La caratura criminale di un appartenente a un clan mafioso è sufficiente a integrare il reato di estorsione anche in assenza di minacce esplicite (Cass. Pen. n. 10004/2025)
- Avvocato Del Giudice

- 19 mar
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Con la sentenza n. 10004/2025, la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi di P.P., G.P. e S.T., rigettando quello di C.M.P., confermando così le condanne per associazione mafiosa, estorsione e traffico di stupefacenti.
La decisione ribadisce il seguente principio: la caratura criminale di un soggetto appartenente a un clan mafioso è sufficiente a integrare il reato di estorsione anche in assenza di minacce esplicite. L’adesione a un’organizzazione mafiosa non si basa solo su atti materiali, ma anche sull’intimidazione ambientale che condiziona le relazioni economiche.
Il caso: un clan mafioso e il controllo del territorio attraverso estorsioni e minacce implicite
Il processo riguarda il gruppo criminale di Mascalucia, articolazione della cosca Santapaola-Ercolano, operante nella provincia di Catania.
La Corte d’Appello di Catania aveva confermato le condanne per reati di mafia e attività illecite connesse, tra cui estorsioni ai danni di commercianti locali e traffico di droga.
Le prove si basavano su intercettazioni ambientali, dichiarazioni di collaboratori di giustizia e riscontri investigativi.
La difesa ha presentato ricorso sostenendo che le prove fossero insufficienti e che non vi fossero elementi concreti per configurare le estorsioni come tali.
La decisione della Cassazione
La Suprema Corte ha rigettato i ricorsi, stabilendo che:
1. La minaccia implicita basata sulla fama criminale è sufficiente per configurare l’estorsione
L’adesione a un clan mafioso conferisce ai suoi membri un “potere intimidatorio” che condiziona le vittime, anche in assenza di minacce esplicite.
Nel caso in esame, un commerciante ha accettato una fornitura di beni (uova) non perché costretto con minacce dirette, ma perché consapevole della caratura criminale dei soggetti coinvolti.
L’estorsione si configura anche quando la vittima percepisce che opporsi all’accordo potrebbe comportare ritorsioni, senza che queste vengano esplicitate.
2. La partecipazione al clan mafioso non richiede atti violenti diretti
Le conversazioni intercettate tra i membri del clan dimostrano un controllo gerarchico e operativo del territorio.
Il vertice dell’organizzazione manteneva il controllo delle attività criminali anche dal carcere, attraverso i colloqui con i familiari.
Le sentenze di merito hanno correttamente individuato il ruolo di comando dei principali imputati, che coordinavano le estorsioni e le attività illecite.
3. Il ricorso è inammissibile perché le censure sollevate sono già state valutate nei gradi di merito
La Cassazione ha ritenuto che i ricorsi fossero in gran parte ripetitivi rispetto alle argomentazioni già esaminate e respinte dai giudici di primo e secondo grado.
Le prove a carico degli imputati erano solide e corroborate da dichiarazioni di collaboratori di giustizia attendibili.
Non vi sono elementi nuovi che possano giustificare una revisione delle condanne.
Conclusioni
La sentenza ha affermato i seguenti principi in tema di reati di mafia ed estorsione:
L’estorsione può configurarsi anche senza minacce esplicite, se la vittima è consapevole della caratura criminale dell’estorsore.
Il potere di intimidazione delle organizzazioni mafiose si esercita non solo con la violenza diretta, ma anche con il controllo sociale e psicologico delle vittime.
La partecipazione a un clan mafioso non si limita agli atti materiali, ma si manifesta anche attraverso il mantenimento dell’ordine gerarchico, la gestione delle risorse illecite e il coordinamento delle attività criminali, anche dall’interno del carcere.




