In tema di sequestro a fini impeditivi, il Tribunale deve motivare in concreto sul periculum in mora anche se l’amministrazione è in capo a un custode (Cass. pen. n. 20393/25)
- Avvocato Del Giudice
- 5 giu
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1. Premessa
La pronuncia in esame affronta il delicato equilibrio tra esigenze cautelari e tutela dei diritti dei terzi nel contesto di un sequestro preventivo a fini impeditivi disposto sui beni aziendali formalmente appartenenti a un soggetto estraneo al reato, ma ritenuto inserito in un circuito di operazioni sospette. Il caso si inserisce nel quadro dei sequestri relativi a operazioni aziendali opache, sospettate di essere funzionali a reati di bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio.
2. I fatti
La società S.s. Spa, nella persona del suo legale rappresentante pro-tempore Gi.Sa., proponeva appello contro il rigetto dell’istanza di dissequestro di quattro rami d’azienda concessi in gestione alla Q. Srl, società ritenuta diretta emanazione dei soci della fallita Al.Ca. Srl. Il vincolo reale, emesso per impedire la prosecuzione delle attività illecite, era stato esteso anche alla S.s., benché non formalmente destinataria delle contestazioni di autoriciclaggio, ma solo in relazione a un'ipotesi di riciclaggio ex art. 648-bis c.p.
La ricorrente ha dedotto l’assoluta carenza di motivazione del primo giudice e l’inadeguatezza dell’ordinanza del Tribunale di Agrigento, che aveva respinto l’impugnazione pur riconoscendo l’inidoneità del richiamo all’art. 104-bis disp. att. c.p.p. e sostituendosi nella motivazione al G.i.p., fornendo però una risposta ritenuta generica ed apodittica su alcuni punti centrali, tra cui il periculum in mora.
3. La decisione della Corte di Cassazione
La Corte, nel confermare l’impianto del provvedimento impugnato quanto al fumus delicti, ha tuttavia accolto il motivo relativo alla carente motivazione in ordine al periculum in mora, annullando parzialmente l’ordinanza e rinviando al Tribunale di Agrigento per nuovo esame sul punto.
In particolare, la Cassazione ha ritenuto che:
l’appello cautelare attribuisce al giudice piena cognizione, con potere di colmare lacune motivazionali dell’ordinanza impugnata (v. Sez. U, n. 3287/2008, R.);
la legittimazione del terzo formale proprietario, quando coinvolto nelle operazioni oggetto di sospetto, è estesa anche alla contestazione del fumus e del periculum, nei limiti dell’interesse giuridico tutelato;
nel caso di specie, l’affermazione del Tribunale secondo cui il dissequestro “non farebbe che consegnare nuovamente i beni alla Q.” è insufficiente, in quanto non affronta l’argomento difensivo secondo cui la nomina del custode avrebbe già neutralizzato il rischio di nuova disponibilità da parte degli indagati.
4. Il principio di diritto
In tema di sequestro preventivo a fini impeditivi, qualora l’indagato abbia perduto ogni potere di fatto e di gestione sui beni sequestrati per effetto della nomina di un custode giudiziario, il Tribunale, investito di appello cautelare ex art. 322-bis c.p.p., è tenuto a motivare in concreto circa la sussistenza del periculum in mora, non potendo limitarsi a richiamare formule apodittiche o presunzioni generiche sulla riconducibilità dei beni agli indagati.
5. Conclusioni
La decisione si segnala per l’attenzione riservata alla corretta delimitazione del sindacato del giudice del gravame, nel contesto delle impugnazioni cautelari reali. È ben noto che il sequestro impeditivo impone una duplice verifica: da un lato il fumus commissi delicti, dall’altro la concreta pericolosità attuale della libera disponibilità del bene, in rapporto all’offesa giuridica da prevenire. Se questa è già neutralizzata da strumenti diversi (es. gestione del bene da parte del custode), il sequestro diventa sproporzionato e, quindi, illegittimo.
La Cassazione valorizza tale impostazione, pur senza entrare nel merito fattuale – non di sua competenza – ma richiamando il giudice del rinvio a dare conto, in modo motivato, della permanenza delle esigenze cautelari.
La motivazione del Tribunale – limitata all’asserita formale riconducibilità dei beni alla Q. tramite vincoli societari interni – è stata giudicata generica e insufficiente a giustificare il sacrificio dei diritti patrimoniali della società S.s..
