Bilanci inattendibili e bancarotta impropria: limiti del concorso dell’ex amministratore nella falsità contabile (Cass. pen. n. 21001/25)
- Avvocato Del Giudice
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1. Premessa
La sentenza della Corte di cassazione penale, Sez. V, n. 21001/2025, affronta il tema della responsabilità penale degli amministratori in ipotesi di bancarotta impropria da reato societario, con particolare riguardo all’accertamento del concorso del soggetto privo di qualifica formale (extraneus) nel delitto presupposto di falso in bilancio.
Il caso sottoposto al vaglio del Supremo Collegio concerneva la posizione di un soggetto che aveva rivestito la carica di amministratore unico della società fallita sino a una certa data, e che veniva ritenuto responsabile – in concorso con il successore – della bancarotta impropria derivante da false rappresentazioni contabili nei bilanci successivi.
Accanto a tale imputazione, si contestava allo stesso soggetto la distrazione di attivi sociali in favore di un’altra società a lui riconducibile.
2. La struttura argomentativa della Corte
2.1. La distinzione tra reato presupposto e bancarotta impropria
Il Collegio muove da un rigoroso inquadramento dogmatico del delitto di cui all’art. 223, comma 2, n. 1 l. fall., ricordando come esso postuli, quale elemento strutturale imprescindibile, la commissione di un reato societario tra quelli tipizzati (nella specie, l’art. 2621 c.c., falso in bilancio), in grado di cagionare il dissesto dell’impresa.
Si tratta – viene precisato – di un reato proprio non esclusivo, suscettibile di concorso da parte di un extraneus ai sensi dell’art. 110 c.p., purché questi apporti un contributo causale, materiale o morale, alla consumazione del fatto tipico. Tuttavia, tale apporto non può essere presunto: esso deve risultare da elementi fattuali specifici, che denotino l’effettiva partecipazione consapevole alla commissione del reato societario.
2.2. L’assenza di responsabilità per i bilanci successivi alla cessazione dell’incarico
Nel caso concreto, la Suprema Corte rileva come l’imputato To.Ma. avesse cessato la propria funzione di amministratore ben prima della redazione dei bilanci di esercizio 2012 e 2013, nei quali erano stati iscritti crediti privi di effettiva esigibilità.
La sentenza impugnata non aveva adeguatamente motivato in ordine all’eventuale concorso morale o materiale dell’imputato nella formazione dei suddetti bilanci falsi.
Nessuna evidenza era stata offerta circa l’esistenza di un ruolo occulto nella gestione successiva, né erano stati descritti atti o condotte da cui inferire una persistente ingerenza gestionale o un’attività di istigazione, suggerimento o predisposizione della documentazione contabile.
La Corte, richiamando i precedenti in materia (Cass., sez. V, n. 28508/2013; n. 46689/2016), esclude che la mera circostanza della pregressa acquisizione di crediti durante il mandato di To.Ma. potesse fondare una sua responsabilità per la successiva esposizione decettiva nei bilanci redatti da altri. Ne consegue l’annullamento senza rinvio della condanna per il capo b), in assenza di elementi idonei a integrare la tipicità soggettiva e oggettiva del concorso.
3. La conferma della responsabilità per bancarotta distrattiva
Diverso è invece l’esito relativo all’imputazione sub c), avente a oggetto la cessione gratuita di crediti dalla società fallita (L. S.r.l.) alla società F. S.r.l., riconducibile all’imputato. In questo caso, la Corte valorizza correttamente la qualifica soggettiva dell’imputato quale amministratore della società beneficiaria e la sua consapevolezza della natura distrattiva dell’operazione.
Secondo il consolidato orientamento di legittimità (v. Cass., sez. V, n. 4710/2019, Falcioni; n. 26501/2021, Abate), in tema di concorso dell’extraneus nel delitto proprio di bancarotta per distrazione, il dolo consiste nella consapevolezza che la propria condotta contribuisce all’effetto depauperativo del patrimonio della società, con pregiudizio per i creditori.
Nel caso in esame, le operazioni di trasferimento gratuito di crediti – peraltro di dubbia esigibilità – sono state considerate indice della piena consapevolezza del depauperamento patrimoniale, anche alla luce dell’assenza di un concreto incremento del capitale della società cessionaria, che avrebbe potuto giustificare l’operazione sul piano economico-giuridico.
