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Le dichiarazioni de relato non bastano: serve una rigorosa verifica della fonte e dei riscontri individualizzanti (Cass. Pen. n. 21867/25)

1. Premessa

In tema di misure cautelari fondate su dichiarazioni accusatorie provenienti da collaboratori di giustizia, la Cassazione ribadisce un principio tanto consolidato quanto essenziale: non è sufficiente evocare una pluralità di dichiarazioni convergenti per fondare un giudizio di gravità indiziaria, se queste si rivelano prive di autonoma attendibilità, risultano inquinate da circolarità o si fondano su fonti di conoscenza non adeguatamente identificate.


2. Il fatto

Il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 20 gennaio 2025, disponeva la custodia cautelare in carcere nei confronti di Am.Cl., ritenuto gravemente indiziato, in concorso con Ma.Ro., dell’omicidio di Ma.An., avvenuto il 15 dicembre 2000, con l’aggravante della premeditazione, del metodo mafioso e della finalità di agevolare il clan Ma..

Il delitto — qualificato come “vendetta trasversale” — si consumava in un esercizio commerciale, dove la vittima veniva attinta da più colpi d’arma da fuoco esplosi da un soggetto con casco integrale. Le fonti dichiarative erano rappresentate da numerosi collaboratori di giustizia (Mi.Gi., Sp.Ci., Co.An., Da.Um., De.Lu., Sc.To.), i quali, seppur in tempi diversi, indicavano Am.Cl. come esecutore materiale o come coinvolto a vario titolo nel delitto.

Il Tribunale del riesame confermava la misura cautelare. Tuttavia, la difesa denunciava, con articolata impugnazione, la carenza di verifica critica sulla provenienza e attendibilità delle dichiarazioni, sottolineando le aporie logiche, le divergenze tra i narrati, nonché l’assenza di riscontri esterni univoci e individualizzanti.


3. La decisione della Cassazione

La Prima Sezione penale ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame.

La Corte ha osservato che, in presenza di chiamate in correità de relato, è necessaria una rigorosa verifica dei tre livelli di attendibilità:

  • Credibilità soggettiva del dichiarante;

  • Attendibilità oggettiva della narrazione;

  • Riscontrabilità esterna, attraverso elementi autonomi e individualizzanti.

Nel caso di specie, la motivazione del Tribunale del riesame è stata censurata per superficialità valutativa e procedimento selettivo delle fonti: sono state accolte alcune dichiarazioni ritenute "convergenti", ma solo perché più adatte a supportare l’impostazione accusatoria, mentre altre — incompatibili o divergenti — sono state sbrigativamente elise o dichiarate irrilevanti, senza adeguata motivazione.

La Cassazione ha posto particolare attenzione alla figura di Mi.Gi., che riferiva di aver appreso informalmente l’identità dei responsabili da soggetti poi risultati all’epoca del fatto non collaboratori e — in alcuni casi — neppure a conoscenza diretta dell’omicidio. Lo stesso è stato osservato per Sp.Ci., il quale dichiarava di aver appreso i fatti da "voci di quartiere", prive di fonte precisa. De.Lu. e Sc.To., pur condividendo la medesima fonte (Pi.Ma., madre della vittima), offrivano ricostruzioni inconciliabili, senza che il Tribunale spiegasse la selezione tra le versioni.

Anche la dichiarazione di Da.Um., secondo cui l’imputato avrebbe agito in concorso con altri, è stata ritenuta insufficiente, non essendo chiaro se la fonte primaria (Ga.Um.) avesse effettivamente compiuto una confessione attendibile, né quale fosse la veridicità dell’autoricostruzione.

Infine, la Cassazione ha stigmatizzato la tendenza del provvedimento impugnato a fondere frammenti eterogenei in un mosaico coerente solo in apparenza, omettendo una valutazione sistematica e coerente di ciascun segmento dichiarativo, in relazione all’intera filiera informativa.


4. Il principio di diritto

“Ai fini della valutazione della gravità indiziaria ex art. 273 c.p.p., le dichiarazioni de relato rese da collaboratori di giustizia o coimputati possono costituire base per misure cautelari solo se risultano supportate da riscontri esterni oggettivi, specifici e individualizzanti, e se è compiutamente verificata la catena delle fonti informative. La convergenza apparente di più dichiarazioni non può supplire a tali carenze, né può giustificare una selezione arbitraria delle fonti più funzionali all’ipotesi accusatoria”.


5. Osservazioni conclusive

La sentenza n. 21867/2025 si segnala per l’approfondita ricostruzione dei criteri di attendibilità delle fonti, ribadendo che non è sufficiente il numero dei collaboratori, né la loro generica “patente di attendibilità” ottenuta in altri processi: ogni dichiarazione va valutata nella sua specifica genesi, struttura e riscontrabilità, con particolare attenzione alla circolarità delle informazioni e alla ricostruzione logica del contesto informativo.

Un richiamo, in ultima analisi, al rispetto della logica probatoria e al valore delle garanzie difensive, anche in contesti ad alta intensità repressiva.


La sentenza integrale

Cassazione penale sez. I, 29/05/2025, (ud. 29/05/2025, dep. 10/06/2025), n.21867

RITENUTO IN FATTO


1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Napoli - Sezione per il riesame ha confermato il provvedimento del 20/01/2025 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, che aveva adottato nei confronti di Am.Cl. la misura cautelare della custodia in carcere, ritenendolo gravemente indiziato - nella veste di esecutore materiale e in concorso con Ma.Ro. - del delitto di omicidio in danno di Ma.An. (fatto avvenuto il 15 dicembre 2000, contestato come aggravato dalla premeditazione e dall'aggravante di cui all'art. 416-BIS.1 cod. pen., nella duplice accezione del metodo mafioso e della finalità di avvantaggiare il gruppo camorristico Ma. e, in particolare, la relativa articolazione operante in territorio di S).


2. Ricorre per cassazione Am.Cl. - con atto a firma congiunta degli avv.ti LEOPOLDO PERONE e VALERIO SPIGARELLI - deducendo due motivi, che vengono di seguito enunciati entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.


