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Salute, dignità e misure cautelari: quando la fisioterapia “mancata” rende incompatibile il carcere (Cass. Pen. n. 29635/25)

Salute, dignità e misure cautelari: quando la fisioterapia “mancata” rende incompatibile il carcere (Cass. Pen. n. 29635/25)

Indice:


1. Premessa

La sentenza della Corte di cassazione, sezione feriale, n. 29635 del 19 agosto 2025 (dep. 22 agosto 2025), affronta nuovamente il delicato tema dell’incompatibilità tra stato di salute del detenuto e regime detentivo inframurario ex art. 275, comma 4-bis, c.p.p.

Il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte riguardava un imputato affetto da gravissime patologie croniche e irreversibili (paraplegia flaccida, esiti di ferite da arma da fuoco, vasculopatia cerebrale, crisi epilettiche, stato ansioso-depressivo), ristretto in carcere al regime speciale ex art. 41-bis ord. pen.

La decisione assume rilievo particolare perché ribadisce con forza che la valutazione di compatibilità non può ridursi a un giudizio astratto o potenziale, ma deve poggiare su una verifica concreta della effettiva erogazione delle cure necessarie, in questo caso la fisioterapia bisettimanale prescritta dal piano terapeutico individualizzato (PTI).


2. La vicenda processuale

La difesa dell’imputato aveva chiesto la sostituzione della misura carceraria con i domiciliari per incompatibilità con lo stato detentivo, in ragione della gravità del quadro clinico.

Dopo un primo rigetto da parte del GIP e del Tribunale di Catanzaro, la Cassazione (sent. n. 1671/2024) aveva annullato con rinvio, imponendo al giudice territoriale di valutare in concreto la praticabilità delle cure necessarie all’interno del carcere.

In sede di rinvio, il Tribunale del riesame respingeva nuovamente l’istanza, richiamando le esigenze cautelari “di eccezionale rilevanza” connesse alle imputazioni per associazione mafiosa e reati in materia di armi, e affermando la compatibilità del regime detentivo con le patologie, sulla base di una perizia medico-legale.

Tuttavia, tale compatibilità era stata espressamente condizionata alla regolare somministrazione delle sedute fisioterapiche, che nei fatti risultavano rarefatte e poi interrotte da febbraio 2025.

La Cassazione ha accolto i ricorsi difensivi, annullando l’ordinanza e rinviando nuovamente al Tribunale di Catanzaro.


3. Il quadro normativo di riferimento

3.1. Art. 275, comma 4-bis, c.p.p.

La norma vieta l’applicazione della custodia in carcere “quando le condizioni di salute del soggetto sono tali da non consentire adeguate cure in stato di detenzione”.

La giurisprudenza ne ha da tempo sottolineato il carattere sostanziale, escludendo che sia sufficiente la mera possibilità teorica di somministrazione delle cure.

È richiesta una valutazione effettuale, che tenga conto della concreta organizzazione del sistema sanitario penitenziario.


3.2. Art. 275, comma 4-quinquies, c.p.p.

La disposizione, introdotta con finalità di bilanciamento, precisa che la gravità delle esigenze cautelari non può mai comportare la compressione del diritto alla salute e della dignità del detenuto.

Si tratta di un punto qualificante: il legislatore ha inteso sottrarre il diritto fondamentale alla salute a ogni logica di “compensazione” con le esigenze di prevenzione speciale.


3.3. Art. 32 Cost. e art. 3 CEDU

La salute è diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività (art. 32 Cost.); la giurisprudenza della Corte EDU ha più volte ribadito che la detenzione in condizioni incompatibili con la dignità umana costituisce violazione dell’art. 3 CEDU (si pensi a Mamedova c. Russia, 2006; Scoppola c. Italia, 2009; Contrada c. Italia (n. 2), 2014).

La Corte di Strasburgo, inoltre, sottolinea che il detenuto deve ricevere cure equivalenti a quelle disponibili per i cittadini liberi.