La sentenza integrale
Cassazione penale sez. II, 22/05/2025, (ud. 22/05/2025, dep. 03/06/2025), n.20393
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 17 gennaio 2025 il Tribunale di Agrigento ha respinto l'impugnazione proposta dalla Sisa Sicilia Spa, in persona del legale rappresentante pro-tempore Gi.Sa., avverso l'ordinanza di rigetto di dissequestro emessa dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale in data 23 dicembre 2024 relativa a quattro rami di azienda di proprietà della predetta società ma condotti in gestione dalla società Quadrifoglio Srl
Il provvedimento cautelare de qua afferisce ad un procedimento penale iscritto nei confronti di Gi.Al., Ca.El., Gi.La. e Vi.Ci.per gli ipotizzati reati di cui agli artt. 81 cpv., 110, 648-fer.1 cod. pen. e che vede altresì indagata la società Quadrifoglio Srl in relazione all'illecito di cui all'art. 25-octies del D.Lgs. n. 231/2001 e Gi.Sa.(ex legale rappresentante della Sisa Sicilia Spa) per il reato di cui all'art. 648-bis cod. pen.
In particolare, si contesta alla Quadrifoglio Srl di avere ricevuto - in fase di avvio della propria attività ed al fine di occultarne la provenienza delittuosa dal reato di bancarotta fraudolenta impropria per distrazione - liquidità, l'avviamento, le strumentazioni e le merci in giacenza presso i punti vendita della fallita Al.Ca. Srl senza sostanziale corrispettivo economico e documentazione
fiscale.
A Gi.Sa., come detto, già legale rappresentante della Sisa Sicilia Spa, si contesta di avere acquisito i quattro rami di azienda dalla Al.Ca. Srl e di averli successivamente promessi in vendita alla Quadrifoglio Srl, società emanazione diretta dei soci della fallita che già li conduceva in affitto come da contratto oggetto di separata contestazione del reato di bancarotta fraudolenta, a condizioni economiche di favore e del tutto finanziariamente improprie, così compiendo atti volti da un lato ad occultare la provenienza illecita delle somme utilizzate ai fini dell'acquisto e, dall'altro, da consentire ai soci della fallita di rientrare nel pieno possesso legale dei beni indebitamente sottratti alla massa fallimentare.
2. Ricorre per cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore della Sisa Sicilia Spa, deducendo con quattro motivi:
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 325, comma 1, 125, comma 3, 321, comma 3, 322-bis, in relazione all'art. 310, comma 2, cod. proc. pen. nella misura in cui il Tribunale, preso atto della intrinseca e radicale apparenza della motivazione dell'ordinanza del 23 dicembre 2024, non ne ha dichiarato la nullità.
Rileva, al riguardo, la difesa della ricorrente che il G.i.p., nel respingere la richiesta di restituzione dei quattro rami di azienda sottoposti a sequestro, si è limitato a richiamare il contenuto dell'art. 104-bis disp. att. cod. proc. pen. e a descriverne i rapporti con l'espropriazione forzata civile, indicando che, a seguito della prevalenza dell'istituto penalistico sui diritti reali dei terzi, questi ultimi, se in buona fede, potranno vedere tutelate le loro ragioni ma solo in sede di procedimento di prevenzione o di esecuzione penale. Detto Giudice avrebbe tuttavia omesso qualsivoglia pronuncia circa la dedotta estraneità della società istante rispetto alle condotte di autoriciclaggio per le quali è stato emesso il provvedimento di sequestro e circa le ragioni giustificatrici di un sequestro impeditivo non necessario o funzionale a tutelare le esigenze cautelari, atteso che, nel caso in esame, tali esigenze erano già soddisfatte dal vincolo imposto sull'intero capitale sociale della Quadrifoglio Srl
Prosegue la difesa della ricorrente segnalando che nell'atto di appello aveva evidenziato come le considerazioni contenute nel provvedimento del G.i.p. erano totalmente disancorate dal petitum in quanto il gravame era finalizzato a richiedere una valutazione dell'esistenza dei presupposti del fumus nonché della adeguatezza e della proporzionalità del provvedimento di cui all'art. 321 cod. proc. pen.
Ciò premesso, parte ricorrente, rileva che, sebbene il Giudice dell'impugnazione abbia un generale potere di integrazione di un provvedimento che presenta una motivazione affetta da profili di insufficienza, incongruità o inesattezza, tale potere non può tuttavia estendersi a sanare una motivazione mancante o del tutto inadeguata a decidere il caso, come avvenuto nella situazione in esame nella quale il Tribunale ha esteso la propria cognizione su questioni neppure prese in considerazione dal G.i.p.
Ne conseguirebbe che, in presenza di considerazioni del primo Giudice totalmente disancorate dal petitum, avrebbe errato il Tribunale nel non dichiarare la nullità del provvedimento impugnato innanzi allo stesso limitandosi, per contro, a sottolineare l'erroneità del richiamo operato dal G.i.p. all'art. 104-bis disp. att. cod. proc. pen., per poi provvedere ad estendere d'ufficio la propria cognizione su questioni non esaminate dal Giudice a quo.
2.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 325, comma 1, e 321, commi 1 e 2, cod. proc. pen. laddove il Tribunale ha rigettato l'appello proposto perché asseritamente incentrato su un argomento precluso al terzo interessato, quale il fumus commissi delicti.
