Il direttore dei lavori è responsabile a titolo di colpa del crollo di costruzioni anche nell'ipotesi di sua assenza dal cantiere, dovendo egli esercitare un'oculata attività di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie ed in caso di necessità adottare le necessarie precauzioni d'ordine tecnico, ovvero scindere immediatamente la propria posizione di garanzia da quella dell'assuntore dei lavori, rinunciando all'incarico ricevuto.
Cassazione penale sez. IV, 23/02/2022, (ud. 23/02/2022, dep. 04/03/2022), n.7850
Fatto
1. La Corte d'appello di Milano, in data 27 ottobre 2020, ha parzialmente riformato nel trattamento sanzionatorio, e per il resto ha confermato, la sentenza con la quale il Tribunale ambrosiano, il 23 maggio 2019, aveva condannato (per quanto d'interesse in questa sede) G.L., M.I. e V.S. in relazione al delitto di omicidio colposo, con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, contestato come commesso in (OMISSIS).
Ai predetti imputati il delitto è contestato in relazione al decesso di Na.Sp., dipendente della ditta G. S.r.l., di cui G.L. era legale rappresentante con funzioni datoriali e che era stata scelta per l'esecuzione dei lavori edili di ampliamento di una villetta unifamiliare in regime di subappalto, sulla base di un contratto concluso con la ditta appaltatrice Torre Costruzioni s.r.l. di N.P. (coimputato non ricorrente, nei cui confronti la condanna è passata in giudicato); la morte del lavoratore era stata cagionata dalla caduta di una gronda in cemento armato che, secondo l'imputazione, era in condizioni non stabili a cagione della difformità rispetto al progetto originale e che, al momento della rimozione dei puntelli, crollava e colpiva il ponteggio ove operava lo S., facendolo cadere al suolo e provocandogli così le gravi lesioni descritte in rubrica, che lo traevano a morte.
Del delitto rispondono il G., nella citata qualità datoriale; il M., quale coordinatore per la sicurezza nell'esecuzione dei lavori; il V., quale direttore dei lavori e responsabile della progettazione.
L'addebito mosso agli imputati, ritenuto fondato dalla Corte di merito, si basa sulla ritenuta precarietà della gronda, non collegata alla struttura e che non poteva reggere da sola, e sulla conseguente responsabilità sia del G. (quale esecutore dei lavori e soggetto responsabile della realizzazione della condotta, per avere omesso di adottare le necessarie cautele nella fase di disarmo delle armature delle gronde, nonché per avere redatto un POS affatto generico, con violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 96, comma 1, lett. G e art. 145, comma 3), sia del V. (per non avere esercitato il doveroso controllo sulla realizzazione della gronda e sulla sua conformità al progetto, con violazione delle prescrizioni di cui alla L. n. 1086 del 1971, artt. 2 e 3 e D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 141), sia del M. (per non avere coordinato correttamente il lavoro fra le imprese ed avere lasciato che la ditta esecutrice rimuovesse intempestivamente i puntelli, in violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 92, comma 1, lett. B).
2. Avverso la prefata sentenza ricorrono il G., il M. e il V., con atti a firma dei rispettivi difensori.
3. Il ricorso del G. si articola in due motivi.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, deducendo che il contratto di subappalto stipulato con l'appaltatore (il coimputato N.P., titolare della Torre Costruzioni) rivela la reale natura del rapporto, che era di fatto costituito dall'assunzione di due operai, ossia lo stesso G. e lo S., allo scopo di non versare i contributi previdenziali e scaricare dalle tasse gli stipendi. Dunque il G. non aveva alcuna autonomia rispetto al N. e non poteva prendere decisioni: anche quella di disarmare la gronda realizzata in modo pericoloso non era stata una scelta autonoma, ma era una decisione del N.. Per tali ragioni la genericità del POS si spiega con la genericità del contratto che legava il G. al N.. Sotto altro profilo il ricorrente evidenzia che le fotografie del cantiere dimostrano che l'attività di rimozione dei puntelli era iniziata già una settimana prima, e non era stata decisa quella mattina dal G. all'insaputa di tutti per guadagnare tempo, come si è voluto sostenere.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche in prevalenza sull'aggravante contestata: diniego non giustificato, atteso che la prevalenza delle attenuanti suddette è stata riconosciuta ai coimputati e non al G., sol perché questi ha due modesti precedenti penali (a fronte del fatto che anche il N. ha un precedente annotato sul certificato del Casellario giudiziale).