2.1. Con il primo motivo, vengono denunciati vizi rilevanti ex art. 606, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen., per violazione della legge penale (art. 575 cod. pen.) e processuale (artt. 192 comma 3, 292 e 273 cod. proc. pen.), oltre che violazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., in ragione dell'esistenza di una motivazione contraddittoria, illogica e apparente, quanto all'asserita sussistenza di un qualificato quadro di gravità indiziaria, in rapporto al delitto di omicidio commesso in danno di Ma.An.. Si contestano, in particolare:


a) le valutazioni compiute circa la valenza dimostrativa della chiamata in reità de relato espressa da Mi.Gi., sotto il profilo dell'omesso confronto con la circostanza che i soggetti indicati quali fonti primarie, ossia Ma.Mi. e Mi.Em., una volta divenuti collaboratori di giustizia, nulla avrebbero riferito, circa l'omicidio; diversamente da quanto da lui stesso affermato, del resto, Mi.Gi. non era, al momento dell'omicidio del Ma.An., in stato di detenzione (circostanza dimostrata dal certificato versato nell'incarto processuale e inerente ai periodi di carcerazione subiti);


b) la valutazione della chiamata in reità de relato promanante da Co.An., quanto all'aspetto della illogicità dei riferimenti ed alle incongruenze del narrato;


c) la valutazione della chiamata in reità de relato promanante da Da.Um., sotto il profilo della incoerenza dell'apprezzamento in ordine sia a quanto da questi appreso da Ga.Um., sia agli accadimenti vissuti in prima persona, nel corso dell'incontro avvenuto presso l'abitazione dello zio Da.Sa., per giungere alla riappacificazione tra figlio della vittima Ma.An.


e Am.Ga.;


d) la valutazione della chiamata in reità de relato promanante da De.Lu., in relazione alla quale sarebbe stata sostanzialmente aggirata l'esigenza di individuazione della fonte delle conoscenze, per aver ella mutuato nozioni da Pi.Ma., a sua volta informata da soggetti restati non identificati;


e) la valutazione della chiamata in reità de relato promanante da Sc.To., in punto di mancata congruenza rispetto alle dichiarazioni rese dalla madre De.Lu., sua fonte primaria;


f) la valutazione circa il fatto che Ma.Iv., divenuto collaboratore di giustizia, non abbia indicato Am.Cl. quale esecutore materiale dell'agguato mortale per il quale si procede, pur avendo egli - quale propria fonte diretta - sua madre Pi.Ma., ossia la stessa persona che aveva trasmesso informazioni alla De.Lu..


2.2. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., per motivazione contraddittoria, illogica e apparente, quanto all'asserita sussistenza di esigenze di cautela, che si è ritenuto di dover preservare per il tramite dell'estrema misura carceraria. Il Tribunale del riesame ha fondato la propria decisione, in via esclusiva, sul dato della gravità del fatto; sono state valorizzate, inoltre, condotte delittuose che si protraggono non oltre l'anno 2007, non facendosi così buon governo dei principi secondo i quali occorre distinguere due concetti, che sono quello della attualità e concretezza delle esigenze e quello della attualità e concretezza delle condotte criminose. Il Tribunale del riesame, dunque, avrebbe dovuto chiarire per quale ragione - nonostante il lungo tempo trascorso, dalle vicende per le quali si procede - sia sussistente il pericolo di recidiva. La dichiarazione resa dal collaboratore di giustizia Br., sul punto, risulta del tutto irrilevante, essendo carente dei necessari riscontri esterni, precisi e concordanti.


3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.


L'impugnazione non tiene conto della notevole varietà e del numero delle dichiarazioni provenienti dai propalanti, ciò che esclude che possa trattarsi di dichiarazioni accusatorie complessivamente affette dal vizio della circolarità; né sono emersi, in alcun modo, tratti calunniatori nelle propalazioni dei numerosi collaboratori di giustizia. Le dichiarazioni di questi ultimi, inoltre, sono tra loro talmente distanziate nel tempo, da consentire di escludere qualsivoglia intento collusivo, collimando esse anche con le dichiarazioni rese da semplici testimoni. Il movente, poi, è plasticamente rappresentato da Co.An. e confermato - almeno nelle linee generali - da tutti gli altri dichiaranti. Tutti i soggetti interessati sono stati ammessi alla collaborazione con la giustizia ed in tale veste hanno ottenuto, nell'ambito di altri procedimenti, una patente di piena credibilità narrativa, coronata dalla concessione della relativa attenuante.


In punto di esigenze cautelari, ci si riporta a quanto riferito dal Tribunale del riesame sotto il profilo della gravità del fatto, nonché in punto di assenza di elementi positivamente valutabili, ad onta del decorso di un ampio lasso di tempo, essendo anche rilevante il ruolo peculiare sicuramente rivestito dall'indagato all'interno dell'associazione camorristica di riferimento.


CONSIDERATO IN DIRITTO


1.11 ricorso è fondato quanto al primo motivo, con assorbimento del secondo.


2. Integrando brevemente quanto già sintetizzato in parte narrativa, si sottolinea trattarsi della conferma - in sede di riesame - di una misura cautelare di tipo carcerario, adottata in relazione al delitto di omicidio, maturato in ambito camorristico ed avente la veste della "vendetta trasversale": Ma.An., nel primo pomeriggio del 15 dicembre 2000, venne raggiunto all'interno di un esercizio commerciale ubicato in S e colà freddato con plurimi colpi di pistola, esplosi da almeno una persona, la quale calzava un casco integrale ed era alta all'incirca mt. 1,75/1,80; sul posto, vennero repertati due proiettili cal. 38 special - 357 magnum. Il negozio che fu teatro del fatto omicidiario era suddiviso in due ambienti tra loro comunicanti, attraverso una parete posta in senso trasversale e dotata di doppio accesso. L'autopsia ricondusse il decesso di Ma.An. a uno shock emorragico cagionato da quattro colpi di arma da fuoco, che avevano raggiunto i polmoni e l'emitorace, producendo fori di entrata da dietro in avanti e da sinistra verso destra, circostanza che consentì di ricostruire agevolmente il posizionamento reciproco di aggressore e persona offesa, i quali si trovavano sullo stesso piano orizzontale ed erano tra loro a una distanza superiore al limite del ed. bruciapelo.


Il compendio indiziario posto a fondamento del provvedimento restrittivo della libertà personale è formato:


dalle dichiarazioni rese - quali persone informate dei fatti - dai gestori dell'esercizio commerciale, Sa.As. e Za.Gi. (rispettivamente madre e figlio, i quali concordemente riferirono dell'arrivo presso la salumeria di un gruppo formato da sei ragazzi, tra cui la vittima, i quali avevano acquistato dei panini che stavano consumando nella saletta attigua e, dopo breve tempo, dell'irruzione nel locale di una persona, la quale subito aveva preso a sparare all'indirizzo di Ma.An., vanamente rifugiatosi dietro al bancone, dove veniva ferito e restava esanime); dalle dichiarazioni rese dalle persone che si trovavano all'interno del locale al momento, ossia Po.En., con cui Ma.An. era giunto In loco, nonché Sa.De., Ru.Do., Sa.Ra. e Pe.Al. (il solo Po.En. riferiva dell'arrivo sul posto di due soggetti, entrambi con indosso il casco integrale, a bordo di un ciclomotore marca Gilera modello Runner); dal contenuto di un colloquio avvenuto in carcere tra la madre e il fratello della vittima (Pi.Ma. e Ma.Iv., al tempo detenuto per esser stato condannato alla pena di 20 anni per l'omicidio di Ma.Sa.);


dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Mi.Gi., Sp.Ci., Sc.To., Da.Um. e De.Lu..


