top of page

Bancarotta fraudolenta documentale: la responsabilità dell'amministratore per mancata vigilanza e controllo. (Tribunale Nola n. 2116/24


Bancarotta fraudolenta

1. La massima

Con riguardo alla fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale c.d. "generica" di cui alla seconda parte dell'art. 216, co. 1, n. 2), L. fall., per la sussistenza del dolo che è quello generico non è, dunque, necessario che l'amministratore formale si sia rappresentato e abbia voluto gli specifici interventi da altri realizzati nella contabilità, ma è necessario che l'abdicazione dagli obblighi da cui è gravato sia accompagnata quantomeno dalla rappresentazione della significativa possibilità che i soggetti a cui ha consentito di gestire la società alterino fraudolentemente la contabilità impedendo o rendendo più difficile agli organi fallimentari la ricostruzione del patrimonio e del volume d'affari della fallita e ciononostante decida di non esercitare anche solo suoi poteri-doveri di vigilanza e controllo per evitare che ciò accada.

consulenza legale penale

2. La sentenza integrale

Tribunale Nola, 20/12/2023, (ud. 01/12/2023, dep. 20/12/2023), n.2116

(Simona Capasso Presidente estensore - Gemma Sicoli giudice - Marina Russo giudice)

Svolgimento del processo

Con decreto che dispone il giudizio del GUP in sede del 29.04.2022, l'imputato NA.Ma. veniva chiamato a rispondere innanzi a questo Collegio del delitto contestatogli in rubrica per l'udienza del 16.09.2022.

A tale udienza, verificata la regolare costituzione delle parti, si dichiarava l'assenza dell'imputato regolarmente citato e non comparso e il processo veniva rinviato al 13.01.2023 per l'apertura del dibattimento.

In tale data, stante l'assenza del teste, il processo veniva ulteriormente rinviato all'udienza del 17.05.2023. All'udienza suindicata, il Tribunale dichiarava l'apertura del dibattimento; le parti formulavano le rispettive richieste istruttorie ed il Presidente, attesta la pertinenza e la rilevanza delle prove richieste, ammetteva le stesse con ordinanza. Veniva escusso il curatore Va.Gi. e all'esito il PM produceva la relazione a firma del teste che veniva acquisita in atti. II processo veniva rinviato all'udienza del 05.07.2023 per l'esame dell'imputato e la discussione delle parti.

In tale data, dato atto del mutamento della composizione del Collegio, si dichiarava nuovamente aperto il dibattimento, le parti si riportavano alle precedenti richieste e prestavano il consenso all'utilizzazione delle prove già assunte. A quel punto, acquisita la documentazione prodotta dal PM (verbale di interrogatorio del legale rappresentante della società, documentazione dell'Agenzia delle Entrate Servizio di Pubblicità Immobiliare, visura catastale), il processo veniva rinviato per la discussione delle parti all'udienza del 24.11.2023.

All'udienza il processo veniva ulteriormente rinviato, data l'anomala composizione del Collegio. Giunti all'udienza del 01.12.2023, preliminarmente si rinnovava la dichiarazione di apertura del dibattimento essendo mutatala composizione del collegio: le parti si riportavano alle proprie richieste istruttorie che venivano ammesse e con il loro consenso si dichiarava l'utilizzabilità delle prove assunte. A quel punto, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale, le parti rassegnavano le conclusioni di cui in epigrafe e questo Tribunale, dopo essersi ritirato in camera di consiglio, decideva come da dispositivo letto in udienza ed allegato al verbale.


Motivi della decisione

Ritiene il Collegio che, alla luce delle risultanze offerte dall'istruttoria dibattimentale, vada affermata la penale responsabilità dell'imputato perii reato a lui ascritto in rubrica.