4. Considerazioni conclusive
La sentenza in commento merita apprezzamento per la puntuale distinzione tra le diverse condotte contestate e per la rigorosa applicazione dei principi in tema di concorso nel reato proprio.
Essa riafferma che, nel sistema penale societario, la responsabilità penale deve fondarsi su dati fattuali circostanziati e non può essere ancorata a presunzioni legate a ruoli formali ricoperti in passato.
In particolare, si tratta di una pronuncia significativa per la prassi forense, poiché:
chiarisce che l’ex amministratore non risponde della bancarotta impropria se la falsità dei bilanci è maturata in epoca successiva e in assenza di un suo contributo attivo;
ribadisce che la distrazione di attivi sociali a favore di soggetti collegati, senza controprestazione, integra bancarotta fraudolenta anche per chi riceve tali beni con consapevolezza del dissesto;
valorizza l’elemento soggettivo quale cerniera tra la condotta e l’antigiuridicità del fatto, prevenendo derive di responsabilità oggettiva.
Alla luce di ciò, il principio di diritto che si può trarre dalla pronuncia è il seguente:
“L’ex amministratore di una società fallita non può essere ritenuto responsabile del delitto di bancarotta impropria per falso in bilancio se non risulta una sua partecipazione, materiale o morale, alla redazione dei bilanci successivi alla cessazione dell’incarico, né una posizione di amministratore occulto o un apporto causale concreto nella falsificazione dei documenti contabili.”
La sentenza integrale
Cassazione penale sez. V, 23/05/2025, (ud. 23/05/2025, dep. 05/06/2025), n.21001
RITENUTO IN FATTO
1. È stata impugnata la sentenza della Corte d'Appello de L'Aquila che, per quanto di interesse per il presente procedimento, ha confermato la sentenza del Tribunale di Pescara, che ha dichiarato la penale responsabilità di To.Ma., amministratore unico della LIBRA Srl fino alla data del 8 marzo 2013 (in realtà fino al 17 ottobre 2011), società dichiarata fallita il 23 luglio 2014, in ordine al delitto di cui agli artt. 110 cod. pen., 223 comma 2 n. 1 r.d. n. 267 del 1942, in relazione all'art. 2621 cod. civ. - capo B) della rubrica - commessi, in concorso con Di.Gi., in relazione ai bilanci di esercizio della società al 31 dicembre 2012 ed al 31 dicembre 2013; ed in ordine ai delitti di cui agli artt. 110 cod. pen., 223 comma 1 e 216 comma 1 r.d. n. 267 del 1942, commesso in qualità di amministratore della FIDELIO S.R.L e in concorso con il poi deceduto Di.Gi., amministratore della LIBRA, per aver distratto crediti a titolo gratuito a favore della FIDELIO Srl, riconducibile al patrimonio del Di.Gi.
2. Il ricorso per cassazione, a firma di difensore abilitato, consta di tre motivi, sintetizzati ai sensi dell'art. 173 comma 1 disp. att. cod. proc. pen., tutti evocanti i vizi di cui all'art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.
2.1. La prima doglianza si è concentrata sulla declaratoria di colpevolezza per l'imputazione di cui a capo B), anche con riferimento all'elemento soggettivo, perché la sentenza impugnata, ignorando arbitrariamente gli elementi apportati dalla difesa, sarebbe del tutto carente sia a riguardo del carattere di esigibilità dei crediti iscritti in bilancio, sia a riguardo dei risultati dell'accertamento di tale supposta inesigibilità; il curatore fallimentare e la polizia giudiziaria non avrebbero compiuto alcuna verifica in tale direzione - anche in punto prescrizione e, in ogni caso, estesa alle società di cessione dei crediti, dichiarate fallite - e la Corte territoriale si sarebbe accontentata di elementi non rilevanti, come il parere, non compiutamente analizzato, di un legale nominato in sede di procedura concorsuale, la riconducibilità delle società coinvolte al Di.Gi., liquidatore della inattiva FORNACE DI SELBAGNONE, e la incertezza della data dei contratti dì cessione dei crediti, dato quest'ultimo dimostrato come insussistente dalla consulenza tecnica della difesa. Non si è tenuto conto che i crediti erano vantati nei confronti di enti pubblici ministeriali e che pertanto questi ultimi erano solvibili e nella impossibilità di eccepire la prescrizione presuntiva; non solo, ma la LIBRA, quando era in bonis, aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per Euro 588.280 nei confronti dell'Agenzia delle Entrate. Quanto al credito vantato nei confronti del CREDITO INDUSTRIALE SAMMARINESE, la cessione da parte della DCM TECHNOLOGY Srl sarebbe munita di data certa e la cedente aveva regolarmente acquistato il credito da società terze; quanto al credito nei confronti del MINISTERO DEI BENI CULTURALI, la PURIMA Srl - che lo aveva acquistato da ditte terze lo avrebbe ceduto alla LIBRA con scrittura privata munita di data certa. Tale credito sarebbe stato contestato da un parere dell'Avvocatura Generale dello Stato, consultata dal Ministero, per motivi puramente formali. La prescrizione del credito, ove sussistente, deve essere eccepita dal debitore e non determina di per sé la inesigibilità del credito. Neppure il palese dissesto della impresa debitrice - cioè del debitore ceduto - varrebbe a determinare ex se "una dichiarazione di inesigibilità", poiché sarebbe sempre indispensabile accertare l"'incapienza della parte e la contestuale dichiarazione di fallimento". E il creditore cedente e il creditore cessionario sarebbero parti lese, perché i fatti giuridici in questione riguardano il terzo, ovvero il debitore, e non dipendono dalla volontà de! cedente e del cessionario.
