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Morte per amianto: Il datore di lavoro va assolto se manca la prova piena della sua responsabilità.

Con la sentenza in argomento, il Tribunale di Ferrara (dott. Sandra Lepore) ha affermato che, in tema di omicidio colposo derivante dall'esposizione del lavoratore alle polveri di amianto, l'imputato va assolto se sussistono seri dubbi in merito alla riconducibilità del reato allo stesso.

Inoltre, aggiunge il tribunale, secondo i principi del vigente ordinamento processuale penale (acclarati, peraltro, dall'art. 5 della Legge n. 46/2006) il dubbio non può non risolversi che in favore dell'accusato ed invero un soggetto va condannato solo quando emerga dagli atti la prova piena ed inequivoca della sua responsabilità "al di là di ogni ragionevole dubbio".


Tribunale Ferrara, 28/02/2022, (ud. 21/09/2021, dep. 28/02/2022), n.1085

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con decreto ritualmente notificato il Giudice dell'Udienza Preliminare presso questo Tribunale ha disposto il giudizio nei confronti di Fa. Gi. in ordine al reato di omicidio colposo, commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni, a carico del dipendente della ditta Ba. S.p.a. Br. Gi., quale meglio specificato in rubrica.


Il processo, celebrato alla presenza dell'imputato - nonché delle parti civili e del responsabile civile costituitisi in giudizio - è stato istruito con prova per testi e documentale.


Acquisto il verbale di incidente probatorio di Br. Gi. assunto in data (omissis) dinanzi al G.I.P. di Ferrara, sono stati, altresì, escussi, in qualità di testimoni, Ro. Lu., Sp. Ma. Ro., Gi. Cl., Ba. Ro., Mo. Ma., Vi. Da., Al. Al., Ma. Ma. Lo., Ta. Gi., Ce. Gi., Mu. Ro., Ca. Ma. e Pi. Re..


Sono stati, inoltre, sentiti, sia singolarmente che in contraddittorio tra loro, i consulenti Ma. Lo., Cr. Gi., An. Al., Ba. Pi. Gi., Si. St., Na. Gi. e Vi. Fr. Sa.. Terminata l'istruttoria processuale, previe dichiarazioni spontanee rese dall'imputato (il quale ha negato l'addebito a lui ascritto) Pubblico Ministero, Parti Civili, Responsabile Civile e Difesa hanno, infine, formulato le conclusioni sopra trascritte.


Sulla scorta della documentazione acquisita e delle testimonianze raccolte al dibattimento i fatti per cui è processo possono ricostruirsi nei termini che seguono.


Nel (omissis) a Gi. Br. veniva diagnosticato un mesotelioma maligno della pleura sinistra che qualche anno dopo ne determinava il decesso. Essendo tale neoplasia generalmente associata all'esposizione professionale ad amianto, il suddetto, ritenendo che la contaminazione fosse avvenuta presso la ditta "Ba. S.p.A." di (omissis) (presso la quale aveva ininterrottamente lavorato sin dall'anno (omissis)) decideva, pertanto, di avviare un procedimento penale volto ad accertare la sussistenza di eventuali responsabilità penali in capo al suo datore di lavoro - nonché legale rappresentante della Ba. dal (omissis) al (omissis) - Fa. Gi..


Procedimento che, alla sua morte - avvenuta il (omissis) - veniva, quindi, proseguito, sino alla sua conclusione in primo grado, dai suoi eredi.


Ricostruiti gli elementi in fatto per emergono dalle risultanze dibattimentali rileva il Tribunale come l'unico dato certo ed inconfutabile emerso dalle carte processuali sia costituito dal fatto che il decesso di Br. Gi. - avvenuto il (omissis) - fu conseguenza diretta ed esclusiva di un "mesotelioma pleurico di tipo epitelioide", diagnosticatogli nel (omissis). Tumore raro, ad esito inevitabilmente infausto, che colpisce il tessuto di rivestimento dei polmoni, considerato dalla letteratura medica "asbesto-correlato" ovvero specificamente associato all'inalazione delle fibre di amianto che si riscontrano negli ambienti di lavoro, in particolare nelle attività di estrazione del minerale e nelle attività di manipolazione di materiali contenenti amianto.


Ugualmente pacifico è risultato, altresì, in esito all'istruttoria processuale, che tale malattia fu contratta a causa dell'attività lavorativa svolta dal Br., non rinvenendosi, invero, dalla disamina della storia personale e clinica del predetto, altre concause di insorgenza della malattia cosiddette "non professionali o extra-lavorative", quali, ad esempio, il fumo da sigaretta o esposizioni ad erionite o a radiazioni ionizzanti.