Osserva al riguardo la difesa della ricorrente che il Tribunale avrebbe fatto una non corretta applicazione dei principi di diritto in materia, avendo la Corte di legittimità chiarito che non può
escludersi che, ai fini della tutela del proprio interesse, il terzo interessato, oltre ad argomentare sulla sua estraneità e buona fede, possa anche sviluppare osservazioni sul profilo oggettivo del fumus del reato così come del periculum in mora, nella misura in cui esso appaia correlato alla dimostrazione della piena estraneità al reato e della buona fede.
Aggiunge sul punto parte ricorrente di essersi al riguardo limitata ad evidenziare la propria estraneità al reato e la propria buona fede nell'agire per effetto di un affidamento ingenerato da una situazione di apparenza che rendeva scusabile l'ignoranza in ordine al possibile uso illecito dei beni oggetto del sequestro.
Il Tribunale sarebbe, poi, caduto in una contraddizione logica affermando, da un lato, che l'appellante si era limitato a dedurre argomenti preclusi e, dall'altro, dandovi comunque risposta, sostenendo che le questioni poste a fondamento dell'istanza di dissequestro sono inidonee a provare la buona fede e l'estraneità ai fatti di reato della Sisa Sicilia Srl
2.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 325, comma 1, 321, commi 1 e 2, e 125, comma 3, cod. proc. pen. laddove il Tribunale, nell'individuare gli spazi critici rimessi al terzo, ha ritenuto insussistente la non estraneità e la buona fede di Sisa Sicilia.
Sulla premessa la misura cautelare reale in corso di applicazione non è stata né richiesta, né disposta, in relazione al reato provvisoriamente ascritto all'ex legale rappresentante della società odierna ricorrente, ma solo in relazione alla posizione degli altri indagati e con riguardo al reato di autoriciclaggio (non contestato a Gi.Sa.); in particolare, osserva parte ricorrente che era stato lo stesso G.i.p. ad escludere nel provvedimento genetico l'esistenza di un quadro indiziario limitatamente alla parte di reato comune tra gli indagati Gi.Al./Vi.Ci. e Gi.Sa.con la conseguenza che il fumus del coinvolgimento della società ricorrente nella vicenda de qua sarebbe già di fatto stato escluso dallo stesso Giudice.
Aggiunge, ancora, la difesa della ricorrente di avere provato attraverso l'esibizione degli accordi e dei contratti intercorsi tra le parti che - contrariamente all'assunto accusatorio - tutte le operazioni furono compiute nel solo interesse di Sisa Sicilia e senza alcun trattamento di favore garantito alla Quadrifoglio (e, quindi, agli indagati) e, ancora, che la vantaggiosità o meno dell'operazione non può ex sé costituire un indice di non estraneità alla complessiva operazione illecita ordita dagli altri indagati. In ogni caso, sarebbe stata del tutto omessa nell'ordinanza impugnata la motivazione circa la natura e lo specifico contenuto degli accordi stipulati tra la Sisa Sicilia e la Quadrifoglio il 14 febbraio 2023, accordi che rivelavano l'esatto opposto rispetto ad una asserita contiguità con gli indagati, al punto che, se la società Quadrifoglio avesse omesso di pagare anche solo due rate consecutive di ciò che era stato oggetto di vendita, il contratto preliminare si sarebbe risolto con evidente nocumento per la stessa Quadrifoglio, elemento anche questo fortemente indicativo di un'operazione gestita nell'interesse di Sisa Sicilia e non certo in favore della Quadrifoglio al fine di realizzare il piano delittuoso di cui alle contestazioni.
Evidenzia, altresì, parte ricorrente di avere analiticamente dedotto altri aspetti quali:
a) il fatto che Sisa Sicilia quando ebbe ad acquistare nel 2022 i rami di azienda aveva come dante causa la curatela del Fallimento Al.Ca. e che tale acquisto era avvenuto sotto il controllo della Autorità Giudiziaria;
b) il fatto che era stata - prima di ogni intervento dell'odierna ricorrente - la curatela del Fallimento della Al.Ca. a subentrare nei contratti di affitto di quei rami di azienda in essere alla data del fallimento, con la conseguenza che non è stata la Sisa - come erroneamente scrive il Tribunale - a reimmettere la Quadrifoglio nel possesso dei rami di azienda;
c) il fatto che, allorquando nel febbraio 2023 la Sisa Sicilia aveva stipulato un preliminare di vendita (mai perfezionatosi) con la Quadrifoglio, promettendo alla stessa in vendita i quattro rami di azienda, già la curatela della Al.Ca., previa autorizzazione giudiziaria, aveva trasferito alla
Quadrifoglio altro ramo di azienda;
elementi tutti che sarebbero dimostrativi della incolpevole buona fede relativa all'operato della società ricorrente.
2.4. Violazione di legge in relazione agli artt. 325, comma 1, 275 e 125, comma 3, cod. proc. pen. laddove il Tribunale, con motivazione omessa o, comunque, apparente, in dispregio dei principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità che devono caratterizzare anche le misure reali, rigettava l'appello e non disponeva lo svincolo dei beni di Sisa Sicilia.