4. Il ricorso del M., corredato da una premessa narrativa in fatto, consta di cinque motivi.
4.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione per omesso esame, da parte della Corte di merito, delle critiche formulate con l'atto di appello. La sentenza impugnata si limita a fare un apodittico riferimento alla mancanza di coordinamento e all'omesso inserimento nel PSC delle modalità di eventuale rimozione dei puntelli, mentre non svolge alcuna considerazione circa l'abnormità della condotta della vittima e del suo datore di lavoro G., dando solo brevemente atto della "subitaneità" e della imprevedibilità della rimozione dei puntelli, che pure avrebbero dovuto implicare l'assoluzione del geom. M.. Non ha esaminato la Corte di merito, pur a fronte di specifico richiamo in tal senso formulato con l'atto d'appello, la distinzione tra le aree di responsabilità e tra le posizioni di garanzia attribuibili ai singoli imputati.
4.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al mancato riconoscimento dell'abnormità del comportamento della ditta subappaltatrice, facente capo al G., e del lavoratore S.: il disarmo di un'opera in cemento armato non ancora conclusa riveste tali caratteri ed esime da responsabilità il M., il quale del resto dovrebbe essere esonerato da colpa anche qualora si ritenesse che la rimozione dei puntelli fosse stata ordinata dalla ditta appaltatrice del N..
4.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'errata individuazione dell'area di rischio gravante sul coordinatore per la sicurezza nella fase dell'esecuzione dei lavori: tale aspetto, che pure era stato portato all'attenzione della Corte territoriale con l'atto d'appello, non è stato considerato nella sentenza impugnata, in cui non si è operata una distinzione tra rischi generici, riguardanti la gestione del cantiere, e rischi specifici, come quelli individuati nel POS della ditta G., che riguardavano - fra l'altro le attività di disarmo delle opere in cemento armato e che non potevano essere attribuiti alla sfera di competenza del M. quale CSE. In tal modo non si è valutata la configurabilità, nel caso di specie, di un rischio interferenziale tra le ditte nella fase di esecuzione in cui si è verificato l'infortunio. Il ricorrente ricorda che le opere subappaltate alla ditta del G. non erano state ancora ultimate; che il disarmo delle gronde non era previsto per quel giorno, né per i giorni successivi; che la presenza in cantiere dell'impresa del G., in contrasto con le previsioni del cronoprogramma, non era stata segnalata al M.. Infine viene rammentato che l'estemporaneità e l'imprevediblità dell'operazione di rimozione dei puntelli all'origine dell'incidente non possono essere imputate al M., rimasto all'oscuro dell'iniziativa.
4.4. Con il quarto motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla sussistenza del concorso causale, asseritamente sussistente per mancato coordinamento tra imprese (c.d. rischio interferenziale): sul punto vi è un duplice errore della Corte di merito, nel ritenere che il disarmo delle gronde dovesse essere effettuato dalle maestranze sia della ditta appaltatrice, sia di quella subappaltatrice; e che il giorno del fatto fosse prevista (o prevedibile) la presenza di entrambe le ditte in cantiere. In realtà i fatti si sono verificati a causa dell'anticipazione di una fase - quella del disarmo - affidata alla sola ditta G. s.r.l. che doveva in realtà verificarsi solo il mese successivo, una volta giunti a maturazione i getti di calcestruzzo di completamento del cordolo e su indicazioni del direttore dei lavori, secondo il cronoprogramma redatto dal CSE. In sostanza, l'infortunio si è verificato nell'ambito delle responsabilità esclusive del G., e senza alcuna interferenza tra imprese, né in concreto, né sul piano funzionale: tant'e' che il personale della ditta appaltatrice Torre Costruzioni s.r.l. era all'esterno del cantiere al momento del crollo.