2.2. Il secondo motivo - che concerne l'affermazione di reità per il capo C) - ha precisato come i contratti di cessione di credito stipulati dalla LIBRA in favore della FIDELIO fossero "in conto futuro aumento di capitale sociale", con l'effetto che quest'ultima avrebbe dovuto iscrivere un debito in contabilità a fronte della "futura trasformazione" di essi crediti in aumento di capitale della FIDELIO stessa. I crediti erano vantati nei confronti di società - la COPARFIN Srl e la PRECAL Srl - in concordato preventivo e, pertanto, essi erano "pari all'importo che si sarebbe dovuto incassare dalle procedure di concordato, sulla base del piano proposto". La cessione non sarebbe a titolo gratuito, in quanto la LIBRA avrebbe aumentato la partecipazione nella FIDELIO e quest'ultima avrebbe aumentato il capitale sociale.
Ancora, la sentenza sarebbe carente nell'individuazione degli elementi a supporto del contributo concorsuale di To.Ma., che sarebbe terzo estraneo rispetto alla formale contestazione di un reato "proprio" dell'amministratore della fallita, figura riconducibile al solo Di.Gi.
2.3. Il terzo motivo ha posto l'accento sulla assenza di prova dell'elemento soggettivo del reato, in quanto l'impostazione della motivazione della sentenza impugnata propenderebbe per un atteggiamento essenzialmente colposo, in presenza di un addebito di tipo esclusivamente doloso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato a riguardo dell'affermazione di responsabilità del ricorrente per il delitto di bancarotta impropria di cui a capo b), che determina l'annullamento senza rinvio del relativo verdetto di condanna, mentre, nel resto, il ricorso deve essere respinto.
1. La giurisprudenza di questa Corte, nell'ipotesi di doppia conforme, è radicata nel riconoscere il principio della reciproca integrazione motivazionale delle sentenze di primo e di secondo grado, ammettendosi cioè che la sentenza di appello si saldi con quella precedente, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, quando le due decisioni di merito concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni e, ancor più, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate nella sentenza di primo grado (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615; da ultimo v. Sez. 6, n. 8309 del 14/01/2021, Li Destri, non mass.).
1.1. Inoltre, specie in presenza di una "doppia conforme" sulla responsabilità, come nel caso di specie, il giudice di appello, nella motivazione della sentenza, non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi che compendiano la ratio deciclendi della sentenza medesima (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593 - 01; Sez. 5, n. 5123 del 16/01/2024).