Osserva, al riguardo, la difesa della ricorrente che, nel caso in esame, i princìpi sopra indicati non risultano rispettati sol che si tenga conto che il reato in relazione al quale è stato adottato il provvedimento cautelare si sarebbe consumato "non oltre il 2021", con evidenti effetti anche sulla sussistenza del "periculum in mora", e che il fondamento dell'emissione del provvedimento è stato esplicitato nel rischio che la società attualmente esistente ed operante (la Quadrifoglio), riconducibile alla famiglia Gi.Al., possa andare incontro a ulteriore prosecuzione dell'iter criminale, trascurando però che l'avvenuta apposizione di un vincolo reale su tutto il patrimonio della Quadrifoglio ha già di fatto spossessato gli Gi.Al./Vi.Ci. dal controllo della società, trasferendo tutti i poteri al custode giudiziario.
Conclude la difesa della ricorrente che sul punto il Tribunale avrebbe prodotto una motivazione apodittica ed apparente laddove ha affermato che un eventuale dissequestro non farebbe altro che consegnare nuovamente i beni alla Quadrifoglio e ai suoi amministratori di fatto in quanto il nuovo legale rappresentante della Sisa Sicilia è il fratello del precedente che è indagato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Prima di procedere a dare risposta ai motivi di ricorso appare doveroso fare sinteticamente riferimento alla ricostruzione, così come operata nell'ordinanza impugnata, delle vicende che hanno portato al sequestro dei quattro rami di azienda dei quali è stata richiesta la restituzione dalla terza interessata ed odierna ricorrente Sisa Sicilia Spa:
a) i beni de quibus (punti vendita per la commercializzazione di prodotti alimentari ed altro) erano in origine di proprietà della società Al.Ca Srl che si era venuta a trovare in serie difficoltà economiche e finanziarie tali da condurla al fallimento;
b) la Al.Ca., costituita nel 2012, ancorché formalmente amministrata da tale se.Ge., era di fatto gestita da Ca.El. e le quote della stessa erano intestate ad altri componenti della famiglia Gi.Al.;
c) nell'ottobre 2018 (prima del fallimento della Al.Ca. dichiarato nel 2019) veniva costituita la società Quadrifoglio Srl (associata al gruppo Sisa);
d) la Quadrifoglio, per il fatto di avere rilevato i punti vendita della Al.Ca., per la propria composizione sociale e per i reali gestori del potere amministrativo, appariva essere una prosecuzione della Al.Ca. in quanto operante con gli stessi mezzi e sotto la medesima direzione della famiglia Gi.Al.;
e) con un contratto stipulato in data 20 novembre 2018 la Al.Ca. aveva concesso in affitto per sei anni alla Quadrifoglio una serie di rami di azienda siti in A., P., F. e C., tra i quali vi sono i quattro punti vendita oggetto del sequestro qui in esame;
f) a seguito dell'intervenuto fallimento della Al.Ca., la Quadrifoglio e la curatela del fallimento, con scrittura del 29 luglio 2021, modificavano il menzionato contratto del novembre 2018 riducendo il numero dei rami di azienda ed intervenendo su altre clausole contrattuali;
g) in data 12 aprile 2022 tra il Fallimento Al.Ca. e Sisa Sicilia Spa veniva stipulato un contratto con il quale, previa autorizzazione del Giudice Delegato, il fallimento trasferiva a Sisa Sicilia (all'epoca rappresentata da Gi.Sa.) la piena proprietà dei quattro rami di azienda (punti vendita) de quibus già condotti in affitto dalla Quadrifoglio per il corrispettivo di 760.000,00 euro;
h) in data 16 febbraio 2023 Sisa Sicilia, divenuta, come detto, proprietaria dei punti vendita, modificava l'originario contratto del 20 novembre 2018 con la Quadrifoglio prevedendo la concessione in affitto a quest'ultima dei predetti punti vendita sino al dicembre 2027, con possibilità di rinnovo automatico del contratto;
i) con contratto preliminare in data 14 febbraio 2023 (registrato in data 16 febbraio 2023) Sisa Sicilia si obbligava a cedere alla Quadrifoglio che già li deteneva in affitto, i quattro punti vendita (in essi compresi i macchinari, le attrezzature e gli arredi) per il prezzo complessivo, in parte dilazionato fino al 2027, di 771.147,00 Euro (quindi per poco più di 11.000,00 rispetto al prezzo di acquisto corrisposto meno di un anno prima).