Tale decisione si fonda sulla completa valutazione del materiale probatorio acquisito ed utilizzabile, costituito dalle dichiarazioni rese in dibattimento dal teste del PM e dal materiale documentale acquisito al fascicolo del dibattimento (sentenza dichiarativa del fallimento n. 371 16 del 12.4.2016 resa dal Tribunale di Nola, relazione redatta dal curatore dott. Gi.Va. - ai sensi dell'art. 33 Legge Fall., verbale di interrogatorio di NA.Ma. ex art. 49 Legge Fall., documentatone dell'Agenzia delle Entrate (…), visura catastale).

In particolare, va detto che il Tribunale ha acquisito la relazione redatta nel corso della procedura fallimentare, particolarmente utile a precisare, completare e corroborare le notizie fornite direttamente dal testimone dott. Va. in sede dibattimentale. Sotto il profilo della rilevanza per la decisione della relazione redatta dal curatore fallimentare ai sensi dell'art. 33 Legge Fallimentare e prodotta al fascicolo del dibattimento, aderendo alla giurisprudenza univoca della Corte di Cassazione, giova osservare che costituisce senza alcun dubbio documento tra quelli acquisibili al fascicolo del dibattimento ed utilizzabili per la decisione in senso ampio "non solo quando siano ricognitivi di una organizzazione aziendale e di una realtà contabile, attesoché gli accertamenti documentali e le dichiarazioni ricevute dal curatore costituiscono prove rilevanti nel processo penale, al fine di ricostruire le vicende amministrative della società" (cfr., ex plurimis, Cass. Pen. sez. 5. n. 15218/2011; Cass. Pen. sez. 5, n. 39001/04; negli stessi sensi, Cass. Pen. sez. 5, n. 8857/04, Cass. Pen. sez. 5, n. 6887/99, Cass. Pen. sez. 5, n. 7961/98, Cass. Pen. sez. 5 n. 6804/97, Cass. Pen. sez. 5 n. 10654/92).

Inoltre, va da subito chiarito che questo Collegio intende esprimere un giudizio di sicura attendibilità della testimonianza del curatore, in considerazione dell'assoluta carenza in capo alla dott. Va. di un proprio interesse personale nel presente procedimento, della obiettiva plausibilità delle circostanze di fatto da lui riferite in quanto apprese nell'espletamento dell'attività del suo incarico e della mancanza di elementi di segno contrario.

I fatti sottesi al presente accertamento processuale possono essere descritti e ricostruiti nel modo che segue.

La vicenda trae origine dalla sentenza n. 37/16 emessa dal Tribunale di Nola in data 13.04.2016 con la quale veniva dichiarato il fallimento della società (…), su istanza della società (…), la quale vantava nei confronti della fallita un credito di circa 47.000,00 euro, originato dal mancato pagamento di cambiali emesse dalla (…).

Tale società era stata costituita in data 01.08.2013, aveva sede legale in Nola, presso il CIS di Nola capannone n. (…), e l'oggetto sociale era costituito da "il commercio all'ingrosso e al dettaglio", la produzione ed il confezionamento sia direttamente sta a mezzo terzi di tutti gli articoli di abbigliamento ed accessori per uomo donna e bambino sia in pelle che in altri materiali di articoli sportivi, di bigiotteria in genere, di biancheria per la casa intima e da letto,prodotti tessili e dell'artigianato e dell'alta moda,prodotti di maglieria e di camiceria, l'importatone e l'esportatone dei suddetti prodotti direttamente da e net paesi esteri".

Al momento della costituzione e fino alla data della sentenza dichiarativa di fallimento l'amministrazione era affidata ad un amministratore unico, l'odierno imputato NA.Ma.

Il capitale sociale, pari ad euro 10.000,00 era stato sottoscritto dal prevenuto, titolare del 99 per cento delle quote societarie, e da tale As.Lu., titolare dell'1 per cento delle stesse;del capitale sottoscritto come risultante dall'iscrizione in Camera di Commercio - veniva versato solamente il 25 per cento (euro 2.500,00). Relativamente alle indagini espletate dal curatore fallimentare, il teste riferiva che presso il Registro delle Imprese non risultava depositato alcun bilancio dalla società benché, alla data del fallimento, risultassero già chiusi gli esercizi amministrativi degli anni 2013, 2014 e 2015.