3. Posta tale base descrittiva e argomentativa del provvedimento impugnato, la disamina delle censure articolate deve essere compiuta seguendo il solco tracciato da diversi principi di diritto, così rapidamente riassumibili:


a) in tema di misure cautelari personali, il giudizio di legittimità relativo alla verifica della sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza (ex art. 273 cod. proc. pen.), oltre che delle esigenze cautelari (ex art. 274 cod. proc. pen.), deve riscontrare - entro il perimetro circoscritto dalla devoluzione - la violazione di specifiche norme di legge o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Essa, dunque, non può intervenire nella ricostruzione dei fatti, né sostituire l'apprezzamento del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, bensì deve dirigersi a controllare se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l'hanno convinto della sussistenza o meno della gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato e a verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indiziami rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare l'apprezzamento delle risultanze analizzate (si vedano, sull'argomento, Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828 e le successive, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460).


Quanto ai limiti del sindacato consentito in sede di legittimità, quindi, è possibile richiamare il dictum di Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628, secondo cui: "In tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito";


b) occorre rifarsi, inoltre, alla regola di giudizio secondo la quale: "In tema di procedimento di riesame di misure cautelari personali, sussiste l'obbligo del Tribunale di esaminare compiutamente ogni censura difensiva sollevata all'udienza ex art. 309 cod. proc. pen., con la conseguenza che è da ritenersi affetta da vizio di motivazione l'ordinanza che, a fronte di un'eccezione ritualmente proposta, non contenga una compiuta disamina della stessa" (Sez. 4, n. 21374 del 11/06/2020, Davis, Rv. 279297).


È anche utile precisare quale sia la relazione intercorrente, fra le deduzioni difensive svolte in sede di riesame e la motivazione che il Tribunale è tenuto a fornire in ordine ai temi posti dalla difesa stessa, ribadendosi come l'obbligo di motivazione possa reputarsi adempiuto anche nel caso in cui il provvedimento emesso dal Tribunale del riesame effettui un rinvio per relationem alle argomentazioni contenute nel provvedimento genetico, rinvio che sia incastonato in una più ampia valutazione, atta a contrastare - anche per implicito - le deduzioni difensive. Il tutto postula, però, che le questioni poste dalla difesa non siano idonee a disarticolare il ragionamento probatorio proposto nell'ordinanza applicativa della misura cautelare, non potendo, in tal caso, la motivazione per relationem fornire una risposta implicita alle censure formulate.


c) All'esito del riesame dell'ordinanza applicativa di una misura cautelare, è legittima la motivazione che richiami (o riproduca) le argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato, ove siano mancate specifiche deduzioni difensive, formulate con l'istanza originaria o con successiva memoria, ovvero articolate oralmente in udienza, tali da rendere funzionalmente inadeguata la relatio su cui il richiamo si è basato (Sez. 1, n. 8676 del 15/01/2018, Falduto, Rv. 272628; Sez. 6, n. 566 del 29/10/2015, dep. 2016, Nappello, Rv. 265765). In questa prospettiva, si può ritenere senz'altro legittima la riproposizione anche di parti del provvedimento applicativo nell'ordinanza resa all'esito del riesame; a patto, però, che tale tecnica espositiva sia affiancata dalla dovuta analisi dei contenuti e dall'esplicitazione delle ragioni alla base del convincimento espresso in sede decisoria (Sez. 2, n. 13604 del 28/10/2020, dep. 2021, Torcasio, Rv. 281127).


Vero, in sostanza, che è pienamente consentita la motivazione per relationem, rispetto all'ordinanza impugnata, ma a patto che l'ordinanza del Tribunale del riesame contenga una motivazione che dimostri un vaglio critico e che non si risolva quindi nel mero richiamo alle argomentazioni svolte nel provvedimento restrittivo della libertà personale, omettendo la valutazione delle doglianze contenute nella richiesta di riesame (Sez. 6, n. 9572 del 29/01/2014, Ferrante, Rv. 259111). E nemmeno è consentito - sempre in tema di misure cautelari personali -assolvere all'obbligo di offrire un adeguato e congruo apparato motivazionale (sia dell'ordinanza applicativa di misure coercitive, sia di quella di conferma in sede di riesame), attraverso la mera riedizione del compendio raccolto in sede di indagini preliminari, facendo affidamento sul requisito dell'autoevidenza dello stesso (Sez. 6, n. 27928 del 14/06/2013, Ferrara, Rv. 256262).


4. Come riassunto nella enunciazione contenuta in parte narrativa, con il primo motivo ci si duole della violazione dei criteri di apprezzamento della prova cautelare, oltre che di una carenza di motivazione.


Attenendosi alla prospettazione difensiva sussunta nell'impugnazione, sarebbero stati violati i criteri che presiedono alla valutazione del propalato reso dai vari collaboratori di giustizia sunnominati.


Evidenzia la difesa come Mi.Gi. - riferendo de relato quanto appreso da Ma.Mi., Mi.Em. ed Bo.Ed. - ha accusato Ma.Ro. e Am.Cl., per essere gli esecutori materiali del fatto omicidiario perpetrato in danno di Ma.An., indicandone la causale nella vendetta trasversale attinente all'omicidio di Ma.Sa., compiuto dal fratello della vittima, Ma.Iv., in concorso con Ri.Ci.. Come già accennato in parte espositiva, però, la difesa evidenzia come Ma.Mi. ed Mi.Em. - una volta divenuti anch'essi collaboratori di giustizia - nulla hanno mai riferito, circa l'omicidio per il quale si procede e, peraltro, Mi.Gi. al momento dell'omicidio Ma.An. - diversamente da quanto da lui stesso riferito - non era detenuto.


La critica difensiva si dipana poi rimarcando come Co.An., il quale ha riferito de relato quanto appreso da Ru.Do. e Si.Pa., abbia fornito una descrizione degli esecutori materiali del gesto omicidiario che non collima con quella riportata dallo stesso Ru.Do. (quest'ultimo, peraltro, ha poi negato di aver mai parlato dell'omicidio Ma.An. con Co.An. ed ha ribadito di aver potuto vedere solo lo sparatore con indosso un casco integrale, conformemente a quanto poi dichiarato nelle captazioni ambientali, effettuate nell'imminenza della convocazione in Procura e versate in atti); la difesa censura come illogica, infine, la giustificazione fornita dal Tribunale del riesame, circa la laconicità delle dichiarazioni rese da Si.Pa..