Alla luce delle vicende indicate i Giudici della cautela, dopo avere evidenziato come le operazioni sopra descritte (polverizzazione del patrimonio della fallita, creazione della Quadrifoglio, società "clone" alla quale trasferire in affitto i beni dell'Al.Ca., successivo trasferimento della proprietà dei rami di azienda dal Fallimento Al.Ca. alla Sisa Sicilia e successiva promessa di vendita dei beni stessi alla Quadrifoglio per un corrispettivo utile esiguo rispetto al valore complessivo dell'operazione anticipato da Sisa Sicilia), ritenevano sussistente il fumus dei delitti di riciclaggio (in capo a Gi.Sa.) e di autoriciclaggio (in capo agli altri indagati e componenti della famiglia Gi.Al./Vi.Ci.) e, per tali ragioni, disponevano il sequestro preventivo non solo dell'intero patrimonio della Quadrifoglio Srl ma anche dei quattro rami di azienda di proprietà della Sisa Sicilia ma in uso alla Quadrifoglio in forza degli accordi contrattuali di cui si è detto.
2. Sempre in via preliminare, occorre ricordare che, in materia di misure cautelari reali, il ricorso per cassazione può essere presentato solo per "violazione di legge", in tale nozione dovendosi comprendere, per costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità (ex multis: Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656-01; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, dep. 2017, Faiella, Rv. 269296-01), sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice, con la evidente conseguenza che non possono essere ritenuti ammissibili motivi di ricorso presentati come "violazione di legge" ma di fatto consistenti in diverse prospettazioni o letture del materiale probatorio se non, addirittura, di diverse valutazioni di merito del materiale stesso.
3. Tutto ciò premesso, rileva l'odierno Collegio che il primo motivo di ricorso non è fondato.
È innanzitutto indubbio che, nel caso di una istanza di dissequestro di un bene, ben possono essere richiamati per relationem dal Giudice che respinge tale richiesta elementi dallo stesso indicati nel provvedimento applicativo della misura cautelare reale senza che gli stessi siano nuovamente riproposti.
Tuttavia, ciò nel caso in esame non è avvenuto in quanto il G.i.p., in presenza di un'articolata richiesta di revoca del provvedimento di sequestro nella quale si evidenziavano varie questioni quali quella della dedotta estraneità della Sisa Sicilia alle condotte di autoriciclaggio per le quali era stato posto il vincolo cautelare oltre ad altri elementi quali l'insussistenza del periculum in mora e l'assenza del requisito di proporzionalità del sequestro rispetto alle esigenze allo stesso sottese, si è limitato a dare risposta alla richiesta adducendo una mera questione di natura
processuale attraverso il richiamo a norme che poi lo stesso Tribunale del riesame ha -correttamente - ritenuto non conferenti al caso in esame.
Così operando, il G.i.p. non ha fornito alcuna risposta alle varie questioni poste dalla difesa della società ricorrente.
Il Tribunale, invece di accogliere la richiesta di annullamento del provvedimento del G.i.p. si è, di fatto, sostituito ad esso dando diretta risposta alle questioni prospettate con l'atto di appello a loro volta largamente riproduttive dell'istanza di dissequestro.
È, poi, indubbio che il Tribunale del riesame ha il potere di correggere eventuali errori di diritto nel quale sia incorso il G.i.p. nel provvedimento impugnato innanzi ad esso, come avvenuto nel caso in esame laddove (v. pag. 17 dell'ordinanza impugnata) il Tribunale ha affermato di condividere quanto osservato nell'atto di appello, circa l'erroneità del richiamo operato dal G.i.p. all'art. 104-bis disp. att. cod. proc. pen.
Non bisogna tuttavia dimenticare che, nel caso in esame, non ci si trova in presenza di ricorso al Tribunale del riesame avverso ordinanza genetica applicativa di misura cautelare reale ai sensi degli artt. 322 e 324 cod. proc. pen., con la conseguenza che di certo lo stesso Tribunale non avrebbe potuto ravvisare elementi per l'applicazione della misura diversi rispetto a quelli originariamente indicati dal G.i.p. o, addirittura, colmare totali assenze di motivazione nel provvedimento applicativo, quanto piuttosto si verte in materia di appello (art. 322-bis cod. proc. pen.) avverso ordinanza di rigetto di revoca di misura cautelare reale.
La distinzione non è di poco momento ed incide sui poteri del Tribunale adito in sede di impugnazione.
Il ricorrente sostiene, infatti, che il Tribunale investito dell'appello cautelare, avrebbe dovuto riscontrare la totale carenza della motivazione sulle questioni proposte con l'istanza di dissequestro e, di conseguenza, avrebbe dovuto annullare l'ordinanza del G.i.p. non potendosi sostituire a quest'ultimo motivando autonomamente sulle questioni devolute alla sua attenzione.
L'impostazione prospettata dal ricorrente non è condivisibile, in quanto tende a sovrapporre la natura devolutiva del mezzo di impugnazione, con l'individuazione dei limiti del giudizio rimesso al Tribunale.
Per consolidata giurisprudenza, l'appello cautelare è un mezzo di impugnazione sottoposto al principio devolutivo e, quindi, a differenza del riesame, non è consentita una complessiva rivalutazione della vicenda cautelare, a prescindere da quelle che sono le specifiche doglianze proposte con l'impugnazione.