In quanto società a responsabilità limitata in regime di contabilità ordinaria, oltre al libro giornale, al libro degli inventari, al libro soci ed al libro assemblee, la fallita aveva l'obbligo di istituire i libri fiscali ed il libro unico del lavoro: tutta questa documentazione non era stata presentata.

Dunque, il curatore fallimentare, in data 26.04.2016, richiedeva al NA. di consegnare la documentazione contabile della fallita e l'imputato produceva i seguenti documenti: un registro IVA di acquisto e vendita per gli anni 2013, 2014 e 2015, il libro giornale relativo agli esercizi 2013, 2014 e 2015, fatture di acquisto datate 2013, 2014 e 2015, alcune pagine del registro dei corrispettivi relative agli anni 2013, 2014 e 2015, il libro unico del lavoro relativo al periodo compreso dal 03/2014 al 03/2016, copie delle comunicazioni obbligatorie dei lavoratori UNILAV, copia del contratto locazione dell'immobile sito in San Giorgio a Cremano, copia della SCIA del Comune di Colleferro e copia del contratto di affitto dell'azienda sita in (…).

Nonostante i ripetuti solleciti, il NA., aveva consegnato una documentazione contabile parziale, incompleta sicuramente relativamente all'esercizio dell'anno 2016 e, verosimilmente, incompleta anche per l'esercizio dell'anno 2015 in quanto la contabilità risultava essere stata registrata sino all'aprile 2015 ("è difficile stabile se per il 2015fossero completate le registrazioni perché questo è un qualcosa che va verificato rispetto all'anno successivo, con la continuità delle operazioni. Chiaramente se si ferma ad aprile 2015 una contabilità è anche presumibile che non ci siano stati poi altri eventi nella operatività della società, lo si può verificare soltanto se uno ha tutti i registri fino alla data del fallimento", cfr. verbale stenotipico del 17.05.2023, pp. 6-7). Dunque, a detta del curatore fallimentare, la documentazione era carente relativamente ai registri di acquisiti e vendite relativi all'anno 2016, al libro giornale relativo all'anno 2016, ai registri dei corrispettivi - in quanto venivano consegnate solo poche pagine e agli estratti conto bancari nonché ai bilanci, mai depositati sin dalla costituzione della società.

In sede di escussione, il dott. Va. precisava che l'amministratore della (…) avrebbe dovuto continuare a documentare l'attività anche durante l'anno 2016, in quanto l'operatività aziendale non era stata interrotta: di fatti, dagli accertamenti compiuti dal teste, risultava che la (…) aveva interrotto la propria attività solamente dopo il fallimento.

Il teste, infatti, riferiva che il NA. aveva appreso del fallimento solo allorquando il dott. Va. era giunto al capannone del CIS di Nola per effettuare le operazioni di inventario e, al momento dell'accesso, la (…) era in piena attività; peraltro - continuava il teste - il curatore aveva dovuto ammonire il NA. dal cessare l'attività anche in una seconda occasione, precisamente durante l'interrogatorio ex art. 49 L. fall., avendo appreso che l'impresa dell'imputato era ancora operativa. Orbene, il dott. Va. aveva tentato di verificare l'attendibilità della documentazione parziale depositata attraverso un'operazione matematica, ovvero sottraendo agli incassi registrati i costi che risultavano dalle fatture consegnate. Il risultato dell'operazione, tuttavia, rivelava l'inattendibilità della situazione contabile: sommando, infatti, tutti i corrispettivi giornalieri incassati da (…), dalla sua costituzione fino alla data di fallimento, e sottraendo tutte le voci di costo documentate, ipotizzando così il pagamento di tutti i debiti, risultava una disponibilità di cassa, alla data di fallimento, pari ad euro 56.100,63: tale somma era certamente inferiore rispetto a quella indicata nei dati contabili relativi all'esercizio del 2015 (cfr. relazione del curatore fallimentare, p. 4), pari ad euro 318.007,12 ("il risultato è che alla data di fallimento sostanzialmente doveva esserci una disponibilità di cassa di 56.000 euro, mentre invece dai registri contabili rispetto all'ultima data disponibile la cassa era indicata per 318.000 euro, quindi già questo fa capire che la contabilità non era attendibile perché se nei registri contabili è riportato 318 ma poi utilizzando i documenti contabili relativi al periodo successivo risultava di 56.000 vuol dire che c'è una discrasia di valori importanti e quindi non è possibile considerare più di tanto la contabilità", p. 7).