Da.Um., prosegue il ricorso, ha riportato quanto riferitogli da Ga.Um. (soggetto autoaccusatosi dell'omicidio Ma.An., fatto al quale avrebbe preso parte conducendo il ciclomotore a bordo del quale viaggiava Am.Cl.) e Fi.Sa., soggetti con cui aveva interloquito durante un periodo di comune detenzione; illogica sarebbe, però, la parte di ordinanza nella quale si ritiene che il Da.Um. abbia fornito riscontri, in ordine alla colpevolezza di Am.Cl. relativamente all'omicidio Ma.An., narrando di accadimenti vissuti in prima persona anni dopo l'omicidio (il riferimento è, in particolare, all'incontro avvenuto fra il figlio di Ma.An. e Am.Ga., tra i quali Da.Um. avrebbe fatto da paciere, nonché all'incontro avvenuto in carcere, tra Da.Sa., Da.Um. e Am.Cl.).


De.Lu., secondo la difesa, non riporta informazioni apprese in via diretta, ma delle quali è depositaria sulla base di un triplice de relato, originato da fonte primaria incerta; ciò per quanto inerisce alle notizie da ella apprese dalla madre della vittima, Pi.Ma. (questa avrebbe riportato alla De.Lu. informazioni che ella aveva raccolto dai Sa., ossia dai non meglio identificati vertici di tale clan, i quali a loro volta le avrebbero ricevuto da fonte restata sconosciuta) e sulla base di un ulteriore de relato da fonte incerta, quanto alle notizie ricevute da Da.Sa.. Le dichiarazioni rese dalla De.Lu., inoltre, non combacerebbero con una vasta moltitudine di emergenze probatorie. Lamenta la difesa, in sostanza, essersi verificato un aggiramento del necessario accertamento dell'individuazione della fonte primaria, pur costituendo questo un primo e pregiudiziale passaggio valutativo da compiere; le dichiarazioni della De.Lu., del resto, sarebbero divergenti anche da quanto riferito da chi, come lo Sc.To. - pur avendo nella De.Lu. la propria fonte diretta - ha raccontato i fatti in maniera del tutto diversa. Prosegue l'impugnazione sottolineando come la De.Lu. avesse anche indicato - quali fonti conoscitive dirette - Ci.Ge. ed Po.En., i quali però, una volta ascoltati, non ne hanno confermato il narrato.


La De.Lu. riferisce di un litigio, verificatosi in Piazza (Omissis) tra Ab.Em., figlio di An. e nipote di Da.Sa., e il figlio di Am.Cl. e di un incontro al quale avevano preso parte Ma.Vi., Da.Sa., il nipote di questi, il figlio di Am.Cl., Ab.Em. e Bo.Al.; tale narrazione non è sovrapponibile, secondo la difesa, a quanto riferito da Sc.To. e da Da.Um. (all'epoca del preteso incontro, peraltro, la De.Lu. era in stato di restrizione, per esser stata tratta in arresto in relazione all'omicidio di Co.Ci.). Aggiunge la difesa che - nella sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli del 08/07/2024 - erano riportati stralci di una conversazione captata presso l'abitazione della De.Lu., nel corso della quale quest'ultima riconduceva l'omicidio di Ma.An. a Da.Sa., differentemente da quanto poi dichiarato in veste di collaboratrice di giustizia.


Evidenzia poi la difesa come Sc.To., figlio di De.Lu., abbia mutuato proprio da quest'ultima le notizie che ha poi riportato, circa l'omicidio di Ma.An.; secondo Sc.To., però, la madre avrebbe ottenuto tali informazioni da persone presenti sul posto e non -come poi dichiarato dalla stessa - da Pi.Ma., Da.Sa. e Pr.An.; Sc.To. riferisce, inoltre, come i propositi di vendetta per l'uccisione del cugino An. rimontino al 2016, in tal modo confermando il dato ricavabile dalle intercettazioni.


Il Tribunale del riesame, infine, non si sarebbe confrontato con le dichiarazioni rese - in veste di collaboratore di giustizia - da Ma.Iv., il quale ha ricostruito il fatto in maniera molto diversa rispetto agli altri dichiaranti, pur avendo avuto egli - quale fonte primaria - la madre Pi.Ma., ossia la medesima fonte dalla quale ha mutuato la propria conoscenza dei fatti la De.Lu..


5. In diritto, giova ricordare che - a fronte di dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia - occorre saggiarne e attestarne sia la credibilità soggettiva, sia l'attendibilità oggettiva dei narrati da essi provenienti e, infine, verificarne la vicendevole capacità di riscontrarsi a livello individualizzante. Quest'ultima postula la convergenza delle chiamate, in relazione a circostanze rilevanti del thema probandum, nonché la loro autonomia genetica (vale a dire, la derivazione da fonti di informazione diverse) e, infine, la loro indipendenza, nel senso che non appaiano frutto di intese fraudolente (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255143-01; Sez. 1, n. 41238 del 26/06/2019, Vaccaro, Rv. 277134). È necessario, in sostanza, non arrestarsi ad un mero vaglio inerente alla constatazione dell'avvenuta collaborazione con la giustizia in altri processi, bensì incentrare la complessiva analisi del narrato muovendo dalla personalità dei dichiaranti, dalla genesi della loro collaborazione con la giustizia e - in special modo - dai rapporti intessuti con gli accusati, circostanza fortemente evocativa di una diretta e immediata percezione dei fatti per i quali si procede, oltre che delle dinamiche interpersonali poste a monte degli stessi. Né può essere tralasciato il dato - di tenore oggettivo e, pure, specificamente dimostrativo della affidabilità della fonte di conoscenza - rappresentato dalla durata della militanza dei propalanti, all'interno di sodalizi appartenenti alla criminalità organizzata. Attraverso la evidenziazione delle specificità - anche, ma non solo di tipo cronologico - connotanti le singole narrazioni, vanno poi esclusi sospetti di reciproco inquinamento, ovvero di possibile astio nei collaboranti. L'analisi implica poi il raccordo - di tenore logico e intratestuale - fra le dichiarazioni dei vari collaboranti e, successivamente, con gli elementi oggettivi raccolti nel corso delle indagini, in funzione di riscontro. In riferimento a tale ultima tematica, è bene rammentare che - attenendosi ai principi dogmatici elaborati in questa materia dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. la succitata Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina, Rv. 255145) - il giudice è chiamato a verificare la sussistenza di tre requisiti, rappresentati:


- dalla credibilità soggettiva del dichiarante, valutata alla stregua di elementi personali quali le sue condizioni socio-economiche e familiari, il suo passato, i rapporti con l'accusato, la genesi e le ragioni che lo hanno indotto alla confessione e all'accusa dei coautori e complici;