Diversa questione è, però, l'individuazione dei poteri di giudizio spettanti al Tribunale nell'ambito dei motivi devoluti con l'appello. A tal riguardo, parte ricorrente sostanzialmente sostiene che al Tribunale non sarebbe consentita la possibilità di confermare il provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli indicati nell'ordinanza del G.i.p.
La tesi difensiva (che peraltro contiene richiami a principi enunciati da questa Corte con riferimento alla ben diversa situazione del "riesame cautelare") non è condivisibile, dovendosi invece ritenere che l'appello cautelare, sia pure nei limiti del devolutum, comporta che il Tribunale, a fronte di una motivazione omessa o insufficiente, non possa disporre l'annullamento con rinvio al primo giudice, bensì debba ugualmente decidere nel merito, valutando gli elementi fino a quel momento acquisiti e fornendo una motivazione che può essere anche totalmente integrativa di quella omessa da parte del primo giudice.
Tale conclusione, a ben vedere, è insita nella natura stessa dell'appello e non implica affatto l'estensione della previsione di cui all'art. 309, comma 9, cod. proc. pen. "Il Tribunale annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca..."), norma richiamata dall'art. 324, comma 7, in materia di procedimento di riesame ma non richiamata al comma 2 dell'art. 322-bis cod. proc.
pen. il quale rinvia all'art. 310 cod. proc. pen. nel suo complesso (ed in quanto applicabile) norma quest'ultima che al proprio comma 2 richiama i commi 1, 2, 3, 4 e 7 dell'art. 309, ma non il comma 9 di quest'ultimo.
Deve pertanto ritenersi pienamente applicabile anche all'appello cautelare in materia reale, in assenza di disposizioni normative in senso contrario, il consolidato principio, secondo cui la mancanza assoluta di motivazione della sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall'art. 604 cod. proc. pen., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante (Sez. 6, n. 58094 del 30/11/2017, Amorico, Rv. 271735-01; Sez. U, n. 3287 del 27/11/2008, dep. 2009, R., Rv. 244118-01).
Applicando tale principio all'appello cautelare, deve in primo luogo ribadirsi che l'art. 310 cod. proc. pen. (a sua volta richiamato dall'art. 322-bis cod. proc. pen.), nel richiamare i commi 1, 2, 3, 4 e 7 dell'art. 309, ma non anche il comma 9 del citato articolo, attribuisce all'appello avverso provvedimenti in materia di cautela reale i caratteri propri delle impugnazioni, con la conseguente applicabilità del principio "tantum devolutum quantum appellatum", che demanda al giudice di appello la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti.
Tale principio, tuttavia, va ulteriormente completato riconoscendosi - in osservanza del principio affermato in giurisprudenza - che nel giudizio d'appello avverso provvedimenti cautelari reali, disciplinato dall'art. 322-bis cod. proc. pen., l'impugnazione innanzi al Tribunale ha effetto devolutivo e attribuisce al giudice del gravame piena cognizione, potendo essere posto rimedio sia alla insufficienza, sia alla mancanza di motivazione, e ciò in forza del principio generale di cui all'art. 604 cod. proc. pen. in forza del quale il giudice del gravame deve provvedere a redigere la motivazione mancante in ordine alla sussistenza dei presupposti per il mantenimento del sequestro preventivo (cfr., Sez. 3, n. 58451 del 13/11/2018, Romito, Rv. 275566-01; Sez. 3, n. 42470 del 01/10/2024, Isgrò, Rv. 287140-01; principio riaffermato in materia di misure cautelari personali da Sez. 6, n. 1114 del 07/12/2022, dep. 2023, Ruggieri, Rv. 284165-01).
4. Meritevoli di trattazione congiunta, a ragione delle reciproche interazioni, sono poi il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso che l'odierno Collegio ritiene - salvo quanto di dirà nel paragrafo successivo con riguardo ad una delle doglianze - non fondati.
Deve, innanzitutto, essere evidenziato che l'odierno Collegio è consapevole dell'esistenza di contrasti giurisprudenziali con riguardo ai limiti entro i quali il terzo interessato può contestare la sussistenza dei presupposti per l'adozione o per il mantenimento del provvedimento di sequestro.
Infatti, al principio secondo il quale "In tema di sequestro preventivo, il terzo che assume di avere diritto alla restituzione del bene sequestrato non può contestare la sussistenza dei presupposti della misura cautelare, potendo unicamente dedurre la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene stesso e l'assenza di collegamento concorsuale con l'indagato" (ex ceteris: Sez. 2, n. 41861 del 03/10/2024, Tuccillo, Rv. 287165-01) se ne contrappone altro secondo il quale "In tema di sequestro preventivo, il terzo intestatario del bene aggredito è legittimato a contestare, oltre alla fittizietà dell'intestazione, anche l'oggettiva confiscabilità del bene in difetto del "fumus commissi delicti" e del "periculum in mora", potendo l'assenza dei presupposti della confisca avvalorare la tesi della natura non fittizia, ma reale dell'intestazione" (ex ceteris: Sez. 6, n. 15673 del 13/03/2024, Pezzi, Rv. 286335-01).