Il curatore, inoltre, rappresentava che il NA. non aveva fornito le credenziali di accesso all'indirizzo (…), depositato in camera di commercio, impedendo così di svolgere qualsivoglia attività di accertamento sulla corrispondenza riferita al periodo anteriore al fallimento.

Il curatore, in data 18.04.2016, aveva proceduto poi alle operazioni di inventario presso il CIS di Nola capannone n. 613, indicato nella visura camerale quale sede legale della (…). Recatosi in loco, veniva ricevuto da Lu.An., la quale dichiarava che in quel capannone non operava la (…) bensì la società (…), sempre appartenente al NA., ed esibiva una fattura emessa da (…) intestata, appunto, alla suddetta società.

Il NA., anch'egli presente in loco, aveva affermato che tutti i capi d'abbigliamento ivi presenti erano di proprietà della (…), società del figlio Le., e affermava che l'unico punto vendita della fallita si trovava nel Centro Commerciale di (…).

La An. e l'imputato dichiaravano poi che in quell'edificio non vi erano documenti della fallita e che tutta la contabilità era custodita presso lo studio del consulente, dott. Gi.Ce., sito in (…). Tuttavia, ispezionando i locali, il curatore rinveniva fatture e corrispondenza intestate alla (…). In sede di escussione, il teste chiariva che l'imputato aveva spiegato la carenza della documentazione affermando che egli non aveva le competenze necessarie per gestire la contabilità ("Quindi mi diceva "Io questo so fare. Sostanzialmente non mi so occupare della contabilità, non ne capisco nulla e quindi questo è il motivo per il quale non ho consegnato perché non saprei neanche cosa consegnare" p. 11).

Durante l'accesso, il curatore aveva ritrovato alcuni capi di abbigliamento, di produzione cinese e dal valore modesto, sui quali vi era un cartello con la dicitura (…): a seguito delle domande del Va., che chiedeva se tale merce fosse destinata ad essere venduta presso il negozio di Co., il NA. ammetteva che, effettivamente, quella merce era di proprietà della fallita; precisava però di non essere in possesso né dei registri di magazzino né delle fatture e dei documenti di trasporto. A questo punto, acquisiti i rilievi fotografici di quanto rinvenuto in quel luogo, veniva chiuso il locale, apposti i sigilli ed il NA. veniva nominato, temporaneamente, custode a titolo gratuito. Su richiesta del curatore, il giorno 19.04.2016,11 NA. si era recato presso lo studio del teste, accompagnato dal consulente contabile della fallita, dott. Gi.Ce., per sottoporsi ad interrogatorio ai sensi dell'art. 49 L. Fall. (cfr. verbale di interrogatorio, in atti).

Net corso dell'audizione, il NA. dichiarava che la (…) operava in due negozi, condotti in locazione, siti rispettivamente uno nel comune di San Giorgio a Cremano il cui esercizio, tuttavia, era stato chiuso a fine 2014 e uno nel Comune di Colleferro, ancora operativo alla data del fallimento; i prodotti venivano acquistati presso rivenditori cinesi presenti nelle città di Napoli, Roma e Prato ed il fatturato medio annuo registrato tra il 2013 ed il 2016 era stato pari a circa euro 80.000,00. Più specificamente, l'imputato riferiva che il negozio di Colleferro, non registrato in Camera di Commercio, aveva una superficie commerciale di circa 40 mq, era stato aperto tra il 2013 ed il 2014 ed il fatturato medio annuo era pari a circa euro 80.000,00.