- dall'attendibilità intrinseca del contenuto dichiarativo, desunta da dati quali la spontaneità, la verosimiglianza, la precisione, la completezza della narrazione dei fatti, la concordanza tra le dichiarazioni rese in tempi diversi;


- dalla riscontrabilità oggettiva del dichiarante, attraverso elementi di prova o indiziari estrinseci, i quali devono essere esterni alla chiamata onde evitare il fenomeno della c.d. "circolarità" probatoria e che possono consistere in elementi probatori o indiziari di qualsiasi tipo e natura, ivi compresa un'altra chiamata in correità (Sez. 1, n. 16792 del 9/4/2010, Rv. 246948; Sez. 2, n. 16183 del 1/2/2017, Rv. 269987); a condizione, in quest'ultimo caso, che le convergenti dichiarazioni accusatorie, ritenute intrinsecamente attendibili, siano realmente autonome e che la loro coincidenza non sia fittizia, come nel caso in cui una chiamata abbia condizionato l'altra (cfr. ancora Sez. U„ n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255143).


Peraltro, in piena coerenza con quest'ultima decisione delle Sezioni Unite, anche la successiva giurisprudenza di legittimità ha precisato che - nella valutazione della chiamata in correità o in reità -il giudice, ancora prima di accertare l'esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., in proposito, alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale (Sez. 4, n. 34413 del 18/06/2019, Khess, Rv. 276676 - 01) Quanto al profilo della convergenza delle dichiarazioni collaborative, ci si deve rifare al consolidato orientamento di legittimità, secondo cui le dichiarazioni accusatorie provenienti da plurime fonti possono anche offrirsi reciproco riscontro, a patto che si proceda comunque alla loro valutazione, in uno agli ulteriori elementi di prova atti a confermarne la credibilità, in modo che resti verificata la concordanza circa il nucleo essenziale della narrazione, restando quindi indifferenti eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto, a meno che tali discordanze non siano sintomatiche di una insufficiente attendibilità dei chiamanti stessi (Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014, Rv. 262309). Stando alla condivisa giurisprudenza di questa Corte, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia appartenente ad altro sodalizio criminoso possono assumere rilievo probatorio purché supportate da validi elementi di verifica in ordine al fatto che la notizia riferita costituisca, effettivamente, oggetto di patrimonio conoscitivo comune, derivante da un flusso di informazioni attinenti a fatti di interesse per gli associati, indipendentemente dalla escussione della fonte da cui sono promanate le informazioni (Sez. 4, n. 1097 del 22/10/2020, dep. 2021, Domicoli, Rv. 280241 - 01). La conclusione riposa sulla massima di comune esperienza che, in una dinamica di necessario governo del territorio, ben può giustificarsi, alla luce della specificità dei vari contesti, la conoscenza non solo degli appartenenti al proprio gruppo, ma anche degli elementi di gruppi diversi.


6. Così ricostruito il quadro teorico e sistematico nel quale si collocano le dedotte questioni, ritiene il Collegio che colgano nel segno gran parte delle sopra riassunte osservazioni difensive, in particolare laddove viene evidenziata la sussistenza di plurimi spunti di circolarità delle informazioni poste a fondamento dell'avversata decisione, criticandosi anche la sussistenza di una molteplicità di aporie, fra le varie dichiarazioni. Le fonti dichiarative utilizzate mostrano, in effetti, profili di profonda contraddittorietà interna e spunti di reciproca distonia, fino a comporre un mosaico argomentativo di non completa affidabilità e di scarsa saldezza logica e ricostruttiva; tale operazione è il frutto di una progressiva - e non adeguatamente motivata - eliminazione di alcune propalazioni, quando non collimanti con il nucleo fondante la decisione e, correlativamente, della scelta delle dichiarazioni invece reputate maggiormente confacenti. Venendo all'esame più specifico di tali aspetti di criticità, si sottolinea quanto segue.


6.1. Mi.Gi. afferma di esser stato informato dell'identità degli esecutori materiali dell'omicidio de quo all'uscita dal carcere, verificatasi in data 20 settembre 2004 e di aver appreso le relative informazioni dal cugino Ma.Mi., per un determinato periodo reggente del clan Mi. e poi divenuto collaboratore di giustizia e da Bo.Ed. (soggetto assassinato il giorno 05 gennaio 2005), nonché dal fratello Mi.Em., anch'egli poi divenuto collaboratore di giustizia.


Il Tribunale del riesame, richiamandosi genericamente alla valutazione di piena attendibilità di Mi.Gi., operata dal Giudice per le indagini preliminari nell'ordinanza genetica, affronta il tema più specifico, relativo all'analisi della credibilità intrinseca ed estrinseca del soggetto, rapportata alla ricostruzione del fatto omicidiario per il quale si procede Ora, è restato privo di ulteriore approfondimento e, quindi, ad aleggiare nell'incertezza, quanto all'incidenza sulla attendibilità del narrato, il fatto che Mi.Gi. fosse o meno detenuto, al momento dell'omicidio (circostanza che, evidentemente, refluisce sulla valutazione di modi e tempi della apprensione delle informazioni, da parte sua).


6.2. Sp.Ci. deriva la sua scienza, circa il fatto omicidiario, da notizie (apprese in tempi non meglio identificati) all'epoca indistintamente circolanti in casa di Ma.Vi., suo vicino di casa.


Vengono in questo caso in rilievo, allora, delle mere " voci correnti", delle quali la legge prevede l'inutilizzabilità a cagione della natura incontrollabile dell'origine. Informazioni vaganti di tal fatta, però, non possono esse assimilate alle dichiarazioni "de relato", legittimamente utilizzabili attraverso la particolare procedura ex art. 195 cod. proc. pen.; né esse possono essere configurate quali propalazioni rese da collaboratore di giustizia, in ordine a circostanze apprese a causa della posizione apicale ricoperta all'interno della compagine malavitosa e costituenti, quindi, l'ampio patrimonio conoscitivo condiviso dall'intero sodalizio, costantemente alimentato da un flusso interno di notizie, inerenti a fatti di interesse comune degli associati (Sez. 2, n. 48448 del 31/10/2023, Genovese, Rv. 285587 - 03; Sez. 1, n. 17647 del 19/02/2020, Schirripa, Rv. 279185 - 02; Sez. 1, n. 28239 del 20/02/2018, Micieli, Rv. 273344 - 01; Sez. 2, n. 29923 del 04/07/2013, Favata, Rv. 256065 - 01; Sez. 5., n. 4977 del 08/10/2009, dep. 2010, Finocchiaro, Rv. 245579-01; Sez. 1, n. 15554 del 13/03/2009, Lo Russo, Rv. 243986 - 01).