Tuttavia, non sfugge che nel caso qui in esame la posizione di Sisa Sicilia è del tutto particolare, non trattandosi di "puro" soggetto terzo, quindi del tutto estraneo alla realizzazione dei
fatti-reato oggetto di contestazione, quanto piuttosto di soggetto che ha comunque avuto un ruolo attivo (non compete a questa Corte di legittimità ed allo stato stabilire se lecito o illecito) nella catena di operazioni contrattuali che hanno portato al trasferimento dei beni di provenienza illecita dalla Al.Ca. alla Quadrifoglio. Del resto, non a caso, come si è detto, ancorché il provvedimento di sequestro preventivo sia stato adottato in relazione ai fatti-reato in contestazione agli Gi.Al./Vi.Ci., nella vicenda risulta indagato anche l'ex amministratore di Sisa Sicilia.
Osserva, pertanto, l'odierno Collegio che, nel caso in esame, dalla lettura anche dell'atto di appello innanzi al Tribunale, emerge che la difesa dell'odierna ricorrente ha teso di fatto a contestare il fumus non tanto (o comunque non solo) in relazione al delitto di cui all'art. 648-ter.1 cod. pen., quanto piuttosto in ordine all'assenza del consapevole contributo della Sisa Sicilia (e per essa del soggetto che per la stessa ebbe ad agire in qualità di legale rappresentante pro-tempore) alla realizzazione del reato de quo.
Entro tali limiti Sisa Sicilia era, quindi, certamente legittimata a contestare il fumus del reato oggetto di contestazione.
Non è quindi condivisibile l'assunto del Tribunale di cui alle pag. 15 e 16 dell'ordinanza impugnata nella parte in cui si asserisce genericamente che la difesa dell'odierna ricorrente "si è limitata a lamentare l'insussistenza di uno dei presupposti del sequestro, il fumus" anche se, come si vedrà, tale affermazione non presenta alcuna incidenza, per la parte qui di interesse, sulla validità del provvedimento impugnato, avendo comunque il Tribunale fornito una adeguata risposta alle diverse questioni allo stesso invece ammissibilmente devolute.
Quanto alle questioni legittimamente prospettate dalla difesa della ricorrente e debitamente riassunte nell'ordinanza impugnata, ritiene, infatti, l'odierno Collegio che il Tribunale vi abbia dato debita risposta evidenziando le ragioni per le quali è da ritenersi che:
a) l'affitto, il preliminare di vendita stipulato tra la Sisa Sicilia e la Quadrifoglio dei quattro rami di azienda (punti vendita e beni agli stessi afferenti) oggetto di sequestro sono stati elementi che hanno portato al perfezionamento del reato di autoriciclaggio contestato al nucleo familiare Gi.Al./Vi.Ci., rimettendo di fatto nella disponibilità di tali indagati per tramite della società Quadrifoglio Srl beni oggetto del delitto di bancarotta fraudolenta impropria per distrazione;
b) le modalità dell'operazione compiuta, la tempistica ed i profili economici della stessa sono elementi da non consentire, allo stato, di ritenere la completa buona fede, quindi l'assenza di collegamenti con gli indagati, della Sisa Sicilia e per essa anche del suo amministratore all'epoca dei fatti.
In sostanza, ritiene l'odierno Collegio che il Tribunale - contrariamente agli assunti difensivi - ha reso una motivazione idonea, di certo non apparente e tantomeno apodittica, priva di vizi così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice, affrontando i profili ritenuti essenziali della vicenda per affermare che non poteva essere accolta l'istanza di dissequestro dei beni de quibus sotto il profilo della comprovata buona fede di Sisa Sicilia.
È, infatti, giurisprudenza consolidata di questa Corte che, nella motivazione della provvedimento, il giudice di merito non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (in questo senso, v. Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, Schowick, Rv. 250105-01; Sez. 4, n. 1149 del 24/10/2005, dep. 2006, Mirabilia, Rv. 233187-01).
Del resto, questa Corte ha chiarito che, in sede di legittimità, non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza (o dell'ordinanza) complessivamente considerata. Pertanto, per la validità della decisione, non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicché, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l'individuazione dell'iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione (Sez. 2, n. 29434 del 19/05/2004, Candiano, Rv. 229220-01; Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, dep. 2014, Cento, Rv. 259643-01).
Infine, occorre, solo ricordare che, alla luce di quanto evidenziato al superiore par. 2 in materia di ricorsi relativi a misure cautelari reali, non compete a questa Corte di legittimità entrare nel merito delle valutazioni effettuate dai Giudici del provvedimento impugnato e tantomeno di sondarne la tenuta logica.