4. I principi affermati dalla Cassazione

4.1. Compatibilità “condizionata” e piano terapeutico

La Suprema Corte ha evidenziato che la compatibilità del regime carcerario con le condizioni del detenuto era stata ancorata dallo stesso perito alla condizione che le sedute di fisioterapia fossero regolarmente eseguite.

L’interruzione delle cure fa venir meno il presupposto stesso della compatibilità. Non è dunque sufficiente la predisposizione formale di un PTI: occorre verificarne l’attuazione.


4.2. Dignità della persona e soglia minima esistenziale

Il Collegio ha ribadito che l’incompatibilità non riguarda soltanto le patologie a rischio “quoad vitam”, ma anche quelle che determinano un’esistenza al di sotto della soglia di dignità, concetto che richiama la nozione convenzionale di “minimum level of severity” elaborata dalla Corte EDU.


4.3. Diritto di difesa e partecipazione al processo

La decisione stigmatizza la motivazione del Tribunale, che aveva addotto la partecipazione dell’imputato alle udienze come ragione della rarefazione delle sedute.

La Corte ricorda che il diritto di presenziare al proprio processo è costituzionalmente garantito (artt. 24 e 111 Cost.) e non può essere posto in antitesi con il diritto alla salute: spetta all’amministrazione modulare i trattamenti terapeutici sulla base del calendario processuale, non viceversa.


4.4. Esigenze cautelari e loro effettiva rilevanza

La Cassazione ha chiarito che le esigenze cautelari “di eccezionale rilevanza” non possono desumersi esclusivamente dalla gravità astratta delle imputazioni.

È necessaria una valutazione concreta e attuale, non ancorata a condotte remote o a formule stereotipate.


4.5. Obbligo del giudice del rinvio

Infine, la Corte ha ribadito che il giudice del rinvio è vincolato dall’art. 627, comma 3, c.p.p. al principio di diritto enunciato dalla sentenza rescindente.

Ignorare tale vincolo, come accaduto nel caso di specie, equivale a violare la legge processuale.


5. Osservazioni critiche

5.1. Il ruolo “sostanziale” del piano terapeutico

La sentenza valorizza il PTI non solo come documento sanitario, ma come parametro giuridico di verifica della compatibilità con la detenzione.

È un passaggio centrale: se il piano non è attuato, la custodia diventa incompatibile, indipendentemente da giudizi medici astratti.


5.2. La soglia della dignità come criterio interpretativo

La Corte ribadisce una nozione sostanziale di incompatibilità: non serve il rischio immediato di morte, ma basta l’impossibilità di condurre una vita dignitosa. Questo concetto, in linea con la giurisprudenza convenzionale, segna un avvicinamento tra diritto interno e diritto europeo.


5.3. La tensione tra esigenze cautelari e diritti fondamentali

La decisione conferma che le esigenze cautelari, pur rilevanti, non possono mai giustificare un trattamento disumano o degradante.

È un limite invalicabile che preserva l’umanità del processo penale, anche in presenza di imputazioni gravi come quelle di mafia o armi da guerra.


6. Conclusioni

Secondo la sentenza in commento, la valutazione di compatibilità tra salute e carcere deve essere empirica, non ipotetica.

Non basta disporre cure sulla carta: esse devono essere realmente garantite. La decisione richiama i giudici del merito a un onere motivazionale rigoroso e riafferma il primato della dignità umana come limite insuperabile alla custodia cautelare.

Si tratta di una pronuncia che contribuisce a precisare i rapporti tra esigenze cautelari, diritto alla salute e principi convenzionali, segnando un ulteriore passo verso una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell’art. 275, comma 4-bis, c.p.p.