4.5. Con il quinto e ultimo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all'asserito omesso controllo del POS da parte del M.: premesso che l'assenza nel PSC delle modalità di rimozione dei puntelli era corretta, trattandosi di attività rientrante nel rischio specifico dell'impresa subappaltatrice, il deducente osserva che la descrizione di tali attività nel POS della ditta G. era in realtà corretta ed idonea a prevenire i rischi della fase di disarmo delle opere in cemento armato, aventi conformazione sia verticale (il cordolo in elevazione) sia orizzontale (le gronde a sbalzo).
5. Il ricorso del V. consta a sua volta di cinque motivi, preceduti anche in questo caso da un'ampia premessa narrativa in fatto.
5.1. Con il primo motivo si denuncia motivazione apparente, con conseguente violazione di norme processuali, o comunque vizio di motivazione, in relazione al fatto che la Corte di merito ha acriticamente fatto proprio il percorso argomentativo della sentenza di primo grado, omettendo di confrontarsi con gli articolati motivi d'appello rassegnati dall'odierno ricorrente.
5.2. Con il secondo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'affermata responsabilità dell'ing. V.. Riportando un ampio stralcio della sentenza impugnata, il deducente evidenzia che la sua responsabilità è stata ritenuta in relazione al mantenimento della gronda in condizioni di instabilità, imputabile alla difformità rispetto al progetto originale; nonché all'omessa vigilanza in cantiere nella fase dell'esecuzione dei lavori in cemento armato. In proposito tuttavia è emerso che gli addebiti di che trattasi sono stati sconfessati da prove testimoniali che la Corte di merito non ha considerato, limitandosi ad attenersi alle dichiarazioni del sig. M., perito della committente dei lavori, laddove è stato accertato che il giorno (OMISSIS) non era prevista la rimozione dei puntelli della gronda (unilateralmente decisa dal G.), essendo unicamente prevista la consegna della struttura in legno che doveva essere posata nei giorni successivi; che la causa del crollo è legata alla rimozione del tutto prematura dei puntelli da parte del G.; che nessun addebito poteva essere mosso all'ing. V., non potendosi a lui imputare di essersi discostato dal progetto iniziale prevedendo un getto in più fasi del calcestruzzo, in quanto la scelta di frazionare la formazione della gronda non voleva significare che la gronda stessa fosse pericolosa, fintanto che i puntelli rimanevano in sede. Ciò è quanto chiarito dal teste C., dell'ASL, all'udienza del 15 febbraio 2018, ed è stato confermato anche dalle altre fonti di prova, fra cui il Dott. I., della cui relazione si riporta un ampio stralcio e dalla quale risulta che in realtà non vi fu alcuna difformità rispetto al progetto iniziale, ma solo la scelta di realizzare la gronda con più getti di calcestruzzo, in conformità alle leges artis in materia. Si soggiunge nel ricorso che l'ing. V. - cui pure competeva dare disposizioni in tal senso, in base al POS della ditta subappaltartice, ma non certo in quel momento - non diede al G. nessuna indicazione di rimuovere i puntelli, come del resto riconosciuto dallo stesso G.. Infine si sottolinea che nessun rimprovero di omessa vigilanza può muoversi all'ing. V. per essere stato assente al momento dell'infortunio, atteso che quel giorno non era prevista la rimozione dei puntelli, ma solo la consegna di una struttura in legno, per la quale la presenza del V. non era certo necessaria.
5.3. Con il terzo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla pena, ritenuta eccessiva e non proporzionata alla modesta gravità del fatto, sulla quale però, pur a fronte delle sollecitazioni contenute nell'atto d'appello, la Corte di merito ha omesso di motivare, limitandosi a riconoscere la prevalenza delle attenuanti generiche.
