Ruolo apicale nelle associazioni mafiose e interesse a ricorrere: la Corte ribadisce la necessità della prova del comando (Cass. Pen. n.18593/25)
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Ruolo apicale nelle associazioni mafiose e interesse a ricorrere: la Corte ribadisce la necessità della prova del comando (Cass. Pen. n.18593/25)

Ruolo apicale nelle associazioni mafiose e interesse a ricorrere: la Corte ribadisce la necessità della prova del comando (Cass. Pen. n.18593/25)

Indice:


Premessa

Con la decisione Cass. pen., sez. VI, 15 aprile 2025, n. 18593, la Corte è chiamata a chiarire se, in fase cautelare, l’indagato abbia interesse concreto a proporre ricorso per cassazione quando l’addebito riguardi non la mera partecipazione, ma l’assunzione di un ruolo di vertice in un sodalizio mafioso.

La Corte di cassazione ha chiarito che, a differenza dell’esclusione di una mera aggravante, la qualifica di capo, promotore o organizzatore integra un’autonoma fattispecie criminosa.

Ne deriva che il soggetto ha interesse concreto e attuale a ricorrere, poiché tale qualificazione incide direttamente sui presupposti e sulle modalità della misura cautelare.


I fatti

Il procedimento trae origine da un’ordinanza cautelare del GIP di Napoli (novembre–dicembre 2024), che disponeva la custodia in carcere nei confronti di Am.De., ritenuta partecipe con ruolo apicale del clan Am.-Pa.

Il Tribunale del riesame confermava la misura, richiamando le intercettazioni, il peso del cognome e il legame familiare con il capo clan.

La difesa proponeva ricorso per cassazione denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando il mancato confronto con la memoria difensiva e la carenza di elementi oggettivi a sostegno della posizione di vertice.


La questione giuridica

Il nodo interpretativo posto all’attenzione della Corte riguardava la possibilità di riconoscere all’indagato un interesse concreto ed attuale a impugnare l’ordinanza cautelare quando la contestazione riguarda non la mera partecipazione ad un’associazione mafiosa, bensì l’assunzione di un ruolo apicale (capo, promotore, organizzatore) al suo interno.

Il punto è tutt’altro che secondario: se si qualificasse la posizione apicale come mera circostanza aggravante della partecipazione, l’eliminazione di tale qualifica non comporterebbe, di per sé, alcuna conseguenza diretta sulla misura cautelare, essendo sufficiente la semplice partecipazione al sodalizio a fondarne la legittimità.

Questa è la logica sottesa ad alcune decisioni di legittimità (ad es. Cass., sez. II, 21 dicembre 2022, Renna), che hanno negato l’interesse a ricorrere quando l’impugnazione si limitava a contestare il ruolo direttivo.

Diversamente, qualificare la posizione apicale come figura autonoma di reato, distinta dalla mera appartenenza, significa riconoscere che la misura cautelare deve poggiare su un accertamento specifico e positivo dell’effettivo esercizio di poteri direttivi. In tale prospettiva si collocano altre pronunce (Cass., sez. II, 28 aprile 2023, Rinzivillo), che sottolineano come la contestazione di un ruolo di vertice implichi una verifica autonoma dei presupposti cautelari.

La questione, dunque, investe il cuore del rapporto tra qualificazione giuridica del fatto e interesse a ricorrere, nonché la stessa funzione di garanzia dell’art. 568, comma 4, c.p.p., secondo cui l’impugnazione è ammissibile solo se idonea a determinare una situazione più favorevole per l’imputato.


La decisione della Corte

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso, ponendo l’accento su tre profili strettamente connessi. In primo luogo, ha ribadito che il ruolo di capo, promotore o organizzatore non può essere ridotto a semplice circostanza aggravante della partecipazione, ma costituisce una vera e propria fattispecie autonoma di reato. Questa qualificazione, proprio perché autonoma, incide direttamente sulla legittimità della misura cautelare e sulle sue modalità applicative: contestare la posizione apicale non è, dunque, un passaggio marginale, ma un atto che tocca la stessa ragione giustificativa della restrizione della libertà personale.

In secondo luogo, la Corte ha insistito sulla necessità che l’attribuzione di un ruolo di vertice sia sostenuta da elementi fattuali concreti e univoci, tali da dimostrare l’effettivo esercizio di poteri direttivi. Non basta, a tal fine, la parentela con il capo clan, né la deferenza mostrata da altri affiliati o l’influenza derivante dal cognome. Occorre invece provare che l’indagato abbia esercitato una funzione di comando riconoscibile sia all’interno del sodalizio sia verso l’esterno. Tale impostazione trova conferma in precedenti consolidati (Cass., sez. VI, 31 maggio 2017, Abbinante; Cass., sez. I, 19 dicembre 2014, Terracchio), che avevano già sottolineato la differenza tra prestigio riflesso e potere effettivo.