2. Ebbene, a riguardo del primo motivo di ricorso, la sentenza del primo giudice, ha sottolineato che la condizione di squilibrio economico-finanziario della fallita si è delineata nel 2009 e si è progressivamente accresciuta, tanto che - a fronte di un attivo fallimentare di Euro 372.000, il passivo ha raggiunto l'acme di Euro 6.789.000; le domande di concordato preventivo della LIBRA Srl e della FIDELIO Srl evidenziavano "la rappresentazione di crediti per circa 5 milioni di Euro, la cui analisi, secondo il curatore, portava a verificarne la inconsistenza", dal momento che "risultavano conferiti da società facenti capo al Di.Gi. quale amministratore o liquidatore; persona che veniva poi ad acquisire anche la qualità di amministratore delle società cessionarie"; che tali cessioni erano singolarmente avvenute "senza corrispettivo"; LIBRA era stata cessionaria sin dal 16 settembre 2011 di un credito dalla DCM TECNOLOGY, vantato da quest'ultima nei confronti del CREDITO INDUSTRIALE SAMMARINESE, iscritto in bilancio per Euro 1.649.999, che la società cessionaria, poi fallita nel luglio 2014, non aveva mai tentato di recuperare; LIBRA stessa "aveva precedentemente contratto un mutuo con Credito Sammarinese" garantito da ipoteca e tra le banche con cui la LIBRA aveva debiti "vi era il Credito Sammarinese nei cui confronti aveva un debito di Euro 330.990"; il Credito Sammarinese era in liquidazione coatta amministrativa e il credito, oggetto della cessione, risaliva a 27 anni prima; non avevano trovato riscontro, in questo contesto di presunti rapporti di credito-debito, gli assunti del debitore - id est, la LIBRA - "secondo cui erano in corso di attuazione le attività necessarie all'azzeramento della rapportualità ed all'inserimento, per la differenza, nella procedura liquidativa del CIS".
Analogamente, il presunto credito di Euro 2.692.323 pervenuto nel 2010 alla LIBRA, a titolo gratuito, dalla società PURIMA, amministrata dal Di.Gi., era cartolarmente vantato nei confronti del Ministero dei Beni Culturali che, però, tramite l'Avvocatura dello Stato, lo aveva integralmente disconosciuto; anche in questo caso la LIBRA non si era mai adoperata per la sua riscossione.
Infine, l'assunto credito di Euro 982.490, di natura tributaria - ceduto gratuitamente nel luglio 2011 alla LIBRA dalla FORNACE DI SELBAGNONE, di cui Di.Gi. era liquidatore - era stato totalmente contestato dall'Agenzia delle Entrate con l'opposizione a decreto ingiuntivo e nel giudizio di opposizione la curatela del fallimento, valutata l'irrecuperabilità del credito con il parere di un legale, aveva rinunciato agli atti del giudizio civile. La decisione di primo grado ha 0 dato risalto anche all'anomala figura del Di.Gi., che in base alle visure camerali risultava "ricoprire 37 cariche in diverse società e svolgere in sostanza un'attività consistente nell'assumere cariche di amministratore e/o liquidatore in società prossime alla chiusura", in definitiva un "professionista" del settore non associabile, in altre parole, a prospettive imprenditoriali e commerciali dotate di affidabilità.
Le conclusioni declinate dal giudice di prime cure sono state condivise dalla Corte territoriale che, in estrema sintesi, ha riproposto il giudizio di fittizietà dei crediti iscritti in bilancio, quantomeno nei termini della completa inesigibilità, di tal che la loro appostazione "aveva chiaramente solo scopo di creare un'apparenza di attivo"; tale comportamento degli amministratori ha "avuto senza dubbio la conseguenza di aggravare il dissesto", poiché la "falsa apparenza di attivo e di solidità finanziaria ha permesso di proseguire per anni nell'attività di impresa senza procedere all'apertura della procedura fallimentare", così da consumare il reato di bancarotta impropria di cui all'art. 223 comma 2 n. 1) r.d. n. 267 del 1942. Ed integra il reato di bancarotta impropria da reato societario la condotta dell'amministratore che, esponendo nel bilancio dati non corrispondenti al vero, eviti che si manifesti la necessità di procedere ad interventi di rifinanziamento o di liquidazione, in tal modo consentendo alla fallita la prosecuzione dell'attività di impresa con accumulo di ulteriori perdite negli esercizi successivi (Sez. 5, n. 1754 del 20/09/2021, Bevilacqua, Rv. 282537).