Il Tribunale del riesame giunge alla conclusione dell'attendibilità delle notizie fornite da Sp.Ci., mostrando di fare esclusivo affidamento sul radicato inserimento di costui nell'ambiente camorristico; ciò in ragione tanto dell'esistenza di stretti e sicuri collegamenti del soggetto con la famiglia Ma., quanto in virtù della fiducia riposta in lui dalla cosca. Emerge, però, un vuoto argomentativo, riscontrabile nella persistente mancata specificazione dell'origine di tali informazioni, compiendosi solo un vago richiamo a notizie note e circolanti all'interno del contesto associativo; parimenti indefinite, peraltro, restano sia la descrizione del ruolo ricoperto dal dichiarante stesso, all'interno del sodalizio, sia la scaturigine della così profonda fiducia, della quale questi avrebbe asseritamente goduto all'interno del clan (punti pacificamente da ritenersi nodali, in quanto evocativi del grado di affidabilità, eventualmente ricollegabile alla versione resa da Sp.Ci.).


Insomma, l'esistenza di un flusso di notizie all'interno dei sodalizi non costituisce oggetto di presunzione assoluta operante in relazione a qualunque contesto e a qualunque vicenda, ma rappresenta una regola d'esperienza che, in tanto riesce tradursi in un obiettivo apporto ricostruttivo, in quanto venga calibrata sugli specifici fatti da provare, sull'identità dei protagonisti, sul ruolo dei dichiaranti.


6.3. Co.An. mutua le sue conoscenze da Ru.Do. e da Si.Pa.. Da quest'ultimo, apprende in maniera estremamente generica nozioni circa la riconducibilità del fatto omicidiario ai Ma. (nel secondo interrogatorio, Co.An. aggiungerà anche che il Si.Pa. avrebbe riferito circa la responsabilità di Am.Cl.) e dallo stesso Si.Pa. viene informato in merito al movente, dal quale avrebbe trovato scaturigine l'assassinio; dal Ru.Do., presente al fatto, Co.An. apprende informazioni circa le modalità del delitto (la ricostruzione, come detto, è nel senso che abbia esploso i primi colpi Ma.Ro., immediatamente dopo avvicendato da Am.Cl.).


Attenendosi a quanto poi riportato da Co.An., Ru.Do. gli avrebbe trasmesso tali informazioni mentre essi si trovavano, insieme, impegnati in una attività di cessione di sostanza stupefacente, all'interno della "piazza di spaccio" ubicata nella zona denominata "Bronx"; Ru.Do. avrebbe anche affermato di temere di poter essere coinvolto nei fatti nella veste di "filatore", per esser giunto sul posto unitamente alla vittima. Lo stesso Ru.Do. avrebbe visto Am.Cl. e Ma.Ro. giungere sul posto, a bordo di un ciclomotore condotto dal primo ed avrebbe visto quest'ultimo esplodere i primi colpi all'indirizzo della vittima, subito imitato dall'odierno ricorrente; avrebbe infine assistito all'omicidio stando nascosto dietro un bancone, ma potendo godendo di una visuale libera. In tal modo, sempre secondo Co.An., Ru.Do. avrebbe potuto agevolmente riconoscere entrambi gli esecutori materiali, visto che il solo Am.Cl. calzava un casco, ma con la visiera sollevata.


Ru.Do., una volta interrogato quale fonte di primo grado, rispetto alle dichiarazioni rese da Co.An., nega però di aver trasmesso a quest'ultimo tali informazioni; nell'immediatezza dei fatti, si limita infatti a dichiarare di aver visto un ciclomotore giungere in loco, concordemente a quanto dichiarato anche da Po.En., mentre - nuovamente ascoltato in data 25/01/2024, nega di aver trasmesso a Co.An. le sopra riassunte informazioni. Nell'ordinanza impugnata, inoltre, è riportato per estratto il contenuto di due conversazioni ambientali, antecedenti rispetto alla convocazione del Ru.Do. stesso.


6.3.1. Noto è, allora, che l'art. 195 cod. proc. pen. - nel disciplinare la testimonianza indiretta


- non preveda alcuna deroga al principio della libera valutazione della prova; in linea di principio non è affatto preclusa, quindi, la possibilità di valutare favorevolmente la testimonianza de relato, anche allorquando la dichiarazione raccolta dal testimone diretto si dimostri di segno contrario. L'orientamento consolidato di questa Corte, infatti, è nel senso che la testimonianza de relato divenga inutilizzabile solo laddove si manchi di escutere il teste diretto; nel caso in cui quest'ultimo, al contrario, non risponda o neghi la circostanza riportata e a lui stesso imputata, non sussiste più alcuna limitazione, quanto al valore probatorio della testimonianza indiretta. Quest'ultima in tal caso deve essere configurata - al pari di ogni altra prova storica - alla stregua di rappresentazione del medesimo accadimento fenomenico che si assume di voler provare, sia pure soggettivamente mediata attraverso il riferimento operato dal testimone indiretto, nonché da questi veicolata e non quale prova logica o indizio, dal quale desumere un fatto diverso (così, fra tante, Sez. 3, n. 529 del 02/12/2014, dep. 2015, N„ Rv. 261793 - 01 e Sez. 3, n. 9801 del 29/11/2006, dep. 2007, Baldi, Rv. 236005). Grava sul giudice, però, un obbligo di valutazione improntato ad una speciale cautela, atteso il carattere "mediato" e interposto, che in tale filiera valutativa assume la rappresentazione del fatto oggettivo da provare.


L'avversata decisione, invece, si arresta a una apodittica affermazione di inefficacia disarticolante delle sopra citate captazioni, rispetto ai riferimenti de relato compiuti da Co.An.; le affermazioni intercettate, dunque, sarebbero semplicemente evocative di un astio nutrito da Ru.Do. verso Co.An.; non dirimente è poi l'affermazione di persistente credibilità delle dichiarazioni rese da Co.An., ad onta della smentita proveniente dalla fonte primaria, per essere le prime circostanziate con elevata precisione e dettaglio. Difetta dunque, in tale procedimento interpretativo, un reale raffronto fra le plurime versioni contrastanti, arrestandosi la valutazione al compimento di una sorta di impropria opzione.


6.3.2. Quanto alle dichiarazioni rese a Co.An. da Si.Pa., infine, non è stata chiarita la fonte primaria delle stesse, accontentandosi il Tribunale del riesame di:


- constatare una generica forma di compatibilità strutturale, fra la versione trasmessa da Si.Pa. a Co.An. e quella riportata a Mi.Gi. da Ma.Mi. e Bo.Ed. (indagine che lascia intonso il tema principale, che è quello del controllo della fonte delle conoscenze di Si.Pa.);


- recepire la patente di attendibilità aliunde attribuita a Co.An., in altro processo nel quale è stata a questi riconosciuta l'attenuante della collaborazione (elemento sicuramente valutabile, in punto di intrinseca credibilità soggettiva del propalante, ma che non è in grado di riparare il sopra esposto vulnus, determinato dalla mancata indicazione dell'origine delle nozioni e, consequenzialmente, dall'omessa verifica delle stesse).


