Il contrasto tra sentenze non basta per ottenere la revisione: serve un’inconciliabilità oggettiva e non solo una valutazione difforme dei fatti (Cass. Pen. n. 10003/2025)
- Avvocato Del Giudice
- 19 mar
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Con la sentenza n. 10003/2025, la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di M.B., confermando il rifiuto della Corte d’Appello di Trento di ammettere la revisione della condanna a 25 anni di reclusione per omicidio e furto.
La decisione ribadisce il seguente principio: la revisione del giudicato per contrasto tra sentenze è ammessa solo se vi è una inconciliabilità oggettiva dei fatti accertati, e non un semplice contrasto interpretativo tra le decisioni di giudici diversi.
Il caso: un omicidio con due condanne diverse e la richiesta di revisione
M.B. era stata condannata in via definitiva per l’omicidio di L.T.P., avvenuto a Venezia, e per il furto di una collana appartenente alla vittima.
La sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Venezia del 2016 aveva confermato la colpevolezza di M.B., ritenendola unica responsabile del delitto.
Successivamente, nel 2019, la coimputata S.L. è stata condannata con rito abbreviato per lo stesso omicidio, ma in concorso con M.B., sostenendo in aula di essere l’unica responsabile.
M.B. ha chiesto la revisione della condanna sostenendo che vi fosse un’inconciliabilità tra le due sentenze: una la riteneva unica colpevole, mentre l’altra attribuiva il reato alla coimputata.
La Corte d’Appello di Trento ha respinto l’istanza, ritenendo che non vi fosse una vera inconciliabilità tra le due sentenze.
La decisione della Cassazione
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che:
1. La revisione per contrasto tra giudicati è ammessa solo in caso di inconciliabilità oggettiva dei fatti accertati
Il semplice fatto che due sentenze abbiano attribuito lo stesso reato a soggetti diversi non è sufficiente per giustificare una revisione del giudicato.
È necessario che i fatti accertati siano oggettivamente incompatibili, non semplicemente valutati in modo diverso dai giudici.
Nel caso di specie, la sentenza del 2019 non ha escluso il concorso di M.B. nell’omicidio, ma ha solo dato una diversa lettura del suo ruolo nel delitto.
2. Le dichiarazioni tardive della coimputata non costituiscono prova nuova sufficiente
Le affermazioni di S.L., che ha confessato di aver agito da sola, non bastano a giustificare la revisione, poiché il quadro probatorio complessivo conferma il coinvolgimento di M.B.
La Corte ha ribadito che le ritrattazioni postume non sono automaticamente considerate prove nuove rilevanti per una revisione del giudicato.
3. La differenza tra le sentenze deriva da una diversa valutazione delle prove, non da un errore oggettivo
La Cassazione ha precisato che il contrasto tra le due sentenze è legato a una diversa interpretazione delle prove e non a un’incompatibilità oggettiva dei fatti.
Le prove contro M.B., come il ritrovamento della collana della vittima nel suo appartamento e le intercettazioni telefoniche, sono rimaste invariate e coerenti con la sua responsabilità.
La decisione della Cassazione
Questa sentenza ha importanti implicazioni per la giurisprudenza sulla revisione dei processi penali:
Non basta che due sentenze giungano a conclusioni diverse per ottenere la revisione: serve una contraddizione oggettiva e insanabile tra i fatti accertati.
Le dichiarazioni postume di coimputati, se non accompagnate da prove nuove concrete, non sono sufficienti per rimettere in discussione una condanna definitiva.
Il principio della stabilità del giudicato viene ribadito: la revisione è un rimedio eccezionale, non un mezzo per rimettere in discussione la valutazione delle prove già esaminate.
Nei casi di reati commessi in concorso, il fatto che una sentenza attribuisca un ruolo maggiore a un coimputato non implica automaticamente l’estraneità degli altri soggetti coinvolti.