In proposito, il motivo di ricorso è orientato a sollecitare una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, il cui apprezzamento è, in via esclusiva, riservato al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (S.U. n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944); assumono connotazione di taglio squisitamente "rivalutativo" le doglianze che nel complesso contestano la realizzabilità dei crediti, in particolare quello vantato nei confronti dell'Agenzia delle Entrate e la fondatezza dell'opzione di non coltivare il contenzioso giudiziario, assunta dalla curatela con il parere del legale designato in sede di procedura concorsuale. Merita di essere aggiunto, del resto, che il principio contabile OIC 15, vigente all'epoca, già enumerava una serie di parametri di catalogazione dei crediti nei bilanci di esercizio delle società di capitali ai fini della corretta applicazione dell'art. 2426 n. 8) cod. civ., tra i quali includeva le difficoltà finanziarie del debitore, il suo coinvolgimento in procedure concorsuali, la risalenza del credito non riscosso (c.d. crediti "incagliati"), la pendenza di contestazioni da parte del debitore e/o di contenziosi tra le parti del rapporto obbligatorio. Si tratta dei segnali correttamente predicati dalle deliberazioni in rassegna al fine di calibrare l'esigibilità dei crediti appostati nei bilanci.
2.1. E tuttavia, l'art. 223, comma secondo, n. 1 legge fall., punisce gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di società dichiarate fallite, i quali hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621 e seguenti del codice civile. Viene in rilievo un reato proprio (non esclusivo) o a "soggettività ristretta" (come la gran parte dei reati fallimentari) che richiede la partecipazione di almeno un soggetto rientrante nelle categorie codificate dalla norma.
Ai sensi dell'art. 110 cod. pen., anche l'extraneus può concorrere nel reato con il soggetto dotato della qualifica, fornendo un consapevole contributo morale (es. istigazione, determinazione, rafforzamento dell'altrui proposito criminoso) o materiale (es. confezionamento del bilancio falso) alla realizzazione dell'illecito, in presenza della necessaria componente soggettiva.
I reati societari specificamente indicati - i quali, 'a loro volta, sono reati propri - rappresentano un elemento costitutivo della fattispecie di bancarotta in esame (cfr. Sez. 5, n. 37264 del 19/06/2023, Austa, non massimata). Il reato societario, come detto, deve perfezionarsi in tutti i requisiti oggettivi e soggettivi.
I reati societari sono richiamati nei loro fattori, anche psicologici, come definiti dal codice civile: per "fatti" deve intendersi la "tipicità" del reato, vale a dire l'insieme degli elementi descritti dal legislatore nell'ambito di una singola disposizione incriminatrice, all'interno della quale, dunque, è collocato anche il dolo (vedi in motivazione Sez. 5 n. 28508 del 12/04/2013, Mannino; Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, Coatti).
L'amministratore della società successivamente fallita, al tempo del deposito dei bilanci falsi, era Di.Gi., divenuto amministratore unico della LIBRA il 17 ottobre 2011 (pag. 6 primo grado) e, sotto questo profilo, il motivo di ricorso coglie nel segno, dal momento che le uniche proposizioni rinvenibili in sentenza - e sul punto non soccorre in melius quella del primo giudice - sono limitate a rappresentare che le cessioni dei crediti a favore della LIBRA, negli anni 2010 e 2011, sono state perfezionate quando amministratore unico era To.Ma., prima che costui dismettesse la carica a favore del Di.Gi. Nessun approfondimento è stato dedicato alla individuazione dei dati concreti che consentano di attribuire a To.Ma. una responsabilità concorsuale, in qualità di extraneus, nel delitto di cui all'art. 2621 cod. civ. proprio dell'amministratore, perché l'acquisizione dei diritti di credito nel patrimonio della società, nel 2010 e nel 2011, in difetto di altri più specifici indicatori, non comporta necessariamente la loro decettiva esposizione nei bilanci delle annualità successive, nel vigore di altra gestione amministrativa. Non vi è evidenza del ruolo eventualmente ricoperto dall'imputato nella fallita, di amministratore occulto, né vi è riferimento alla sussistenza di un apporto causale da lui procurato ab extrinseco, nel frangente della predisposizione e presentazione dei bilanci del 2012 e 2013, perché è in relazione a questi ultimi, e non alle operazioni societarie pregresse, che l'esigibilità dei crediti deve essere classificata ed analizzata.
3. A diverse conclusioni deve condurre, invece, l'esame del secondo motivo del ricorso, che insorge contro l'affermazione di colpevolezza per il delitto di bancarotta distrattiva di cui al capo c). Il motivo è generico e non consentito.