5.4. Con il quarto motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, a fronte della dimostrazione, da parte dell'ing. V., dell'avvenuto integrale risarcimento dei danni per il tramite della propria compagnia assicuratrice, giusta documentazione prodotta alla prima udienza dibattimentale utile.
5.5. Con il quinto motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego della non menzione della condanna nel certificato del Casellario giudiziale, avendo ritenuto la Corte di merito che fosse necessaria, per ragioni di interesse pubblico, la conoscibilità del reato commesso: motivazione non corretta, se si considera il riferimento dell'art. 175 c.p. ai criteri di cui all'art. 133 c.p., e se si assume che il reato commesso non è stato di particolare gravità, che la capacità a delinquere dell'ing. V. è assolutamente nulla e che la colpa a lui eventualmente ascrivibile sarebbe di grado certamente lieve.
Diritto
1. Il ricorso del G. è infondato in ambo i motivi, rasentando anzi la manifesta infondatezza.
1.1. Quanto al primo, se è vero che la posizione della sua ditta quale subappaltatrice dell'esecuzione delle opere è stata riconosciuta, anche da parte delle fonti di prova orale assunte in dibattimento, come subordinata rispetto a quella della ditta subappaltante (ossia la Torre Costruzioni facente capo al N.), è tuttavia vero che la carenza di autonomia non esime il subappaltatore dal dovere di vigilare affinché le misure di sicurezza necessarie siano rigorosamente adottate nell'ambito dell'attività di cui egli è responsabile. Si afferma in giurisprudenza che, in caso di lavori affidati in appalto la ditta, appaltante o subappaltante, deve fornire le informazioni necessarie sui rischi specifici e sulle misure da essa stessa adottate in relazione all'attività da svolgere; tuttavia, è compito di entrambe le ditte cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione per i rischi inerenti all'esecuzione dell'opera appaltata (Sez. 3, Sentenza n. 15927 del 12/01/2006, Sassi, Rv. 234311). A fronte di ciò, è stato diffusamente descritto nella sentenza del Tribunale, e richiamato in quella di appello, il percorso causale che condusse al crollo della porzione di gronda: quest'ultima, realizzata solo su un lato (anziché in modo continuo attorno all'intero fabbricato, come da progetto), era priva di appigli che la fissassero ad altre porzioni dell'anello di gronda separatamente realizzate; la rimozione dei puntelli che fissavano la casseratura fu eseguita senza attendere il completamento dell'anello di gronda, e comunque in modo intempestivo e improvvido, ciò che ebbe una rilevanza eziologica decisiva sull'accaduto. Si soggiunge che, pacificamente, il POS redatto dal G. è stato descritto come generico da una pluralità di fonti di prova orale; ed infatti, si legge a pagina 21 della sentenza di primo grado (che, trattandosi di doppia conforme, costituisce un unicum motivazionale con la sentenza d'appello oggi impugnata) che il predetto POS "non individuava particolari rischi di caduta dall'alto e relative precauzioni ed era carente anche l'aspetto inerente alle tempistiche di maturazione del cemento, come riferito anche dallo stesso teste M.C.".
1.2. Il motivo di ricorso riguardante il diniego del bilanciamento in prevalenza delle attenuanti generiche è manifestamente infondato e propone valutazioni non consentite in sede di legittimità: da un lato, infatti, la motivazione resa sul punto dalla Corte di merito si sottrae a censure, distinguendo la biografia penale del N. (gravato da un precedente penale giudicato non significativo in termini di gravità), da quella del G., il cui precedente penale viene invece valutato come significativo di una maggiore pericolosità sociale. Sotto altro profilo si ricorda che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, Sentenza n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931).
2. Venendo al ricorso del M., i primi due motivi - nei quali assume preminente rilievo la posizione di garanzia del coordinatore per la sicurezza in esecuzione in rapporto al tema della presunta abnormità del comportamento del G. - possono congiuntamente esaminarsi. Si tratta di motivi infondati.
