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Coltivazione di cannabis: quando è punita e quando si configura l'ipotesi di lieve entità


Coltivazione di cannabis

Nel nostro paese, coltivare cannabis è considerato un reato.

La cannabis è una pianta che contiene sostanze psicoattive, come il THC (tetraidrocannabinolo), che ne rendono illegale la coltivazione ai sensi dell'art. 73 del Testo Unico sugli stupefacenti (DPR 309/1990).

Il reato di coltivazione di cannabis è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 5.164 a 77.468 (pena ordinaria).

Nel caso in cui, invece, si tratti di una coltivazione di "lieve entità", la pena prevista è la reclusione da sei mesi a quattro anni e la multa da euro 1.032 a euro 10.329.

Vediamo, nel dettaglio, quando si configura il reato di coltivazione di cannabis, quando non è punibile e quando ricorre l'ipotesi di lieve entità della coltivazione.

 

Indice:

 

1. Quando si configura il reato di coltivazione di cannabis?

Secondo la Corte di Cassazione, il reato di coltivazione di cannabis è configurabile a prescindere dalla quantità di principio attivo estraibile dalla pianta nell'immediatezza.

In altri termini, si configura il reato di coltivazione se la pianta corrisponde al tipo botanico previsto (canapa) e se sussistono le condizioni affinché la pianta giunga a maturazione e produca quindi sostanza stupefacente. (cfr., Cassazione penale sez. VI -12/01/2021, n. 5626).

Il reato di coltivazione viene definito un reato di pericolo astratto e ciò in quanto la coltivazione può dar vita ad un processo di produzione in grado di "autoalimentarsi" e di espandersi, potenzialmente all'infinito, mettendo a serio rischio sia la sicurezza pubblica che l'ordine pubblico.

Questa è la chiave di lettura della nota sentenza n. 190/16 della Corte Costituzionale, che con riferimento al'art. 75 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ha escluso tra le condotte punibili con sole sanzioni amministrative (laddove finalizzate in via esclusiva all'uso personale della sostanza stupefacente) la coltivazione di piante di cannabis.

Secondo la Corte Costituzionale, infatti, nella coltivazione manca quel nesso di immediatezza con l'uso personale che giustifica un minor rigore in relazione alle altre condotte prese in considerazione dall'art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990.

Nella medesima direzione anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che hanno affermato "costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale" (Cass., S.U. n. 28605 del 24/04/2008).

Ed ancora, la Suprema Corte ha sostenuto:

(a) come già evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale, non è individuabile un nesso di immediatezza tra la coltivazione e l'uso personale, ed è conseguentemente impossibile determinare ex ante le potenzialità della sostanza drogante ricavabile dalla coltivazione: la fattispecie si caratterizza, infatti, rispetto agli altri delitti in materia di sostanze stupefacenti, per una notevole anticipazione della tutela penale, in relazione ad un "pericolo del pericolo", ovvero al "pericolo, derivante dal possibile esito positivo della condotta, della messa in pericolo degli interessi tutelati dalla normativa in materia di stupefacenti", ed ha natura di reato di pericolo presunto, che fonda sulle "esigenze di tutela della salute collettiva", bene giuridico primario che "legittima sicuramente il legislatore ad anticiparne la protezione ad uno stadio precedente il pericolo concreto"; ad esso, si affiancano, peraltro, quali ulteriori beni giuridici tutelali, la sicurezza e l'ordine pubblico e la salvaguardia delle giovani generazioni;

(b) il fatto che, anche dopo l'intervento normativo del 2006, gli art. 73, comma 1-bis, e 75, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 non richiamino la condotta di "coltivazione", lascia ritenere che il legislatore abbia inteso "attribuire a tale condotta comunque e sempre una rilevanza penale, quali che siano le caratteristiche della coltivazione e quale che sia il quantitativo di principio attivo ricavabile dalle parti delle piante da stupefacenti", nel rispetto delle garanzie di riserva di legge e di tassatività, in virtù delle quali è rimessa al solo legislatore "la responsabilità delle scelte circa i limiti, gli strumenti, le forme di controllo da adottare": il problema-droga presenta infatti "il pericolo effettivo che la carica ideologica ad esso inerente, in senso vuoi libertario vuoi conservatore e repressivo, induca a risolverlo con schemi di ampliamento e dilatazione ovvero per contro repressivi";

(c) l'art. 75 d.P.R. n. 309 del 1990 assoggetta al regime previsto per le droghe destinate all'uso personale le sole condotte di importazione, acquisto o detenzione, con esclusione di tutte le altre condotte previste dall'art. 73 stesso d.P.R., ed il precedente art. 28 "prevede espressamente l'assoggettabilità alle sanzioni anche penali stabilite per la fabbricazione illecita di chiunque, senza essere autorizzato, "coltiva le piante indicate nell'art. 36"".

In forza di quanto sopra, risulta evidente che ai fini della punibilità della coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, l'offensività della condotta consiste nella sua idoneità a produrre la sostanza per il consumo, sicché non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente, cosicché l'offensività deve essere esclusa soltanto quando la sostanza ricavabile risulti priva della capacità ad esercitare, anche in misura minima, l'effetto psicotropo (così, Cassazione penale sez. III - 08/02/2019, n. 24635).

