
Con la sentenza n. 7075/2025, la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha affrontato il tema della partecipazione ad associazione mafiosa.
Secondo la Corte, chi si mette stabilmente a disposizione di un clan mafioso per perseguirne gli scopi criminali è un partecipe dell’associazione, anche senza aver commesso atti specifici di esecuzione del programma delinquenziale.
Questo principio si inserisce in un filone giurisprudenziale consolidato, rafforzato dalla sentenza Modaffari (Sez. U, n. 36958/2021), secondo cui la partecipazione a un’associazione mafiosa si realizza con l’inserimento organico e la disponibilità a eseguire ordini, anche senza necessità di provare singoli episodi criminosi.
Il caso: il ruolo di picchiatore e recupero crediti per il clan Fabbrocino
L’imputato era stato sottoposto a custodia cautelare in carcere, confermata dal Tribunale del Riesame di Napoli, per partecipazione all’associazione mafiosa clan Fabbrocino, operante a Palma Campania e San Gennaro Vesuviano.
Secondo l’accusa, il suo ruolo all’interno del clan era quello di:
picchiatore per punire chi non rispettava gli ordini dell’organizzazione;
recupero crediti per somme derivanti da estorsioni.
soggetto disponibile a eseguire gli ordini dei vertici del clan senza necessità di preavviso.
A fondamento della misura cautelare vi erano intercettazioni ambientali e telefoniche, nelle quali Carbone affermava la propria appartenenza al clan e la disponibilità a eseguire ordini di violenza su richiesta dei boss P. e M. F.
La difesa ha contestato la decisione sostenendo che:
l'imputato non aveva mai commesso atti concreti per conto del clan.
le sue dichiarazioni intercettate erano millanterie e tentativi di accreditarsi presso i boss.
l’ordinanza del Riesame aveva interpretato in modo errato le conversazioni.
Il principio di diritto
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, affermando che la messa a disposizione seria e continuativa di un soggetto nei confronti di un clan mafioso integra già la partecipazione all’associazione mafiosa.
I punti centrali della decisione sono:
la partecipazione a un’associazione mafiosa non richiede la prova di atti concreti di esecuzione;
basta la dimostrazione di un inserimento organico nel sodalizio e della disponibilità a eseguire ordini;
l’essere pronti a intervenire per il clan costituisce già un contributo causale al rafforzamento dell’organizzazione;
le intercettazioni provano l’adesione organica all’associazione
In una conversazione intercettata, l'imputato dice: “O zi’ voi mi dovete solo dire ‘Raffaele devi fare così’, io vado pure a piedi, il problema non lo tengo”.
In un’altra intercettazione, afferma: “Io sto con te, tu mi comandi e io vado a picchiare a questo, è giusto?”
Secondo la Corte, queste frasi dimostrano chiaramente la sua volontà di essere parte del clan e di eseguire ordini.
L’argomento della millanteria non è sufficiente a escludere la partecipazione
La difesa ha sostenuto che l'imputato esagerava il proprio ruolo per adulare i boss, ma la Corte ha respinto questa tesi.
Anche dichiarazioni di affiliazione non smentite dai capi clan sono un indizio di reale appartenenza.
L’uso della violenza per il recupero crediti è un indicatore chiave della partecipazione
L'imputato discute con un affiliato del clan di un debito da riscuotere, suggerendo di convocare il debitore al cimitero per “insegnargli a fare il cristiano”.
La Corte ha ritenuto che questa conversazione dimostrasse un’intimidazione mafiosa tipica delle organizzazioni criminali.
Conclusione
Questa sentenza ha importanti implicazioni per i processi in materia di criminalità organizzata:
conferma che il criterio centrale per l’art. 416-bis c.p. è la stabilità della messa a disposizione per il clan, non l’effettiva commissione di reati specifici;
rende più difficile per la difesa sostenere che dichiarazioni intercettate siano solo millanterie, poiché la mancata smentita da parte degli affiliati può essere considerata un indizio di veridicità.
ribadisce il valore probatorio delle intercettazioni ambientali nei processi di mafia, anche in assenza di riscontri esterni immediati.