Si premette che la funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori - che si esplica prevalentemente mediante procedure e non poteri doveri di intervento immediato - riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale, e non anche il puntuale controllo delle singole lavorazioni, demandato ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto), restando salvo tuttavia l'obbligo di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato ed immediatamente percettibile, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate (Sez. 4, Sentenza n. 24915 del 10/06/2021, Paletti, Rv. 281489). Più precisamente, come ricordato anche dai giudici di merito, i compiti di alta vigilanza demandati al CSE consistono a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS (Sez. 4, Sentenza n. 45862 del 14/09/2017, Prina, Rv. 271026).
2.1. Nel caso di specie, risulta dalla lettura della sentenza di primo grado (cui fa rinvio quella d'appello) che nel PSC non fosse previsto alcunché in ordine alla tempistica dell'eventuale rimozione dei puntelli; e che, d'altronde, era compito del CSE verificare i piani operativi di sicurezza delle singole imprese impegnate nello stesso cantiere, ivi compreso il POS della ditta del G. (della cui assoluta genericità si è detto); in aggiunta a ciò, la presenza in cantiere di rischi evidenti legati alla esecuzione parcellizzata della gronda e al fatto che non vi fossero legami fra le varie strutture gettate avrebbe dovuto indurre una particolare attenzione e un'adeguata verifica dell'evoluzione dei lavori, anche da parte del M. nella sua qualità; non a caso si dà atto, nella sentenza di primo grado, che solo in epoca successiva al fatto (il (OMISSIS)) si procedeva a un aggiornamento del PSC in cui si affrontava la questione delle opere di puntellamento, da eseguire sotto la sorveglianza di un preposto e con il divieto di rimuovere i puntelli in essere.
Non può comunque parlarsi di "abnormità" della condotta del G., tale da interrompere il nesso di causalità tra le condotte contestate al M. e l'evento letale: in proposito, alla luce della ormai pacifica giurisprudenza di legittimità sul punto, deve considerarsi che è interruttiva del nesso di condizionamento la condotta abnorme del lavoratore quando essa si collochi in qualche guisa al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è "interruttivo" (per restare al lessico tradizionale) non perché "eccezionale" ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri; in tempi recenti vds. tra le altre Sez. 4, Sentenza n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914; Sez. 4, Sentenza n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603). Certamente, rispetto alla posizione di garanzia affidata al M., pur caratterizzata da una forma di alta vigilanza, la presenza di rischi connessi alla realizzazione dell'anello di gronda (rispetto ai quali vi era comunque l'interessamento non solo della ditta del G., ma quanto meno anche quello della ditta appaltatrice, facente capo al N.) avrebbe imposto il controllo, da parte sua, di attività lavorative pericolose proprio in relazione alle modalità esecutive della gronda, realizzata in modo parcellizzato: modalità che erano necessariamente conoscibili dal M., sia per la realizzazione "frazionata" della gronda, sia per l'avvenuto inizio della rimozione dei puntelli qualche giorno prima, dunque in modo non così repentino e improvviso (si legge, a pagina 23 della sentenza di primo grado, che l'attività di disarmo era stata già iniziata sul finire della settimana precedente) e che, pertanto, dovevano essere sottoposte a verifica anche in relazione ai rischi che esse comportavano.