Stante l'assenza di un deposito in loco, Io stoccaggio della merce avveniva nella sede legale di Nola. Il NA. affermava poi che fino alla data di fallimento, presso tale negozio lavorava tale An.Ma., assunta con contratto partirne la cui retribuzione mensile lorda era pari a circa 700,00 euro; era dipendente di (…) anche Lu.An., cugina del prevenuto, assunta anch'ella con contratto parttime e con la medesima retribuzione.

Interrogato sulle cause del fallimento della società, il NA. affermava che la cugina, Lu.An., in passato titolare di una ditta individuale operante anch'essa nel settore dell'abbigliamento, durante l'attività della sua impresa aveva contratto un debito nei confronti della società (…) per una fornitura di merce, la quale, a causa dell'insolvenza della società della An., aveva presentato istanza di fallimento per quest'ultima; il NA., per aiutatela parente, si era dunque accollato il debito, emettendo effetti cambiari per un importo complessivo pari a circa 65.000,00 euro, di cui solo 15.000,00 erano stati pagati effettivamente nel corso del 2015.

Alla data del fallimento, dunque, la (…) era debitrice nei confronti della (…) di un importo pari ai restanti euro 47.000,00: la società - a detta dell'imputato - non aveva potuto pagare tale somma in quanto era in perdita.

Il NA. dichiarava poi che non vi erano altri soggetti coinvolti nell'amministrazione della società; affermava inoltre che, nel medesimo capannone del CIS di Nola, presso la sede legale della (…), avevano sede legale anche la società (…), appartenente al figlio NA.Le., e la società (…), con i quali, tuttavia, riferiva di non essere in buoni rapporti e precisava che costoro non erano mai intervenuti nella gestione della (…). Durante l'interrogatorio, il NA. affermava, inoltre, che la merce rinvenuta il giorno precedente presso la sede legale della (…) era di proprietà della (…) oltre che di (…), mentre tutti i capi in pelle ed i macchinari di sartoria ivi presenti erano di proprietà della (…). Nella medesima sede, specificava che la fallita non pagava alcun canone di locazione per l'immobile sito al CIS di Nola, in quanto tutta le spese di gestione, affitto e leasing erano a carico della (…). Relativamente alla situazione debitoria e creditoria della fallita, il NA. dichiarava che, oltre al debito verso (…), la società aveva debiti nei confronti di (…) per circa 4.000,00 euro e della società (…) per l'affitto del negozio di Colleferro, mentre l'unico credito da incassare era, appunto, quello nei confronti della cugina An.Lu., pari ad euro 65.000,00.

Relativamente ai rapporti con gli istituti di credito, l'imputato asseriva che, fino al 2014, la società aveva avuto un conto corrente acceso presso la (…) e, alla chiusura il conto aveva saldo pari a zero; alla data del fallimento, dunque, residuava aperto un solo conto corrente attivo presso (…), il cui saldo alla stessa data era pari a circa euro 260,00. La società non aveva altri rapporti finanziari in essere.

L'imputato si impegnava poi a consegnare 60,00 euro presenti nella cassa della società e dichiarava che, oltre ai circa 70 capi d'abbigliamento presenti presso la sede legale di Nola, la fallita non aveva altri beni in proprietà.

II prevenuto riferiva inoltre che, dal giorno della dichiarazione di fallimento, la (…) aveva svolto esclusivamente attività ordinaria di compravendita di capi di abbigliamento, non essendo a conoscenza del sopraggiunto fallimento: il NA., infatti, dichiarava di aver appreso del divieto di svolgere tale attività solamente al momento dell'interrogatorio e, pertanto, aveva chiamato la sua collaboratrice, su ammonimento del curatore, affinché chiudesse immediatamente il negozio sito in Colleferro.