Nessuna violazione di legge è quindi ravvisabile nel provvedimento impugnato con riguardo alla valutazione del fumus relativo alla (asserita dalla difesa della ricorrente) buona fede di Sisa Sicilia.
L'ordinanza impugnata è, pertanto, adeguatamente motivata sul punto e non ricorre alcun elemento per ritenere ravvisabile quella violazione di legge che legittimerebbe il ricorso per cassazione avverso la stessa, anche tenuto conto del fatto che parte ricorrente tende, in alcuni passaggi del ricorso in esame, a prospettare una inammissibile rivalutazione di merito degli elementi presi in considerazione dal Tribunale.
5. Fondato, negli stretti limiti di cui si dirà, è, invece, il quarto motivo di ricorso nella parte in cui la difesa di Sisa Sicilia lamenta una sostanziale assenza di motivazione con riguardo al periculum in mora.
Si è già detto allorquando si è sopra trattato del fumus (diremmo meglio della asserita "buona fede" di Sisa Sicilia) che parte ricorrente, proprio per il ruolo "ibrido" dalla stessa rivestito nella complessiva vicenda, era da ritenersi legittimata a proporre ai Giudici di merito le questioni inerenti ai presupposti del sequestro, così come si è già detto che il Tribunale era legittimato a darvi risposta anche se a tale incombente non ha provveduto il G.i.p.
Tale valutazione di ammissibilità della doglianza finisce pertanto per investire anche le dedotte questioni sul periculum in mora, non tanto in relazione ai requisiti di proporzionalità e gradualità che debbono caratterizzare l'adozione delle misure cautelari reali, quanto in relazione al fatto che, come dedotto dalla difesa, l'avvenuta apposizione di un vincolo reale su tutto il patrimonio della Quadrifoglio avrebbe già di fatto spossessato gli Gi.Al./Vi.Ci. dal controllo della società, trasferendo tutti i poteri al custode giudiziario.
In sostanza, nell'ottica difensiva, si è sostenuto che le esigenze "impeditive" fondanti il sequestro preventivo de quo sarebbero già di fatto garantite dalla sopravvenuta impossibilità per gli indagati di gestire attraverso la società Quadrifoglio - affittuaria e solo promissaria acquirente - tali beni di asserita provenienza delittuosa.
Il Tribunale, nell'ordinanza impugnata, ha richiamato un assunto giurisprudenziale (peraltro dettato in materia di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente) secondo il quale "Il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può ricadere su beni anche solo nella disponibilità dell'indagato, per essa dovendosi intendere la relazione effettuale con il bene, connotata dall'esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà" (Sez. 2, n. 22153 del 22/02/2013, Ucci, Rv. 255950-01).
Il problema però consiste, in caso di sequestro preventivo con finalità impeditive e pur sempre nell'ottica nella valutazione del periculum in mora che indubbiamente incide anche sugli interessi dei proprietari reali del bene, nel fatto di stabilire o meno se gli indagati possono ancora avere la "disponibilità" dei beni oggetto del sequestro e quindi aggravare o protrarre le conseguenze del reato, atteso che, come asserito dalla difesa della ricorrente, gli indagati avrebbero perso il controllo della società (la Quadrifoglio) che tali beni era chiamata a gestire.
Non compete di certo a questa Corte, nell'ambito degli indicati limiti decisionali conferiti al Giudice di legittimità in relazione ai ricorsi in materia di misure cautelari reali, stabilire se tale periculum sussiste o meno, ciò oltretutto implicando una valutazione di merito da fondarsi su elementi dei quali questa Corte non ha la disponibilità, quale ad esempio il fatto che, alla luce della limitata documentazione contenuta nel fascicolo procedimentale, non sono dati conoscere elementi circa la permanenza di ulteriori sequestri o la ricorrenza di ulteriori vicende che riguardano l'attuale amministrazione della società Quadrifoglio ed i conseguenti poteri gestionali dei beni nella disponibilità della stessa. Tuttavia, è emerso dagli atti che la questione era stata posta al G.i.p. ed il Tribunale, legittimamente surrogatosi a quest'ultimo, avrebbe dovuto, pertanto, darvi motivata risposta, cosa che non ha fatto, non potendo certo considerarsi tale l'affermazione apodittica contenuta a pag. 18 dell'ordinanza impugnata laddove è dato leggere che "non può non evidenziarsi come un eventuale dissequestro e restituzione dei rami di azienda alla formale proprietaria - Sisa Sicilia -... non farebbe che consegnare nuovamente i beni alla Quadrifoglio Srl ed ai suoi amministratori di fatto".
Limitatamente a tale profilo si impone, pertanto, l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Agrigento che sarà pertanto chiamato ad approfondire e motivare in relazione alla problematica evidenziata.
6. Stante l'infondatezza degli ulteriori motivi sopra esaminati il ricorso proposto nell'interesse di Sisa Sicilia Spa è, invece, da ritenersi rigettato nel resto.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Agrigento.
Così è deciso, 22 maggio 2025
Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2025