2.2. Per motivi strettamente collegati sono infondati anche il terzo e il quarto motivo di ricorso. Si ricorda, in proposito, che l'area di rischio governata dal coordinatore per la sicurezza nell'esecuzione dei lavori si individua in base all'area di intervento di tale garante, per come definita, ai sensi dell'allegato XV al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, dal piano di sicurezza e coordinamento, che comprende sia i rischi connessi all'area di cantiere e all'organizzazione di cantiere, sia i rischi interferenziali connessi alle lavorazioni (cd. rischi generici), con esclusione dei soli rischi specifici propri dell'attività della singola impresa, di competenza del datore di lavoro, in quanto non inerenti all'interferenza fra le opere di più imprese (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 14179 del 10/12/2020, dep. 2021, Costantino, Rv. 281014). Nella specie, il rischio connesso alle modalità di realizzazione della gronda (che, come si vedrà, era difforme rispetto all'elaborato progettuale, in base al quale la gronda doveva essere gettata in un'unica soluzione) era sicuramente interferenziale, implicando l'intervento sia della ditta del G. - il quale, fino a poco prima dell'incidente, cooperava con lo S. nella rimozione dei puntelli, sia di quella del N., quale titolare dell'impresa appaltatrice, la quale collaborava con la G. s.r.l. nelle attività di cantiere. L'asserita anticipazione dell'attività di disarmo delle gronde, lungi dall'essere stata posta in essere in modo improvviso, era già in corso da qualche giorno - come ricordato dal Tribunale nella sentenza di primo grado - e il fatto stesso che il CSE avesse redatto un "cronoprogramma" per la tempistica nell'esecuzione dei lavori imponeva al medesimo di verificarne il rispetto, anche in considerazione dell'emersione di rischi connessi alle modalità esecutive della gronda.
2.3. Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato e meramente assertivo, in quanto non può parlarsi di "rischio specifico" (cioè di esclusiva pertinenza della ditta del G.) quanto all'attività di disarmo delle gronde, avuto riguardo alla realizzazione delle stesse in modo frazionato e potenzialmente pericoloso, stante anche il fatto che il getto del cordolo era interrotto e non garantiva la stabilità dell'opera. Non si trattava, quindi, di rischio sottratto alla vigilanza del CSE, né può quindi affermarsi che il M., nella sua qualità, non fosse tenuto ad esaminare il POS della ditta del G., della cui genericità si è detto, essendo egli comunque deputato a verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza di ciascuna impresa, sia in relazione al PSC che in rapporto ai lavori da eseguirsi.
3. Per quanto concerne il ricorso del V., il primo motivo di doglianza è generico e inammissibile, in quanto non fornisce elementi di adeguata specificità circa le asserite omissioni della Corte di merito nell'esame dei motivi d'appello rassegnati per conto dello stesso V..
3.1. Il secondo motivo è privo di fondamento.
Si premette che, in relazione all'area di rischio correlata all'esecuzione del progetto da lui elaborato, è configurabile la responsabilità del progettista-direttore dei lavori in quanto sussiste a carico del medesimo un onere di vigilanza sulla corretta esecuzione dei lavori, collegato al dovere di contestazione delle irregolarità riscontrate; l'attività del direttore dei lavori si concreta nell'alta sorveglianza delle opere, che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta comunque il controllo della realizzazione dell'opera nelle sue varie fasi e pertanto l'obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell'impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell'arte e la corrispondenza dei materiali impiegati (Sez. 4, Sentenza n. 5799 del 26/01/2021, Alderotti, n. m.). Si è pure affermato - in fattispecie diversa, ma non priva di analogie - che il direttore dei lavori è responsabile a titolo di colpa del crollo di costruzioni anche nell'ipotesi di sua assenza dal cantiere, dovendo egli esercitare un'oculata attività di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie ed in caso di necessità adottare le necessarie precauzioni d'ordine tecnico, ovvero scindere immediatamente la propria posizione di garanzia da quella dell'assuntore dei lavori, rinunciando all'incarico ricevuto (Sez. 4, Sentenza n. 18445 del 21/02/2008, Strazzanti, Rv. 240157).
3.2. Nella specie, il V., nella sua qualità, avrebbe dovuto vigilare sulle modalità esecutive dell'anello di gronda, risultate difformi dal progetto e, di fatto, generatrici della situazione di pericolo poi concretizzatasi: diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, il rischio concretizzatosi in concomitanza con la rimozione dei puntelli era, in realtà, già emerso a causa del mancato collegamento della porzione di gronda (poi crollata) ad altre strutture portanti; è quanto emerge dalla ricostruzione operata dalla sentenza di primo grado (pp. 18 - 20) alla quale la sentenza impugnata fa espresso richiamo ed in base alla quale era stato affermato - non solo in base alla deposizione del M., ma sulla base di più contributi dichiarativi - che il V., nella qualità predetta, aveva l'onere di verificare che la staticità dell'opera fosse assicurata in modo tale da impedire eventuali cadute, ciò che non fu fatto. Per il resto, le considerazioni svolte dal ricorrente nel motivo in esame consistono in una rielaborazione alternativa del materiale probatorio, non consentita in sede di legittimità.