6.4. Sc.To. è una figura di vertice del clan omonimo, che apprende i particolari dell'omicidio dalla madre De.Lu.; quest'ultima, a sua volta, viene a conoscenza dei fatti dalla madre della vittima, Pi.Ma.. Secondo Sc.To., Am.Cl. avrebbe esploso i colpi mortali all'indirizzo del Ma.An., mentre il Ma.Ro. si sarebbe occupato di condurre il ciclomotore utilizzato per giungere in loco.


In definitiva, i contrasti del narrato - ove pure riferibili non all'inattendibilità intrinseca e soggettiva dei vari dichiaranti, bensì alla credibilità delle fonti - avrebbero reso necessario un più accurato esame, circa la possibilità di fondare su queste ultime la ricostruzione dei fatti.


È restata priva di adeguata spiegazione, inoltre, la ragione della distonia fra le ricostruzioni rese dalla De.Lu. e dallo Sc.To., ad onta del fatto che quest'ultimo avesse trovato proprio nella prima la sua primaria fonte informativa. Trattasi di un profilo che esige, ovviamente, un approfondimento, non fosse altro che per il rilievo complessivo che - nell'avversato provvedimento -viene riconnesso alle versioni rispettivamente fornite da tali soggetti. Il tutto è da sottolineare, infine, al netto della persistente incertezza, quanto alla prima fonte informativa; incertezza che deve essere incastonata in un contesto che è inevitabilmente inquinato - sul piano della attitudine dimostrativa -dalla constatazione del fatto che, a distanza di anni, si fosse raggiunta una sola certezza, costituita da una ragionevole genericità della causale.


6.5. Da.Um. ha come proprie fonti Ga.Um. e Fi.Sa.; Ga.Um., peraltro, rende una confessione stragiudiziale al Da.Um., visto che si autoaccusa del concorso nell'omicidio Ma.An., avendo condotto la motocicletta adoperata da Am.Cl. per giungere sul posto; Da.Um. individua quale sparatore Am.Cl., su mandato del Ma.Ro.. Fi.Sa. conferma il dato e aggiunge di aver appreso, quando era ragazzino, da voci correnti che Ma.Ro. era stato il primo a sparare e che poi era intervenuto Am.Cl..


Non si è ben chiarita, però, la valenza dichiarativa riconnessa alla ricostruzione offerta da Ga.Um. e, in particolare, non è spiegato se questi abbia fornito una versione fallace a Da.Um. - e si sarebbe comunque dovuto, in tal caso, scandagliare la ragione posta a fondamento della propalazione di una versione falsa, di tenore autoaccusatorio - o se sia stato poi Da.Um. a diffondere una ricostruzione non rispondente al vero. Anche in tal caso, sarebbe stato necessario argomentare la circostanza in maniera maggiormente approfondita, soffermandosi attentamente sulla possibile produzione di effetti riflessi sulla posizione di Ma.Ro. (e, in via immediatamente consequenziale, su quella del coindagato Am.Cl.); Ma.Ro. che - stando a quanto appreso e riferito da Da.Um. - non sarebbe stato presente al fatto omicidiario, differentemente da quanto affermato dalle ulteriori fonti dichiarative, ossia dagli altri collaboratori di giustizia.


6.6. De.Lu. è ritenuta un personaggio di spicco, all'interno del cartello camorristico "De. Bo.-Mi.-Sc.-Ap.-Ca.", operante nell'area orientale di N e contrapposto al clan Ma.. Riferisce che a sparare sarebbe stato Am.Cl., mentre Sa.De. - dopo aver guidato il motorino adoperato per giungere sul posto -aveva bloccato l'uscita posteriore dell'esercizio commerciale. La fonte della De.Lu. è la zia Pi.Ma., madre della vittima Ma.An.; quest'ultima avrebbe appreso i particolari dell'omicidio, nonché l'identità degli esecutori dello stesso da non meglio identificati personaggi di vertice del clan Sa., all'epoca in pace con i Ma.. Secondo la De.Lu., Ma.Ro. sarebbe il mandante dell'azione criminosa, come confermato anche da Da.Sa.; ella ricostruisce la causale del fatto omicidiario in danno di Ma.An. quale vendetta, originata dal fatto che il fratello Ma.Iv. e Ri.Ci. avessero in precedenza assassinato Ma.Sa., padre del Ma.Ro. coindagato di Am.Cl..


Ricorda la De.Lu. gli affannosi tentativi, compiuti dall'intero clan, finalizzati all'individuazione dei responsabili dell'omicidio; descrive poi un accadimento verificatosi in occasione del trigesimo dell'assassinio, allorquando la summenzionata Pi.Ma. -all'esterno della chiesa presso la quale era stato celebrato il rito - avrebbe fatto una "scenata" ad alcuni ignoti esponenti del clan Sa., pretendendo di venire a conoscenza della verità, potendo ella vantare una lunga fedeltà a tale sodalizio, egemone in zona. Le fonti della Piscopo - e, per suo tramite, della stessa De.Lu. - sono però restate indicate con la vaga dizione "capi del clan Sa.", così divenendo sostanzialmente incontrollabili.


A suffragio del convincimento espresso, circa la identificazione in Am.Cl. di uno degli esecutori materiali del fatto, la De.Lu. cita:


- quanto a lei riferito dalla vedova di Ma.An., Ca.As., la quale le avrebbe indicato


- in modo vago ed estemporaneo - Am.Cl. come uno degli assassini, senza però indicare la fonte delle sue informazioni (reagendo immediatamente alla rivelazione, in tale occasione, la De.Lu. avrebbe volontariamente impattato con la propria auto la motocicletta sulla quale viaggiava Am.Cl., facendolo rovinare in terra);


- quanto dichiaratole da Da.Sa., nel corso di un incontro chiarificatore, tra altri soggetti e il figlio di Am.Cl. (ignota è restata, però, l'origine delle nozioni di cui sarebbe stato portatore Da.Um.);


- quanto riferitole, per averlo appreso da fonte restata ignota, da Pr.An., all'epoca convivente con Ma.Iv., cugino della stessa De.Lu..