In data 04.05.2016, le attività di inventario erano proseguite presso il negozio sito all'interno del (…): il locale riportava l'insegna (…) e l'abbigliamento ivi rinvenuto risultava della medesima tipologia di quello custodito presso il magazzino di Nola, marcato allo stesso modo.

Veniva inoltre inventariata attrezzatura elettronica - PC, registratore di cassa, telefono cordless, calcolatrice, alcuni armadi in legno, un tavolo, manichini ed altro mobilio utilizzato per l'esposizione della merce - e acquisita la cassa contanti pari ad euro 117,00.

Relativamente alle ulteriori attività svolte dalla curatela, il dott. Va., nella relazione da lui depositata, specificava che, a seguito di interrogazione della Centrale Rischi presso la (…), non risultava alcun rapporto in sofferenza nel periodo compreso tra la costituzione ed il fallimento della società; ancora, dalle ricerche effettuate presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari e presso il Catasto, sia con riferimento alla fallita che al suo amministratore, non era emerso alcun immobile di proprietà in capo alla società né atti di compravendita revocabili, mentre il NA. risultava proprietario di un'unità immobiliare di un terreno destinato al frutteto sito nel comune di Napoli, sul quale risultavano iscritte ipoteche a favore di (…) e di (…) e (…). Così ricostruiti i fatti, occorre valutare i profili inerenti alla penale responsabilità del NA. in ordine ai fatti allo stesso ascritti in rubrica.

Nel merito, si contesta all'odierno imputato la fattispecie di bancarotta fraudolenta e documentale, atteso che come emerso dalle risultanze dibattimentali al curatore fallimentare non veniva dallo stesso posta a disposizione l'intera contabilità, relativa alla società oggetto della procedura di fallimento. Ebbene, tale condotta attiene al profilo dell'"avere sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, i libri e le altre scritture contabili" (art. 2161. fall.). Per orientamento giurisprudenziale pacifico questa parte della disposizione prevede un reato a dolo specifico, rappresentato dallo "scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori". Ne consegue che la differenza con la bancarotta semplice di cui all'art. 2171 fall., consiste proprio nell'elemento psicologico che, nel caso di bancarotta semplice, si configura indifferentemente quale dolo generico o colpa, che sono ravvisabili quando l'agente ometta, rispettivamente, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili, oppure le tenga in maniera irregolare o incompleta.

Con riguardo alla fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale c.d. "generica" di cui alla seconda parte dell'art. 216, co. 1, n. 2), L. fall., perla sussistenza del dolo che è quello generico non è, dunque, necessario che l'amministratore formale si sia rappresentato e abbia voluto gli specifici interventi da altri realizzati nella contabilità, ma è necessario che l'abdicazione dagli obblighi da cui è gravato sia accompagnata quantomeno dalla rappresentazione della significativa possibilità che i soggetti a cui ha consentito di gestire la società alterino fraudolentemente la contabilità impedendo o rendendo più difficile agli organi fallimentari la ricostruzione del patrimonio e del volume d'affari della fallita e ciononostante decida di non esercitare anche solo suoi poteri-doveri di vigilanza e controllo per evitare che ciò accada. Sul piano della prova, è ovvio che l'assunzione solo formale della carica costituisce un importante indizio della configurabilità del dolo richiesto per la sussistenza del reato menzionato e che, in alcuni casi, le concrete circostanze in cui è avvenuta, l'indizio può trasformarsi in prova diretta dell'elemento psicologico tipico; ma per l'appunto è l'analisi delle circostanze concrete del fatto che possono restituite la prova della componente rappresentativa del dolo ed è dunque compito del giudice rifuggire da rigidi automatismi probatori evidenziando le specifiche ragioni per cui sia possibile ritenere, nei termini suindicati, che l'amministratore formale sia consapevolmente concorso nella realizzazione del reato. Ebbene, nel caso di specie, dall'istruttoria è emerso in modo pacifico che il curatore ha avuto a disposizione solo una parte della documentazione contabile della società, non idonea a poter effettuate una ricostruzione attendibile del patrimonio e del volume di affari della società. E' indubbio che la suddetta sottrazione sia stata posta in essere all'evidente fine di arrecare pregiudizio ai creditori, tenuto conto del contesto in cui il fatto è avvenuto, sintomo di una condotta artatamente finalizzata a pregiudicare, come di fatto è poi avvenuto, le ragioni dei creditori, impedendo ai predetti la ricostruzione del patrimonio e del volume di affari della società fallita. La circostanza, infatti, che presso la sede sociale fu rinvenuta una nuova società gestita dal figlio dell'imputato avente il medesimo oggetto sociale, infatti, fa propendere per una fraudolenta operazione posta in essere dal NA. al fine di continuare ad operare furono nella medesima occasione rinvenuti anche beni appartenuti alla fallita -nonostante l'esposizione debitoria.