7. La sentenza integrale

Cassazione penale sez. fer., 19/08/2025, (ud. 19/08/2025, dep. 22/08/2025), n.29635

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 9 giugno 2023, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro rigettava l'istanza proposta nell'interesse dell'indagato Pi.Pa., con la quale era stata chiesta la sostituzione della misura cautelare in carcere, ancora oggi in corso di esecuzione presso la Casa Circondariale di M, con quella degli arresti domiciliari, per incompatibilità con il regime carcerario applicato a cagione delle condizioni patologiche del detenuto e delle necessità terapeutiche.


1.1. Avverso tale ordinanza, la difesa proponeva un primo appello (ex art. 310 cod. proc. pen.), che era respinto dal Tribunale di Catanzaro (in funzione di riesame e di appello cautelare avverso i provvedimenti de libertate) con ordinanza in data 10 settembre 2024, per ritenuta insussistenza dei presupposti di cui all'art. 275, comma 4 bis, cod. proc. pen.


1.2. Tale ordinanza era impugnata dai difensori del Pi.Pa., con ricorso per cassazione.


1.3. Con sentenza n. 1671, del 18 dicembre 2024, la sesta Sezione di questa Corte annullava l'ordinanza impugnata, rinviando al Tribunale per il riesame di Catanzaro per nuova valutazione delle concrete condizioni di compatibilità carceraria denunziate con il ricorso.


1.4. Il Tribunale per il riesame di Catanzaro, onerato del rinvio, disposta nuova perizia (medico traumatologo ortopedico) ed acquisita la relazione sanitaria del 4 aprile 2025, con l'ordinanza qui impugnata, respingeva nuovamente il proposto appello, ritenendo che, rispetto alle patologie croniche sofferte (paraplegia flaccida sensitivo motoria degli arti inferiori, con vescica neurologica e disturbi sfinterici in esito a lesioni da arma da fuoco -databili ad un trentennio- interessanti i metameri dorsali D7 e D8, esiti algodisfunzionali dell'arto superiore sinistro da ferita d'arma da fuoco, vasculopatia cerebrale con crisi epilettiche conseguenti ad ictus parietale e stato ansioso depressivo), il trattamento terapeutico (fisioterapico) praticato al detenuto all'interno dell'istituto di M si rendesse in concreto compatibile il regime carcerario (art. 41 bis ord. pen.), in quanto teso anche ad evitare il possibile aggravamento delle condizioni patologiche cronicizzate.


Il Tribunale stimava altresì ricorrenti esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, sia per le imputazioni elevate in cautela (capo 1, art. 416 bis, comma secondo, cod. pen., in quanto referente della 'ndrina di (Omissis); capi 66 e 67, arrt. 10, 12 e 14 legge 497/74, introduzione nello Stato, detenzione e porto di armi da guerra, fatti aggravati dalle finalità di agevolazione mafiosa), che per la anteatta condotta dell'imputato, che da detenuto domiciliare (regime applicato all'epoca proprio in ragione della ravvisata incompatibilità con il regime carcerario) manteneva (negli anni dal 2003 al 2017) il ruolo apicale ricoperto all'interno della 'ndrina e commetteva, poi, anche i gravi delitti oggi contestati.


2. Avverso tale ordinanza sono stati presentati due distinti ricorsi.


2.1. Con il ricorso a firma dell'avvocato Giovanni Sisto Vecchio, è stata dedotta un'unica, complessa, ragione di annullamento: per inosservanza della norma processuale e deficit motivazionale, in relazione al disposto dell'art. 275, comma 4-bis, cod. proc. pen., in ordine alla ritenuta compatibilità delle condizioni di salute dell'imputato con il particolare regime detentivo imposto, oltre che omessa valutazione della memoria difensiva prodotta in udienza camerale di appello (art. 310 cod. proc. pen.) ed allegata consulenza tecnica. Rileva il difensore che il Tribunale ha omesso ogni valutazione della memoria (con allegazione tecnico sanitaria) prodotta dalla difesa, ove si faceva rilevare la sostanziale inadeguatezza dei presidi riabilitativi disponibili presso la Casa di M, oltre alla mancata attuazione dello stesso piano terapeutico individuale (una sola seduta fisioterapica svolta nel corso dell'anno 2025, a fronte di quelle previste nel piano terapeutico individualizzato stilato nell'aprile 2024).