Infine, la Cassazione ha censurato la condotta del Tribunale del riesame per non essersi confrontato in maniera puntuale con la memoria difensiva, pur definita “corposissima” dallo stesso provvedimento impugnato.

L’omesso esame di osservazioni difensive capaci di incidere sull’interpretazione del materiale indiziario integra un vizio di motivazione censurabile in sede di legittimità. La Corte ha richiamato, a questo proposito, il principio già affermato (Cass., sez. II, 7 giugno 2019, Forzini), secondo cui la memoria difensiva non può essere liquidata con formule di stile, ma impone un effettivo confronto dialettico quando introduce questioni potenzialmente decisive.


Considerazioni conclusive

La sentenza in esame si distingue per la capacità di restituire centralità al concetto di ruolo apicale come fattispecie autonoma, sottraendolo al rischio di essere ridotto a mera etichetta fondata su indici sociologici o su suggestioni relazionali. La Corte richiama il giudice cautelare alla necessità di un accertamento sostanziale, incentrato sulla prova dell’effettivo esercizio di poteri di direzione e coordinamento, e non sul semplice riflesso di un prestigio familiare o carismatico.

In tal senso, la pronuncia opera un duplice riequilibrio: da un lato, salvaguarda la tassatività e determinatezza delle figure criminose previste dall’art. 416-bis c.p., evitando sovrapposizioni indebite tra la mera partecipazione e la posizione di vertice; dall’altro, riafferma la funzione garantista del procedimento cautelare, che non può limitarsi a recepire passivamente il compendio accusatorio, ma deve misurarsi con le deduzioni difensive e con le diverse letture possibili del materiale indiziario.

Il messaggio è chiaro: la prova del comando non può essere surrogata da presunzioni ambientali o da legami di sangue, ma deve emergere in modo puntuale e verificabile.

In questo modo la Cassazione non solo delimita l’ambito applicativo delle misure cautelari più afflittive, ma contribuisce a definire uno standard più elevato di motivazione, idoneo a coniugare l’esigenza di contrasto alla criminalità organizzata con il rispetto delle garanzie individuali.


La sentenza integrale

Cassazione penale sez. VI, 15/04/2025, (ud. 15/04/2025, dep. 16/05/2025), n.18593

RITENUTO IN FATTO

1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di Napoli ha confermato l'ordinanza cautelare emessa in data 28.11 - 17.12.2024 nei confronti di Am.De. con la quale il Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale ha applicato alla predetta la misura della custodia in carcere ritenendo sussistenti a suo carico gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui all'art. 416-bis, comma 2 cod. pen. in relazione alla partecipazione con posizione apicale al clan Am. - Pa.


2. Avverso la ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di Am.De. deducendo con unico motivo violazione degli artt. 192 e 273 cod. proc. pen. e 416-bis, comma 2, cod. pen., avendo la ordinanza impugnata confermato il giudizio di gravità indiziaria attraverso una motivazione illogica e apparente avendo omesso di considerare le argomentazioni contenute nella memoria difensiva depositata al Tribunale.


Il Tribunale non ha mai argomentato sul contenuto delle interlocuzioni della ricorrente con altri esponenti del sodalizio, mancando di giustificare la rilevanza di tali interlocuzioni - in effetti espressioni di mera deferenza e frutto dello sfruttamento del suo cognome - ai fini della affermazione del suo ruolo apicale.


Quanto alla vicenda Silvestri, la ordinanza ha omesso di confrontarsi con le deduzioni difensive che riconducevano la vicenda ad un affare personale della Am.De. da lei stessa gestita.


Quanto alla dedotta impossibilità che la donna potesse ricoprire il ruolo di capo del clan Am., nel richiamare le deduzioni svolte nella citata memoria, si censura l'omessa considerazione di esse da parte del Tribunale.


Inoltre, si censura il vizio della motivazione in relazione alla valutazione della conversazione di cui al progressivo (omissis) del 13 gennaio 2023, risultando illogico affermare il ruolo apicale della Am.De. se si considera la sua insofferenza nei confronti del trio che ne aveva la gestione operativa, senza che ne disponesse la rimozione e, d'altra parte, affermando la necessità del clan di rimanere unito sotto la guida di quei soggetti.