La De.Lu., all'esito della raccolta di tale imponente massa di informazioni, evoca tuttavia la presenza di un secondo motorino con altre due persone a bordo, delle quali non è in grado di ricordare i nomi (e questo è, effettivamente, un fatto singolare, vista la comprensibile rabbia con la quale il gruppo aveva cercato di pervenire all'identificazione degli assassini di Ma.An.). La stessa De.Lu., inoltre, attribuisce a Sa.De. il ruolo di correo, per aver egli bloccato dall'esterno la porta secondaria del locale, mentre Am.Cl. faceva fuoco all'indirizzo di Ma.An.; attribuisce a Ma.Ro., infine, il ruolo non di esecutore materiale del fatto omicidiario, bensì di mandante dello stesso.


Quanto al profilo della coincidenza, fra la ricostruzione dei fatti resa dalla De.Lu. e le residue narrazioni operate dagli altri collaboratori di giustizia, è lo stesso Tribunale del riesame a sottolineare l'esistenza di una crepa, anche di notevole importanza, senza però poi riuscire a far collimare i vari - e tra loro eterogenei - segmenti dichiarativi. A differenza di quanto raccontato dagli altri dichiaranti, infatti, la De.Lu. riferisce dell'arrivo, nei pressi della salumeria, di due motorini con a bordo quattro persone; sul primo veicolo avrebbero trovato posto Am.Cl. (ossia, colui che la De.Lu. indica quale esecutore materiale dell'omicidio) e Sa.De. (soggetto identificato in via induttiva, per essere parente del cugino della moglie di Mo.Sa., noto come "Za." e che, viepiù, non viene menzionato da alcuna altra fonte).


7. Volendo compendiare - in chiave di estrema sintesi - gli esiti di tale analisi, si può evidenziare come le fondamentali criticità emergenti dall'impugnata ordinanza si ravvisino negli aspetti di seguito enucleati.


Il Tribunale del riesame, in primo luogo, omette di confrontarsi - in relazione a ciascuna delle dichiarazioni - con le numerose perplessità prospettate dalla difesa, che aveva evidenziato possibili aporie logiche, reciproche distonie e fratture dichiarative, in relazione a circostanze idonee a sollecitare una riflessione, in punto di attendibilità e, soprattutto, di approfondire la coerenza della filiera conoscitiva attraverso la quale i singoli collaboratori di giustizia hanno appreso i tratti essenziali dei fatti. A fronte della diffusa incoerenza che rampolla dalle varie dichiarazioni, vi è una sorta di procedimento selettivo posto essere dal Tribunale del riesame, che progressivamente elide -o ritiene irrilevante - parte del patrimonio narrativo disponibile; operazione che viene realizzata in assenza di esaustivi chiarimenti e, dunque, senza evidenziare la presenza di elementi atti a ingenerare dubbi, circa la tenuta complessiva delle singole dichiarazioni. In tal modo, si finisce impropriamente per selezionare, rispetto ad un obiettivo generico di convergenza verso il nome del ricorrente, solo alcune delle fonti.


Occorre che vengano compiutamente spiegate, al contrario, le ragioni in base alle quali si sia ritenuto di poter pervenire a tale risultato, chiarendo anche per quale ragione l'incoerenza, sicuramente riscontrabile tra alcuni elementi di valutazione e conoscenza, non vada a riverberarsi sulla complessiva affidabilità della stessa.


Il motivo di ricorso, pertanto, merita accoglimento laddove censura l'erronea applicazione delle norme processuali, in punto di valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Il Tribunale del riesame, infatti, non si è uniformato ai principi di diritto affermati dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, quanto alla efficacia dimostrativa delle chiamate in reità "de relato", rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 cod. proc. pen., che non risultino confermate dal soggetto indicato quale fonte primaria di informazione (perché, ad esempio, coincidente con lo stesso accusato o con soggetto deceduto); dette dichiarazioni, come noto, ben possono costituire elemento indiziario valutabile ai sensi dell'art. 273 cod. proc. pen., in vista dell'applicazione di provvedimenti restrittivi della libertà personale, se confortate - ai sensi dell'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. - da riscontri estrinseci certi, univoci, specifici, individualizzanti, nonché tali da consentire un collegamento diretto ed obiettivo, sia con i fatti contestati che con la persona imputata (ex plurimis: Sez. 1, n. 19517, del 01/04/2010, lannicelli, Rv. 247206).


La chiamata in correità o in reità "de relato", pur se non asseverata dalla fonte diretta, può peraltro avere come unico riscontro - ai fini della prova della responsabilità penale dell'accusato -altra o altre chiamate di analogo tenore, purché siano rispettate le seguenti condizioni: a) risulti positivamente effettuata la valutazione della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell'attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificità, della coerenza, della costanza, della spontaneità; b) siano accertati i rapporti personali fra il dichiarante e la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto dalla seconda confidato al primo; c) vi sia la convergenza delle varie chiamate, che devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante, in relazione a circostanze rilevanti del "thema decidendum"; d) vi sia l'indipendenza delle chiamate, nel senso che non devono rivelarsi frutto di eventuali intese fraudolente; e) sussista l'autonomia genetica delle chiamate, vale a dire la loro derivazione da fonti di informazione diverse (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255143; Sez. 6, n. 40899 del 14/06/2018, C„ Rv. 274149 - 02).


L'ordinanza impugnata, invece, ha apoditticamente attribuito valenza gravemente indiziante alle plurime chiamate in reità de relato, trascurando di compiere tali operazioni di raccordo, logico e ricostruttivo. La descrizione analitica delle varie fonti si esaurisce - all'interno del provvedimento impugnato - in una sterile elencazione, sebbene analitica e completa, dei passaggi salienti delle successive dichiarazioni; difetta, purtuttavia, una valutazione critica di insieme, che analizzi il portato complessivo delle varie narrazioni, ponendosi in una prospettiva interpretativa complessiva e non atomistica e parcellizzata. Occorre allora che il vaglio che si andrà a compiere si mostri coerente, rispetto all'intero patrimonio conoscitivo disponibile, dovendosi spiegare nel dettaglio la ragione della eliminazione di alcune delle fonti e, correlativamente, l'incidenza di tale opzione sulla portata delle restanti propalazioni.


8. Il quarto motivo, inerente al tema delle esigenze cautelari, resta assorbito dalla già sviscerata fondatezza delle censure ulteriori, nei termini sopra esposti.


9. Alla luce delle considerazioni che precedono, l'ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Napoli. Non comportando - la presente decisione - la rimessione in libertà del ricorrente, segue altresì la disposizione di trasmissione, a cura della cancelleria, di copia del provvedimento al direttore dell'istituto penitenziario, ai sensi dell'art. 94, comma 1-fer, disp. att. cod. proc. pen.


P.Q.M.


Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Napoli. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.


Così deciso in Roma, il 29 maggio 2025.


Depositata in Cancelleria il 10 giugno 2025.

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