Le risultanze processuali hanno, inoltre, inequivocabilmente accertato che Br. Gi. fu esposto a contaminazione da asbesto in plurime occasioni nel corso della sua lunga carriera lavorativa.


Esposizioni da reputarsi tutte - a giudizio del Tribunale, di indubbia rilevanza causale nello sviluppo della neoplasia polmonare che lo condusse alla morte.


La prima esposizione è ascrivibile al periodo (omissis)-(omissis), allorquando il Br. ha prestato attività lavorativa presso lo zuccherificio Er. di (omissis), in qualità di addetto alla bagnatura ed incalanamento delle barbabietole su montacarichi. Benché il lavoro fosse svolto prevalentemente all'esterno, considerato che negli zuccherifici l'amianto veniva largamente utilizzato come coibente delle tubazioni e delle apparecchiature, si reputa, dunque, certa l'avvenuta contaminazione del predetto.


La seconda esposizione è ascrivibile al periodo (omissis)-(omissis), allorquando il Br. ha lavorato presso il (omissis) di (omissis) come dipendente della ditta "So. S.p.a.", in qualità di aiuto saldatore tubista, coibentatore, nonché addetto alla ricottura delle saldature dei tubi, nella costruzione degli impianti (omissis) ed (omissis) della Mo. Per stessa ammissione del Br., quale confermata anche dal suo collega Ca. Ma., anche nel corso di tale esperienza lavorativa lo stesso subì contaminazione da asbesto "avendo in più occasioni fasciato con nastri di amianto le resistenze elettriche che si trovavano sui tubi per isolarle termicamente".


La terza esposizione è ascrivibile al periodo (omissis)-(omissis), allorquando il Br. ha lavorato presso il (omissis) di (omissis) come dipendente della ditta "Ri. e Ma. S.p.A.", in qualità di addetto alla coibentazione e scoibentazione di tubazioni ed apparecchiature industriali nella costruzione degli impianti (omissis) ed (omissis) della Mo..


Sebbene lavorasse prevalentemente all'aperto, per stessa ammissione del suddetto (vedasi questionario INAIL del (omissis)) anche nel corso di tale esperienza lavorativa è certo che lo stesso subì contaminazione da asbesto. Contaminazione appurata anche dai piani di smaltimento dei suddetti impianti che hanno attestato la presenza di pericolose quantità di amianto della varietà anfibolo (in particolare di crocidolite ed amosite).


La quarta esposizione è ascrivibile al periodo (omissis)-(omissis), allorquando il Br. ha lavorato presso la ditta "Ba. S.p.a." di (omissis), in qualità di addetto al reparto assemblaggio bruciatori sia liquidi che a gas.


Anche qui l'esposizione ad amianto deve ritenersi certa, posto che il lavoro del Br. consisteva nell'alloggiare una cordicella in fibra d'amianto tra il canotto e la flangia del bruciatore (in modo che quando il bruciatore veniva inserito nella camera di combustione non uscissero i fumi di combustione nell'ambiente) e preparare una guarnizione in cartone-amianto che veniva interposta tra la flangia e la caldaia, previa eventuale rimodellatura della stessa se necessaria, con la funzione di tenuta (cioè un ulteriore impedimento alla fuoriuscita dei fumi di combustione che inevitabilmente si formavano nella caldaia).


Data per pacifica, dunque, alla luce delle suesposte evidenze processuali, sia la causa del decesso del Br. che le plurime - e di non trascurabile entità - esposizioni del medesimo a fibre di amianto nel corso del suo lungo percorso lavorativo, non altrettanto pacifica si è rivelata, invece, l'analisi della cancerogenesi del mesotelioma pleurico, strumentale ad accertare se la quota di esposizione presso la Ba. S.p.a. abbia in qualche modo contribuito all'insorgenza ed allo sviluppo della patologia tumorale che condusse il Br. alla morte.


Al riguardo, sicuramente pregevoli sono stati i contributi offerti dagli elaborati peritali e dalle copiose produzioni, sia giurisprudenziali che dottrinarie, versate in atti dalle parti.


Alla luce delle risultanze scientifiche sul tema va, dunque, anzitutto, considerato che, nonostante vi siano approfonditi studi a livello internazionale e la pluridecennale osservazione degli effetti patogeni dell'asbesto, ancora oggi, tuttavia, molte ombre coprono i meccanismi attraverso i quali le fibre raggiungono la pleura, vi permangono e determinano le alterazioni molecolari che conducono alla formazione ed allo sviluppo del mesotelioma. Sul piano della causalità generale dell'esposizione ad amianto la comunità scientifica internazionale è comunque concorde nel suddividere "convenzionalmente" la patogenesi di tale malattia in due fasi distinte.