Ancora, quanto al ruolo della donna di latrice dei messaggi del fratello, capo assoluto del sodalizio, si censura il vizio di motivazione in relazione al travisamento per invenzione della conversazione tra Ma.Co., Ca.Ca. e Ma.Vi. in data 21.06.2023 e alla omessa considerazione della dedotta mancanza di riferimenti nei colloqui in carcere che la Am.De. aveva intrattenuto con il fratello Raffaele nel periodo di interesse.


3. Il P.G. ha depositato memoria a sostegno del rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e deve essere accolto.


2. Deve essere affrontata la questione pregiudiziale riguardante l'interesse a ricorrere della ricorrente dandosi conto dell'orientamento di legittimità che, rifacendosi al più costante orientamento in materia di aggravante contestata in sede cautelare, lo estende alla diversa fattispecie in cui è contestata la partecipazione associativa con livello apicale.


A tale ultimo riguardo è stato costantemente affermato che l'art. 416-bis cod. pen. prevede una pluralità di figure criminose di carattere alternativo ed autonome, che hanno in comune tra loro il solo riferimento ad una associazione di tipo mafioso, per cui la condotta del promotore o del capo costituisce figura autonoma di reato e non circostanza aggravante della partecipazione all'associazione medesima (Sez. 2, n. 31775 del 28/04/2023, Rinzivillo, Rv. 285001 - 01).


Si è così affermato che, in tema di procedimento cautelare, sussiste l'interesse concreto e attuale dell'indagato alla proposizione del riesame o del ricorso per cassazione quando l'impugnazione sia volta ad ottenere l'esclusione di un'aggravante ovvero una diversa qualificazione giuridica del fatto, nel solo caso in cui ciò incida sull'"an" o sul "quomodo" della misura in fattispecie relativa ad associazione per delinquere di tipo mafioso, in un caso in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione dichiarativa dell'inammissibilità del ricorso, in quanto finalizzato alla sola esclusione del ruolo apicale dell'indagato all'interno del sodalizio, elemento privo di riflessi sui presupposti della misura cautelare e sulla sua durata (Sez. 2, n. 17366 del 21/12/2022, dep. 2023, Renna, Rv. 284489).


Questa decisione ha richiamato l'analogo principio espresso da Sez. 3, n. 31633 del 15/03/2019, Irabor, Rv. 276237 secondo il quale non sussiste l'interesse dell'indagato a ricorrere per cassazione avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame, volto ad escludere la qualifica di organizzatore di un'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti ritenuta sussistente, in quanto già la mera partecipazione al sodalizio integra il fatto costitutivo della presunzione cautelare e, di conseguenza, l'esclusione della suddetta qualifica non produrrebbe per il ricorrente alcuna conseguenza favorevole.


A fondamento dell'orientamento è stato richiamato il principio secondo il quale "l'interesse all'impugnazione richiesto dall'articolo 568, comma 4, cod. proc. pen., deve essere concreto ed attuale, correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se l'impugnazione sia idonea a costituire, attraverso l'eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l'impugnante rispetto a quella esistente (Sez. U, n. 6203 del 11/05/1993, Amato, Rv. 193743; Sez. U, n. 9616 del 24/03/1995, Boido, Rv. 202018; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, Timpani, Rv. 203093; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, Serafino, Rv. 202269; Sez. U, n. 20 del 20/10/1996, Vitale, Rv. 206169; Sez. U, n. 18253 del 24/04/2008, Tchmil, Rv. 239397).


Tanto premesso, più volte questa Corte ha affermato che, in tema di impugnazioni avverso misure cautelari personali, vi è carenza di interesse sia al riesame sia al ricorso per cassazione, quando l'indagato tenda ad ottenere l'esclusione di una circostanza aggravante, salvo che da tale esclusione derivi, per lui, una concreta utilità, ovvero immediati riflessi sull'an o sul quomodo della misura (cfr., Sez. 3 - , n. 20891 del 18/06/2020, Piccirillo, Rv. 279508 - 01; Sez. 6 - , n. 5213 del 11/12/2018, Fucito, Rv. 275028 01; Sez. 6, n. 50980 del 21/11/2013, Fabricino, Rv. 258502 - 01; tra le non massimate, Sez. 4, Sentenza n. 36806 del 2020)".


3. Ritiene questo Collegio che l'estensione del principio in tema di interesse a ricorrere affermato nel caso della aggravante non possa essere senz'altro esteso al diverso caso in cui si tratta della posizione apicale del ricorrente in ambito associativo, versandosi in un'autonoma ipotesi di reato.


Mentre nel primo caso non rileva la aggravante in costanza della verificata - o incontestata - sussistente gravità indiziaria della partecipazione associativa, nel secondo caso la partecipazione associativa semplice è solo implicitamente prospettata senza essere oggetto della specifica verifica positiva che giustifica il mantenimento della cautela.