Tuttavia, la Suprema Corte, con la sentenza n. 5626/21 (clicca sul link in basso per scaricare il testo integrale della sentenza), ha affermato che il reato di coltivazione di stupefacenti non risulta integrato allorquando la coltivazione non presenti significativi indici di inserimento nel mercato illegale.

Militano in questo senso lo scarso numero di piante e l'utilizzo di tecniche rudimentali di coltivazione, circostanze dalle quali può desumersi il ricavo di un modesto quantitativo di prodotto (Cassazione penale sez. VI, 12/01/2021, (ud. 12/01/2021, dep. 12/02/2021), n.5626).

Pertanto, se il numero di piante non supera il numero di cinque (sul punto vai qui) e non vengono utilizzati strumenti e tecniche professionali di coltivazione, non risulterà sussistente il reato previsto dall'art. 73 DPR 309/90.

Più nel dettaglio, la Suprema Corte ha affermato che per potere ritenere penalmente irrilevante la coltivazione di piante di cannabis, questa deve essere caratterizzata da una produttività prevedibile come modestissima.

In altri termini, la coltivazione deve essere:

  • di minima dimensione (numero di piante non superiore a 5);

  • svolta in forma domestica (e quindi mediante l'utilizzo di tecniche rudimentali) e non in forma industriale;

  • all'uso personale esclusivo del coltivatore (Cassazione penale sez. VI, 09/02/2023, n.11901)

2. Quando la coltivazione può essere definita di lieve entità?

La coltivazione di cannabis può essere considerata di lieve entità e rientrare nella fattispecie prevista dall' art. 73, comma 5 del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309.

In questo caso, come si è detto sopra, il reato sarà punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329.

Secondo la giurisprudenza, il riconoscimento della lieve entità della coltivazione non può basarsi unicamente sulla valutazione del dato quantitativo e qualitativo (numero di piante e principio attivo) ma deve avvenire all'esito di un complesso esame di tutte le circostanze dell'azione.

Per espressa previsione normativa, il giudice deve tener conto dei mezzi, delle modalità e delle circostanze dell'azione, verificando quale componente può assumere valore negativo assorbente rispetto ad un'altra.

In altri termini, non ci si può limitare ad un mero conteggio del numero di piante sequestrate ed infatti anche la coltivazione di quantitativi non minimali potrà essere ritenuta non ostativa alla qualificazione di lieve entità del fatto ai sensi dell'art. 73, comma 5.

Il riconoscimento dell'ipotesi di lieve entità, pertanto, è il risultato di una valutazione complessiva di tutte le circostanze del caso concreto.

Semplificando, possiamo affermare che la coltivazione di cannabis può essere ritenuta di lieve entità se ricorrono le seguenti condizioni:

  1. Minima dimensione: il numero di piante non è molto lontano dalla soglia di cinque piante;

  2. Uso personale: il coltivatore può dimostrare che la cannabis è stata coltivata solo per uso personale e non a fini di commercializzazione o traffico;

  3. Condizioni personali: l'assenza di precedenti penali (ed in particolare, la partecipazione ad associazioni o a gruppi criminali organizzati o la presenza di armi), la partecipazione attiva a programmi di recupero.


3. La normativa di riferimento in tema di coltivazione di cannabis (art. 73 DPR 309/90)

Le norme di riferimento per la coltivazione di cannabis sono i commi 4 e 5 dell'art. 73 DPR 309/90 (clicca sulla freccia a sinistra per estendere)

Comma 1

1. Chiunque, senza l'autorizzazione di cui all' articolo 17 , coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall' articolo 14 , è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000.

Comma 1 bis

Comma 2

Comma 3

Comma 4

Comma 5

Comma 5 bis

Comma 5 ter

Comma 6

Comma 7

Comma 7 bis

Reato di coltivazione di cannabis non lieve (comma 4)

Competenza per materia: per il reato di coltivazione di cannabis non lieve la competenza appartiene al tribunale in composizione monocratica.

Arresto: per il reato di coltivazione di cannabis non lieve l'arresto è obbligatorio ai sensi dell'art. 380 co.2 lett. h) c.p.p. (facoltativo in caso di minorenni).

Fermo: per il reato di coltivazione di cannabis non lieve il fermo non è consentito ai sensi dell'art. 384 c.p.p. (anche in caso di minorenni).

Prescrizione: il reato di coltivazione di cannabis non lieve si prescrive in 6 anni.


Reato di coltivazione di cannabis lieve (comma 5)

Competenza per materia: per il reato di coltivazione di cannabis lieve la competenza appartiene al tribunale in composizione monocratica.

Arresto: per il reato di coltivazione di cannabis lieve l'arresto è facoltativo ai sensi dell'art. 380 co.2 lett. h) c.p.p.

Fermo: per il reato di coltivazione di cannabis lieve il fermo non è consentito ai sensi dell'art. 384 c.p.p.

Prescrizione: il reato di coltivazione di cannabis lieve si prescrive in 6 anni.


Scarica la sentenza

Cassazione penale sez. VI, 12_01_2021, (ud. 12_01_2021, dep. 12_02_2021), n.5626
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