudiziario, che non abbia potuto provvedere ai pagamenti, è il contribuente. Infatti, non avendo quest'ultimo dismesso la titolarità del diritto, l'amministrazione del compendio - attivata sul fondamento dell'originario sequestro e destinata a spiegare efficacia sino alla definitività della decisione sulla revoca - deve ritenersi svolta in incertam personam o per conto di chi spetta, e dunque anche nell'interesse del contribuente, una volta che, per effetto della revoca, sia restituito in bonis.
Come sancito da tempo nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. Un. pen., n. 57 del 19/12/2006, Auddino, Rv. 234955) il provvedimento di confisca deliberato ai sensi dell'art. 2-ter, comma terzo, L. 31 maggio 1975 n. 575 (disposizioni contro la mafia) è suscettibile di revoca ex tunc a norma dell'art. 7, comma secondo, L. 27 dicembre 1956 n. 1423 (misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), allorché sia affetto da invalidità genetica e debba, conseguentemente, essere rimosso per rendere effettivo il diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione dell'errore giudiziario, non ostando al relativo riconoscimento l'irreversibilità dell'ablazione determinatasi, che non esclude la possibilità della restituzione del bene confiscato all'avente diritto o forme comunque riparatorie della perdita patrimoniale da lui ingiustificatamente subita. La revoca di cui si tratta costituisce, pertanto, una conformazione affatto peculiare della revoca propriamente detta: questa produce, a procedimento ancora pendente, fisiologici effetti ex nunc a fronte della cessazione o del mutamento della causa che ha determinato la confisca, non ancora definitiva, mentre, a procedimento concluso, produce eccezionali effetti ex tunc nei casi che nel giudizio penale a termini dell'art. 630 c.p.p. legittimerebbero la revisione della confisca ormai necessariamente definitiva.
La riprova di quel che si va dicendo consiste in ciò che, nel linguaggio sia della dottrina, sia della giurisprudenza, la revoca ex tunc è indicata, proprio per distinguerla dalla revoca ex nunc o revoca tout court, come "revoca in funzione di revisione". In effetti, nell'attuale assetto normativo, l'art. 28 D.Lgs. n. 159 del 2011 ragiona ormai tout court di "revocazione della confisca".
Tale revoca costituisce dunque, in realtà, conseguenza ordinaria dell'annullamento in grado d'appello, a seguito di impugnazione pacificamente altrettanto ordinaria, del provvedimento di confisca assunto ad esito del primo grado di giudizio (c.d. confisca non definitiva). Ad oggi, in forza del secondo periodo del comma 2 dell'art. 27 D.Lgs. n. 159 del 2011, da leggersi in combinato disposto con il comma 3-bis del medesimo articolo, che significativamente recita: "i provvedimenti della Corte di appello che, in riforma del decreto di confisca emesso dal Tribunale, dispongono la revoca del sequestro divengono esecutivi dieci giorni dopo la comunicazione alle parti, salvo che il procuratore generale, entro tale termine, ne chieda la sospensione alla medesima Corte di appello. In tal caso, se la corte entro dieci giorni (dalla sua presentazione non accoglie la richiesta, il provvedimento diventa esecutivo; altrimenti l'esecutività resta sospesa fino a quando nel procedimento di prevenzione sia intervenuta pronuncia definitiva" va preso atto della caratterizzazione della confisca non definitiva quale passaggio rilevante a fini procedimentali, in quanto comportante tra l'altro il subentro dell'Agenzia Nazionale all'Amministratore giudiziario nella custodia (salva la possibilità per la prima di mantenere il secondo nelle funzioni) e legittimante eventuali alienazioni per la soddisfazione del ceto creditorio.
Nondimeno si tratta di un momento 'intermedio' sul piano ablativo, in funzione della (futura) ricostituzione del diritto, a titolo originario, e perciò senza vincoli ed oneri, in capo all'Erario. A questo punto, l'intrinseca "provvisorietà" ed "instabilità" della confisca non definitiva, poiché suscettibile di "caducazione" e non di "revoca in funzione di revisione", ai sensi, in passato, dell'art. 7, comma 2, L. n. 1423 del 1956 e, ora dell'art. 28 D.Lgs. n. 159 del 2011 - a seguito di eventuale annullamento del decreto del Tribunale da parte della Corte d'Appello, rende ragione della natura dell'amministrazione del compendio appreso dalla procedura sul fondamento dell'originario sequestro - in capo all'Agenzia Nazionale e per essa all'Amministratore giudiziale - alla stregua di un'amministrazione in incertam personam (o per conto di chi spetta).