Cosicché deve essere affermato il seguente principio di diritto: "sussiste l'interesse dell'indagato a ricorrere per cassazione avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame, volto ad escludere la qualifica di organizzatore, capo o promotore di un'associazione mafiosa, incidendo la qualifica sull'an e sul quomodo della cautela, non potendo i presupposti della misura cautelare e la sua modalità giustificarsi in base alla alternativa partecipazione semplice alla medesima associazione in assenza di specifica verifica a riguardo".


3. In ordine alla posizione apicale ascritta in sede cautelare alla ricorrente, è stato condivisibilmente affermato, in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, che ai fini dell'attribuzione della qualifica di capo è necessaria la verifica dell'effettivo esercizio del ruolo di vertice che lo renda riconoscibile, sia pure sotto l'aspetto sintomatico, sia all'esterno, che nell'ambito del sodalizio, realizzando un effettivo risultato di assoggettamento interno (Sez. 6, n. 40530 del 31/05/2017, Abbinante, Rv. 271482); ancora, in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, ai fini della configurabilità del reato di promozione, di regime od organizzazione del gruppo criminale è necessario che un ruolo apicale o una posizione dirigenziale, risultino in concreto esercitati (Sez. 1, n. 3137 del 19/12/2014, dep. 2015, Terracchio, Rv. 262487).


8. Secondo questo Collegio, la ordinanza impugnata, affasciando argomentazioni riferite alla partecipazione associativa e al ruolo "di primo piano" della ricorrente - al di là di soggettive aspirazioni, intenzioni o pretese della ricorrente, di suoi "asfissianti" interventi presso i sodali, facendo valere la sua stretta parentela con l'indiscusso capoclan, e di interventi volti a conseguire personali vantaggi come riflesso della sua "autorevole" parentela - non ha assolto alla necessità di individuare un effettivo svolgimento della ascritta posizione apicale ("capo e promotore con il ruolo di referente libero sul territorio della famiglia Am. - Pa., deputata a mantenere i rapporti con i capi interessati e, anche sulla base delle loro indicazioni e direttive, a coordinare e dirigere il complesso delle attività illecite e vigilare sul rispetto delle linee strategiche del clan..."), non bastando la valorizzazione del contesto di rapporti, riferito al clan camorristico, in cui la ricorrente si è mossa.


Del resto, lo stesso incipit della motivazione resa sulla specifica posizione della ricorrente (v. pg. 18 della ordinanza) si riferisce alla gravità indiziaria in ordine alla sua partecipazione al clan Am. - Pa., senza prospettare una diversa qualificazione del fatto contestato, per poi valorizzare quelli che sono - secondo il Tribunale - gli indici della gravità indiziaria; e la disamina si conclude, con l'affermazione speculare della sussistenza della gravità indiziaria in ordine alla partecipazione della ricorrente al sodalizio degli Am. - Pa. senza accedere ad una diversa qualificazione della condotta contestata (v. pg. 53, ibidem).


Lo sviluppo argomentativo così espresso, al di là di qualche considerazione, si è sottratto - come correttamente dedotto dalla difesa - al contraddittorio definito dalle osservazioni prodotte con la memoria difensiva depositata al Tribunale - pur definita "corposissima" dalla stessa ordinanza (v. pg.6 e ss.) - che la ipotizzata posizione apicale aveva puntualmente contestato - attraverso la disamina critica delle captazioni e delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia - sotto molteplici aspetti, fattuali e logici, e che, quindi, meritava altrettanta puntuale risposta da parte del Giudice del riesame dovendosi ribadire il principio, applicabile senz'altro alle misure cautelari personali, secondo il quale l'omesso esame dì una memoria difensiva da parte del Tribunale del riesame in materia di misure cautelari reali può essere dedotto in sede di ricorso per cassazione ex art. 325 cod. proc. pen. soltanto quando con la memoria sia stato introdotto un tema potenzialmente decisivo ed il provvedimento impugnato sia rimasto sul punto del tutto silente (Sez. 2, n. 38834 del 07/06/2019, Forzini, Rv. 277220 - 01); esame che, ovviamente, non può ritenersi adempiuto senza misurarsi specificamente con le deduzioni e le diverse opposte interpretazioni degli elementi del compendio, quando decisive - come nella specie - alla definizione del tema indiziario.


9. Ne consegue l'annullamento della ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli competente ai sensi dell'art. 309, comma 7, cod. proc. pen.


10. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli competente ai sensi dell'art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.


Così deciso in Roma, il 15 aprile 2025.


Depositata in Cancelleria il 16 maggio 2025.













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