Il capo d'imputazione - v., in particolare, la descrizione della condotta di cui al capo g), che pure riguarda la già coimputata Za., v. anche pag. 12 sentenza di primo grado - riporta che fosse FIDELIO a detenere una partecipazione in LIBRA e non viceversa, come sostenuto dal ricorrente e, d'altro canto, le argomentazioni della sentenza del Tribunale e della Corte d'Appello - che, con enunciati non manifestamente illogici, ripercorrono le considerazioni del curatore del fallimento - sono allineate all'inquadramento del rapporto di collegamento tra i due enti, e rimarcano l'inverosimiglianza di un conferimento in conto futuro aumento di capitale della FIDELIO "con risorse della stessa società partecipata dalla FIDELIO"; e ancora, l'implausibilità della potenziale conversione di un "debito" - che, in tesi difensiva, la FIDELIO avrebbe dovuto iscrivere in bilancio - in un "credito" della stessa FIDELIO in relazione all'aspettativa di un futuro "aumento di capitale sociale" (pag. 11 primo grado, pagg. 7 - 8 appello, che solo per un refuso cita, a pag.7, "To.Da." in luogo di "To.Ma."), peraltro mai realizzato. Può essere aggiunto, in diritto, che il conferimento di crediti destinati a capitale, nelle società a responsabilità limitata, è di regola accompagnato dalla relazione di stima di un esperto, ai sensi dell'art. 2465 cod. civ. e che le obiezioni difensive, intese ad opporre l'intercorrenza di un rapporto negoziale a prestazioni corrispettive, non risultano accompagnate dalle allegazioni documentali indispensabili al sindacato di competenza del collegio, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso. Il giudizio di merito, che, nella cessione gratuita dì un credito almeno parzialmente incamerabile, ha ravvisato la consumazione di un'operazione di spoliazione in danno dei creditori della fallita (v. Sez. 5, n. 28520 del 24/04/2013, Avesani, Rv. 257250), si rivela dunque incensurabile in sede di legittimità.
4. Il terzo e ultimo motivo a riguardo dell'addebito sub b) è assorbito dalle critiche mosse al provvedimento impugnato e gli elementi costitutivi del reato di bancarotta impropria dovranno essere nel loro insieme riesaminati, mentre, a riguardo dell'accusa sub c), la ragione di ricorso è per un verso indeducibile perché inedita violazione di legge, a norma dell'art. 606 comma 3 cod. proc. pen. e, per altro verso, caratterizzata da intima genericità.
I motivi di gravame (cfr. in particolare pagg. 11 e 12) non hanno affrontato il profilo dell'elemento soggettivo del dolo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale ed ontologicamente precipitano nell'alveo dell'inammissibilità; e tuttavia, il rilievo si palesa epidermico e di assai debole impatto, perché gli elaborati del duplice grado hanno nel complesso evidenziato che To.Ma. è stato l'amministratore unico della LIBRA fino al subentro del Di.Gi. (quando - pag. 5 primo grado - il dissesto, prodottosi dal 2009, era già conclamato, ed erano già state definite le atipiche operazioni di acquisizione di ingenti crediti cartolari, a titolo gratuito) ed era l'amministratore della collegata FIDELIO, beneficiaria del trasferimento del credito vantato dalla prima, formalmente amministrata da Di.Gi. a seguito dell'avvicendamento, nei confronti di COPARFIN.
4.1. In tema di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo del concorrente "extraneus" nel reato proprio dell'amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell'"intraneus", con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società che può rilevare sul piano probatorio quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori (Sez. 5, n. 4710 del 14/10/2019, Falcioni, Rv. 278156) e la prova dell'elemento soggettivo dell'extraneus ben può essere ricavata dalle obbiettive caratteristiche della transazione commerciale, come la natura dell'atto distrattivo o il prezzo di acquisto (in motivazione, Sez. 5, n. 26501 del 31/03/2021, P.G. in proc. Abate, Rv. 281555).
La sentenza di primo grado (pag. 10) ha convenientemente illustrato l'ampio patrimonio conoscitivo del prevenuto, esteso alle vicissitudini degli enti che hanno partecipato al trasferimento di parte dell'attivo della fallita, in assenza di controprestazione, e, con interpretazione non illogica, che resiste al presente vaglio, ne ha tratto indicatori di complessiva padronanza dei connotati patologici di pertinenza dell'operazione.
5. La sentenza impugnata deve essere dunque annullata con rinvio relativamente all'imputazione di cui al capo b), mentre il ricorso deve essere altrimenti respinto. Nel giudizio di rinvio dovrà essere parimenti riesaminato il trattamento sanzionatorio complessivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo b), con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, 23 maggio 2025.
Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2025.