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Il metodo mafioso si desume anche da espressioni implicite nel contesto ambientale (Cass. Pen. n. 13120/2025)

Mafia

Con la sentenza n. 13120/2025, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da C., indagato per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, confermando l'ordinanza del Tribunale del Riesame di Napoli che aveva disposto la custodia cautelare in carcere.

La Corte ribadisce che l’aggravante del metodo mafioso può essere integrata anche da espressioni solo implicitamente evocative, se inserite in un contesto territoriale ad alta densità criminale.


Il fatto

C. è accusato del reato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso (artt. 56, 629 e 416-bis.1 c.p.), per aver rivolto minacce a un imprenditore edile con riferimento alla necessità di ottenere un “permesso” prima di lavorare in un determinato cantiere.

Il Tribunale del Riesame ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere il 16 dicembre 2024, ritenendo:

  • attendibile l’individuazione fotografica e di persona effettuata dalla vittima;

  • sussistente la finalità intimidatoria connessa al contesto mafioso;

  • non superata la presunzione di adeguatezza del carcere ex art. 275, comma 3, c.p.p.

La difesa ha proposto ricorso per cassazione, deducendo:

  • la scarsa affidabilità dell’identificazione (C. è alto 1,90 e pesa oltre 120 kg, mentre la descrizione della vittima faceva riferimento a un soggetto più esile);

  • la mancanza di prova dell’evocazione mafiosa, poiché l’indagato avrebbe parlato sempre al singolare;

  • la possibilità di applicare misure meno afflittive, come il braccialetto elettronico.


La decisione della Corte

La Cassazione ha rigettato il ricorso per manifesta infondatezza, sottolineando che:

  • in fase cautelare, il sindacato della Corte è limitato alla sola legittimità della motivazione, senza possibilità di rivalutazione del merito probatorio;

  • il Tribunale del Riesame ha motivato in modo logico circa la compatibilità tra la descrizione e l’identificazione dell’indagato, ritenendo irrilevanti le difformità somatiche denunciate;

  • l’aggravante del metodo mafioso può derivare anche da espressioni non esplicitamente minacciose, quando:

  • “in territori ad alta densità mafiosa, l’implicito richiamo al potere criminale è sufficiente per incutere timore e rafforzare l’efficacia intimidatoria” (Cass. Pen., Sez. II, n. 34786/2023, Gabriele).

In particolare, la frase “’o sapete che se venite a faticare nella casa mia, vi dovete mettere d’accordo” è stata letta come chiaro riferimento a un controllo territoriale mafioso, tanto da determinare nella vittima la percezione di una minaccia proveniente da un contesto criminale organizzato.

Quanto alla misura cautelare, la Corte ha ritenuto non superata la doppia presunzione prevista per i delitti aggravati ex art. 416-bis.1 c.p., e ha respinto l’istanza difensiva di applicazione di misure meno afflittive.


Il principio di diritto

In tema di aggravante del metodo mafioso, è sufficiente il ricorso a modalità anche implicite, purché idonee a evocare, in territori ad alta presenza mafiosa, il potere criminale della consorteria. L'effetto intimidatorio può derivare anche da frasi ambigue, se idonee a generare nella vittima il timore di una reazione da parte dell’organizzazione. Il controllo del giudice di legittimità, in sede cautelare, è circoscritto alla coerenza logico-formale della motivazione.

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