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Le dichiarazioni di collaboratori di giustizia, anche se de relato, possono costituire prova sufficiente se trovano riscontri reciproci e individualizzanti (Cass. Pen. n. 10303/2025)

associazione mafiosa

Con la sentenza n. 10303/2025, la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di D.V., confermando la condanna per omicidio di stampo mafioso e detenzione illecita di armi, emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta.

La decisione ha affermato il seguente principio di diritto: le dichiarazioni di collaboratori di giustizia, anche se de relato, possono costituire prova sufficiente se trovano riscontri reciproci e individualizzanti.


Il caso: condanna per omicidio su mandato di Cosa Nostra

D.V., esponente di vertice della famiglia mafiosa di Campofranco, era stato condannato per l’omicidio di G.F., avvenuto a Montedoro il 13 giugno 1998.

Secondo la ricostruzione dei giudici di merito:

  • D.V., responsabile provinciale di Cosa Nostra nissena, aveva decretato la morte di G.F. per vendetta e per eliminare un avversario nella guerra intestina tra i gruppi mafiosi legati a Provenzano e quelli fedeli a Riina.

  • Il delitto era stato commissionato a un gruppo di sicari, tra cui M.C., collaboratore di giustizia e principale testimone d’accusa.

La Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta aveva confermato la condanna in secondo grado, basandosi sulle dichiarazioni convergenti di più collaboratori di giustizia, tra cui M.C., C.V. e M.D.G., che avevano riferito di aver saputo del coinvolgimento di D.V. da fonti dirette interne a Cosa Nostra.


Le contestazioni della difesa e il ricorso per Cassazione

D.V., tramite i suoi difensori, ha proposto ricorso per Cassazione, contestando:

  • La credibilità dei collaboratori di giustizia

La difesa sosteneva che M.C. fosse inattendibile, perché alcuni dei coindagati da lui indicati erano stati prosciolti.

Inoltre, C.V. e M.D.G. avevano solo riportato informazioni ricevute da terzi, senza conoscenza diretta.

  • La mancanza di un movente plausibile

Secondo la difesa, G.F. non rappresentava una minaccia diretta per D.V., né era una figura di rilievo nello scontro tra clan.

  • L’assenza di riscontri oggettivi alle dichiarazioni accusatorie

La difesa lamentava la mancanza di prove materiali, come armi o intercettazioni, a conferma delle dichiarazioni dei collaboratori.

  • L’errata attribuzione a D.V. della detenzione delle armi usate per l’omicidio

Secondo la difesa, non vi era prova che D.V. avesse fornito le armi ai sicari, essendo le dichiarazioni di M.C. l’unico elemento a supporto.


La decisione della Cassazione: le dichiarazioni dei pentiti sono prova sufficiente

La Suprema Corte ha respinto tutte le censure della difesa, dichiarando inammissibile il ricorso e condannando D.V. al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro.


Principi di diritto affermati

  1. Le dichiarazioni de relato dei collaboratori di giustizia possono essere prova sufficiente se supportate da riscontri reciproci

La Corte ha ribadito che, nei processi per mafia, le dichiarazioni di più collaboratori possono confermarsi a vicenda, costituendo un valido elemento di prova (Cass. Sez. U, n. 20804/2012, Aquilina).

Le testimonianze di M.C., C.V. e M.D.G. erano convergenti e indipendenti tra loro, rendendo credibile il quadro accusatorio.

  1. La credibilità del collaboratore non è inficiata dal proscioglimento di alcuni coindagati

L’assoluzione di altri soggetti non annulla la validità delle accuse rivolte all’imputato principale, soprattutto se esistono altri riscontri indipendenti.

Le dichiarazioni di M.C. erano corroborate da altre fonti, tra cui i collaboratori A.F. e I.G..

  1. L’assenza di un movente immediato non esclude la responsabilità penale

Il delitto era inserito in un contesto di faida interna a Cosa Nostra e non era necessaria una minaccia diretta per giustificare l’omicidio.

Le dichiarazioni dei collaboratori dimostravano che G.F. era visto come un potenziale pericolo per D.V..

  1. La disponibilità delle armi da parte di D.V. era provata dalle dichiarazioni convergenti dei pentiti

Il fatto che l’omicidio sia stato eseguito con armi da fuoco era coerente con il ruolo di mandante di D.V..


Conclusioni

Questa sentenza ha importanti implicazioni per i processi di mafia e per l’uso delle dichiarazioni dei pentiti:

  • Le chiamate in correità e de relato possono costituire prova sufficiente, purché supportate da riscontri reciproci.

  • L’assoluzione di altri coindagati non incide automaticamente sulla colpevolezza dell’imputato principale.

  • L’assenza di un movente immediato non è decisiva, se l’omicidio è inserito in un contesto mafioso più ampio.


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