2.2. Con il ricorso a firma dell'avvocato Cianferoni, seguito da motivi aggiunti del 4 agosto e numerose allegazioni dell'8 seguente, si articolano due motivi annullamento:


2.2.1. Il primo per violazione di legge e difetto di motivazione, in relazione agli artt. 275, comma 4-bis, cod. proc. pen., 27, comma terzo, 32 e 117 della Costituzione repubblicana, anche in riferimento all'art. 3 CEDU, in quanto i trattamenti sanitari garantiti dalla struttura carcerarie di M non sono idonei a tutelare la salute e le esigenze riabilitative del ricorrente, che necessita di trattamenti di fisioterapia intensiva e continuativa e di idrokinesiterapia, non praticabili presso alcuna struttura del DAP. La gravità del quadro clinico era stata inoltre già riconosciuta nell'ambito di altri due procedimenti in cui il ricorrente è stato ammesso agli arresti domiciliari (anche ad onta della presunzione prevista dal comma 3 dell'art. 275 cod. proc. pen.) e alla detenzione domiciliare in espiazione della sanzione.


2.2.2. L'ordinanza impugnata, inoltre, non si è affatto conformata al principio di diritto espresso dalla Corte rescindente, che imponeva la valutazione in concreto della praticabilità di cure idonee in regime detentivo carcerario, così incorrendo nella violazione di quanto dispone il comma 3 dell'art. 627 cod. proc. pen.;


2.2.3. Con i motivi nuovi trasmessi in data 4 agosto, la difesa insiste ancora nelle denunciate inosservanze delle norme processuali, nella violazione e falsa applicazione di quelle sostanziali poste a tutela del diritto alla salute dell'imputato detenuto e della dignità della persona; nella contraddittorietà estrinseca della motivazione, con quanto riportato nella relazione sanitaria del 4 aprile 2025, atteso che non si era data concreta attuazione al piano terapeutico individuale stilato dalla Direzione Sanitaria della stessa Casa circondariale. Nella prospettazione difensiva, gli argomenti svolti dal Tribunale, anche in riferimento alle ritenute esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, non tengono conto del fatto che l'incompatibilità con il regime carcerario non sussiste solo nel caso di patologia implicante un pericolo quoad vitam, ma anche in presenza di uno stato morboso che determini una esistenza al di sotto della soglia di dignità, che deve essere rispettata anche in condizioni di restrizione (vieppiù se cautelare). Anche la valutazione della compatibilità in concreto con la detenzione inframuraria è errata, perché non tiene conto delle necessità di interventi intensivi e continuativi di fisioterapia (di fatto non più praticati nell'anno 2025) e di idrokinesiterapia (non praticabile, neppure astrattamente, in alcun istituto del circuito DAP).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati.


1.1. Premesso che non è in discussione lo stato patologico cronicizzato del detenuto (v. sub 1.4. del ritenuto in fatto), così come le ravvisate necessità fisioterapiche (relazione sanitaria del 4 aprile 2025), essenziali per il mantenimento di una esistenza in vita dignitosa ad un soggetto già deprivato delle funzioni deambulatorie e di gran parte di quelle metaboliche (oltre alle conseguenze depressive e psicologiche), deve rilevarsi che l'ordinanza impugnata, emessa in sede di rinvio, non ha punto tenuto conto del perimetro valutativo assegnatole nella fase rescindente, così rendendosi inosservante di quanto disposto all'art. 627, comma 3, cod. proc. pen.