Il riferimento concettuale è quello espresso dall' analogo schema a quello che il diritto civile attribuisce all'eredità giacente ex art. 529 c.c., la cui amministratore - dall'apertura della successione all'accettazione dell'erede o alla devoluzione della successione stessa allo Stato - spetta al curatore dell'eredità giacente.
Venendo ora alla situazione che qui ci occupa, in applicazione dei sopra detti principi, deve concludersi che ove il provvedimento di confisca sia risultato affetto da invalidità genetica e quindi rimosso, si verifica in via generale la restituzione del bene confiscato all'avente diritto. Ne discende una restitutio in integrum del tutto piena, senza attenuazioni, che si estende anche agli oneri tributari non soddisfatti medio tempore, la debenza dei quali risorge così come la soggettività passiva e il presupposto dei tributi di cui trattasi.
Sul punto, la Corte ritiene opportuno enunciare il seguente principio di diritto: "nella confisca di prevenzione di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011 (c.d. codice delle misure antimafia o CAM) se la confisca non definitiva si consolida in definitiva, poiché confermata dalla Corte d'Appello e dalla Corte di cassazione, si realizza l'ablazione del diritto, con contestuale sua ricostituzione in capo allo Stato, a cagione di ciò estinguendosi per confusione (e non per compensazione ex art. 50, comma 2, D.Lgs. n. 159 del 2011) i debiti tributari erariali; se invece la confisca non definitiva non si consolida in definitiva, poiché viene annullato, con decisione irrevocabile, il decreto che la dispone, si risolve "ora per allora" il vincolo già risalente - con meri effetti anticipatori - al sequestro, imponendo la restituzione del compendio (o dell'equivalente, in caso di autorizzate alienazioni) al soggetto che ne è stato colpito. Uguali effetti restitutori produce la revocazione della confisca ex art. 28 D.Lgs. n. 159 del 2011 i cui effetti sono paragonabili a quelli della revisione ex art. 630 c.p.p. In forza di tale revocazione il contribuente rientra nella disponibilità di tutti i rapporti, non solo attivi ma anche passivi, inclusi quelli tributari nella consistenza risultante dalla gestione per suo conto medio tempore effettuata di cui non ha mai dismesso la titolarità, posto che la confisca, come visto, acquisiva e manteneva prima, ed acquisisce e mantiene ora, esecutività ablatoria vera e proprio solo con la definitività".
Proprio in ragione dell'incertezza relativamente alla definitiva spettanza del compendio incombe all'Amministratore giudiziario, tra sequestro e confisca non definitiva e all'Agenzia Nazionale ovvero per essa, ancora, all'Amministrazione giudiziario, tra confisca non definitiva e provvedimento conclusivo del giudizio divenuto irrevocabile, sicuramente e doverosamente, di adempiere alle incombenze dichiarative e di liquidare le imposte, ma altresì, nei limiti delle risorse e delle autorizzazioni, di assolvere ai debiti tributari insorti durante la gestione.
Attualmente, ne offre conferma, per le imposte dirette, l'art. 51, comma 2 D.Lgs. n. 159 del 2011 il quale infatti dispone letteralmente che "se il sequestro si protrae oltre il periodo d'imposta in cui ha avuto inizio, il reddito derivante dai beni sequestrati relativo alla residua frazione di tale periodo e a ciascun successivo periodo intermedio è determinato ai fini fiscali in via provvisoria dall'amministratore giudiziario, che è tenuto, nei termini ordinari, al versamento delle relative imposte, nonché agli adempimenti dichiarativi e, ove ricorrano, agli obblighi contabili e a quelli previsti a carico del sostituto d'imposta...".
Analogamente il comma 3 bis ultimo periodo dell'art. 51 ridetto precisa che "se la confisca è revocata, l'amministratore giudiziario ne dà comunicazione all'Agenzia delle entrate e agli altri enti competenti che provvedono alla liquidazione delle imposte, tasse e tributi, dovuti per il periodo di durata dell'amministrazione giudiziaria, in capo al soggetto cui i beni sono stati restituiti".
Tale ultima indicazione normativa chiarisce gli effetti tributari implicitamente dando per scontata, implicitamente ma chiaramente - in quanto diversa interpretazione priverebbe di significato la disposizione surrichiamata - la reviviscenza dei debiti di detta natura, poiché alla loro liquidazione provvede l'Ufficio se e quando notiziato della revoca in argomento.
La sentenza impugnata, in conclusione, non ha applicato i sopra illustrati principi - dai quali invece si è evidentemente discostata - e pertanto va cassata con rinvio al giudice del merito che nel giudizio di rinvio si atterrà alle considerazioni sopra esposte e provvederà anche in ordine alle spese di lite
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, alla quale demanda anche di provvedere alla liquidazione delle spese del presente giudizio di Legittimità.
Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2024.
Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2024.