La fase della c.d. induzione (a sua volta distinta in iniziazione e promozione), - in cui l'agente cancerogeno aggredisce il DNA delle cellule che, una volta "iniziate" cominciano a proliferare e a replicarsi già portatrici di alterazioni genetiche - e la fase della c.d. progressione o latenza clinica, in cui il processo carcinogenetico diventa irreversibile, resiste alle difese immunitarie ed il tumore può essere diagnosticato.


Lo spartiacque tra le due fasi - ossia il momento in cui termina la fase dell'induzione e quello dopo il quale si colloca la fase della progressione o latenza clinica - è costituito dal c.d. failure time, che segna il momento a partire dal quale le ulteriori esposizioni all'amianto sono prive di rilevanza causale.


La fase della latenza clinica deve, dunque, reputarsi penalmente irrilevante, poiché qualunque condotta tenuta durante la stessa non interferisce con il processo causale della malattia, già irreversibile.


Qualunque esposizione precedente la fase della latenza clinica deve, invece, reputarsi penalmente rilevante, in quanto potenziale causa della malattia professionale asbesto correlata.


La letteratura scientifica internazionale è, inoltre, concorde nel ritenere che la fase della latenza clinica abbia una durata media di dieci anni e che, invece, la latenza convenzionale (data dalla sommatoria tra la fase dell'induzione e la latenza clinica) sia mediamente di 30/40, anni con punte massime di 60 anni.


E' altrettanto unanime nella comunità scientifica la convinzione che anche brevi e poco intense esposizioni possano avviare il processo patogenetico; che i primi anni di esposizione siano solitamente i più rilevanti; che non è possibile determinare il tempo dell'induzione e la sua fine; che non vi siano conoscenze adeguate per affermare la durata dell'intero processo, né quella di ciascuna delle singole fasi, essendo le scansioni dalle malattia diverse da soggetto a soggetto ed influenzate da molteplici variabili oggettive e soprattutto soggettive.


Quanto, poi, alla rilevanza eziologica dei singoli periodi di esposizione sull'evoluzione della cancerogenesi si contendono il campo due teorie scientifiche diametralmente opposte. La prima di tali teorie, denominata "trigger dose" o dose grilletto, postula la sufficienza di una prima quantità di assunzione di fibre di amianto - peraltro allo stato delle conoscenze impossibile da determinare - per l'insorgere e svilupparsi della patologia, così da rendere le successive esposizioni ininfluenti in termini peggiorativi sull'inarrestabile decorso della medesima.


Applicando questa teoria nel processo penale, è necessario verificare il momento esatto in cui il lavoratore ha inalato la dose killer di fibre di amianto che ha determinato la mutazione della cellula. Responsabile penalmente sarebbe, quindi, il soggetto che ricopriva la posizione di garanzia nel predetto momento. Allo stato, tuttavia, la scienza non è in grado di stabilire quando avviene il primo mutamento della cellula.


Per altra teoria, detta "dell'effetto acceleratore" (che presuppone a sua volta la teoria della dose correlata - prescelta ed accreditata in particolare dalla III Consensus Conference del 2015 - secondo cui vi sarebbe una correlazione proporzionale tra dose cumulativa ed insorgenza del mesotelioma) le prolungate inalazioni di fibre di asbesto, anche dopo il completamento della fase di induzione, avrebbero efficacia causale, perché comporterebbero il più veloce decorso della malattia - soverchiando il meccanismo riparatore della clearance - e, quindi, l'anticipazione dell'evento lesivo ovvero la morte della persona offesa.


Applicando questa teoria, le condotte di tutti i titolari della posizione di garanzia che si sono succeduti nel tempo avrebbero efficacia causale. Da una parte, quindi, abbiamo una legge (quella della "trigger dose") dotata di validità scientifica, la quale non è però in grado di spiegare quale sia il momento in cui le fibre di amianto hanno iniziato a modificare la cellula; d'altra abbiamo una legge (quella "dell'effetto acceleratore") secondo la quale hanno rilevanza causale tutte le esposizioni all'interno della fase di induzione, ma che la giurisprudenza reputa non dotata di validità scientifica.


Ricostruiti gli elementi di fatto quali emersi dalle risultanze processuali, esaminate, altresì, le numerose testimonianze raccolte al dibattimento ed i copiosi documenti versati in atti, nonché valutati i contributi offerti dagli esperti sia dell'Accusa Pubblica e Privata che della Difesa (reputati tutti parimenti condivisibili per la coerenza e la precisione dei contenuti e per l'intelligenza delle argomentazioni prospettate) ritiene il Tribunale che non possa ritenersi sufficientemente provata la penale responsabilità dell'odierno imputato in ordine al reato a lui ascritto.