D'altronde, l'imputato ha reso una versione assolutamente non idonea a scalfire gli elementi probatori a suo carico, essendosi limitato a riferire di non essere stato in grado di gestire in autonomia la contabilità, senza però d'altra parte affermare di aver delegato ad altri la tenuta della stessa, come ci si sarebbe aspettati.

In conclusione, quindi, l'inattendibilità della contabilità rilevata dallo studio della documentazione parziale consegnata al curatore, in uno con i comportamenti assunti dall'imputato successivamente al fatto, fanno propendere per un'azione consapevole e mirata a recare pregiudizio alla massa creditoria. La previsione incriminatrice di cui all'art. 216 l.f., infatti, individua l'oggetto materiale del reato nei libri e nelle altre scritture contabili che hanno la funzione di rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, ricollegandosi direttamente all'art. 2214 c.c., e la condotta nella "sottrazione, distruzione e/o falsificazione ovvero tenuta irregolare".

Al riguardo, giova precisare che dal punto di vista oggettivo il contestato delitto è integrato sia dalla sottrazione di scritture contabili, precedentemente sussistenti, sia dall'omessa tenuta delle stesse, penalmente rilevante ex art. 216 n. 2 L.F. quando sorretta dal necessario dolo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o, come nel caso di specie, di recare pregiudizio ai creditori (cfr. sul punto Cass. Pen. Sez. V sentenza n. 11115 del 22/01 /2015 secondo la quale "l'omessa tenuta della contabilità interna integragli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta, e non quello di bancarotta semplice, qualora si accerti che scopo dell'omissione sia quello di recare pregiudizio ai creditori".

E', dunque, certamente sussistente, nel caso in questione, il dolo specifico di cui all'art. 216 L.F., costituito dallo "scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori" (cfr. sul punto, Cass. Pen. Sez. VI, n. 17084 del 09/12/2014, secondo cui "l'elemento psicologico del reato di bancarotta documentale post fallimentare si identifica nel dolo specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudico ai creditori mediante sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture"). Passando al trattamento sanzionatorio, si ritengono concedibili all'imputato le circostanze attenuanti generiche, al fine di adeguate la pena al caso concreto.

A questo punto, valutatigli elementi di cui all'art. 133 c.p., stimasi congruo irrogare a Na.Ma. la pena finale di anni 2 di reclusione, partendo dal minimo edittale e applicando la riduzione per le circostanze attenuanti generiche.

Alla condanna seguono per legge il pagamento delle spese processuali, nonché ex art 216 (…) l'inabilitazione del predetto all'esercizio di imprese commerciali e l'incapacità all'esercizio di uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di anni cinque.

Sussistono i presupposti per concedere all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena.


P.Q.M.

Lettigli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara NA.Ma. colpevole del reato a lui ascritto in rubrica e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di anni due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Letto l'art. 216, u.c. R.D. n. 267/42, dichiara NA.Ma. inabilitato all'esercizio di imprese commerciali ed incapace all'esercizio di uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata della pena principale. Pena sospesa.

Fissa in giorni 90 il termine perii deposito della motivazione.

Così deciso in Nola l'1 dicembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 20 dicembre 2023.

bottom of page