1.2. Ed invero, ciò che doveva esser verificato in concreto era se le condizioni di salute del detenuto fossero tali da non consentire adeguate cure (nella fattispecie la pratica della fisioterapia per due giorni alla settimana, come indicato nella relazione sanitaria del 4 aprile 2025) al detenuto. Naturalmente, trattandosi di patologie croniche - ad origine traumatica - irreversibili allo stato dell'arte neurochirurgica, non era in discussione il risultato (ambizioso, quanto vano) di curare la patologia, ma quello - assai più modestamente concreto- di assicurare al detenuto, attraverso la pratica effettiva delle sedute di fisioterapia, una dignitosa esistenza in vita, trattandosi peraltro di soggetto la cui autosufficienza appare ictu oculi ampiamente compromessa.


Né il Tribunale ha valutato, quanto specificamente devoluto, ossia le possibili ripercussioni del mantenimento del regime carcerario in termini di aggravamento del quadro clinico generale e fisiopatologico in particolare.


Il dato storico della rarefazione (gennaio 2025) e successiva interruzione (dal febbraio 2025) del trattamento fisioterapico, ritenuto indispensabile dalla stessa Direzione Sanitaria della Casa circondariale, neppure è discusso dalla motivazione del provvedimento impugnato, che risolve il quesito postole evidenziando, da un


lato, che alcune sedute furono differite giacché il detenuto preferì partecipare alle udienze del processo che si celebrava a suo carico (così esercitando un diritto previsto e garantito dalla Costituzione, artt. 24 e 111), dall'atro che sussistono, a carico dell'imputato esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, riconosciute sulla base delle imputazioni elevate e della condotta serbata dall'imputato nel corso della pregressa detenzione domiciliare.


Orbene, la facoltà dell'imputato di presenziare al processo che si celebra a suo carico è diritto non comprimibile assicurato dalla Costituzione, dovendo semmai le esigenze terapeutiche modularsi sui calendari di udienza. Ragionando diversamente, del resto, si rischia l'eterogenesi dei fini, in quanto le sedute terapeutiche costituirebbero altrettanti legittimi impedimenti a comparire. Quanto alle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, in disparte da quanto previsto (nell'ordinare i valori della salute e dignità della persona/prevenzione speciale) dal testo dell'art. 275, comma 4 quinquies, cod. proc. pen., queste non possono ricavarsi solo dalla gravità dei fatti descritti in imputazione (solo tra le più recenti, Sez. 1, n. 20045 del 21/03/2024, Rv. 286535 - 01), mentre le altre condotte di vita "cautelare" pure evidenziate dal Tribunale, per un verso appaiono datate a quasi due lustri, mentre per altro verso sono riferibili ad un processo che ha visto poi l'imputato (di fatti molto datati) irrevocabilmente prosciolto perché il fatto non sussiste.


1.3. Del resto, la stretta adesione alla risposta offerta dal perito al quesito posto dal Tribunale imponeva pure alla giurisdizione dell'incidente cautelare di tener conto della condizione posta dallo stesso perito (e dalla Direzione Sanitaria) alla stimata compatibilità con il regime carcerario, cioè alla effettiva pratica delle sedute di fisioterapia, che viceversa non risultano mai più effettuate dopo il gennaio 2025.


2. Pertanto il Tribunale onerato del rinvio dovrà scrupolosamente verificare se il piano terapeutico individuale, stilato dalla Direzione Sanitaria della Casa Circondariale di detenzione, sia in effettivo corso di esecuzione e quali i motivi della eventuale sua inosservanza, tenendo altresì conto dei riverberi di tale non ottemperanza fisioterapica sulle condizioni di salute del detenuto e sulla sua dignità personale.


2.1. Degli altri argomenti di doglianza non può tenersi conto in questa sede, giacché nuovi rispetto a quanto devoluto al Tribunale dell'incidente cautelare.


3. Si impone, quindi, l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale per il riesame di Catanzaro, per nuovo giudizio sul punto.


4. Ai sensi dell'art. 94, comma 1 ter, disp. att., cod. proc. pen. la presente sentenza va comunicata al ricorrente detenuto a cura del direttore dell'istituto penitenziario di detenzione.


P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell'art. 310, comma 2, cod. proc. pen.


Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.


Così deciso il 19 agosto 2025.


Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2025.











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