3.3. Il terzo motivo è a sua volta infondato: la commisurazione della pena, comunque mitigata dalla concessione delle attenuanti generiche, è comunque avvenuta in termini inferiori alla media edittale e, pertanto, non è al riguardo necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte dell'organo giudicante (per tutte vds. Sez. 3, Sentenza n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288).
3.4. Risulta invece fondato il quarto motivo: la motivazione in base alla quale è stata esclusa la concessione dell'attenuante del risarcimento del danno (art. 62, n. 6) è affatto apodittica e insufficiente, atteso che essa si limita ad asserire che "non è provato se il risarcimento sia integrale e sia avvenuto nei termini di legge": premesso che la valutazione circa l'integralità o meno del risarcimento spetta al giudice, che come noto può anche disattendere, con adeguata motivazione, finanche ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa (Sez. 4, Sentenza n. 34380 del 14/07/2011, Allegra, Rv. 251508), a pagina 24 della sentenza di primo grado si dà atto della produzione documentale, fin dall'udienza del 15 febbraio 2018 (in occasione della quale venne aperto il dibattimento di primo grado) di un accordo transattivo di natura risarcitoria con la moglie della persona offesa (anche in rappresentanza dei figli minori), "volto al totale ristoro e conseguente tacitazione di ogni richiesta risarcitoria in ordine a tutti i danni subiti": risulta evidente quindi che i giudici dell'appello disponevano di tutti gli elementi per stabilire se da tale accordo fossero ricavabili gli elementi necessari al riconoscimento dell'invocata attenuante.
3.5. Del pari fondato risulta il quinto motivo di ricorso: il beneficio della non menzione della condanna e', infatti, basato sul principio dell'"emenda", e tende a promuovere il recupero morale e sociale dell'imputato, perseguendo lo scopo di favorirne il ravvedimento mediante l'eliminazione della pubblicità quale particolare conseguenza negativa del reato (Sez. 6, Sentenza n. 34489 del 14/06/2012, Del Gatto, Rv. 253484; Sez. 2, Sentenza n. 16366 del 28/03/2019, Iannaccone, Rv. 275813); pertanto, la giustificazione del diniego basata esclusivamente sulla posizione professionale dell'imputato (che, secondo la Corte di merito, porterebbe a ritenere di interesse pubblico la conoscibilità del reato) riveste una connotazione sanzionatoria che è estranea alle finalità dell'istituto, non essendo fondata su una valutazione rivolta specificamente alla persona del condannato e alla sua condotta.
4. Per le ragioni che precedono la sentenza impugnata va annullata, quanto al V., limitatamente al diniego dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6 e del beneficio della non menzione della condanna, con rinvio per nuovo giudizio sui predetti punti ad altra Sezione della Corte d'appello di Milano; nel resto il ricorso del V. va rigettato e ne va dichiarata irrevocabile l'affermazione di responsabilità penale ai sensi dell'art. 624 c.p.p.. Vanno invece interamente rigettati i ricorsi del G. e del M., che vanno condannati al pagamento delle spese processuali.
PQM
Annulla la sentenza impugnata quanto alla posizione di V.S. limitatamente al diniego dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6 e del beneficio della non menzione della condanna e rinvia per nuovo giudizio sui punti ad altra Sezione della Corte d'appello di Milano. Rigetta il ricorso del V. nel resto e dichiara irrevocabile l'affermazione di responsabilità penale del medesimo ex art. 624 c.p.p.. Rigetta i ricorsi di G.L. e M.I. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2022