Le plurime e rilevanti esposizioni ad asbesto che hanno contrassegnato l'attività lavorativa della persona offesa, le persistenti incertezze che connotano ancora oggi il sapere scientifico in merito all'esposizione all'amianto e al meccanismo del processo carcinogenetico del mesotelioma pleurico, la mancanza di conoscenze in ordine alla durata del periodo di induzione ed alla correlazione tra durata dell'esposizione e tempo di latenza, gli esiti contrastanti degli elaborati peritali (non superabili attraverso l'esame delle altre risultanze processuali, non rinvenendosi, invero, negli atti di causa, elementi che consentano di prediligere una tesi piuttosto che l'altra) non hanno consentito, infatti, di individuare quando Br. Gi. abbia contratto irrimediabilmente ed irreversibilmente la malattia, cioè quando si sia conclusa per lui la fase di induzione, divenendo, quindi, causalmente irrilevante ogni esposizione successiva a tale momento.


Ne consegue che se è indubbio che la morte del medesimo fu causata da mesotelioma pleurico indotto da esposizione ad amianto (e che, dunque, il fatto contestato all'imputato sussista), non altrettanto certo può ritenersi che tale evento letale abbia trovato la sua causa o concausa nell'esposizione avvenuta presso la ditta "Ba. S.p.A." nel periodo in cui Fa. Gi. aveva assunto la qualità di garante e che, quindi, la morte del Br. possa addebitarsi allo stesso, al di là di ogni ragionevole dubbio.


Anzi la valutazione congiunta di una serie di elementi, quali la lunghissima latenza del mesotelioma pleurico dalla prima esposizione, la sua riconosciuta capacità di innescare la cancerogenesi anche a basse dosi, il fatto che i primi anni di esposizione siano i più rilevanti, che nessuno degli altri lavoratori della "Ba. S.p.a." - eccetto il Br. - risulti aver contratto tale forma tumorale (a differenza delle ditte So. e Ri. e Ma. che hanno annoverato ben 54 tra i loro lavoratori ammalati di mesotelioma) e soprattutto il fatto che l'esame autoptico abbia evidenziato la presenza nei polmoni del Br. di amianto al 90% del tipo anfibolo (non utilizzato in Ba. ove, invece, vi era amianto di tipo crisotilo e presente, invece, in rilevante quantità nelle aziende So. e Ri. e Ma.) inducono a ritenere che il c.d. failure time (ovvero il momento di innesco irreversibile della malattia) possa essere verosimilmente avvenuto nel corso delle precedenti esperienze lavorative del Br., avendo quest'ultimo lavorato presso più aziende che impiegavano amianto nei propri processi produttivi.


Nemmeno l'impiego, nel caso in esame, della teoria del c.d. effetto acceleratore (propugnata dalla Pubblica Accusa e dalla Parte Civile) consente, altresì, di superare tali incertezze e di sostenere, quindi, la colpevolezza dell'odierno imputato, essendo rimasto, invero, del tutto indimostrato che nel periodo di assunzione della posizione di garanzia di quest'ultimo, le esposizioni ad amianto abbiamo avuto un effetto acceleratore del processo tumorale - asseritamente già in atto nella persona offesa -, abbreviando il periodo di latenza dello stesso ed anticipandone la morte.


Permanendo, dunque, alla luce delle suesposte argomentazioni, seri dubbi in merito alla riconducibilità all'odierno imputato del reato di cui dell'imputazione, nonché considerato che, secondo i principi del vigente ordinamento processuale penale (acclarati, peraltro, dall'art. 5 della Legge n. 46/2006) il dubbio non può non risolversi che in favore del prevenuto e che un soggetto va condannato solo quando emerga dagli atti la prova piena ed inequivoca della sua responsabilità "al di là di ogni ragionevole dubbio", si impone, dunque, anche alla luce del mai abbastanza ribadito principio costituzionale di personalità della responsabilità penale, una pronuncia assolutoria nei confronti di questi ultimo.


Fa. Gi. deve, pertanto, essere mandato assolto dal reato a lui ascritto, per non aver commesso il fatto.


PQM

IL TRIBUNALE


Visto l'art. 530 c.p.p., assolve Fa. Gi. dal reato a lui ascritto, per non aver commesso il fatto. Giorni 90 il termine per il deposito della sentenza.


Così deciso in Ferrara, il 21 settembre 2021


Depositata in Cancelleria il 28 febbraio 2022

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